domenica 20 novembre 2022

La mia Recensione: The Slow Readers Club - Cavalcade

The Slow Readers Club - Cavalcade

Non c’è niente da fare: davanti a ciò che è vitale non si sfugge, si rimane intrappolati, a volte anche dolcemente. Ed è un evento che conosce ciclicità, si ciba di sé per inondare i sensi in beata moltitudine. Abbiamo appuntamento raramente con tutto questo, forse con la musica cresce la percentuale di questa probabilità.

Nel 2015 fu pubblicato il secondo album della band nata a Salford: The Slow Readers Club che con Cavalcade aprirono le porte della notorietà e incominciarono a essere compresi e conseguentemente adorati. Il disco di esordio, omonimo, aveva già mostrato il loro valore, sebbene la band non fosse soddisfatta della produzione. Tracce magicamente tristi che facevano ballare con gli occhi incendiati di lacrime. Poi questo lavoro fece scoppiare il cuore supportato da singoli in grado di attirare l’attenzione e mettendoli sulla bocca di molti. La miscela musicale si spostò leggermente pur conservando segni evidenti che il genere elettro-dark calzava a pennello con le esigenze dei quattro ragazzi in cerca di canzoni perfette. Per farlo occorreva più dinamicità e una virata verso una maggiore integrazione tra gli strumenti. Accadde, dando così il via libera ad Aaron, che iniettava nella sua voce la coda di ogni pianto, per seminare la potenza in un’ugola votata alla immensità senza catene. E tutta la band fece un notevole passo avanti, con la maturità come conseguenza di un desiderio di fare della musica un motivo di esistenza totale: avvenne poco dopo, quando i quattro lasciarono le loro attività lavorative per vivere totalmente di questa passione.

Cavalcade è stato e sarà sempre il loro album della svolta, con il lascito di canzoni pregne di fascino e capaci di coinvolgere l’ascoltatore in un sentiero di luci e spine emotive che grattano la pelle del cuore, con i sensi a circondare i pensieri spesso con poco fiato, perché in grado di mostrare il vero volto soffocante della nostra esistenza. Ecco apparire la vita con le sue croci, una fede sempre più appesantita dal misticismo, i rapporti fatti di depressione, precipizi e vertigini che fanno tremare i polsi. Il passato, il presente e il futuro, uniti da catene che, attraverso i versi straordinari di Aaron Starkie, trovano modo di far sentire e di mettere in luce tutta la loro fragilità, trovano adeguamento con la musica che si ritrova ad essere appiccicata alle loro aspettative. Le dodici tracce evidenziano abilità e convinzioni, sono credibili e ci iniettano nella vita sottocutanea riflessioni e danze, connesse e sigillate per il futuro, con la certezza che non subiranno l’invecchiamento. Ci si commuove sempre, ci si sente coccolati dalla loro tenerezza dal triste sorriso, ci si sente attraversati da una saggezza che fa male, finendo per diventare succubi di atmosfere odoranti, attraverso chitarre ridondanti, tastiere dai loop accattivanti e una sezione ritmica dai brividi sull’aria tremante, per fare della nostra vita molto più che una colonna sonora. I Mancuniani, con il loro elettro-Dark oscuro, non si negano viaggi dentro gli anni 80, ma sentono il bisogno di rimanere ancorati alle sonorità moderne e creano una prospettiva nella quale tutto vada proiettato nel futuro, senza nostalgie ad appesantire l’insieme. Si avverte tutta l’energia, l’esuberanza che diventa un pregio, la malinconia come un dovere, per fare delle canzoni piloti di sogni e constatazioni che rivelano anche il bisogno di creare nuovi confini, pensieri e stili musicali. Tutto è solenne, greve, frustrante in modo piacevole, deduttivo e devastante al contempo, come se la parte divertente degli Human League, dei Soft Cell, potesse abbracciare la cupa dinamica dei Joy Division, in un matrimonio artistico che non lascia dubbi riguardo il talento e le abilità che cresceranno sicuramente. Canzoni come recipienti, come granelli freschi nella terra vogliosa di inseminazioni continue e potenti. Abbiamo sempre la certezza che la vita e la morte nelle canzoni troveranno un abbraccio che potrà sconvolgere, perché immerse in quella malinconia che nessuno potrà negare essere il comune denominatore di ogni esistenza. Composizioni che danno l’impressione di trovare modo, nella dimensione dal vivo, di non avere vincoli di sviluppo nei suoni, di lasciare spazio a piccoli sconvolgimenti, e avverrà puntualmente. Alcune di loro surclassano le altre: parrebbe un giudizio negativo, in realtà conferma un livello molto alto, rendendo possibile affezionarsi a quelle che hanno una presa immediata. Sta qui il valore dell’album: quella che sembra la sua inferiorità più devastante si concretizza in quelle canzoni che, apparentemente, paiono inferiori, meno incisive. Saranno proprio quelle a catturarvi del tutto. Preceduto da quattro singoli (Forever In Your Debt, I Saw A Ghost, Start Again, Don’t Mind) e con un quinto dopo l’uscita (Plant The Seed), le altre sette composizioni sono anch’esse potenzialmente capaci di essere ipotetici singoli, mostrando di essere di facile preda dell’ascolto, con la volontà di scrivere brani che sanno arrivare al cuore senza esitazioni. 

Jim Glennie, bassista dei James, capì il loro potenziale e invitò la band a far loro da supporto, finendo per dare ai quattro ragazzi la giusta visibilità, che li portò a un successo inevitabile.

È l’album che cambiò il destino, mostrando che le loro carte avevano la forza per entrare nell’accoglienza con gli occhi verso il futuro, la firma della constatazione che la loro bellezza avrebbe creato nuovi seguaci. 


Qualcosa di morboso e morbido penetra la nostra anima, inevitabile, visto che i brani sono organismi di natura psichedelica, perché ci trasportano dalla dimensione subconscia a quella terrestre: si ha sempre l’impressione di un viaggio verso il mistero che viene svelato solo in parte. I giochi delle melodie hanno pennellate vistose di grigio, i ritmi svegliano gli slanci del corpo per gettarlo nell’enfasi più sublime e coinvolgente, con i testi che svettano per il desiderio di farci interrogare, mentre le lacrime vivono di corse e rallentamenti efficaci, prensili, destinati a incollarsi nella mente, che si fa generosa nell’ospitarli, seppur capaci di ammazzare spesso la fiducia nell’uomo. Ed è questa sincerità che li rende irresistibili.

Le chitarre sono ganci, tremori, vibrazioni dai molti echi, fratelli maggiori dei nostri sogni. Il basso, spina grassa sui nostri respiri, si avviluppa continuamente ai nostri pensieri, per sbatterli per terra, con seduzione e abilità. Il drumming è preciso, senza velleità di megalomania, e non per difetto tecnico: è semplicemente perfetto per non privarci di danze necessarie. Le tastiere sono sirene dalle unghie sornione, sottili, capaci però di entrare nei piani bassi del nostro umore, per farlo piangere con graffi maestosi.

La voce? Occorrerebbe scrivere un libro: non basterebbe. Aaron è il maestro di tonalità, di modalità espressive che fanno vibrare l’anima, immergendola nel buio di ogni respiro, rendendo sacra ogni sua nota. La dipendenza diventa estasi e non si può che lacrimare, perlomeno commuoversi, perché quella campana sensoriale è la vibrazione di un’emozione che vuole essere vissuta.

Sapete, sì, e benissimo, che è tempo di conoscere da vicino questi dodici lampi, con la speranza che nulla si opponga al vostro innamoramento totale.


Song by Song 


1 Start Again


Non dimenticate mai di stare attenti ai testi di ogni canzone.

Il fluido magnetico della opening track è affidato a un basso che pressa, non molla la presa. Seguito da due chitarre che saldano il tutto con fluida propensione al sogno e a sintetizzatori fluorescenti.


2 I Saw A Ghost


Bang! Si entra nella storia di una persona incapace di uscire dalla depressione con un brano perfetto: spazia in un vortice continuo nella testa con strofe in cui il cantato struggente di Aaron devasta. In più la chitarra è un’onda malinconica che rende quadrati i sensi, con il basso che scalda la pelle al contempo. Il ritornello diventa la foresta nera di ogni prigione mentale. 


3 Forever In Your Debt


Accompagnato da un video che immalinconisce, la canzone dimostra la classe dei Mancuniani che non abbisognano di cambi per esplodere nella nostra rapace volontà di essere sedotti da cotanta peccaminosa tristezza. Il basso e la grancassa aprono le danze e poi Aaron si prende i nostri cuori sino a quando Kurtis non diventa il mago della sollecitazione ritmica-melodica che troverà nel ritornello tutta la polvere che circonda la solitudine del protagonista del brano. 


4 Plant The Seed


Si vola, si cade, si fluttua negli 80’s ma con la curiosità degli anni attuali per una canzone che vede nel ritornello piazzato subito all’inizio i due fratelli al canto. Con un synth elegante e quasi segregato dalle chitarre e dal basso voluttuoso, si riesce a divenire un corpo sognante in volo, con quattro decadi a benedire lo splendore di questa creazione.


5 Days Like This Will Break Your Heart


Si prova un’emozione vibrante con questa voce che massacra ogni resistenza, nella cupa e intrigante dimostrazione che i quattro sono uragani di sentimenti nobili, in quanto sono destinati a graffiare ogni nostra ferita, ulteriormente. Irresistibile show di fantasie caduche e fotografie che stabiliscono la solitudine.


6 Don’t Mind


Ed è l’amore che vince: brano dedicato alla sposa del cantante e che vede le atmosfere prendere luce in un viatico pop e sognante dominato dalla voce di Aaron e dal binomio tastiera e chitarra, perché ci conducono a un attimo di serenità. Con un delizioso falsetto che ci avvolge poeticamente.


7 Cavalcade


Una chitarra che cavalca tra echi eleganti fa da cornice a un testo che paralizza per intensità e che vede il brano crescere ancora di più quando tutta la sezione ritmica manifesta la sua potente drammaticità. Le lacrime camminano sul cuore finendo per toccare tutto dentro, perché si rotola in una danza roboante. E a questa voce occorrerebbe conferire un premio all’incanto.


8 Fool For Your Philosophy


Canzone presente da anni nei loro Live set, è un’altra valanga ritmica, una corsa dei sensi verso la fuga da questa esistenza. Inizia con una base elettro dark per incantare sin da subito. Poi Kurtis spinge il suono della sua chitarra verso una potenza che per quanto contenuta inquina le nostre poche forze. E poi il ritornello ci porta il buio danzante, per giungere a una parte in cui tutto si fa battito di mani e i cuori salgono tra le nuvole a cercare consolazione. 


9 Grace Of God


Volete l’incanto eterno che sappia farci perdere il controllo? Eccolo! L’atmosfera è rarefatta nella strofa, un drumming che passa dal sincopato al quattro quarti lancia la canzone nel momento del ritornello in cui tutto si fa sublime con il turbinio dei pensieri, facendoci perdere i sensi mentre si trema. La tastiera è una ferita sottile che viene seguita da chitarre come schegge educate.


10 Here In The Hollow


Il gioiello più buio dell’album, quel diamante più puro che travolge per la sua educata propensione a essere quasi pop mentre invece le parole sono lame calde, insostenibili ma clamorosamente dotate di verità. È un tornado la chitarra circolare, è sensuale il basso, è determinata la batteria. Ma se si è attenti ci ritroviamo nel cestino dell’universo, senza più forze…



11 Secrets


Spiazzante, clamoroso esempio dell’amore di Aaron per il pianoforte. Ed è l’intimità che avanza nel fare delle nostre esistenze, con fughe e segreti costretti alla convivenza. Nel ritornello la batteria diventa una marcia ipnotica e la tastiera il grigio in cui nascondere le nostre mediocrità.


12 Know The Day Will Come


Se lo scriba volesse morire per lo struggimento di un presente insostenibile sceglierebbe questo brano come colonna sonora. Devastante, per i canoni musicali degli SRC, il brano è un addio a ogni sorta di legame con il respiro: per la melodia, gli incroci delle chitarre, i synth pregni della tristezza più marcia e il trinomio voce-testo-interpretazione di Aaron sono una bottiglia di sangue nero che esploderanno definitivamente nel ritornello evocativo. 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Novembre 2022


https://open.spotify.com/album/0cb2jkeQT4GSoD8cddlTOF?si=Pr7d7q6rSOqBTRlUr6X-Uw






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