venerdì 3 marzo 2023

My Review: Crystal Canyon - Young Wonder

 Crystal Canyon - Young Wonder


All in Portland: there is a spectacular play of Shoegaze clouds, Slow, no, they are speeding up, they do what they want, and it is a stupendous spectacle, consoling, prompting us to give due recognition to this band that does not make us feel nostalgic for the beloved musical genre born in England, but in this very track it seems to remind us of how it was born. And so it all becomes a wonderful story, about a girl, her mystery, her prodigious way of being, and, as Lynda Mandolyn sings about courage, our eyes become dreamy, powerful in a sudden dance that leads us to stand next to that wonderful creature.

The rhythmic guitar is capable of a turn of simple chords that beautifully develop the intention to lull the listener. And then, when everything gets loud, a sudden pact with joy is established.

One can be sure: it is songs like these that kiss loneliness and do so while leaving the greatest satisfaction on your lips...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

3rd March 2023


https://crystalcanyon.bandcamp.com/track/young-wonder




La mia Recensione: Crystal Canyon - Young Wonder

 Crystal Canyon - Young Wonder


Tutti a Portland: c’è uno spettacolare gioco di nuvole Shoegaze, lente, no, stanno accelerando, fanno quello che vogliono ed è uno spettacolo stupendo, che consola, spinge a dare il giusto riconoscimento a questa band che non ci fa provare nostalgia per l’amato genere musicale nato in Inghilterra, ma che proprio in questo brano sembra ricordare com'è nato. E così tutto diventa una splendida storia, di una ragazza, del suo mistero, il suo modo di essere prodigioso, e, mentre Lynda Mandolyn canta del coraggio, ecco che i nostri occhi si fanno sognanti, potenti in un ballo improvviso che ci condurrà a stare accanto a quella creatura meravigliosa.

La chitarra ritmica è capace di fare un giro di accordi semplici ma che sviluppano benissimo l’intenzione di cullare l’ascoltatore. E poi, quando tutto si fa frastuono, si stabilisce un patto improvviso con la gioia.

C’è da starne certi: sono canzoni come queste che baciano la solitudine e lo fanno lasciandoti sulle labbra la soddisfazione più grande…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
3 Marzo 2023






My Review: Chatham Rise - Splinter

 Chatham Rise - Splinter


How do you describe the enchantment given by a floral, continuous flow, which envelops the listener in order to move a smile inside one's belly? As a human miracle.

The Minneapolis band establishes the powerful contact between Shoegaze and Psychedelia through Splinter, an event of the senses because in these notes there is a suitcase of time, with the initial atmosphere starting in the 80s, then stabilising the flight into the modernity of Shoegaze, with guitars first hinted at, then scratched, and the bass that is a heart as it makes our joy run. The keyboard seduces, keeps the melody compact and everything seems to veer towards a Space-Rock that is masterfully restrained, but whose power is felt. There is joy in the sound, undeniable, yet what conquers the old scribe is the feeling that something mysterious is permanently inside these grooves, a step between heaven and planet Earth. A prickly track that shakes and shows us how musical genres can cohabit perfectly within the same room without losing their identity. The Minnesota band is a presence that smells of beauty and the writer is betting on its future, because from these notes the hunger for their art has become immediate. What the heart has established is an encounter with their magic...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

3rd March 2023


https://chathamrise.bandcamp.com/album/splinter







La mia Recensione: Chatham Rise - Splinter

 Chatham Rise - Splinter


Come si descrive l’incanto dato da un flusso floreale, continuo, che avvolge l’ascolto per smuovere all’interno del proprio ventre un sorriso? Come un miracolo umano.

Il gruppo di Minneapolis stabilisce il contatto potente tra lo Shoegaze e la Psichedelia attraverso Splinter, un evento dei sensi perché in queste note esiste una valigia del tempo, con l’atmosfera iniziale che parte dagli anni ’80, per poi stabilizzare il volo dentro la modernità dello Shoegaze, con chitarre accennate prima, graffiate poi, e il basso che è un cuore mentre fa correre la nostra gioia. La tastiera seduce, tiene la melodia compatta e tutto sembra virare verso uno Space-Rock che viene magistralmente trattenuto, ma di cui si sente la potenza. C’è gioia nel suono, innegabile, tuttavia ciò che conquista il vecchio scriba è la sensazione che qualcosa di misterioso sia stabilmente all’interno di questi solchi, a un passo tra il cielo e il pianeta Terra. Un brano ficcante, che scuote e ci mostra come i generi musicali possano coabitare perfettamente dentro la stessa stanza senza perdere la loro identità. La band del Minnesota è una presenza che odora di bellezza e chi scrive scommette sul suo futuro, perché da queste note la fame della loro arte è divenuta immediata. Ciò che il cuore ha stabilito è l’incontro con la loro magia…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
3 Marzo 2023




My Review: The Shallows - Channels

 The Shallows - Channels 


When a song makes you addicted, you discover the pleasantness of the only acceptable toxicity: that towards music. The Boston band has given birth to a crystalline jewel, which emanates light within our listening. Delicate, gentle, dreamy, with its notes it activates the circuit of our pleasure, of a listening that makes us small because we are cuddled by it. Shoegaze is joined by the elegant Dreampop presence, for a lullaby that in the refrain wakes our minds completely and makes us think that the new day can only be beautiful. The drumming is a work of art, the bassist's work is a black-and-white photograph of how simplicity must once again take over the music, and he does it beautifully. The vocals, then, sound like the perfect marriage of two superstars like Rachel Goswell and Krissy Vanderwoude: the poetry of the singing is the merino wool blanket that can maintain the temperature of this sweetness, which is a slow, deep kiss.

When a song bewitches the mind, we know that we have arrived at a sensational rendezvous: eternity is already possible in this earthly life... 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

3rd  March 2023


https://theshallowsboston.bandcamp.com/track/channels




La mia Recensione: The Shallows - Channels

 The Shallows - Channels 


Quando una canzone ti rende dipendente scopri la piacevolezza dell’unica tossicità accettabile: quella nei confronti della musica. La band di Boston ha partorito un gioiello cristallino, che emana luce dentro i nostri ascolti. Delicato, garbato, sognante, con le sue note attiva il circuito del piacere nostro, di un ascolto che ci rende piccoli perché coccolati da questo brano. Lo Shoegaze viene raggiunto dall’elegante presenza Dreampop, per una ninnananna che nel ritornello sveglia del tutto la nostra mente e ci fa pensare che la nuova giornata non potrà che essere bellissima. Il drumming è un’opera d’arte, il lavoro del bassista è la fotografia in bianco e nero di come la semplicità debba tornare ad appropriarsi della musica e lui lo fa benissimo. La voce, poi, sembra il connubio perfetto tra due fuoriclasse come Rachel Goswell e Krissy Vanderwoude: la poesia del canto è la coperta di lana merinos che sa mantenere la temperatura di questa dolcezza, che è un bacio lento e profondo.

Quando una canzone strega la mente sappiamo che siamo arrivati a un appuntamento clamoroso: l’eternità è possibile già in questa vita terrestre… 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

3 Marzo 2023


https://theshallowsboston.bandcamp.com/track/channels






giovedì 2 marzo 2023

La mia Recensione: Cult Strange - Conjuring Feral Angels

 

Cult Strange - Conjuring Feral Angels


Le lame più taglienti dell’anima sono tornate per infettare, stordire, condannare, separare, infliggere punizioni, con il loro suono che è il castigo degli Dèi del male che si sono stancati di tutta questa ipocrisia.

I Cult Strange esordirono nel 2020 con un EP di quattro lucide rappresaglie sonore che si intitolava Rites of Passage, una discarica tiepida i cui vapori ancora oggi fuoriescono dalle cantine delle nostre paure.

Il quartetto capitanato da Aleph Omega compie un percorso bellico, tra la pelle conosciuta del Deathrock, massima espressione di contatto con le cellule morte dei nostri capricci vitali, e le scintille del Gothic Rock sapientemente tenute sotto controllo, per non interferire con i messaggi, perché ad ogni genere musicale tocca un lavoro e un rispetto delle regole. L’album è aggressivo, corale, una massa di acciaio che ci butta nella dancefloor umida, grondante di sale e peccati. Le chitarre sono le schiave del dolore, portatrici malefiche del dubbio che muore in fretta, che non cerca ascolto ma ottiene riverenza e lo fa giocoforza, visto che la penna di Aleph è giustamente votata a portare le volgarità e le ingiustizie dentro le nostre vene. 

Non sono però solo legate all’impianto del Deathrock: sono chitarre che, malgrado le tonnellate di liquidi languidi, si muovono con destrezza, tra effetti e modalità che spaziano e che hanno la peculiarità di generare una attitudine totalmente americana all’interno del polmone del mondo. Le ritmiche sono pesanti, boomerang di veleno che fendono l’aria per colpirci, tramortirci, finirci. 

Il basso è il Re dell’amianto, uscito da Oakland, per andare a urtare duramente le anime così troppo legate agli anni ’80: qui nulla è banale e quelle dita sanno essere diamanti sanguigni che sporcano non solo il manico dello strumento ma soprattutto i nostri ascolti. Come rabdomante, trova la poesia cattiva, da educare al peggioramento, come vendetta, come soddisfazione pulsante senza intenzione di fermarsi.

Con il miglior batterista a disposizione di cosa volete parli il vecchio scriba? Il gioco, il connubio dei quattro musicisti tende a fare del ritmo la sorella gemella di melodie strazianti e il drumming è ciò che risalta di più perché è proprio la complessità della modalità con cui si esprime che fa emergere, oltre a doti tecniche ineccepibili, un mare nero inquinante, avendo il movimento di quelle onde cupe, piene di grazia maligna. A volte entra nell’Hardcore, nel Metal, in un crossover continuo che ammalia, spiazza, incuriosisce, di certo stordisce. Come se una pulsione interiore si impadronisse di quelle braccia e di quei piedi per creare una tribalità a cui non ci si può opporre.

Le illusioni, le velleità e i capricci vengono elencati per essere congedati con veemenza, e i desideri sono messi sotto la lente di ingrandimento per poter essere derisi e uccisi, amen.

La produzione è in grado di sintetizzare la passione, lo studio di brani complessi ma dalla abilità anche di generare una spavalda immediatezza, corrosiva e spesso disarmante, finendo per produrre incanto e timore, in un range stilistico in cui il suono è il governatore dello spazio e le parole fedeli sudditi capaci di materializzare concetti e propensioni con la bava alla bocca.

C’è una intenzione evidente di disintegrare, di colpire il vuoto culturale, di essere semi radioattivi in opposizione, di dare sprangate alla terra per eliminare l’equilibrio del nostro sterile cammino, di raccontare sì delle storie, ma all’interno di precise elucubrazioni che vogliono asserire, dividere, espletare il percorso della individuazione di una realtà incapace e votata alla più becera decadenza.

Un album che non rappresenta una città, un genere musicale, ma la meticolosa intenzione di prendere delle posizioni, di creare decisioni comportamentali, dove il buio della notte è quello di un mondo che ha perso la bussola, l’identità e la predisposizione a essere gioia. Ma, vi sembrerà strano in questo contesto, questo lavoro ne produce in quanto esistono piani di consapevolezza, ci sono distacchi che sono stati decisi e il vero benessere che comporta è quello di indossare l’intelligenza e di essere anime che escono dalla cripta del vizio per dare un senso più maturo all’esistenza.

Canzoni come un crepitio ineludibile, l’appuntamento con l’impianto magmatico di un processo che non concede favoritismi, ma alza l’indice per sparare giudizi precisi, tra le ombre dei vapori di musiche collegate direttamente al fallimento umano.

Ci ritroviamo così, inevitabilmente, con un rosario, una testimonianza dello sfacelo che i Cult Strange rappresentano come figli designati di Sua Maestà Rozz Williams. Con lui esistono sicuramente delle differenze, ma in comune hanno il potere di regalare smarrimento e una ragionevole preoccupazione per la nostra esistenza. 

Sul piano della scrittura, l’analisi dei testi induce a credere che ogni fascinazione nei confronti della paura e dei desideri abbia trovato il perfetto luogo di appartenenza, regalando agilità e convinzione, per un risultato che è all’interno del nostro ascolto: parole come lapidi, lapidi come parole mute.

Alla fine siamo anime piene di terra, sfocate, come la splendida copertina, che descrive perfettamente come le nostre identità siano appannate, sfumate, dai contorni incerti, con il corpo infangato e destinato all'essiccamento, come l’appuntamento con la perdita di ogni ragione. Non rimane davvero che invocare, senza tentennamenti, gli angeli feroci perché loro per primi non sono riusciti a sfuggire al destino, il figlio maledetto dal ghigno diabolico…

La band ha compiuto un notevole lavoro di amalgama e di continuità per stabilire e determinare una posizione di forza, magicamente intrisa di esplosioni sonore, drammi quotidiani musicati, visioni che contorcono le budella e rendono il cervello un groviglio graffiante di pensieri. Concludendo: se niente è indispensabile è bene saperlo, conoscerlo, e questo disco aiuta a visualizzare le discariche mentali che conserviamo inconsapevolmente, perché schiavi del vizio e del mercato, di attitudini che i Cult Strange ci sputano saggiamente sul volto. Non vi resta che strozzare la stupidità con Conjuring Feral Angels: sarete ripuliti, disinfettati e leggeri, con le piume di petrolio libere di alzarsi in volo.

Deathrock album del 2023 per il vecchio scriba: penso possa bastarvi…


Song by Song


1 Prologue


Spetta a una donna dal crooning diabolico dare il benvenuto e avvisarci che stiamo per incontrare degli angeli feroci, con echi e riverberi e uno scenario che evoca spiriti in combutta.


2 Slave To The Algorithm 


L’inizio del brano è micidiale: chitarra tesa a cacciare le ombre in un brutto guaio perché lei non ha paura di sicuro. 

Esiste una quota di malvagità che sconvolge, con il cantato che è una processione, supportata dagli altri tre musicisti: prendi i New York Dolls dal lato senza sole e gettali nel basso rotolante e nelle chitarre sontuose e perverse e tutto sarà chiaro.

Alla batteria resta solo il compito di frustare quelle povere ombre che muoiono senza aver creduto possibile tutto questo. Come opener track è perfetta: se l’inizio può essere di derivazione glam rock, ti rendi presto conto che tutto dilaga in splendide divagazioni dissonanti.


3 A rose Of Chaos


Un drumming spavaldo, uscito da una cantina piena di polvere degli anni 70, apre la danza sbilenca e accattivante.

Poi la voce e la chitarra sposano un’idea di rito grondante Deathrock di purissima classe.

Puoi udire echi di Germs e Consumers a dare ispirazione involontaria a questa corsa a pestare le rose nel chaos: aleggia continuamente l’idea che anche i Virgin Prunes soffino qui tutta la loro follia, specialmente nella modalità del cantato. E che un fare macabro - esoterico sia il sovrano di questa chicca assoluta.


4 De Auro Rubeo


Uno schiaffo Gothic Rock iniziale, quindi si entra nella zona Deathrock con un ritornello dalla voce baritonale/sepolcrale di grande suggestione, con la sensuale accelerazione del ritmo. Poi è nebbia, lenta, e il recitativo di Aleph, la chitarra maligna di Rodney Horihata, il basso atomico di Buz Deadwax e il drumming sanguigno di Andrej Pavarotten stravolgono l’atmosfera per rendere gelida la città degli angeli. Il ritmo ritorna ad accelerare e il delirio è completo. 



5 Hungry Skin


Lo sciamano sobilla i coraggiosi nei primi secondi del brano, il basso e la chitarra guardano ai maligni semi dei Black Sabbath e tutto si fa concentrico, una melodia tenebrosa si affaccia nel ritornello tra fiammate siderurgiche delle chitarre, che con note tremanti soffocano l’ascolto. Che la sensualità abbia il vestito della Dea Eris e punisca le violazioni di domicilio dei pensieri più puri. Il cantato verso il finale, ripetuto, dona piacevolezza ai nervi vibranti.


6 New World Ordeal


Buz si allea agli angeli feroci con un basso micidiale ad aprire il brano, una cavalcata gotica che annette il drumming tribale di Andrej. Le chitarre vibrano dentro cerimoniali Deathrock e sono sciabolate metalliche nel tempio della dispersione, il mondo svela il suo calvario e si torna, felicemente, nella Los Angeles degli anni ’80 con l'eyeliner nei pensieri. Il chaos si mette il vestito più bello, correndo dentro questi minuti di tenaglie arrugginite.


7 Blood Seed Sister


La chitarra sparge veleno, contorce l’aria e lascia al cantato il modus operandi che è un recitativo che concede spazio alla musica, tra altalene di registri vocali che arrivano al gutturale. Come per tutto l’album, anche qui assistiamo a cambiamenti ritmici, di scenari, a ferite continue. I desideri diventano reclami, invocazioni, riti da completare.


8 Restraints


Il ritmo torna veloce, ma una insospettabile linea melodica morbida ospita il torbido del testo che viene cantato come una cometa in cerca di una carezza. Il basso e la chitarra danzano però con ferocia, mentre le chitarre si incrociano come serpenti dalla testa doppia. Tra Gothic e Darkwave che fanno capolino, la canzone mostra un lato nuovo ed interessante dei Cult Strange.


9 Sages Of Djiin 


Abbiamo nel nono brano l’impressione che il basso e la chitarra siano i semi lanciati in aria dai Red Lorry Yellow Lorry, elaborati e sacrificati ma comunque presenti. 

Ma è solo una piccola frazione: esistono quote di purezza e unicità nel fare di questa canzone un manifesto di un genere musicale in evoluzione. È un feticcio di estremo valore che è a disposizione di chi non trema innanzi alle idee di dissotterrare spoglie mortali.


10 Torn Desire


Il tempo del delirio totale è giunto, il momento del desiderio più grottesco che spinge le menti verso le porte dell’inferno è qui, in queste voluminose varianti, dove tutto è ossigeno che brucia nel basso che ricorda i Virgin Prunes.

 Le rullate della batteria devono tanto al Post-Punk, e poi c’è lei, la maligna forma Deathrock a rendere epocale il brano.


11 Hex/Pox/Vex


Un basso melodico più che mai è pronto ad ingannarci: tutto diventa stridore, lame a scendere nei polmoni, le voci raddoppiate e i Sex Gang Children a benedire il tutto.

E Aleph a rendere Peter Murphy un sacerdote malvagio.

Lo shock è dato da un brutale atteggiamento nel creare una cavalcata spavalda e menefreghista per uccidere ogni bagliore di luce.

Maestosa, offre elementi di eleganza nella sua attitudine a divenire l’apoteosi che esalta i residenti delle tenebre.


12 Epilogue


Questa volta tocca a voci maschili a concludere l’album, tra liquami elettronici e voci imbalsamate e spettrali. Sono vapori di addio, il saluto senza replica che chiude un disco di esordio semplicemente perfetto.


13 New World Ordeal (Smoke And Mirror Remix)


Questa versione offre ai Cult Strange la possibilità di tornare alle dinamiche dei Remix degli anni ’80, per giocare con l'alternanza degli strumenti,  per rendere il brano una piacevole lunga agonia.


14 Sages Of Djinn (War Engine Remix)


Il remix di Sages Of Djinn è un sudario, un calvario, un gioco mefistofelico di voci piene di echi, il drumming e il basso che lavorano duro e le chitarre che quando arrivano danno un senso diverso rispetto all’originale. I Killing Joke possono essere felici: dall'altra parte dell’oceano c’è chi, come loro, sa tagliare in due il cielo.


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
3 Marzo 2023





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