La mia Recensione
Fields Of the Nephilim - Dawnrazor
Spilli.
Ciglia dormienti.
Sale su ferite rotolate per terra.
La malvagità rantola sulle caviglie di anime in cerca di turbamenti.
Eravamo negli anni 80, tempio del Divino sfacelo che abbracciava la crescente stupidità, annodata al delirio di mode, cambi di rotta insensati e squallidi.
Ma dal nord di Londra si fecero avanti quattro oppositori, vestiti di letture sparse nel buio di rocce umide e fatiscenti.
Liberati dai loro moti di ansia e noia, si sono immersi in campi pieni di flusso sanguigno che hanno colorato di nero.
Ubriachi fradici di Aleister Crawley e H.P. Lovercraft, si sono buttati sulle rive di comete impazzite, guardando angeli impegnati a cercare donne da ingravidare. Iniziato il viaggio verso l’apocalisse, hanno saccheggiato i respiri, donando polvere per insaccare i polmoni e spegnerli.
Come terremoti senza cuore, hanno stretto un patto con il buio, afferrata la gola della bellezza e generato un percorso di indagini colme di unto, colte come volumi infiniti di libri dai codici scomodi e urticanti. Viandanti sbilenchi con pensieri tossici, hanno anestetizzato la luce per consegnare al Maestro del Buio la loro fedeltà.
Hanno imbracciato strumenti per sparare tossine, farci precipitare nel delirio della confusione che gode quando tutto vaga perduto, privo di senso, di regole, di stupidità dalla coda di topo.
Hanno inventato vascelli mentali che banalmente noi definiamo canzoni: sono urla strappate alla sofferenza per crearne altre, come una perfida giostra che sfinisce.
Hanno fatto della nostra tristezza la loro atomica risata collettiva, brindando sulle nostre paure, sui nostri stomaci arrovellati. E ci hanno sequestrato i palmi che hanno cosparso di antica remissione: senza presa non possiamo che cadere nel vuoto che Santificano e benedicono come loro nettare supremo.
Ma semplifichiamo…
Uscì Dawnrazor e quelli che avevano a cuore la sorte del muro gotico tirarono un sospiro di sollievo: le tenebre erano state allargate con nuovi scrigni da aprire, regalando una ossessione che generava brividi e singhiozzi.
Dopo che il Post-Punk e la Darkwave avevano incominciato a divenire una banale ripetizione di cliché privi di eccitazioni percorribili, ecco che i quattro, ora in cinque, si sono gettati sulle terre sporche, piene di liquami dalla faccia stravolta, per partorire scosse elettriche erudite dalle tenebre più intense e sincere. Canzoni come mappe della perdita, come carni strappate alla inutile corsa verso il piacere. Loro hanno deciso che era giunto il tempo che nuovi predicatori scendessero per cambiare il verbo del nostro credo.
Un esordio come un funerale: quello delle banalità che davanti a codesta esibizione di follia si sono sentite smarrite e abbattute. Morte su morte per inneggiare al nuovo Re del cielo: Cthulhu.
Come è profondo il mare della paura, senza fondale, senza un confine che non si vede nemmeno con un cannocchiale: tutto si fa lontano, irraggiungibile.
Ma quale musica!
Figuriamoci delle canzoni.
Sono lapidi che vociferano preghiere non afferrabili, fuochi di terra in assalto sui nostri timpani.
Non aspettatevi delucidazioni tecniche, non ora, perché lo scriba sta viaggiando dentro l’impossibile, conoscendo dirottamenti, piangendo al millesimo ascolto di questo tripudio di rovi, senza possibilità di avere cognizioni da scrivere.
Sono ancora perso, ora come allora, nel disastro che ho compiuto quel pomeriggio, decidendo di addentrarmi in un labirinto che da quel momento è un latrato da cui dipendo.
Sentirsi una pergamena presa a calci da cani infedeli è sconvolgente: non c’è un solo momento in Dawnrazor nel quale tu possa pensare che sia solo un delirio con un timer. Te ne accorgi quando la musica tace. Perché tu continui a bestemmiare, inveire, supplicare un perdono che i cinque non concederanno.
Mi chiedo perché si debba essere così ingenui e al contempo così privi di mancanza di rispetto per gli altri andando a scrivere una recensione su questi diavoli sordi: ma certo, che idiota che sono, è colpa loro, mi hanno portato dalla loro parte, neutralizzando la ragione che avevo sino a quel pomeriggio.
Dunque: mi conviene parlare della loro immortalità, dei loro mantelli sui quali troviamo la loro Bibbia, l’urgente bisogno di renderci ubbidienti e apostoli di una nuova religione.
Allora non puoi che adorare le chitarre come scimitarre arrugginite, il basso come il castigo delle rocce, la batteria come il fiato dello scorrere della nostra ignoranza: questa è la prima colpa da espiare.
La seconda è il moto perpetuo di difese scardinate: niente può fermare la malsana scrittura, la voce con cristalli scoppiettanti verso la rupe impregnata di fango di Carl McCoy.
Ed è stratosfera accecante, grumi nell’ugola per parole che come una genuflessione senza sconti sbuccia la pelle. Delirio su delirio infinito, come vulcano inceppato senza possibilità di fermare la lava.
Un album che sentenzia la separazione tra ciò che deve far male e quelle band affamate di imitazioni. Si è perso tempo nel definirli i fratellini dei Sisters of Mercy: sarebbe ora di fare chiarezza, di saper ascoltare e di capire che non vi è finzione nell’arte dei FOTN, il che costituisce il primo tassello per affermare la loro differenza. Dawnrazor è il fulmine che separa la massificazione mediocre di un gothic rock che aveva perso smalto rispetto alla vivida scissione nucleare dei cavalieri di Stevenage, che hanno scartato ciò che anime vuote avevano spacciato per utile.
L’ascolto di questo esordio rivela maestria, scaltrezza, coraggio, acume. E modalità di scrittura come nessuno prima e nessuno dopo: hanno fermato le nuvole e le hanno riempite di stratagemmi irripetibili e in quanto tali eterni.
Proverò a descrivere ciò che è indescrivibile, mi annienterò per darvi i loro graffi, cercherò una terapia che mi aiuti a trovare il coraggio che manca a chi si sente indegno, perché questi tredici uragani ci aspettano nella loro tana per congelarci con la paura ed il mistero senza più cielo.
Song by Song
Intro (The Armonica Man)
Prendi una lama insanguinata, vai a scovare Morricone con la sua eleganza e mettigli del sale: tutto sarà più tetro e catastrofico.
Le chitarre creano uno scenario horror da capogiro ed è subito caos con un drumming che abbassa il Pianeta Terra: si va negli inferi.
Slow Kill
Epica, esoterica, cilindrica e sconvolgente, la seconda traccia è un sorriso scaduto, putrefatto, veloce per portarci davanti a un nuovo Messia, senza possibilità di scelta, per naufragare dentro i vortici ellittici di chitarre velenose.
Laura II
Quando il basso pulsa come il respiro atroce della gramigna soffocante. Ed è una nuova corsa per una canzone rivisitata, corretta, resa la Regina del regno vocale di Carl, Signore del racconto malsano. Le chitarre si incrociano, ci portano ad avvilupparci al goth senza però rischiare la noia. Il giro della morte passa di qui, rapisce, saccheggia il cuore e saluta. Nel finale, dove troviamo un cambio di ritmo e di atmosfera, sembra che il cielo si apra per donarci un sorriso: sia mai, è solamente un raggiro meraviglioso…
Preacher Man
Non è Morricone qui ma Giuliano Gemma nel film “ARIZONA COLT/MAN FROM NOWHERE” di Michele Lupo, a donarci la polvere di pistole dentro un deserto dove la morte spara i suoi proiettili. Ed è il regno della confusione, di mantra obliqui, del senso di morte che ai cinque serve per eliminare il senso del bello per sostituirlo con l’alienazione e la madre dell’inferno: la paura. Mentre le città dormono loro iniettano veleno a raffica.
Incalzante, nevrotica, è polvere di muffa ad avvolgerci, con radiazioni e contaminazioni…
Volcano (Mr. Jealousy Has Returned)
Chi detiene il destino mostra il suo ghigno dentro il cuore di una donna, per farla bruciare nel suo vulcano malefico: è una devastazione psichedelica di chitarre irritanti e malate a marcare il terreno della follia. I FOTN mostrano muscoli che si incollano con il gothic rock supremo e vincono la partita del dolore, della sopraffazione.
Vet for the Insane
Tutto prende il fiato necessario per resistere all’oppressione e cosa è meglio di un inganno lento? I sacerdoti rallentano il ritmo, ma facendolo sferrano un attacco che, attraverso un fare onirico, spezza le gambe e dichiara il loro potere assoluto.
Il suono affoga per paralizzare i fiori di una cucina devastata. Non c’è più la casa, tutto è sommerso nella delicata presa in giro di un finto basso delicato, come le sue chitarre, che come gemelle cruenti adoperano una melodia ingannevole per far saltare in aria la nostra abitazione: ciò che era saldo in noi muore. Fine.
Secrets
I sacerdoti reclamano un percorso nel quale li si segua con pura ubbidienza. Lo si fa per perdersi del tutto, con il perdono a celebrare il loro trono. È la vittoria di chitarre in piena forma, serpenti che si incrociano con il basso che detta legge mentre la batteria scuote la polvere delle nostre ossessioni. Maestoso esempio di come il loro desiderio si compia staccandosi dai limiti di quel genere musicale, trovando la giusta via di fuga per determinare la strategia della complessità.
Dust
Un cervello nuota in una piscina per conoscere l’affollamento del nulla: Dust è la bomba atomica Londinese che distrugge il nemico. I FOTN mangiano il sangue e bevono l’aria cristallina della polvere cadaverica. Una marcia militare dove gli ordini sono dati da un basso che rimbalza nel cervello, la voce ansima esplodendo in toni bassi camuffati e rauchi: sia dato spazio agli eroi muti e mutilati che la batteria scuote e invita all’attacco.
Reanimator
Una donna viene aiutata, sul letto di morte, con poche chances. Cristalli liquidi danzano dentro a quel paio di sei corde semplicemente connesse in arpeggi sublimi e incantevoli. Si trasformano, questi angeli neri, come cattivi Samaritani, per donare illusioni, conficcando la loro lama e usandola come grovigli sonici complessi ma esaustivi.
E quando accade che il ritmo ci scuoti in questo modo rimane la pelle sudata ad accertare il nostro tremore.
Power
Ciò che conquista sequestra la libertà: i FOTN compiono furti con parole sibilline e chitarre che si addentrano in un blues che vive in un saloon: sornione, amaro, ma devastante. È un treno che sbuffa, il suo carbone annerito inquina il cielo, mentre scende sotto la pelle della terra per renderci sognatori devastati. Un raro solo di chitarra sorprende e confonde per poi consegnare alla sezione ritmica il potere di incendiare i sogni.
The Tower
Quanto è adorabile la corona di lacrime che Carl depone sul capo di questa donna sfortunata?
Una storia fatta di ortiche che lentamente salgono nel cielo per creare il ritmo e divenire il martello disperato che schiaccia ogni resistenza. È il post-punk che si congeda e lascia la scena al gothic-rock per una catarsi sanguinolenta. Un su e giù ritmico che sembra un elettrocardiogramma a determinare il cortocircuito di quella donna esangue.
Dawnrazor
Ed ecco morsi cruenti attaccare la resistenza dei sogni: lotta all’ultima goccia di sangue. Le chitarre sferrano l’attacco, la batteria rotola sui respiri, il basso spinge la cenere a impolverare la scena.
Carl prende la voce e la getta nel cratere infernale: il suo guanto diviene lametta e il suo canto è preghiera volgare, tumefazione in corso, in attesa che il flusso maligno smetta di imperversare. La curva gotica esplode con l’applauso delle creature macabre che si inchinano, devote.
The Sequel
L’album finisce con la morte che torna: terrore, brividi, lacrime inutili a illuminare un volto smarrito. Tripudio, la vittoria del male, la successione dei fatti accaduti in questo album determinano il senso di dipendenza dal fragore, dalla resa che era messa in preventivo. La formazione inglese è un corsaro dall’incubo allenato ad infierire, per vincere sempre. Ci si ritrova con il brano che è l’unico che può chiudere questo percorso: bisognava creare l’apoteosi concettuale, con un testo ed un attacco musicale pieno di lapidi gioiose. Certificata la nostra sconfitta, cantiamo inni rivolti a Cthulhu. Lo spirito di Howard Phillips Lovecraft vaga tra le bolle infuocate: The Sequel è l’altare dove si mostrano i sensi arresi e il martellare del drumming è la celebrazione di un vanto esplosivo.
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
1 Maggio 2022
- Carl McCoy– vocals
- Peter Yates – guitar
- Paul Wright – guitar
- Tony Pettitt – bass
- Alexander Wright – drums