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giovedì 30 ottobre 2025

La mia Recensione: Òvera - Divergenze Condivise








Òvera - Divergenze Condivise


“Cercami tra le tue dita

e osserva ogni cielo cambiare

e se vorrai immaginare

non potrai mai perderti

perché sarò con te

ad accoglierti”

Paolo Benvegnù - Se questo sono io




Senza nome, con dei germogli: tutto è definito in questa distesa identitaria, di costruzione, l’approccio alla precisione, il vanto di una modestia che rispetta il tempo.

Quest'ultimo, da sempre, ha guidato la formazione pistoiese che, con quarantadue anni alle spalle lo ha sempre definito, circondato, approcciato e rispettato.

La loro storia li conduce ad allungare i propri semi, impeti, caratteri, precisando ogni intento con una classe infinita, distribuendo sorprese, spargendo il sale sui sogni, invertendo la rotta dell'attualità, senza dispersioni di energie, fregandosene delle mode, delle apparenze, sfruttando l'opportunità di nuovi strumenti, mantenendo una spiritualità folk che soffia sulle stelle la sua antica essenza al fine di  divenire un gioco serio per incroci perpendicolari. La loro musica, in questo nuovo strepitoso lavoro, è un’acrobazia inaspettata, una stretta di mano che coccola e scuote, una discarica di qualità in cerca di sistemazione, un dialogo fitto con le osservazioni, le descrizioni, un cancellino continuo sulle approssimazioni, una dolcezza che non dimentica di precisare l’infinita infelicità terrestre, un portare avanti gli elementi che sono ormai senza uno sguardo da parte della maggioranza delle anime.

Il disco è dedicato a Paolo Benvegnù, un altro germoglio infinito che risiede dentro le esistenze dei quattro uomini che in lui hanno trovato un compagno di strada…

Sono brividi, belli, certificati, e il nostro grazie abbraccia questa splendida dedica.

Un progetto che consta di nove nuove composizioni, di una serie di cinture che allacciano il senso dei nostri rifiuti, di indicatori coscienti, di una fertile capacità di scrittura che qui si fa più armonica, totale, in cui ogni membro ha offerto, donato, fertilizzato le altrui qualità per dirigere il tutto verso il mare della completezza. Stupisce come non sia un viaggio tra i generi musicali, bensì un accordo continuo con il necessario lavoro di perlustrazione, in cui le note sono un mezzo parziale, così come i testi: l’insieme sembra una rete in cui le stelle si avvicinano agli occhi delle nostre percezioni, in un dialogo fitto, che sequestra i sensi.

L’elettronica non come mezzo artistico ma come veicolo di luce tra le luci, un imbuto, un abbraccio, una scossa e un sussurro che permea queste creazioni per condurle alla perfezione. Tutto ciò permette al tempo di essere un elastico, una scusa che sublima l’introspezione, per fare di tutte le tracce di quest’opera l’inizio di uno specchio morale e attitudinale.

Canzoni come un martello che, ricoperto di seta, colpisce lentamente…

Tracce come un microscopio lasciato tra le onde del cielo…

Un album come un ascesso, un amplesso, un fremito, una scommessa muta che gira nei solchi per renderci un respiro centripeto.

La storia di questa scrittura evidenzia impalcature, gemiti, e un antico sentire dove nulla deve essere temporale bensì un’aurora boreale dei sogni che qui non hanno bisogno degli occhi.

Le musiche e le parole vivono, molto di più che in passato, di un’azione contigua, continua, di macchie di colori su cui tutti hanno messo le dita. Certamente Stefano Nerozzi rimane il musicista che scrive moltissimo e tuttavia non si ritrova da solo, accerchiato, da parte di Alessandro Pacini e Andrea Signorini, per rendere tutto armonioso, completo, esaustivo, vero, efficace… 

E che dire poi di Pasquale Scalzi con il suo Flicorno?

Un pennello dai movimenti antichi che sublima il tutto con grande maestria…

Note come respiri notturni, parole come raggi solari che non illuminano ma fertilizzano il cammino: un lavoro significativo, disturbante per chi si disinteressa degli odori dell’esistenza e gratificante per chi rallenta le proprie idiozie.

Gli Òvera rimangono nei pressi del senso, della poetica vocazione a suggerire, mai grezzi, mai negativi, sempre volenterosi di essere alunni dentro il mistero dello scorrere del tempo. Un arpeggio, una sequenza di intuizioni, un approccio che non rifiuta le decadi passate, come menestrelli curiosi della novità, ma in grado di incidere con gli strumenti della propria cascina.

Un disco che architetta il vuoto, costruisce dagli sprechi, delle emarginazioni, con attenzioni peculiari e una devota ostinazione alla manualità, al senso antico dell’arte che nasce e si sviluppa nel quasi anonimo luogo del silenzio…

La produzione di Gabriele Gai regala intimità, un collage, un puzzle attento a far combaciare la struttura delle composizioni con il suono, generando un senso logico che protegge dalla fuga. Nessuna canzone regina, tutte vette che si guardano in volto, con il loro percorso, con la magia del dolore che si affianca a quella della verità, molto più valida di quella del sogno e delle speranze. 

Incursioni, come lampi geniali, negli spazi della malinconia, incontri che ispessiscono lo sguardo, con la complessa e grave propensione all’autenticità, che rende il tutto scomodo e facilmente evitabile…

Ma i quattro archeologi del fare artistico hanno le spalle come mattoni, amano la polvere che nasconde, perché consapevoli del fatto che  non conoscono impedimenti per la loro crescita, umana e artistica, che passa anche attraverso scontri, scazzi e dubbi.

Tutto ciò si sente e veicola gioia: una verità senza maschera consente alla fiducia di germogliare…

Gli Òvera diventano un’opera all’Opera, uno spettacolare combo che, dimentico degli amplessi postmoderni, riabbraccia l’antico con i colori del futuro…



Song by Song


1 -Ad un passo da te

Il ticchettio del tempo, un temporale iniziale, un arpeggio medievale e poi via sulle spalle del tempo, il confronto e l’attesa, nello scenario magico di una musica che genera stratificazioni. Come se il cantautorato non dimenticasse le filastrocche, con uno sguardo alla successione di accordi che consente, in questo episodio, sia la forma canzone che l’istinto alla progressione della musica progressive.



2 - Metaverso

Il teatro del tempo svela oscena bellezza, molteplicità, metodiche, generi musicali diversi, una vocazione al graffio, mai alla sintesi, per note che si fondono, che corrodono, con le parole che dipingono, strappano, limano, per poi condurci nel ritornello a ballare sul testo  solo apparentemente leggero. Un pezzo che offre la sapiente duttilità del combo pistoiese, in uno stato di grazia che accoglie diversi riferimenti stilistici ma sempre in fuga dalla definizione precisa. L’anima pop emerge, senza dubbio, tuttavia è arrossata, in fuga, con una libertà che fa compiere un balzo senza ritorno…



3 - Contare sulla distanza


Il Trip hop che richiede il supporto di Jean Michelle Jarre, il senso della pausa, del silenzio, il mantra che ci ricorda Teardrop dei Massive Attack e poi una direzione che non consente più riferimenti. Un brano che concentra il tutto sulla ciclicità del sublime cantato di Paolo Ferro, qui alle prese con il selvaggio problema della metrica: vince la sfida portando le corde vocali sui cieli plumbei delle movenze, muscolari ma tenue, della musica. Si capisce come questo sia un esercizio su cui costruire l’intero lavoro, una poesia elettronica che distribuisce verità e lacrime come respiri…



4 - Erbe selvatiche (feat. Alessandro Fiori, ex voce dei Mariposa)


La bocca si spalanca, il teatro dei regali ci offre un’accoppiata inimmaginabile, il vortice di un toccante genio creativo che consente a due voci di essere protagoniste di una ninnananna senza fine, con le polveri di un intenso lavorio musicale che scuote per leggerezza e profondità, un brano che avrebbe fatto felice Luigi Tenco… Epicità e attenzioni, premure, coriandoli sonori come un mantra che addormenta i fremiti, con un drumming e il basso che quando si presentano diventano lo scettro su cui tutto sfuma con tenerezza…




5 - La luna sopra me


Pare di essere in Belgio, nel paese in cui l’elettronica ha versato sangue azzurro, creando anche le basi dell’ebm.

Il brano più lontano dal suolo pistoiese diviene in realtà il frutto delle loro abilità, dei loro studi, dei loro non vincoli…

Metrica, ripetizioni, flash sonori, cambi visivi, di scenari, in un massacrante ma gentile bombardamento che ci ricorda i Lassigue Bendthaus e gli inganni sonori dei Coil, per un insieme particolarmente intenso, fuori da ogni preventiva illusione. La grandezza della band qui trova simboli e residenze per il futuro…





6 - Spalle coperte


Stefano Nerozzi apre le danze, Gabriele le allunga e la band, tutta, le continua attraverso il tempo con uno stile che ci ricorda la Nouvelle Vague, i chansonnier francesi, per poi fertilizzare il tutto con un testo crudo ma vero, come sempre, diventando l’emblema di una scrittura che sa essere un elastico senza remore…


7 - Cerco lacrime


Quando la bellezza crea equivoci, verità, perplessità, affanni e paure, una giostra in disuso che invoca calma, dignità, e i luoghi giusti per palesarsi. Questo fa Cerco lacrime, il miracolo che genera trambusti, con l’ardire della musica che, attraverso il drumming poetico ma sicuro, porta l’intera struttura ad approdare nel delinquente esercizio del testo, così gravido di tensioni e amarezza che congela i respiri…

Ed è in questo luogo che gli Òvera esalano la distensione, il perimetro preciso della pazienza descrittiva che, per quanto  ferisca, diventa una moglie sincera e perfetta…

Nel suo tappeto sonoro ondeggiano richiami, albe e tramonti, ma soprattutto il bisogno autentico di dare alle parole un abito notturno con il quale apparire nella storia della canzone italiana che Mina sin dagli anni Settanta ha saputo rendere perfetta. E il Vecchio Scriba spera che sia proprio lei, un giorno, a cantarla…




8 - Tutto cade 


Accenni di rave, di Prodigy, di anni Novanta in cerca di memoria, ma poi sembra di sentire i Man of Moon approdare in Toscana, per stipulare un contratto di contatti e abbracci. Tutto scorre, tra la voce filtrata, tremante, tra i beats e psichedelici richiami che rendono l’insieme semplicemente armonioso…



9 - Pioggia calma


La chiusura in realtà diventa l’apertura, incontestabile, al contatto con il passato della band, mentre lascia i germogli di ciò che sono divenuti consentendo agli strumenti di essere parentesi, accenni, piramidi e coperte per assorbire la pioggia calma che consente la fertilità.



Òvera:

Stefano Nerozzi - Chitarra elettrica, chitarra battente, mandolino

Andrea Signorini - Basso, cori

Paolo Ferro - Voce

Alessandro Pacini - Batteria


con:

Pasquale Scalzi - Flicorno

Gabriele Gai - Elettronica, campionamenti

Alessandro Fiori - Voce e Synth in Erbe Selvatiche


Produzione - Gabriele Gai


Etichetta Discografica - Vrec


Distribuzione - Audioglobe



Alex Dematteis

Musicshockworld

29 Ottobre 2025

Salford








martedì 7 ottobre 2025

La mia Recensione + Intervista: Nightbus - Passenger


Debut Album of the year 2025
Mancunian Album of the year 2025

Nightbus - Passenger


Un agglomerato famoso che vive apparentemente di rendita, visto il suo clamoroso apporto nel passato e la gloria conseguita, continua a essere una fabbrica umana di talento e qualità, che fatica purtroppo a emergere per mille fattori, uno dei quali è sicuramente una stampa musicale poco avvezza a considerare quanta nuova qualità alberghi sotto il cielo mancuniano.

Assistiamo quindi a uno spreco costante di studi, sguardi, approfondimenti che potrebbero darci la misura della verità.

Giunge una band a raccogliere il tutto, facendoci viaggiare di notte, scacciando i sogni, decidendo, piuttosto, di farci urlare con cupezza, di trascinarci nella realtà e di farci maturare, avvolgendoci in atmosfere amniotiche gravide di elettronica, ventagli dub, sottili avamposti trip hop, impulsi dream pop, arpeggi elettrici che fanno l’occhiolino al post-Punk senza farsi notare troppo, agganciando i generi musicali tra di loro per consegnarci un album di debutto che ci fa porre delle domande e ci impedisce di cercare la fuga nei diversivi, di non donarci completamente a ogni forma di dipendenza.

Registrato a Leeds con Alex Greeves alla produzione, questo lavoro è una strategica propensione a separare la routine di canzoni a rapido assorbimento ma prive di contenuto da queste dodici composizioni, che sono una liquida via crucis, tra passi felpati, quelli danzanti e torce per illuminare l’anima ma non la strada…

Olive Rees (voce e chitarra), Jake Cottier (chitarra ed elettronica) e Ben McFall (basso) sono incastri e rabdomanti sonori, indagatori e scienziati, illustratori di tavole antiche nel fragore odierno, angeli dalla voce sottile e tuttavia in grado di creare ragnatele veraci per catturare l’ascoltatore tramite flash ipnotici.

Diversi i punti di contatto con gli anni Novanta, le successive strategie di una forma canzone evoluta, ma la band di Manchester gioca sulle atmosfere, sulle rarefazioni, su lenti cambi ritmo, conferendo alla strumentazione e alla voce il compito di essere amalgama, alga, vento, ossigeno in caduta sull’asfalto, di convertire le dance floor in un luogo mistico dove la riflessione è desiderata e necessaria.

Un album maturo, sorprendente, scioccante, fresco, capace di catturare l’energia giovanile e depositarla innanzi a una popolazione adulta che si troverà a dover fare i conti con una scioccante sequenza di gioielli nutrienti.

I testi sono un vocabolario che cerca di comparire nella logica, nell’ardita ricerca, usando immagini e racconti come una movimentata lezione di narrativa inglese, colpendo, attrezzando l’attenzione di antenne nuove, accordate a una forza davvero notevole. I sentimenti diventano racconti, fermate del bus, un abbraccio, una coperta umida di nudità mentali che inducono all’abbraccio…

Si tocca la sensazione del calore dell’equatore, così come il gelo dell’Antartide, come se il bus, impazzito, volenteroso, capace, non prevedesse soste e nemmeno l’intenzione della resa. È la vita intera che sale, con le sue storie, spostandosi, e i tre ragazzi pilotano l’esperienza di un volo senza ali, dentro l’epicentro della notte nella quale al giorno non è permesso presentarsi…

Certificando la fine di un passato, il trio accende fuochi pieni di brina, brillantina, con geiser umorali che tendono al grigio e al blu, in una combinazione seducente e armoniosa…

Le canzoni sono piene di mistero, di fragori mutilati e di scie attitudinali verso un pop che preservi il tutto, per fare del tempo dell’ascolto un bisogno assoluto di immersione e ripetizione, divenendo una tossicità benevola e necessaria, non imputabile di colpa.

Con la conferma, dopo i due straordinari singoli Angles Mortz e Ascension, che quella a cui assistiamo è una danza tribale elettrificata e resa ampia per allargare il bacino dei riferimenti, per permettere ai brani di trasformarsi in luoghi, templi nei quali la preghiera viene sostituita da un brindisi e da perplessità: seppur giovani, i Nightbus già sono consapevoli della complicanza dell’esistenza e, così facendo, in questo lavoro disegnano la saggezza, gli impeti che cercano un caos più utile, e ci guidano attraverso un’odissea moderna in cui essere dei passeggeri è uno splendido privilegio…


Song by Song


1 - Somewhere, Nowhere

Un’accogliente penombra strumentale fa salire i passeggeri: danza ipnotica, accenni di chitarra, un groove assassino ma morbido apre il cielo notturno e l’influenza elettronica degli anni Novanta ci lascia la sensazione di una partenza pregna di dolcezza e malinconia. Ammaliante…



2 - Angles Mortz 

Uno dei due singoli che hanno anticipato questo debutto a lunga gittata è già un manifesto, un passaporto emotivo e razionale, con la voce di Olive che è un ventaglio che ingloba raucedine e piume dense di lacrime. L’approccio dream pop fa da apripista a una danza che vive del loop di una chitarra molto Sarah Records e il basso di Ben che circonda il tutto come un incedere rispettoso ma che accelera il viaggio del bus. Ed è delirio segreto…



3 - False Prophet

Tra accenni neofolk, il boato sottile dell’hip hop e le eleganti contorsioni dei Black Box Recorder e dei Saint Etienne, il pezzo raccoglie ondate elettriche ed elettroniche con il registro vocale di Olive che va a posizionarsi sotto le nuvole, mentre i fasci sonori sono i frammenti di una giungla in cerca di consacrazione. Ipnotica…



4 - Fluoride Stare

Rarefazione, climax cinematografico, asfissia e libertà: un boato può essere limato da tessiture segrete e muoversi in scioltezza come fa questo brano, nuovo binario conturbante, nuova tossina colma di stop and go, di fluorescenza e di nebbia in mezzo alla pioggia. E il viaggio prosegue scivoloso e sinuoso…



5 - The Void

La voce di Olive diventa un tempio accogliente, con cantanti  antiche e diverse tra di loro che hanno segnato gli ultimi quattro decenni. Misurata, potente, suggestiva, la chitarra una sferzata controllata, mentre il canto oscilla tra guitti gutturali e tenere espressioni, con l’involucro sonoro che pare in attesa di un cambio di scenario. Riflessiva, astuta, elegante sino all’ultima goccia…



6 - Ascension

L’altro singolo conferma la loro intenzione primordiale: un effluvio elettrico che si fa energetico, quasi sognante, con le parole che sono  invece un riflesso della realtà, in una mescolanza sensuale e beat elettronici perfettamente incastonati tra la chitarra e il basso…



7 - Just a Kid

 I Massive Attack salgono a Manchester, aspettano che i tre ragazzi inseriscano i loro innesti, e lo fanno con una chitarra quasi gotica, mentre un crooning maschile attende l’incantevole forma espressiva della modalità di canto di Olive che, sapientemente, non arriva… 



8 - Host

Il momento di gloria che benedice l’intero lavoro: Host è un laboratorio cosciente, una sperimentazione, una montagna russa dentro il fragore e l’attesa, con un ghigno diabolico e sofferente, una scia di petali, un arpeggio di chitarra antico che si trova circondato da un'incantevole muraglia di suoni lentamente epilettici, sino a quando Olive si dimostra una interprete vocale eccelsa, giocando con l’umore dell’ugola, i registri vocali, e la canzone diventa una zona pericolosa in cui il Bus rischia di smarrirsi data la tensione. Clamorosa e magistrale…



9 - Landslide

Tra alternative, indie rock e dream pop, il brano è una cupola celeste, che fa scendere scintille e impulsi, un bagliore che corre con il basso e il synth che si sorridono e la voce a incantare le finestre del bus…



10 - Renaissance

Un senso armonico di completezza induce il laboratorio dei tre a scrivere una favola in attesa, dentro scivolate di suoni e vocalizzi minimalisti, come un grembo che partorisce una vita nuova nel buio, e la presenza dei Morcheeba e di Tricky a benedire il tutto…



11 - 7am

Ecco affacciarsi l’anima torbida dei Nightbus, nei primi secondi del brano,  come una danza sensuale perfida, tra gittate di chitarre e un riverbero abbottonato, mentre il crooning di Olive crea un monologo avvincente, in attesa del rombo concavo di una chitarra grattuggiata…



12 - Blue In Grey

Il viaggio non finisce con l’ultima tappa: vince la sensazione che viaggeremo ancora con tutto ciò che abbiamo vissuto sino a questa dodicesima traccia.

Tutto si conclude con il clima che pare un “ci vediamo domani”: la band finisce, sfinisce il nostro boato muto dato dall’ennesimo stupore. L’insieme è un gioco di riferimenti, di costruzioni in cui la forma canzone viene accerchiata e si gode dei minuscoli cambiamenti, di cambi ritmo e della assoluta convinzione che certe canzoni sembrano cappotti validi per tutte le stagioni…



Intervista con la band:




1. Ciao Andy e Olive, vi ringrazio per la vostra disponibilità e ti porgo i miei più sentiti complimenti per il vostro straordinario album di debutto. Vorrei chiedervi quali siano, se presenti, gli elementi di cui siete particolarmente soddisfatti e quali, al contrario, necessitino di ulteriori sviluppi.


Jake -

Il risultato principale è stato riuscire a far sì che tante canzoni così diverse tra loro sembrassero

parte di un unico insieme. Direi che gran parte del merito va ad Alex Greaves, il nostro

produttore. È in sintonia con il progetto proprio come noi e credo che il suo stile piuttosto particolare

abbia contribuito a dare coerenza all'album. Non credo che ci siano stati sviluppi significativi per questo

album, è unico nel suo genere perché contiene brani scritti il primo giorno e altri scritti

tre anni dopo. L'album stesso è la colonna sonora dello sviluppo dei Nightbus, di noi come

individui e della nostra pratica creativa. Abbiamo cercato di stare al passo con l'industria

negli ultimi tre anni e credo che ora ci siamo finalmente riusciti.



2. In un’analisi approfondita di quest’opera, le canzoni appaiono connesse tra loro al di là dei generi musicali proposti, suggerendo un’atmosfera corale avvincente. Si tratta di una scelta deliberata? In caso affermativo, quali sono state le eventuali difficoltà incontrate nella sua realizzazione?

Sì, certo, voglio dire, già nelle fasi di pre-produzione abbiamo discusso della possibilità che fosse

un lavoro senza soluzione di continuità, quindi ci aspettavamo che tutte le canzoni fossero dello stesso genere. Abbiamo

parlato dei colori e dei luoghi rappresentati dalle canzoni, se fosse stata una scena di un film

e come sarebbe stata quella scena. Visivamente abbiamo creato un intero universo alternativo, poi abbiamo

iniziato a registrare, ed è per questo che penso che il risultato sia così ben riuscito.



3. Le canzoni presentano una miscela di gioia, perplessità, un dolore maturo che non si manifesta con eccessiva enfasi, e un’attitudine a cogliere la vita negli spazi spesso trascurati dalla mente umana.  Quanto, nella stesura dei testi da parte di Olive, è stato determinante un approccio spontaneo e intuitivo, e quanto, invece, una ricerca mirata e specifica?


Penso che il termine “concept album” sia una descrizione approssimativa per questo lavoro. Abbiamo fatto un po' il contrario.

Non abbiamo mai voluto che le canzoni fossero collegate a ciò che hanno fatto, ma scriviamo in modo molto sincero e parliamo sempre di esperienze vissute o di cose sepolte inconsciamente.

Olive:

"Mi piace creare personaggi e storie per esagerare i significati. In definitiva, non possono

essere così profondi se non ci identifichiamo con loro. Immagino che la ricerca specifica siamo noi stessi.

Siamo abbastanza emotivamente intelligenti, quindi basta guardarsi dentro per rendersi conto che ci sono

probabilmente migliaia di altre persone che provano le stesse cose".



4. L’aspetto musicale dell’album evidenzia un’impressionante varietà di generi e periodi storici, accompagnata da una produzione impeccabile. Esistono generi musicali che intendete esplorare nelle prossime composizioni?


Olive:

"Ho scritto alcune canzoni che sono un po' più vicine alla scena rave, ho qualcosa di solido

indie pop e persino western emo. Qualcuna di queste finirà nel prossimo album? Non ne sono sicuro, non sto

scrivendo per uno scopo specifico. Penso che per me funzioni meglio così, perché non ci penso troppo, dato che

la mia mentalità è che nessuno le ascolterà"

. Il prossimo album sarà senza dubbio un altro

accumulo di cose che ci sono piaciute. Sarà un mix di generi con un tocco Nightbus.

Non sappiamo ancora come suonerà, ma sta venendo fuori piuttosto bene.



5. La struttura a trio semplifica il processo creativo? L’apporto di ciascun membro del gruppo risulta più evidente? In che misura le idee subiscono una trasformazione nel momento in cui vengono condivise?

Olive:

"Assolutamente, tendo a concentrarmi principalmente sui testi e sulle melodie principali, che si tratti di una

melodia vocale evidente o di un riff di chitarra. Jake è più concentrato sulla produzione e ha una migliore

comprensione della teoria, motivo per cui non potrei mai scrivere le sue parti di chitarra.

È un musicista completo e costituisce una solida base. Penso che i miei limiti siano i punti di forza di Jake

e viceversa, ed è questo che rende il duo così speciale”.

Non competiamo per le parti, ci

limitiamo a colmare le lacune l'uno dell'altro e quando qualcosa è fantastico ci rispettiamo a vicenda

dal punto di vista creativo abbastanza da alzare le mani e dire: "Sai, non ho bisogno di aggiungere nulla,

hai fatto un ottimo lavoro".



6. Infine, vorrei chiederti quanto sia importante per voi l’esecuzione dal vivo di quest’opera. E chiederti inoltre se esistono ostacoli che potrebbero ostacolare tale realizzazione. Spero di no e intanto: ci vediamo qui a Manchester per la vostra data!

L'elemento live è estremamente importante. Abbiamo trascorso tre anni utilizzando deck e tracce perché volevamo che la musica fosse adatta agli ambienti dei club e dei locali notturni a cui era destinata.

È sempre stato un vantaggio e uno svantaggio, poiché è un mezzo facile da usare, ma il trattamento della traccia è diventato sempre più difficile nelle impostazioni audio dal vivo, dato che i locali variavano molto. Eravamo letteralmente in balia del locale e a volte i concerti non andavano come avrebbero dovuto. Abbiamo sentito che la naturale evoluzione di questa campagna discografica era quella di prendere un batterista, non è un suggerimento strano dato che in questo album usiamo comunque molto trip hop e breakbeat. Sentiamo che ha dato nuova vita e coerenza alle esibizioni dal vivo e siamo

entusiasti di andare in tour! Spero solo che dal punto di vista sonoro il risultato sia tale da continuare a piacere al pubblico.

L'idea di prendere un batterista è sempre stata oggetto di dibattito tra i fan, quindi spero che quelli che l'hanno voluta siano contenti, haha.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8-10-2025


https://nightbusuk.bandcamp.com/album/passenger


https://open.spotify.com/album/52f6pfRHOcB3Mo5g2VKPqb?si=0ezCQZ5zS7iTZ2qTFsCTLQ


https://music.apple.com/gb/album/passenger/1822759245






La mia Recensione: Òvera - Divergenze Condivise

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