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giovedì 22 settembre 2022

La mia Recensione: Edda - Illusion

 La mia Recensione:


Edda - Illusion


Una pellicola intensa, che circonda e compatta la nostra esistenza, si appiccica alla pelle, alla mente, condizionando i comportamenti, partendo dai sogni per arrivare alla pazzia più pulita, con inevitabile propensione a toccare anche quella sporca. 

Si chiama Illusione.

Diabolica strega dall’abito elegante, pesante come gocce di piombo, precipita su tutti noi e si trasforma in undici canzoni per il sesto album di Edda (Stefano Rampoldi), capaci di definire meglio la sua esistenza, in una tavolozza magica effervescente e cupa, come doveva essere. 

Questo insieme di voci, suoni, racconti strambi e sensuali, regala anche malinconici dettagli, una intossicazione che conduce l’ascolto a ripetersi, senza correre il rischio di assuefazione.

Estremo come sempre, Stefano educa se stesso in una collaborazione verso strategie che permettano alle canzoni di rivelare ancora meglio il suo talento e per fare questo arriva Gianni Maroccolo con una produzione che esalta la purezza delle composizioni, mettendo lui stesso un’altra pellicola intorno a questo circo senza catene che è Illusion. Le uniche che troviamo sono quelle di una disciplina che arriva a strutturare perfettamente le canzoni e in questo il toscano dal sigaro perennemente sulle labbra riesce in modo perfetto.

I brani circondano la struttura italiana con un tocco internazionale e corrodono le resistenze: inevitabile è l’innamoramento viscerale nei confronti di queste perle che sanno spaziare, atterrare nei sensi, creando voluminose piacevoli illusioni.

Si cavalca la melodia, la delicatezza, si cade senza attrito nei testi che più che mai rendono lucido il campionario infinito di una sensibilità estrema coniugata alla deflagrazione che fa di Stefano un esempio unico nel saper navigare tra la profondità e l’inafferrabile, perché anche la sua scrittura è libera e distante da quella di tutti gli altri.

I territori sonori sono dune agitate, propense ad allucinate miscelanze di ballate con attitudini folk rese perfette da strati psichedelici. Il tutto rivestito da una chiara tensione con la cravatta per stringerci verso l’attenzione obbligatoria perché nulla è da disperdere. Il pathos che ne consegue ci butta dentro riflessioni continue ed emozioni dagli occhi lucidi perché Stefano ci mostra il campionario di visioni con la bava, trasportandoci in quell’altro emisfero che da soli non sapremmo raggiungere. 

Il lavoro di Gianni Maroccolo è lo spettacolo dentro lo spettacolo, arrivando a creare simbiosi e tuffi nella precisione con dettagli che sottolineano la vastità di impianti allucinati dei brani di Stefano, che lui struttura per liberare il maremoto di vibrazioni che sono queste coperte che ci riparano dal freddo, dal vuoto. Tutto è un tintinnio, un richiamo algebrico e viscerale, una raccolta di spasmi e orgasmi che si baciano.

Il campionario tematico è il solito: l’insieme di grattugianti sguardi verso il reale e la fantasia, che Stefano nella sua carriera solista ha saputo riempire sempre con capacità vivida e focalizzata, per dare sempre l’impressione di riuscire a conferire ai sogni la capacità di saltare a piedi dispari nella realtà.

La sua aura comprende i deliri e le necessità umane di scombinare le teorie con schizzi di natura alcolica per intontire le convinzioni, come film che passano dal sentiero di un nervosismo controllato, fatto di immagini liquide, a visitare il palco di un teatro dove l’esistenza è messa in dubbio.

L’arte Eddiana è sempre un concentrato di poesia che si scrolla di dosso ogni vincolo con la sua prevedibilità, come per certi schemi, divenendo un incantevole maleducato che alla fine seduce per le sue corse dentro le narrazioni strazianti, con ritmi e generi musicali che vengono saldati ad alto voltaggio alchemico con ciò che vorremmo sentirgli dire.

Illusion è senza dubbio sia il canto del cigno verso un passato che solo in parte gli ha reso giustizia, sia la bandiera della sua identità finalmente capace di circondare ogni atomo con la sua ironia dirompente. Album che è un cittadino del mondo in grado di vestirsi di colori sgargianti, che utilizza i suoni, le strutture come il basamento di un futuro dalla faccia sporca, senza vergogna da temere.

Il suo cantato (libellula arancione con un limone in mano pronta a schizzarci addosso i suoi liquidi aspri) è più che mai efficiente e in grado di rendere le sue parole come diavolo in perfetta forma, sempre petardi senza sosta, che rendono i nostri stomaci farfalle bagnate e sirene, questa volta tramortite.

Il suo falsetto è una ninnananna psicotropa, in volo sulle nostre attese, come poesie nel profondo di un’ugola che pettina le nostre stanze. 

La chitarra, la sua donna dalle gambe aperte, ci avviluppa mentre a sua volta si fa avviluppare da strumenti ed espedienti che la colorano di una tonalità non ancora esistente: in questo, tutto sembra prodotto da una band di profughi dall’umore giusto, con buona propensione a dare alla sei corde di Stefano nuova linfa.

I suoi soliti scherzetti vocali sono questa volta non solo divertenti ma spesso inquietanti: come una veggente che sfida la fortuna, Edda con le sue interpretazioni, dalle diamantate inclinazioni, sovente ci spaventa e ci irrigidisce, ci fa vedere il sole come una luna senza luce, rendendo fredda la pelle dalla paura.

La sua sincerità è il presupposto su cui gli ascolti trovano disagi e stimoli, un fare le valigie tremando, con le cartine di viaggi immaginari che vengono fumate nella stanza, dove gli ascolti delle sue canzoni diventano lo stretto necessario. Sa essere ruvido, una colata di fango che spettina e ci inumidisce con emozioni che intimoriscono per profondità e durata, dentro la cura di suoni che sono la sua spada, il vento necessario per portarlo, velocemente, dentro i labirinti dei suoi pensieri, sempre devastanti e ipnotici. Sembra che viva una perenne esigenza di metamorfosi, di distanziarsi da se stesso mentre forse, e deve essere così, è solamente il fatto che è infinito il suo serbatoio, dove più che pescare lui  si tuffa, inebriandosi della sua stessa benzina.

Questo album non concede dubbi: non vi è strategia che infastidisce per copiosa capacità ma un panorama che, ascoltando le sue disarmonie, può essere visto nella sua interezza, avendo la percezione netta che ogni sua creatura musicale sia il progetto di un accordo tra il diavolo e il suo genio, in un duello che regala minuti che ci portano nel loro transito non terrestre.

In aggiunta: la sua dolcezza disarma, intenerisce e conquista, e per davvero vorremmo tutti circondarlo di affetto mentre ci suona tutte le canzoni di questo album, il più maturo, riuscito, che non solo lo svela e rivela ma al quale ci si abbandona per dichiarare tutto il bisogno in un ascolto che è la nostra penna che scrive il nostro ringraziamento…


Altamente consigliato a tutte le anime che vogliono intossicarsi di bellezza generosa in quantità, che alberga in ogni nota…




Song by Song 



Mio Capitano


È subito gloria pura: un Capitano descritto in modo scanzonato, con ilarità, su una chitarra che balbetta mentre le parole volano su note leggere per accogliere un falsetto quasi urlato, tutta la schizofrenia dentro parole di sale che si sciolgono all’interno di “un episodio inevitabile”. 



Alibaba 


Il milanese Edda gioca a fare i cuneesi Marlene Kuntz con un brano che dà modo alla voce di essere brivido, su chitarre carezzevoli, e una valanga di morale che sconfigge la retorica sulla famiglia, per un’atmosfera che annette anche la sensazione che gran parte della canzone italiana sia qui a rendere merito a Stefano Rampoldi per il fatto di rappresentarla perfettamente. 




La croce viva


Chitarre e basso disegnano il cielo su cui le doppie voci raccontano e ci si siede ammutoliti: l’Edda minimalista è pura vibrazione con la sua leggerezza a svegliarci tutti, con ogni atto di fede che finisce dentro i sogni. Una chicca in punta di piedi che ci paralizza.




L’ignoranza


Sempre serio e spietato, la sua intelligenza ci regala un brano dove si può ridere ma lo si fa sudando, sapendo che nulla è falso per davvero in queste parole. La musica viaggia tra ipotesi di climax francese e un alternative dalle lacrime spugnose, con cambi di suono e approcci stilistici che esaltano le distorsioni della chitarra chirurgica. Il lavoro del basso finale regala l’illusione di un dub dalla faccia nuova.



Signorina Buonasera


Siamo in un involucro sixties, varianti quasi progressive e l’arrivo della valanga ironica che frusta l’incoscienza, il falsetto sembra provenire dai Jackson Five, mentre tutto è pregno della sensazione che la musica leggera sia nel DNA del cantante milanese come scusa: sono martellate sulle ginocchia le allusioni del testo e la musica circostante.



Trema


Il mai dimenticato Claudio Rocchi potrebbe abbracciare Edda, in un girone di affetto sincero: si piange che è una gioia maestosa, tra la chitarra con la gobba che sorride tra accenni di Radiohead e gocce di Flamenco e la voce che richiama la notte per mostrare tutta la sua spiritualità. 



Carlo Magno


Il rock’n’roll di Edda è una fiaba, che entra dentro la Storia, per raggirare tutti smantellando la verità con ritmo, e l’eleganza con cui sbeffeggia fa sì che tutto diventi trascinante, incluso un assolo di chitarra lisergica.



Gurudeva


Rallenta il ritmo ma non la tensione ad alto voltaggio, perché siamo dentro il viaggio di una identità che, scombussolata, mostra il suo volto con grande autoironia. La linea melodica del canto sembra uscito dal Paradiso, le pennate della chitarra fanno di questo brano un’altra lacrima appesa al muro, mentre rimaniamo ad aspettare…



Lia


Il singolo che ha preceduto l’uscita del disco sembra un gemellaggio con Moltheni, dove vince l’atmosfera, che è torbida e romantica al contempo: sarà per la voce che si attacca alla dimensione onirica o per le trovate musicali che sembrano frutto di un arrangiatore in strepitoso stato di forma. Delicata, sognante, è una frusta che lascia lividi sul cuore.



Mirai


Saliamo sull’ascensore per vivere in modo perfetto la claustrofobia di questo assurdo viaggio sensoriale, tra l’azione di un cielo che arriva a turno per farci chiudere gli occhi. Parole come spine, musica che crea un alone misterioso per il suo approccio verso i mai dimenticati anni sessanta, una quasi ballad che in realtà è una strega fatata.



Brown


Perfetta conclusione dell’album, con il brano dal respiro funky, tra la nebbia che sembra nascondere la sua propensione. Ed è un delirio sottile, con il cantato che mostra la potenza e l’unicità della lingua italiana, i giochi melodici nei saliscendi morbidi, come una montagna russa al rallentatore che trova modo di accelerare all’occorrenza. 


Produzione: Gianni Maroccolo


Alex Dematteis

Misocshockworld

Salford

22 Settembre 2022


L'album esce il 23 Settembre 2022


https://open.spotify.com/album/15JTXaZFeti9JS6EKK3OXa?si=WDrz5A_RQLqJWKDmuyE2XA






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