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giovedì 19 maggio 2022

La mia Recensione: Gang - Ritorno al fuoco

 La mia Recensione 


Gang - Ritorno al fuoco


“La vita è come un ponte: puoi attraversarla, ma non costruirci una casa sopra.”


“Quando un uomo si allontana dalla natura il suo cuore diventa duro.”


Pillole di saggezza dei Nativi Americani.


Le parole raccontano, svelano, spiegano ma non sono null’altro che la coda, i nipoti di infinite verità, stimoli, pruriti di bisogni, atomi, ribelli, il rimbalzo finale di mille scintille che non potranno mai svelare l’assoluto. E tanto altro ancora. Le parole sono prigioniere di decodificazioni e non costituiscono mai lo specchio di interezze multiple, per impedimenti naturali, assolutamente non colpevoli.

Poi c’è Marino Severini e allora tutto viene sospeso: si è davanti sicuramente a una rara eccezione, una serie di cavallette compatte che attraverso l’unione non disperdono nulla di ciò che le ha generate.

Da sempre Autore, da sempre la sua parola è feroce, come un silenzio di fuoco a scaldare i nostri smarrimenti, a rendere misera la nostra arrendevolezza per poterle dare un volo.

E la Musica?

In generale ha perso negli anni la brillantezza, impegnata a inventare nuovi generi, a fare della miscelanza l’unico divertimento.

Dal canto suo arriva Sandro, anche lui con la semplicità: non vergognarsi di nulla, non esasperarsi e cercare l’abbraccio sonoro di altri musicisti per aggiungere colori e lampi. Ed è così che tutti hanno i polsi carichi di gioia nel performare parole fatte di note che vibrano dentro il tendone di un circo, temporale libero, per nulla preoccupato di mostrare che dalla storia si possa ancora imparare e scrivere canzoni autentiche. Conta il messaggio. A prescindere. I due fratelli hanno accolto compagni di scorribande allegre, hanno scambiato la libertà propria con quella di una nutrita schiera di anime intenta a fare di questo album un arcobaleno che con il suo semicerchio ha saputo collegare la curiosità alla espressione artistica.

Un album che è un pranzo completo dove si rischia di fare il bis perché la sazietà non è nel suo dna, piuttosto questa abbondanza stimola ancora di più l’appetito. Una scintillante adunata di strade Americane si sono incrociate con quelle europee, con la storia madre di un folk educato alla bellezza per sostenere versi pieni di riferimenti, sogni, volti dalla pelle crassa di rughe valide, dove l’estetica perfetta non ha avuto accesso, ancora una volta, nella penna di Marino. 

Si sente la volontà di prendere dal cassonetto dell’umido storie rifiutate perché ritenute sporche, con liquidi puzzolenti: i fratelli Severini invece le hanno coccolate, dato loro sguardi interessati e non hanno concesso loro di finire in un inceneritore senza anima.

Hanno portato tutto nella casa della loro intelligenza e gli hanno ridato un senso, una direzione, uno spessore partendo da un intento preciso: la Cultura risiede dove esiste uno sguardo che assorbe e che non giudica. Che ha un grembiule dalle mille pieghe, mille macchie di pennarelli ed un grande sorriso come il benvenuto di un’anima che brinda orgogliosa di fronte a chi preferisce emarginare.

Un lavoro capace di fermare il tempo, di ridare alle storie la memoria, che è la dignità della profondità che si ribella allo scarto, peculiarità di una modernità che i due prendono solo con il contagocce. Con i Gang non si deve cercare la loro identità: si trova la nostra che nascondiamo, affoghiamo, buttiamo. Così facendo nascono punti di domanda continui che sono la nostra fortuna e le storie raccontate diventano la nostra spinta, quella determinazione che era nella nebbia delle comodità. Si può crescere nella discordanza, nella non completa adesione a un pensiero, ma alla fine forse molto di noi si ritrova con un impulso a divenire un ascolto che valuta il senso di uno schieramento. RITORNO AL FUOCO è un ponte che collega antichi valori a quelli nuovi: è una lunga seduta sulla prateria delle possibilità in cui loro hanno affidato al vento il compito di far planare il tutto, il vecchio e il moderno, per una discussione che tenga conto della evoluzione dell’essere umano e pure del suo contrario. Hanno piantato le loro bandiere studiando il cielo, guardando la deambulazione tendente alla caduta di un mondo consumato dall’esasperazione di chi gioisce solo di creazioni consumistiche sterili. Sandro e Marino hanno mostrato il senso dello studio, partendo dalla Natura del mondo per unirla a quella umana. 

Per molti i Gang rappresentano quella lotta continua, quell’impegno sociale così raro da sentire. Ed è vero. Ma credo esista un lato poetico, che non si smarrisce davanti alle ingiustizie, che a loro preme svelare, congiunto a dei valori elevati e sostanzialmente fastidiosi per chi fa del disimpegno la propria  identità. È evidentemente necessario esprimere quel lato, come parte fondamentale per mettere in evidenza un tutto che nulla esclude dallo sguardo…

Questa ultima gemma non è solo un urlo, un pugno alzato al cielo (quello lo sono stati e sempre lo saranno) bensì un goniometro, un lampo, un percorso che setaccia, una stretta di mano alle persone che con l’esclusione muoiono. I Gang si rivolgono a loro ascoltandoli, contano i loro lividi e li mettono in canzoni un po’ per alleggerire le loro tragedie e un po’ perché la musica ancora riesce a far pensare, a fare breccia, a riunire forze apparentemente lontane.

È un cascina piena di gente che lavora RITORNO AL FUOCO, dove tutti raccolgono il fieno, gettano il diserbante nella terra della vergogna, quella umana, sono indaffarati a seminare gli eventi che nessuno mostra interesse a fare propri e, come i contadini che gettano i semi sulla pelle della terra, loro lo fanno con le canzoni, per continuare a raccogliere i frutti. Che possono essere dal sapore dolce così come amari, perché una buona tavola comprende entrambi.

Il futuro di quelle persone è nella poesia che sa sentire la forza nascosta di impeti necessari ma sempre più stanchi e consumati. Un album che ci mette la polvere addosso, lo sputo sulla zappa e il piccone e il sorriso di chi al vento e alla pioggia deve tutto. 

E così arrivano le storie di chi non finisce al centro dell’attenzione: Severini è l’antenna che capta, canta, porta con impeto tutto ciò e lo sbatte sugli occhi di chi ha spento il pudore. Sono canzoni che possono fare piccoli miracoli e quelli umani sono più devastanti perché compiuti da chi è perfettamente uguale a noi. Che fastidio eh? Che dispetto eh? Che coraggio!

Ecco, come un ventaglio dalle mille pieghe e su cui siedono le lacrime di chi ha il sangue amaro, queste composizioni producono aria fresca per il cervello di chi ha spento la luce: là fuori il mondo è sempre più diviso ed egoista, i due Marchigiani con tatto e veemenza, con ragionevolezza e senso dello schifo cuciono la perfezione elegante che si pensa possa solo essere una dote tecnologica, figlia di una produzione priva di ogni propensione al calore. Ma ascoltare questi brani è tornare indietro e avanzare al contempo in un futuro con meno ferite.

Una produzione eccellente quella di Jono Manson, che sembra essere il cowboy con gli amici giusti per fare scorribande nella prateria, salvare i bisonti e non ucciderli. Tutto questo parte da una radice americana antica, che deve molto alla valutazione del talento come uno dei tanti punti di partenza. Vi sono anche bravissimi musicisti italiani, strumenti che non invecchiano, tutto mischiato rendendo l’identità artistica internazionale una festa cosciente, che semina, semina e semina imperterrita. La sensazione è che queste canzoni non abbiano mai una fine, ma che siano trucchi di stregoni di tribù indiane atte a non separare nulla di ciò che la Natura lascia in dono.

Con un suono fresco, arrangiamenti coinvolgenti, tutto sembra immerso in un bicchiere di vino rosso bevuto durante un turno di lavoro per far assentare la fatica.

Non si potrà mai capire del tutto l’infinito elenco di ciuffi d’erba dal color blu che fanno di questo album una notte che abbraccia la coscienza diurna, sino a lasciare alla loro punta il colore rosso, quel sangue che su di loro pulsa di intelligenza e vitalità. 

Non vi è tristezza nelle melodie, tantomeno nei versi: quella che si trova è l’attenzione verso chi sembra piccolo e sporco, con i suoi passi spesso resi sordi. Ai due fratelli questo non sta bene e accendono la torcia, creano una escursione termica necessaria per scuotere i sensi e illuminare questo presente così plastificato e inerme. Ribelle è chi sa dove nascono le brutture e le uccide dando voce alla bellezza che risiede soprattutto in chi è emarginato. Non è solo combat-folk, non vi è manierismo e comodità in questi solchi, c’è una propensione alla ricerca che connette modalità diverse e alle quali loro vogliono dare espansione, per poter arrivare ad essere orecchio e voce. Il loro disco migliore da tanti anni a questa parte perché i migliori non sono i musicisti (i due fratelli e compagnia bellissima), ma il profumo delle vite di quelle anime che il Capitalismo definisce puzzolenti e a cui le canzoni donano una giornata tutta intera da cui ricominciare. Si è liberi quando si capisce di non avere le catene degli altri: questo lavoro sarà un bisonte fermo che insegnerà questo e tanto altro…


Canzone per Canzone


L’ascolto incomincia con un brano che rassicura, toglie ogni dubbio sullo stato di forma della band: LA BANDA BELLINI è la pelle che conosciamo del combo marchigiano, con il loro combat-folk con i valori, le lotte, la storia figlia della strada appiccicata alla loro coscienza.

Si prosegue ed è subito un rallentare, una forma che necessariamente muta: VIA MODESTA VALENTI è la poesia feroce fatta con meno musica, meno strumenti perché tutto è affidato alla semplicità dei sogni con il groppo in gola, con la sua perfetta capacità di unire l’Irlanda alle coste meridionali degli Stati Uniti con una storia tutta Italiana.

Con ROJAVA LIBERO arrivano le lacrime: l’intro è affidata a uno strumento che sembra condurci alla rilassatezza, ma poi è puro rock robusto Californiano, con la sua stella che con il petto petto gonfio reclama la libertà. Un perfetto esempio di strumenti pieni, vuoi per l’organo, per la chitarra blues graffiante, vuoi per la voce di Marino, per le parole che occorre ripetere con convinzione.

AMAMI, SE HAI CORAGGIO è il frutto del percorso dei fratelli Severini: linea melodica ineccepibile, arrangiamenti che colorano il gioco senza regole di un testo che resiste e permette ancora l’innamoramento. Quando essere anacronistici diventa il gancio perfetto per sentirsi normali, con la sezione fiati che regala gocce di poesia sonora.

I Gang sanno come unire musiche dalla faccia felice con testi pieni di graffi, ma che concedono spazio alla fiducia del viaggio: UN TRENO PER RIACE è tutto questo, con i dubbi e i timori, ma un mondo in attesa sarà disponibile alla fine del binario. Il Messico sposta le nuvole alla band e l’accoglie con gioia.

Le orecchie e il cuore ora hanno di fronte A VOLTE: una chitarra semiacustica e una voce iniziano la vicenda di una coscienza che fa a pugni, accogliendo lungo la strada altri strumenti che si affacciano discreti, donando la leggerezza necessaria. Si vive con gli occhi aperti e con le antenne su una storia che è un doveroso filo pieno di domande.

Con il suo quasi Soul, quasi Northern Soul, con il suo vibrare Blues nascosto, EL PEP è il fiato di un uomo che canta sotto le stelle accese: la bellezza di artisti capaci di dare un movimento circolare alla canzone con l’intuizione di una semplicità che racconti come le parole ciò che rimane frizzante conferiscono al brano l’importanza che merita.

Le lacrime si accendono dentro e fuori il cuore: CONCETTA è la storia di un disastro umano che viene consentito, viene illuminato con la voce della poesia, sono parole di ferro verso quei silenzi che gridano ma che il potere blocca, sino a quando il fuoco di una esistenza toglie il disturbo rendendoci tutti sconfitti. Una canzone più dura del pugno del punk, della veemenza dell’heavy metal, perché davanti alla vergogna umana nessun genere musicale può essere perfetto. E chi è attento e sensibile brucerà un poco insieme  a Concetta…

Con le lacrime ancora pulsanti, l’ascolto ci conduce innanzi a DAGO, la sintesi, la summa dei Gang, tutta la lora peculiarità espressa in musica e parole dagli occhi lucenti, per divenire il boato della morte che vuole spegnere il sangue amaro. Una chitarra blues produce un assolo breve ma che assomiglia ad uno sparo, seguito dalla propensione Dark Country/Gothic Americana Folk Noir, per poi tornare nelle conosciute terre folk europee in una canzone assolutamente perfetta per scuotere tutti.

Una cover di Francesco De Gregori diventa la penultima traccia dell’album: una versione che porta l’America verso Roma per una delle vibrazioni in musica più belle che siano mai state scritte. Lo scriba di certo avrebbe preferito un brano nuovo, ma si inchina davanti all’arrangiamento che guarda verso il Mississippi e concede a PAZ un volo splendido.

Il falò dei fratelli Severini arriva all’alba, con un sensazionale crepitio: AZADI è l’ultima fascina, quella che tiene “lontana la paura dal dolore”, un canto quasi spiritual dentro melodie e suoni dalla pelle leggera, che navigano tra le stelle e i tamburi, per un messaggio finale che ci stringe in un abbraccio che difende il senso di questo viaggio dentro la memoria e i suoi confini, per poter liberare il tumulto di considerazioni che generano tensioni. I Gang ci fanno sciogliere davanti al fuoco, con le note e le parole di chi fa dell’arte musicale non una esibizione ma una concreta forma di rivendicazione necessaria. Clamorosa e utile, il congedo da un album che lascia speranze perché sa scaldare e formare un’identità che prima dell’ascolto sembrava sbiadita…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Maggio 2022


https://open.spotify.com/album/2J88BBP1Nr1gIG5WAKQzMc?si=kI5GKlLCSRWwvpOV3YwpJg





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