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venerdì 28 ottobre 2022

La mia Recensione: Lalli - Tempo di vento

 Lalli - Tempo di vento


Carcassonne

“L’unico castello costruito
 verso l’orizzonte è quello degli uccelli.

L’altro è un rifugio per i poveri
 che sempre esigono autorità

mettendo in scena il teatro delle cameriere
 nelle voci nascoste della sera.

Il trovatore inzuppava il pane nelle fontane,
nelle taverne più nascoste,

beveva da quell’altro campo,
 prelibato come la merda dei re.”

Juan Arabia


Esistono anime protette, perché non possiamo infierire su di loro. Per volontà celeste. 

Anime pregne dell’essenza del tutto cosmico che hanno avuto il compito di illuminare gli stolti, di seminare la verità degli abissi, di glorificare i doni avuti.

Uno di quelli è la voce, la prima porta di comunicazione. 

Poi la scrittura che passa attraverso quella voce.

Lalli è piccola, come Samira (una sua canzone), di quella statura che ti porta a guardarla dall’alto verso il basso vedendone i piedi per primi, la radice di ogni gravità. Lei ti porta alla genuflessione della coscienza, particella siderale il cui destino è quello di abitare le anime profonde. 

Lalli.

L’inizio di un canto che è preghiera pagana, spirituale, generosa, calda, scuote e abbraccia e genera il bisogno di abbandono.

Donna dalla carriera immensa ma poco nota, ha sbeffeggiato il successo sin dalla tenera età: altri erano i cieli a cui lei ambiva e ancora li segue, raggiunge, descrive.

E dopo la formidabile palestra di vita dei Franti e alcuni passi in altri progetti, eccola aprire i suoi forzieri, metterci le mani e pilotare l’arcobaleno verso la perfezione. In una fascina dove i colori della temporalità vengono accesi, sparsi verso acute osservazioni, riportati dentro il suo cuore e poi direzionati verso Lei, la sua voce, impianto al di fuori di ogni definizione.

Lo fa con un album che continua a sconquassare, a nutrire, un uragano che con la sua maestosa bellezza concima mentre straripa nel cuore, nella mente circondata da una umanità unica e quindi intoccabile.

Perché non si tocca il vento.

Lalli lo prende e lo incolla dentro noi con canzoni come fiori di assalto, una sommossa per far scongelare le nostre pochezze. Sono undici folate atte a svegliare i sentieri fatti di diverse guerre e dove uguaglianze e mancanze di rispetto attraversano la sua penna per erudirci, informarci, svegliarci.

Perché il tempo non dorme mai e lei sveglia il vento per farcelo sapere.

Un album scritto da un’adulta con la saggezza di una bambina, una scrittura che mostra tutte le diramazioni che un sole nasconde solitamente, per desolata complicità di esseri umani così lontani dalle vicende quotidiane che loro stessi causano.

Lalli mastica e sputa pallottole, la forza delle donne che hanno rughe più marcate perché chi partorisce la vita soffre di più. Lalli cammina e lascia orme, mentre Pollicino mangia la sua maturità che viene sparsa dal vento…

E allora la sua potente propensione a non disperdere le gravità dell’animo umano la conduce ad abitare dentro la responsabilità di essere un respiro che alza per un attimo lo sguardo con testi che, tra poesia e mistero, arrivano alla nostra mente, sperando che il tempo del vento sia in grado di far nascere una scintilla intelligente.

Canzoni come bombe, che finiscono sulla neve che nulla può fare se non testimoniare la follia lasciando tracce di sangue sulla sua pelle. 

E poi l’amore.

Sceglie e prende Marlene. 

E basterebbe già questo.

Invece lei cammina lenta, dentro ogni rosa, per mostrare l’orgoglio e il diritto di esseri con identità mai davvero conosciute del tutto.

Racconta la vita con storie antiche dentro questa attualità violenta e ossessionata, dove ogni contrasto sembra generare entusiasmo e perdizioni. Come sempre, l’artista Astigiana si oppone, come una fiaccola dentro una bufera, destinata allo spegnimento, ma lei ha la forza di riaccendersi ogni volta, in ogni canzone, in ogni nota che la sua voce permette. Ed è un delirio di incanto struggente, la consapevolezza che in quella donna dalla bassa statura fisica esiste un infinito di concreta capacità di analisi che la rende vasta e immensa come la volta celeste.

"Tempo di vento" è il miracolo che la canzone italiana quasi quasi non merita: dove tutto è fatto per stupire, per portare consensi, qui invece abbiamo la maturità che vive da sola e si dissolve nel silenzio dell’indifferenza generale. Talmente potente che viene abbandonato sui pochi scaffali dove faticosamente è arrivato, al limite ascoltato e poi lasciato nella polvere, che mangia l’anima. Ma di cosa è fatto questo viatico?

Degli elementi della natura che si stringono dentro la necessità di una convivenza con l’unica bestia che ha distrutto il sogno, quell’uomo capace di creare catastrofi non necessarie. E lo spirito anarchico di Marinella continua a esistere, per una necessità che la rende sempre più piccola, sempre bella, sempre ostinata nel non cedere di un passo, malgrado quegli elementi sempre di più cancellati dal vento umano.

Simboli, immagini, racconti, memorie, l’amore che fa impazzire, la crudeltà: lei ne rimarca la validità, la presenza, per seminare speranze che arrivano solo dopo attente riflessioni. 

La musica di questo album è un vestito di perle, di scorie, di arpeggi, di arrangiamenti celesti, di schegge che lacerano la pelle, di generi musicali che attraversano i versi per portare la sua interpretazione verso l’eternità, in un matrimonio artistico che ha l’appuntamento con l’autenticità e la speranza. Ogni nota entra chiedendo permesso, un gran lavoro di limatura trasferisce un’unicità dentro il nostro abbraccio, tra oriente, occidente e il sud del mondo. La storia parte con la guerra e la musica non fa che evidenziarne le gravità, le bassezze. Quando è il futuro che necessita respiri, ecco che l’apparato sonoro dipinge l’atmosfera e le giuste propensioni per donare agli occhi di Lalli il terreno che si fa ancora più fertile. La luce e l’ombra entrano nell’aria dagli strumenti che sanno perdonare i nostri fragori illuminati dalla violenza, per riuscire a perfezionare ogni intenzione che l’ex cantante dei Franti cerca di fissare.

Gradevolissimo l’ascolto anche quando le lacrime accendono gli occhi e i battiti si fanno irruenti e spaventati, ma tutto di questo album profuma di amore, perché capire come vanno le cose è l’atto più grande che lo riveli. 

Lalli sa come fare, ci sa fare per davvero, e i suoi pugni sono poesie che cercano un orecchio, perché la sua voce, vellutata come un tuono che seduce invece di creare timore, ha il compito di spalancare l’anima. 

Non si può negare come gli argomenti trattati, la modalità, siano la legittima conseguenza di uno spirito indomito, e anche questo è l’insegnamento che ribadisce la sua forza. Non spreca un centimetro della sua esistenza, continua con l’elmetto e i fiori a calpestare le chiavi dei nostri guai, per farci vedere oltre lo specchio, che non va usato per riflettere una identità che non viene mai discussa seriamente. Lei lo fa con parole come sequoie, resistenti al vento, al tempo, alle banalità. Vocaboli attaccati a esigenze comunicative che hanno una scadenza, perché tutto precipita, e in queste undici tracce lo evidenzia perfettamente, mettendo gentilmente fretta ad ogni nostro gesto sbagliato, tracciando nella mappa dell’insistenza l’appuntamento con un agire diverso.

Genitori, donne in attesa perenne di un cambiamento che non arriva, bambini impolverati dalla violenza adulta, città squartate, bombe che precipitano senza sosta , giardini che si spengono tra quindici e più pietre, i sorrisi e i gesti che lei immortala meglio di un fotografo.

Questo è solo un milionesimo di ciò che si trova in questo album, terremoto allucinante per gli egoisti, l’opportunità di accendere il sole del futuro per altri, per un viaggio che cambia l’identità, un passaporto morale che va rivisto, mentre la sua ugola vibra di pioggia e polvere da sparo, esempio unico di un sentire universale condannato a essere privilegio per pochi. Nel tempo in cui i petali sono senza profumo, lei ci porta l’odore del vento, testimone di quello che accade in questo pianeta sempre più brutto. Lalli, guardiana della verità, scrive ciò che va assolutamente scritto, con il groppo alla gola e lo sguardo sempre vigile. Nulla cambia dentro la sua anima attenta e queste canzoni confermano che la sua abilità non possa avere un sorriso largo, debba divenire un fiume in piena in punta di piedi, con la fragilità che giocoforza deve trasformarsi in una proposta che scombussoli il gioco delle prepotenze.

Lei non è alla finestra per vedere il tempo passare: sale sul vento e ci porta tutto ciò che vede, dove sono certo che non vorrebbe parole ma un abbraccio silente, il migliore dei pentagrammi possibili.

La cosa che l'autrice evidenzia maggiormente in queste tracce è la necessità di vocaboli che consentano la convivenza tra l’agio e il disagio, per un processo di impegno che possa dipingere le brutture di colori colmi di sole, con la temperatura che veicola respiri morbidi e agili.

Da quel processo si arriva alle canzoni che devono essere preferite, basta che nascano al mattino anche se impazzite, ma con l’intenzione da parte di chi canta di vederle volare serene.

Indubbiamente un lavoro che farà fatica ad avere l’ingresso facilitato, dovrà alzare i gomiti delle persone che cercano nella musica il territorio del conforto, del disimpegno, di benedizione del vuoto. L’arte della musica per Lalli è cultura, opportunità di messaggi viandanti che devono atterrare, e il suo vento è proprio questo che fa. Ce li porta, tutti.

Abbiamo post-punk, alternative, respiri sudamericani, parvenze pop, jazz e blues sapientemente mascherati e incrociati a tutto il resto, echi di musica classica tra le pieghe del vento di note bisognose di essere un mappamondo stilistico senza bavagli. Del Rock si sente l’urgenza e il sudore che finisce sulla sua pelle consumata da fatiche alle quali Lalli ci dà l’accesso, e in certi momenti è proprio lui che sembra il guardiano del tempo e del vento che lei descrive perfettamente con canzoni che odorano come un incontestabile raccolto di frutti che dobbiamo saper masticare.

Ma, ancora una volta: tutto questo costituisce solo una parte, perché gli ascolti qui vanno ripetuti e precisati, senza dispersioni.

In alcuni frangenti però giunge qualcosa di morbido, di sostenibile senza dover gocciolare tensioni e paure.

E tutto questo è posto in modo vistosamente leggero, per consentire alla sua voce di volare dentro “cieli più sottili”…


Song by Song


1 Brigata Partigiana Alphaville (A mio padre)


È subito magia, tra violoncello, chitarra, basso e batteria, per un incrocio stradale di melodie e parole piene di riconoscenza. Un grazie per una memoria che costruisce rispetto e identità, dove la Storia va imparata e codificata attraverso un contatto umano che renda le anime vicine.


2 Tempo di vento


Buia, quasi cupa, la parte iniziale del secondo brano è una finestra rotta che lascia entrare panorami esistenziali pregni di fatica e abitudini che svelano il cuore mentre impazza. Quasi trip-hop, dal vestito mutante, la voce delinea la faccia triste della poesia quotidiana, per un’immersione intima che, attraverso la modalità cantautorale, ci fa ascoltare il tutto con grande partecipazione.


3 Aria di Buenos Aires


Le civiltà si incontrano sebbene esistano distanze pesanti e ingombranti. Lalli unisce Torino e Buenos Aires in un gemellaggio intellettivo attraverso arcobaleni fermi, la musica sottile, chitarre accennate e la storia che lei disegna tra le nuvole. Ci penserà quello che potrebbe essere un desueto lungo ritornello o, meglio, una strofa che cambia pelle, a dare un nerbo improvviso a un brano che gridava già dentro la testa.


4 La mia faccia


Leonard Cohen anticipa la cover che più avanti prenderà posto nell’album e lo fa per via di una brano proprio di Lalli: è magia cupa che inonda le strade, quelle delle identità che soffocano dentro i giorni. Per farlo bene la musica è un ronzio, un sibilo, con la batteria che batte pesantemente sulle verità che escono fuori dalla poetica della cantante. E la voce è una richiesta di aiuto, per scacciare la solitudine, in una modalità dirompente e raffinata. La perfezione esiste e dura duecentosettantuno secondi.


5 Fuochi I


Rintocchi di piano che galleggiano sul fiume e sui coralli, un cerchio drammatico, intimo, un canto quasi Navajo, una invocazione che diventa evocazione, sino a divenire una corsa che coinvolge gli strumenti, come una sciabolata progressiva, con il compito di amalgamare il terremoto emotivo che Lalli descrive con incredibile precisione.


6 Mostar


Quando la crudeltà sanguina sul bianco della neve…

È ipnosi che fagocita l’ascolto, tra un organo, un suono soffocante e la storia di una guerra che graffia il confine tra la gente e i potenti. Un frastuono che ghiaccia la nostra resa davanti all’inesorabile per una canzone che disegna ombre e orme in cui sprofondare. Una marcia che stanca ogni euforia, mentre la neve si ingolfa di macchie rosse e i suoni penetrano l’anima. 


7 Famous Blue Raincoat


Lalli prende il cantautore dalla penna più eccelsa e interpreta, canta, piange sul microfono dentro la poesia che veste la malinconia e la nostalgia. Ed è jazz camuffato, pieno di un'anima blues che si nasconde pure lei, mentre il sax di Stefano Giaccone viaggia sornione tra note sensuali. Si chiudono gli occhi, si viaggia dentro ciò che non si può catturare ma solo avvertire: è la poesia che dal suo trono ci guarda e racconta ciò che non siamo pronti a perdere.


8 Fuochi II (Occhi lucidi nella notte)


Il secondo tempo di fuochi che stavolta conoscono la modalità di un crooning che ci solleva dalla percezione verso la conoscenza di una storia che si conficca negli occhi nostri, pesti. Magnetica, gravemente pregna del connubio tra poetica sublime e una storia fatta di sofferenza. Tutto pare accennato, sul piano musicale, con la convinzione che l’ascolto ci porti dentro il Virus, centro sociale chiuso e che determina l’ennesima sconfitta.


9 L’uomo col braccio spezzato


Una chitarra quasi perversa lascia posto a una melodia che si ingentilisce per far entrare gli occhi di Lalli che viaggiano nell’abisso del mare. Poi accenni di arpeggio, le bacchette della batteria che battono quasi gentilmente sui tamburi sino a quando tutto si fa tempesta, per pochi, interminabili secondi. Il registro della voce sale nel cielo e noi davanti a questa bellezza ci facciamo piccoli.


10 Le donne quando restano sole


Una delle canzoni più belle di sempre arriva con l’amarezza ai lati della bocca, per sprofondare dentro la pochezza maschile e la sua violenta propensione a spegnere la lealtà. Una donna nasce e cresce con consapevolezze che la rendono estranea davanti ai giochi di potere dei maschi, e l’amore nasce proprio lì, nello stringersi senza aver bisogno di loro. Musicalmente siamo davanti ai soffi, ai sussurri di note che sanno aggravarsi al momento giusto per meglio definire certe pesanti precarietà. Un alternative rock efficace e perfettamente cucito addosso a parole che sono di piombo solo per chi è insensibile con uno dei lati della identità umana…


11 A Donatella


Questo capolavoro trova la perfetta conclusione con una ninnanna disegnata da un pianoforte essenziale, comprendenti il cantato caldo di Tommaso Cerasuolo e Rosalma per un finale toccante e profondo. Tenco  entra nella sensibilità di Lalli e l’abbraccia, consentendole l’ennesima prodezza stilistica con una interpretazione sicura, che salda l’amore mancante.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

28 Ottobre 2022


https://open.spotify.com/album/2WgWu9df1Wu4Cldrj8Ai7W?si=Eh6i-aO3T2mpgckINMsqeg





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