The Neuro Farm - Ghosts
Rebekah Feng - Voce, violino elettrico
Brian S. Wolff - Voce e chitarra
Tim Phillips - Tastiere e sound-design
DreamrD - Batteria e percussioni
L’assenza, la distanza e la mancanza non si possono toccare ma loro (The Neuro Farm), invece, lo sanno fare perfettamente, arrivando a scuotere l’anima.
Che in questo caso è indiscutibilmente persa.
E per semplificare il tutto si potrebbero definire fantasmi i personaggi che gravitano all’interno di queste sette tracce della band americana.
Bellezza delirante, soffocante, in congiunzione con strali magnetici in grado di generare il senso di imprigionamento e liberazione, nel gioco di un ossimoro che rende valido il nutrimento di paralisi emotive.
Le influenze, evidenti e virali, ci conducono nei percorsi di artisti come Chelsea Wolfe, Midnight Juggernauts, Tori Amos, Nine Inch Nails, Pj Harvey, Cranes e molti altri, ma con questo quartetto ciò che stordisce non è l’evocazione bensì l’invasione, quella che ottunde, svela, rimarca il diritto di sondare molteplici attitudini che non troverete nell’elenco degli artisti sopra citati. Nel caos emozionale la bellezza emerge come una sopravvissuta che ha come interlocutore un fantasma e i suoi fratelli di sangue, in un luogo imperfetto per poter aver paura di non mantenere l'equilibrio, nel quale la stabilità è un impiccio. Musica per la psiche, per flussi che perdono consapevolezza e bave, ronzando continuamente come una dolce poesia piena di trucchi e trame sinistre: pare finta la dolcezza, per poi rivelarsi, invece, il basamento di un frutto generoso che, attraverso la scelta di generi musicali in contrasto, generano come risultato la liberatoria per una follia sudata ma soddisfatta. Il tempo, in queste sette composizioni, disturba, provoca, lenisce, disinfetta e pianta la bandiera negli incroci di ascese e discese spirituali che non hanno fine…
Tutto viene gettato sui contorni di uno specchio, accogliente, infaticabile, per dare alla molteplicità degli agganci tra il violino elettrico e la chitarra con le croste un senso di annessione che è formidabile.
Le stranezze diventano abiti, le note un afflato primario, i cambi ritmo la piazza che spiazza e impazza, nel corollario di una serie di tremori familiari. In questo gli All About Eve sono proprio i genitori di tali inclinazioni.
Pubblicato il 10 di giugno del 2014, questo eccelso lavoro mostra i graffi di una darkwave priva di autocitazioni, con la cupezza in grado di raggiungere l’alternative, l’art pop e il cabaret graffiante dei primi anni ’70. Le armonie vocali (molto diverse tra quelle di Rebekah e di Brian), sono sì cupe ma mistiche, misteriose, come stantuffi sul pentagramma che pare un gomitolo di seta in una notte buia.
L’epicità è sempre controllata sino a quando i ritornelli offrono una chance di maestosa grandezza, tuttavia le eleganti fate non aprono poi di molto le labbra, come se la sontuosità potesse essere percepita più che udita…
Si ha la sensazione che rispetto al lavoro di esordio, Ghosts, sia una missiva lenta che, pur graffiando molto, conserva il garbo e il rispetto per il loro stesso futuro. Ma, chiaramente, parlando di fantasmi (meglio, ripeto, di anime perse), questo progetto è un sistema didascalico per fare della memoria, della paura, dell’esperienza un salvagente che possa smettere di generare scontri.
Pillole, grattugie, ventagli, punture in liquidi amniotici spesso inebetiti e mai rassicurati: questo è il vero valore di tali complessità. La drammaticità è un allarme e non una difesa capricciosa: basti pensare a come tutte le chitarre si allineino sia al ritmo che all’espansione circolare melodica, mentre il violino diventa il sunto di un alveare di giovani sirene…
La perdita dell’orientamento, in presenza dei fantasmi, nel magnetico magma di queste composizioni, ci presenta i suddetti spiriti come predecessori e testimoni di arguzie e strategie, perché ogni brano è una farfalla che con il suo volo porta via una stanza della propria mente…
Andiamo ora a visitare, con lentezza e devozione, tutte queste sette orme magnetiche…
Song by Song
1 - Black Wings
L’apertura è un condensato di atmosfere, con il riff di chitarra ripiegato su se stesso, in una mastodontica oscurità, e il cantato di Rebekah che ci porta al primo ep dei Cranes e di quella cantante in grado di fare del cielo un continuo temporale…
La cifra stilistica è data dall'apparente mobilità darkwave, ma il solo di violino, diamante dalla bellezza maligna, ci convoca a teatro per gittate di cabaret e monologhi medievali. Austera, violenta, una gramigna ad aprire la coscienza di incontri spiacevoli…
2 - Paralysis
Spesso l’ipnosi è magnete senza controllo, attraverso beats che paiono insistere e coniugarsi a trame sottili di synth deformati e deformanti, con il violino malinconico che si appiccica alla voce di Brian, ma con la sorpresa pazzesca di una lunga attesa prima della seconda strofa: rimane l’impianto principale, ma la voce sembra scomparire e le chitarre e il violino danzano negli anfratti del semibuio. Poi il ripristino e la cantilena diventa un via libera orgasmatico che rende la paralisi del titolo l’unica disciplina davanti al tutto…
Brano complesso, liturgico, permeato soprattutto nel finale di una tensione che asciuga il respiro…
3 - Skeletons
Una ninnananna post-punk come non se ne sentivano da diverso tempo con, nel ritornello, un impasto sonoro che impedisce al ritmo di essere gradevole, uno spettacolare e voluto disturbo per poi riprendere con l’arpeggio, il cantato e il precedente drumming quella linearità che forse crea meno problemi all’ascolto. Tutto viene governato da desideri malinconici, con programmati voli dati da arpeggi e contraltari del basso per fare del brano una supposta che vuole appoggiarsi sull’incubo che vive nei suoi solchi. Il violino va a far morire le parole e le lacrime paiono un grazie liberatorio…
4 - Submission
L’ipnosi del Trip-Hop in cerca di furtive immersioni gotiche si stabilizza nel drumming concitato e in una chitarra balbuziente tra echi e distorsioni calibrate con gocce di wah wah.
Brian nel ritornello tocca i confini di due stalagmiti storiche degli anni ’70: John Foxx e Stan Ridgway ed è ipnosi e pianto, indiscutibile e inevitabile…
Il testo enfatizza e la musica sfugge, il cantato percepisce l’insieme e il brano diventa il funerale di ogni calma sperata…
5 - Falling
Nei primi anni 2000 le ballate gotiche prevedevano l’arpeggio e l’inclusione di piccoli assoli per saldare la convinzione che anche così si potesse arrivare alla massa. Questi ragazzi, invece, distribuiscono novità e fastidi con un drumming sincopato che spaia le carte, mentre nel finale il cantato indietreggia, viene quasi nascosto, e una chitarra piena d’acqua fa affogare il suono per poi ritornare con un lacerante sibilo circolare…
6 - Underground
Il penultimo episodio è la summa di un calvario lento e graffiante, con il testo che racconta l’oscura quotidianità dando all’inspirazione il ruolo di atterrire. Poi la sua lenta tensione guarda al cielo con aria di sfida mentre la chitarra, robotica, ma mai statica, si prende l'onere di ispessire la drammaticità.
7 - Resolution
La fine vede la cacciata dal palco delle voci, affidando alle trame, intrecciate di suspense e malinconia, il compito di farci immergere in un’aria stranamente pulita, positiva, con i synth che sospendono il percorso precedentemente compiuto per esaltare la sparizione dei fantasmi… Un finale che profuma di epilogo nel quale i sentimenti più sconvenienti si riposino e il sogno di un accesso al futuro, più sereno, possa perlomeno avere una chance…
Epico, sinuoso, si insinua come una gramigna il cui possesso non può che generare un maledetto piacere…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
15th June 2025
https://theneurofarm.bandcamp.com/album/ghosts
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.