sabato 8 aprile 2023

La mia Recensione: Nick Cave & The Bad Seeds - The Boatman’s Call

 Nick Cave & The Bad Seeds - The Boatman’s Call


Nel mondo degli affetti, il bilancio è spesso una croce che vola come una piuma con la bava alla bocca, girovaga, ermetica, votata all’essenziale perdita di se stessa.

In tutto questo ogni fine dei rapporti diventa il chiavistello da utilizzare per correggere gli effetti. Nick Cave lo sa molto bene. Ha scritto un album per documentare un’analisi, per fermare il volo, per separarsi dal metodo tradizionale, perché quella volta il dolore ha preso una direzione portando sui suoi passi pietre di amianto. PJ Harvey aveva fatto provare all’autore australiano la frenesia errante dell’amore, quella che sbilancia verso la felicità, che non ci si può permettere quando si è abituati agli eccessi delle deviazioni. Solo, drammaticamente solo, solitario come nuova vocazione obbligatoria,  ha trovato nelle sue giornate domande senza speranze, libri svuotati di ogni senso, l’amicizia come ulteriore forma di disperazione. Il Pianoforte, il fratello siamese emerso al pubblico definitivamente con Murder Ballads, gli si è seduto sulle gambe, urlandogli di metterci il cuore, di fermare le stelle delle ispirazioni, di stracciare la progettualità artistica e di virare verso un nuovo abisso: il ricordo, la riflessione del non sapere come respirare senza la sua musa. Eccolo, nudo su una stalagmite di bronzo, guardare il precipizio del futuro e rivolgersi a un Dio con cui non aveva mai avuto il piacere di parlare: se stesso…

Quello ritenuto tale rimaneva ancora ancorato ai suoi dubbi, alla ritrosia che, da uomo intelligente, non voleva cancellare. Quindi? Il piano, nero, silente, buio, illuminato da quei tasti bianchi che come sirene dalla voce macchiata lo attendevano, si palesa completamente. I suoi semi cattivi se ne stavano in vacanza dal lavoro, dalla vita, Nick non si faceva vivo ma, intanto, canzoni come fiati spettinati uscivano dai suoi pensieri, un binocolo questa volta puntato verso il lato sinistro del suo cuore, tenendo le spine sui palmi dei pensieri. Lentamente, la forma degli sbagli, delle colpe, delle risate sfumate, degli atti d’amore divenuti ormai ricordi, prendevano un appendiabiti e si stendevano su quei tasti golosi, gelosi di quel talento che per una volta si sedeva pure lui a guardare.

Un album sulla disperazione? Certo che no: il peggio era ormai alle spalle, ma qualcosa di ancora più pericoloso visitava la sua mente ed era quello del pericolo della consapevolezza, che impedisce di sbagliare con quella leggerezza di cui lui si è sempre nutrito. Cosa c'era da capire, da vivere, cosa non era consentito fare? Dove direzionarsi? Aveva ancora senso scrivere per scrivere? Le api sono animali strani quando vivono all’interno di una casetta fragile come sa essere la mente e Nick lo sa: dato del tu alla difficoltà delle idee non chiare, quei tasti si sono visti raggiungere da parole così intime come mai era accaduto prima. Non autoanalisi bensì un seminare verità e slanci passionali, con storie questa volta legate alla sfera personale, alla separazione, al sogno spezzato di una stagione storta. 

Inutile aggiungere che non serve capire cosa gli sia accaduto, ma verificare il  motivo che lo ha spinto a elaborare pubblicamente il suo tormento. Non più vomito artistico, quanto piuttosto una coperta di raso sulla sua pelle chiara.

Dodici rappresaglie con la vestaglia, il caffè nero, forse bollente, a scaldare il suo battito venereo, e poi via, a consumare il tempo con la sua avvelenata pergamena, la Sacra Bibbia che improvvisamente torna utile…

Vicino alla metodica così cara al suo Maestro Leonard Cohen, la scrittura si è fatta ossuta, cianotica, scarna nelle intenzioni, un operare sotto controllo: a lui interessava il cammino e non la direzione di quelle forme musicali, così vicine al blues come non mai, non elettrico, non acustico, ma soprattutto umorale. La nuvola tossica questa volta non era utile, nemmeno presente, nel suo silenzio era stabile e in attesa un magico incontro: occorreva solo che lui si sintonizzasse con quella parte della vita che aveva sempre rifiutato. Divenne un marinaio, un traghettatore del dolore, un impiegato comunale di quella circostanza che tutti sperimentano: il divorzio dal piacere.

A un'attenta analisi dei brani si fa evidente che l’intimità esibita è stata un sacrificio, una luce esplosa dentro di lui e arrivata all’ascoltatore, quasi ignaro, quasi claudicante perché privo della verità assoluta. Si parte da tale aspetto per capire la portata di questo album, un fiume che danza lento dentro un lago, con il respiro affannato e gli occhi appannati. I ricordi, le proiezioni, i ponti sospesi nella sua mente dalle ciglia abbassate, si ammassano, imprimono una scelta e un ritmo e più che altro una necessità: lasciare i Bad Seeds quasi totalmente disoccupati e giustamente infelici. Servivano come può servire un bastoncino sulle gobbe dell’onda di un ruscello: quasi a  niente, se non a rendere felici gli occhi di un bambino…

Qui, però, nasce il capolavoro della band: fare da assistenti e non più da manovali, conduttori e condottieri del silenzio di cui Nick aveva bisogno. Ci vuole coraggio a suonare poco.

E Cave cosa ha fatto di così geniale in The Boatman’s Call? Quello che mai si poteva pensare, che mai si era udito prima: ha incominciato a scrivere il cuore nelle notti, non furtivamente, non nascostamente, ma con tutta la sua cosciente e disturbata struttura mentale, per farla cadere sulle gambe del suo fratello gemello. Storie spettinate, roventi e senza bilancia, dove il ritmo si alza solo in un paio di brani, in quanto l’involucro era composto da raggi di tuono con la febbre alta, ma senza arrivare al caos, di cui i Bad Seeds hanno sempre sperato di cibarsi. Gli Stati Uniti vengono presi d’assalto, lentamente, come un ossimoro sbandato in cerca di se stesso, riuscendo a consegnare al cantante una ipotesi strutturale nella quale l’armonica, il violino, il basso, la fisarmonica potessero conoscere la danza dell’alternanza, visitando il Dark Folk Noir, quello meno tribale e più dotato di dolcezza. Un album votato a quest’ultima, perché sono i bambini a insegnarci che dopo un temporale la paura cessa di esistere e occorre aprirsi in un sorriso. Ascoltato ancora oggi, questo lavoro è un sospiro dopo un infarto: apprezzato, desiderato e proprio per questo non strutturato per essere inteso. È un valzer con il freno a mano, un camminare sulla schiena di un asino sulle montagne Peruviane, circondato dai grandi panorami dove la solitudine tiene sempre la luce accesa. Un esempio di come la tristezza possa concedere ballads senza colpe, un girovagare continuo di accordi minori con il basso che sembra essere una batteria pigra ma decisa e le spazzole che agiscono per rendere il ritmo una carezza grigia. La chitarra acustica e quella elettrica si sono imbottite di sonniferi, esalando ultimi respiri pieni di pathos, seppure brevi, ma è così che si fa quando le cose vanno male: si deve essere prudenti. Mari e oceani e monti di accortezza sono il baricentro di questa opera straordinaria, che, se ai più sembra soporifera, è perché quelle persone non conoscono il disarmo, la confusione più profonda. Nick ha esaltato invece questo aspetto e l’ha gettato verso il centro di un cielo dove, esattamente come nel suo, un cuore aperto aspettava un suo abbraccio…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

9 Aprile 2023


https://open.spotify.com/album/4Gp9Ls1UqkrQRrTTxhvs6A?si=wYcMovwiQm6be3FFoizNHQ





La mia Recensione: Julian Cope - Peggy Suicide

Julian Cope - Peggy Suicide


Leggende e miracoli prendono corpo all’interno di una raccolta agitata e folta, nel laboratorio mentale di un’anima in contatto con spiriti che aleggiano sulla città resa nota dai Beatles. Il protagonista di questo lavoro è un luogo magico dove tutto accade, all’interno di una nube acida, un quantitativo notevole di droghe ingerite per portare i pensieri verso atmosfere in attesa, dal fare folk nello stile, estremamente Hardcore per quanto concerne la durezza di testi che non guardano in faccia a nessuno. La penna di Julian diventa poetica nell’intenzione, per scrivere sbilenche storie d’amore, nelle quali tutto capitola verso la disperazione e la confusione. Un album nel quale il ritmo e la ricerca melodica si spostano, rispetto ai logori e finiti Teardrop Explodes, verso un piano nel quale la psichedelia e il rock più educato trovano un bacino espressivo che possa contenere quella dolcezza che mai prima poteva essere attribuita a questo cervello dalle piume piene di raggi stralunati. Julian, attraverso parole scritte sulla pietra riscaldata da un generoso sole nordico, riesce a vestire i panni del druido disonesto e confuso, lasciando nelle canzoni tracce del suo malessere, insieme alla sensazione che tutto viva di uno stato febbrile, spossando il compositore, ma mettendolo in condizione di scavare nel suo intimo.

Le soluzioni sono molte: si spazia per necessità, in quanto nulla di questo album assomiglia a un progetto, bensì a una collezione di impeti educati dal suo stile unico, riconoscibile per il modo in cui la voce recita, interpreta i testi come se il palco del teatro su cui mostra il corpo fosse improvvisamente illuminato da note molto distanti tra loro. 

Sceglie accuratamente le erbe da mettere nel pentolone, fa cuocere tutto per il tempo necessario per poterle sbucciare e ciò che incide e ci concede di ascoltare è il frutto di un percorso che rifiuta di essere catartico bensì un continuo segreto, per poter essere  un geroglifico di antica provenienza. Gioca con il tempo, per una profonda allucinazione, ed è proprio il folk inglese degli anni Cinquanta che gli consente di avvicinarsi al genio consumato dagli acidi che aveva creato i Pink Floyd… 

È proprio Syd Barret che pare il suggeritore di Promise Land, il punto di non ritorno dell’album: da quel momento le canzoni successive si vestiranno di un processo metabolico incomprensibile, ma in grado di illuminare il cielo delle nostre fantasie. Avanzano strati di polvere sulle chitarre, le melodie si fanno più vicine alla West Coast Americana degli anni Settanta, gli assoli arrivano, come arrivano melodie che fanno sudare gli occhi di emozioni senza freni. Si piange, si contano battiti illuminati da assoli, da richiami della foresta, si assiste all’uccisione della canzone Pop che spesso, invece, aveva attirato Cope già in passato. Gli strumenti sembrano trovare una linea, un confine che si ingrassa di un rock lento, elevando la capacità dell’autore di concedersi a un crooning quasi trascinato.

Numerose le tappe, i cambi, per riuscire a rendere il tutto verosimilmente come il suo monte spirituale: non è un caso che è proprio dall’album successivo che Julian smarrirà la capacità di creare opere piene di rivisitazioni, di riferimenti, di traversie continue alla ricerca di un niente di cui cantare…

A morire non è Peggy ma il desiderio contorto, l’eccesso di dolore che annulla la quotidianità. Cope è tremendo: incendia e ferisce con stile tutto ciò che funziona, per ricomporre dalle ceneri brandelli di lucidità, per portare allo schianto una città che non ama la periferia. Ma è lì che ambienta queste storie, per accendere falò pieni di brividi, spegnere la luce della gioia e dipingere allegrie con la faccia liscia: non illudetevi, è solo un inganno, perché a lui piace dare alla sua chitarra il ruolo di condottiero, tutto sale su quel manico e il circostante diventa lo schiavo di turno per regalare una effimera gioia. 

Questo lavoro è un trattato di follia che si scioglie all’ascolto: lui ci sfida all'innamoramento, alla esaltazione, ma ogni singolo lato dei vinili è una guerra andata a male, in cui l’entusiasmo apparente in realtà è una scusa per poter affogare il suo delirio. Si può collocare questo album tra quelli che non è facile maneggiare, vuoi per le condizioni precarie di trame che non riescono a svilupparsi garantendo la continuità, vuoi per l’eccessivo ermetismo dei testi. È però questa la ragione per la quale può essere portato serenamente su un’isola deserta: pieno di imprevisti, di scosse elettriche, di brezze primaverili, non si assume la responsabilità di essere credibile generando una libertà pazzesca e incontenibile. Senza tempo, senza precise definizioni sullo stile, ci pare evidente che siamo per la prima volta dentro il luna park inquieto di un recipiente che cammina, sa far vedere, ma non trattiene nessun desiderio, come se fosse un poderoso vomito artistico senza alcun senso. 

Individuato il suo nonsense, la sua sfuggevolezza, il suo disincanto, non ci resta che trovare una ragione all’interno di questa matrioska sotto i colpi del vento: ogni personaggio di Peggy Suicide ha la vita breve ed è piena di pendii. Non è difficile immaginare che diverse parti di noi potrebbero trovarsi direttamente a contatto con la disumana abbondanza di menti barcollanti, ma se questo lavoro sta conoscendo la vita eterna è proprio per questo motivo. 

Lampi di Art-Folk, di Art-Rock, di magnetica psichedelia col combustibile tiepido giungono all’interno di questi solchi che hanno decretato il suo genio, compreso dai folli ed evitato da coloro che si tirano fuori, per generare, alla fine dell’ascolto, una percezione estrema: il druido è riuscito a drogarci e ora quelle erbe aromatizzate rimarranno per molto all’interno del nostro stupore… 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

9 Aprile 2023


https://open.spotify.com/album/556FTYkC3q0gRnMa2fXQsO?si=z9cvzFg9QmW8qKBDrYBb0Q








 

My Review: HEIMBERG - Endless Lies

HEIMBERG - Endless Lies


Third release for the Strasbourg band, increasingly interested in dilating light and encompassing it in a desolate, mysterious place of enchanting inclination towards a semi-urban decadence. This time, a solo track, but majestic, excruciating, with the guitar thanking the Cure, delivering a Post-Punk of British origin, but capable of preserving that nature that the French country defends to the sword. Coldwave presents itself as a subtle chill on the skin, leaving its neighbour Darkwave to close a heart-warming gothic circle. A circle of melancholy tightens the breath, it may be the guitars glued to long and magnetic notes, it may be the bass that knocks at death's door, but this song knows how to become a nail in the head, where the loneliness that will burn inside us will bleed...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8th April 2023


https://heimberg.bandcamp.com/track/endless-lies







La mia Recensione: HEIMBERG - Endless Lies

 HEIMBERG - Endless Lies


Terza pubblicazione per la band di Strasburgo, sempre più interessata a dilatare la luce e inglobarla in un luogo desolato, misterioso, di incantevole propensione verso una decadenza semi-urlante. Questa volta un brano solo, ma maestoso, lancinante, con la chitarra che ringrazia i Cure, consegnandoci un Post-Punk di origine britannica, ma capace di conservare quella natura che il paese Francese difende a spada tratta. La Coldwave si presenta come un brivido sottile sulla pelle, lasciando alla vicina di casa Darkwave il compito di chiudere un cerchio gotico che scalda i cuori. Un circolo di melanconia stringe il fiato, saranno le chitarre incollate a note lunghe e magnetiche, sarà per il basso che bussa alle porte della morte, ma questa canzone sa divenire un chiodo nella testa, dove a sanguinare è la solitudine che brucerà dentro di noi…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
8 Aprile 2023








My Review: This Moment - Recuerdame EP

 This Moment - Recuerdame EP


Abandonment has a positive meaning, not just a negative one, and when you experience it while listening to an album, time seems like a friend, a brother, an unexpected and unpredictable thank you. This can happen in the middle of a winter afternoon, you find yourself with songs built to make entertainment something serious, to send important messages to the mind to be encrypted. Peruvians This Moment have found a way to make their music sound like a new entity that knows how to move the hands of the clock expertly, delivering nourishing quality. The hypnotic vocals, the obliging electronic scaffolding to operate the centrifuge of legs devoted to gothic dance, give the project a polished and resistant appearance, in which the tracks of industrious and eager synths weld the void to align with the smile of the night, macabre but energetic.

These tracks are flows, images, and you don't need all the diopters to see the love for a world that forty years ago would have decreed them Lords of Dark Synth.

But that's OK: you have a privilege at your disposal, where the real chaos is the irresistible will to turn off time, forever, dancing...


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
8th April 2023






La mia Recensione: This Moment - Recuerdame EP

 This Moment - Recuerdame EP


L’abbandono ha una accezione positiva, non solo negativa, e quando lo si vive nell’ascolto di un album il tempo pare un amico, un fratello, un Grazie imprevisto e non prevedibile. Questo può capitare nel bel mezzo di un pomeriggio invernale, ti ritrovi con canzoni costruite per fare dello svago qualcosa di serio, per inoltrare alla mente messaggi importanti da criptare. I Peruviani This Moment hanno trovato la modalità di far sembrare la loro musica una nuova entità che sa come spostare le lancette dell’orologio sapientemente, regalando qualità nutriente. L’ipnotica voce, le impalcature elettroniche servizievoli per adoperare la centrifuga di gambe votate alla danza gotica, conferiscono al progetto un aspetto curato e resistente, nel quale le tracce di synth operosi e vogliosi saldano il vuoto per allinearsi al sorriso della notte, macabra ma energica.

Sono flussi questi brani, immagini, e non occorrono tutte le diottrie per vedere l’amore verso un mondo che quarant’anni fa li avrebbe decretati Signori del  Synth cupo.

Ma va bene così: avete a disposizione un privilegio, dove il vero caos è dato dall’irresistibile volontà di spegnere il tempo, per sempre, danzando…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8 Aprile 2023


https://darkgraveprod.bandcamp.com/album/recuerdame-ep








My Review: My Own Burial - Breathing Sorrow

My Own Burial - Breathing Sorrow


Shopping list: one kilo of Uruguay and one kilo of Catalonia.

Now go to the kitchen and watch this delicious food rise, kneaded with love and care by this band that knows how to gravitate in the itchy curves of fear and run wild inside the trembling mind. A record that is a summa, a health certificate of the variations and possibilities that today's gothic scene needs more than ever. Electronics, in just the right doses, act as a glue to Post-Punk and Darkwave textures, with the feeling that Deathrock is a spectator with a great desire to participate and flourish those transistors as well. The result is a shake of passion cadenced by obsessive rhythms and surrounded by melodies full of happy skeletons. Credit to the band for keeping the love for this kind of music meaningful, because the eleven songs demonstrate qualities that have become rare...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8th April 2023


https://myownburial.bandcamp.com/album/breathing-sorrow







La mia Recensione: Midas Fall - Cold Waves Divide Us

  Midas Fall - Cold Waves Divide Us La corsia dell’eleganza ha nei sogni uno spazio ragguardevole, un pullulare di frammenti integri che app...