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sabato 20 aprile 2024

La mia Recensione: Healthy God - Poison, healing, poison poison

 


Healthy God - Poison, healing, poison poison


Che meraviglia assoluta è sorprendersi ancora, dopo una vita di ascolti musicali, e provare una gioia così precisa, limpida e fluorescente?

Il tutto è organizzato da un’anima sola, un autore italiano, di Milano, che ha vissuto una trasferta a Londra per tornare a risiedere in Italia, nella calda e accogliente Sicilia.

Quello che ci apprestiamo a sperimentare è un’esperienza che avvolge i sensi e li sparpaglia nel tempo (conoscenza musicale e memoria in questo ascolto sono estremamente importanti), nei luoghi che hanno reso la musica un tempio indiscutibile dove regna la qualità, il valore, il senso di un operare con precisione una mappatura di capacità che tornano sempre utili.

Daniele rincorre gli abiti luccicanti del piacere, perlustra i movimenti del dolore mettendo sopra loro una mano, per proteggerlo, si getta nei corridoi lacerati dei rimpianti e dei rimorsi, stabilisce un contatto sonoro con l’elettronica cristallina e seducente dei Suicide, innesta pillole di post-punk senza esagerare, scrive un trattato di misteriosa psichedelia con maschere di cerone, non tralascia di certo di imbastire un manichino di Alternative per donare attimi di leggerezza nei quali la classe evidente fa schiudere un sorriso, mentre nei dintorni l’urlo delle difficoltà spinge per prevalere. Queste sette composizioni, però, dimostrano un equilibrio strategico, per fare della sua musica un menù completo, digeribile, dai sapori multipli e con la sorpresa finale di riuscire a sentire un profumo intenso dalle note appoggiate su un pentagramma che pare essere stato scritto tra case abbandonate, acciaierie e scorribande psicotrope.

Tutto sembra un’analisi che, partendo dall’essere esplorativa, è in grado di suggerire un’apertura nella quale il conscio e l’inconscio discutono per determinare una realtà che, oltre a essere limpida e precisa, sappia spingere l’attenzione verso una partecipazione diretta da parte degli ascoltatori.

Brani come segnali intermittenti, SOS multipli, corse affannate, villaggi pitturati da una mente consapevole che il paesaggio, per poter essere comprensibile, vada vissuto. Ed ecco che l’artista si butta, con un paracadute che arriva di sicuro dai primi anni Settanta, nelle articolate strutture elettroniche, capace di convogliare beats strepitosi, un drumming fantasioso e potente, chitarre acide che lavorano per sfibrare i nervi della storia inglese, per stabilire il recinto della sua mente fervida e fertile. Si ha la sensazione che siano venti e non sette le canzoni che possiamo ascoltare: un dato che già rivela la potenza di un disco che è un trattore intento ad arare gli ascolti sino a trasformarli in obbedienti granelli di terra.

La voce, il cantato, i testi: da quanto tempo il Vecchio Scriba non sentiva un compattamento del genere, con la capacità di commuovere, preoccupare e far interrogare? Colpisce come la drammaticità si coniughi a una stramba dolcezza, un veleno che pare mutare verso il liquido che può ricordare la fragranza di profumi che sanno stordire.

Il registro è spesso alto, la metodica è quella di paroli brevi, secche, ben pronunciate in inglese, e la sapiente e davvero profonda capacità di divenire un corpo unico con le musiche. Esiste una sacralità in questo disco, un utilizzo davvero effervescente di cambiamenti strutturali che allargano il campo di azione delle possibilità: è come abbracciare un fucile e trovare nella canna proiettili di tipo diverso e, quando il dito preme il grillento, l’esplosione è un arcobaleno in bianco e nero che sfida quello colorato.

Senza esitazioni andiamo a metterci nei pressi di queste fragorose e ben pettinate composizioni, per poterci cibare di un lavoro che mi auguro riesca a incuriosirvi e a dare materia ai vostri impulsi, con l’intento di essere alla fine dell’ascolto maggiormente disciplinati nell’accogliere un album così potente…


Song by Song


1 - Eternal Internal Fight 

Un synthpop iniziale in odore di Human League scuote subito la pelle, che con il passare dei secondi si ritrova addosso lacrime di un electropop in fase perlustrativa. È come se ascoltassimo il silenzio sacro di una processione di intenti fuori da un capanno abbandonato.


2 - Can’t Go On Can’t Let Go

La rincorsa del post-punk più sottile, il suo latrato che inquina il sole, ci presenta un brano nel quale la chitarra esibisce con grande intensità la storia del suo sviluppo, con un cantato che, modulato, potente e a tratti sguaiato, impressiona. E quell’arpeggio che si presenta prima del ritornello odora di immenso, come gocce che dalla storia americana dei Television arrivano ai giorni nostri…


3 - White Walls

Si parte dal 1971, l’anno in cui nacquero i Suicide, e si raccolgono per strada chitarre acide, un loop che ossida e corrompe. Poi la chitarra allarga la sofferenza e fa cadere tutti i mattoni di queste pareti bianche pronte a tingersi di grigio…


4 - The Dance

Torna il duo di New York (Suicide) il tempo necessario per mostrare l’inizio di un ululato che pare avere tentacoli di generi musicali compressi, intenti a tener segreta l’origine, in un trambusto che rimane convincente per tutti i centocinquantadue secondi…


5 - Catholic Guilt

Ecco la canzone più intensa e seducente, una estensione di elementi concentrici che abilmente fanno uscire bolle di ossigeno: tutto è qui in attesa di graffi e indagini sonore che smantellano molte convinzioni. Appaiono gli Ultravox, si sente l’operato dei Cabaret Voltaire nel cercare un concetto e definirlo, per poi entrare con il cantato quasi comatoso nella poesia dell’indagine. Il ritmo è una scorribanda, tra altalene e tuffi nel vuoto…


6 - This Is Not A Game

Gocce di noise provenienti dalle balbuzienti labbra dei Liars sono solo il pretesto per scrivere un brano drammatico, dal ritmo sincopato, dai beats minimalisti ma alquanto efficaci, per dare poi alle chitarre la possibilità di generare uno splendido caos stellare…



7 - All These Sufferings Must Lead Somewhere

Trecentouno secondi di pura ipnosi, con svariate modalità, all’insegna di un ritmo lento ma astutamente prodigo nel convogliare l’attenzione verso un gioco analitico dove solo la voce sembra voler spaziare tra la dolcezza e la malinconia. La chitarra, uscita da Seventeen Seconds dei Cure, fa da collante a questa strategica dispersione di semi, in un vortice dal climax intenso, travolgente e mistico. Si piangono lacrime di metallo, si vive la frustrazione di dolori che si acquattano come iene in attesa che la nostra debolezza li convinca ad attaccarci…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Aprile 2024


https://open.spotify.com/album/3H2W22PIH9hkzHatz8UlDv?si=clRCrtCtSwWt-Z0fjjGvdQ

My Review: Healthy God - Poison, healing, poison poison


 Healthy God - Poison, healing, poison


What an absolute marvel it is to be surprised again, after a lifetime of listening to music, and to experience such precise, clear and fluorescent joy?

The whole thing is organised by a lonely soul, an Italian author, from Milan, who took a trip to London to return to Italy, to the warm and welcoming Sicily.

What we are about to experience is an experience that envelops the senses and scatters them in time (musical knowledge and memory are extremely important in this listening), in the places that have made music an unquestionable temple where quality, value, and the sense of operating with precision reign supreme, mapping skills that always come in handy.


Daniele chases the shimmering clothes of pleasure, patrols the movements of pain by placing a hand over them to protect it, throws himself into the lacerated corridors of regrets and remorse, establishes a sonic contact with the crystalline and seductive electronics of Suicide, grafts pills of post-punk without exaggeration, writes a treatise on mysterious psychedelia with wax masks, and certainly doesn't neglect to baste a touch of Alternative to give moments of lightness in which the obvious class raises a smile, while in the surroundings the scream of difficulty pushes to prevail. These seven compositions, however, demonstrate a strategic balance, to make his music a complete menu, digestible, with multiple flavours and with the final surprise of being able to smell an intense perfume from the notes resting on a stave that seems to have been written among abandoned houses, steelworks and psychotropic raids.


Everything seems to be an analysis that, starting from being exploratory, is able to suggest an opening in which the conscious and the unconscious discuss in order to determine a reality that, in addition to being clear and precise, is able to push attention towards a direct participation on the part of the listeners.

Songs like intermittent signals, multiple SOSs, harried runs, villages painted by a mind aware that the landscape, in order to be comprehensible, must be experienced. And here the artist jumps, with a parachute that certainly comes from the early seventies, into the articulated electronic structures, capable of channelling resounding beats, imaginative and powerful drumming, acid guitars that work to fray the nerves of English history, to establish the enclosure of his fervid and fertile mind. One has the feeling that there are twenty and not seven songs that we can listen to: a fact that already reveals the power of a record that is a tractor intent on ploughing the listeners into obedient grains of earth.

The voice, the singing, the lyrics: how long has it been since the Old Scribe heard a compact like this, with the ability to move, worry and make one question? It is striking how the drama is combined with a strange sweetness, a poison that seems to shift towards the liquid that can recall the fragrance of perfumes that can stun.

The register is often high, the method is that of short, dry, well-pronounced words in English, and the skilful and truly profound ability to become one with the music. There is a sacredness in this record, a truly effervescent use of structural changes that broaden the scope of possibilities: it is like embracing a rifle and finding bullets of different types in the barrel and, when your finger presses the trigger, the explosion is a black and white rainbow that challenges the coloured one.

Without hesitation, let's get close to these thunderous and well-combed compositions, in order to feed on a work that I hope will succeed in intriguing you and give matter to your impulses, with the intention of being at the end of listening more disciplined in welcoming such a powerful album...


Song by Song


1 - Eternal Internal Fight 

An opening synthpop in the odour of Human League immediately shakes the skin, which, as the seconds go by, finds itself in the throes of an electropop scouring. It is as if we are listening to the sacred silence of a procession of intentions outside an abandoned shed.



2 - Can't Go On Can't Let Go

The pursuit of the subtlest post-punk, its howl polluting the sun, presents us with a track in which the guitar displays the story of its development with great intensity, with a modulated, powerful and at times husky vocal that impresses. And that arpeggio that appears before the refrain smells of immensity, like drops that from the American history of Television come to the present day...



3 - White Walls

It starts in 1971, the year Suicide was born, and picks up acid guitars, a loop that oxidises and corrupts. Then the guitar widens the suffering and drops all the bricks of these white walls ready to be tinged with grey...


4 - The Dance

Back comes the New York duo (Suicide) just long enough to show the beginning of a howl that seems to have tentacles of compressed musical genres, intent on keeping the origin a secret, in a hustle and bustle that remains convincing for the entire one hundred and fifty-two seconds



5 - Catholic Guilt

Here is the most intense and seductive song, an extension of concentric elements that cleverly let out oxygen bubbles: everything is here waiting for scratches and sound investigations that dismantle many convictions. Ultravox appear, you can hear the work of Cabaret Voltaire in searching for a concept and defining it, then entering with the almost comatose singing into the poetry of the investigation. The rhythm is a rambling, between swings and dives into the void....


6 - This Is Not A Game

Drops of noise coming from the stuttering lips of the Liars are just the pretext for writing a dramatic, syncopated track with minimalist but quite effective beats, and then giving the guitars the chance to generate splendid stellar chaos




7 - All These Sufferings Must Lead Somewhere

Three hundred and one seconds of pure hypnosis, in a variety of modes, under the banner of a slow but cunningly prodigal rhythm in channelling attention towards an analytical game where only the voice seems to want to range between sweetness and melancholy. The guitar, straight out of The Cure's Seventeen Seconds, acts as the glue to this strategic scattering of seeds, in a vortex with an intense, overwhelming and mystical climax. We weep metal tears, experience the frustration of pains that crouch like hyenas waiting for our weakness to convince them to attack us...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 April 2024


https://open.spotify.com/album/3H2W22PIH9hkzHatz8UlDv?si=xdhMhu62TzSJ8AR-SzhsEg

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