mercoledì 11 gennaio 2023

My Review: Graal - Angelfell

 Graal - Angelfell


From Ohio we get electricity so we can see the rubbish, gravestones talking to worms and other foolishness: there are no silly things, let alone light things, in this amazing album, in which shreds of the Middle Ages have endured and relied on a modern pessimistic feeling, between romance with a broken smile and Gothic Rock as an official controlling the souls of a troubled world.

This is a work that is to be blessed and held in our heart: if there are cracks he will show you his beautiful ones, in a game of pain that will appear completely compact. We have to befriend it, the atmospheres are charged with glacial propensities towards the North Pole, albeit without Coldwave elements, but it is really cold in these grooves: fear, despair, loneliness make it a black enchantment that will fly, low, into our craters.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

12th January 2023

https://graalofficial.bandcamp.com/album/angelfell







La mia Recensione: Graal - Angelfell

Graal - Angelfell


Dall’Ohio ci arriva la corrente elettrica per poter vedere i rifiuti, le lapidi che parlano con i vermi e altre sciocchezze: non ci sono cose stupide e tantomeno leggere in questo strepitoso album, nel quale brandelli di medioevo hanno resistito e si sono affidati a un sentimento pessimista moderno, tra il romanticismo con il sorriso spezzato e il Gothic Rock come ufficiale che controlla gli animi di un mondo agitato.

Lavoro che è da benedire e da tenere nel cuore: se ci sono delle crepe lui vi mostrerà le sue, bellissime, in un gioco del dolore che renderà il tutto compatto. Da farselo amico, le atmosfere sono cariche di glaciali propensioni verso il polo nord seppur privo di elementi Coldwave, ma fa davvero freddo in questi solchi: la paura, la disperazione, la solitudine lo fanno divenire un incanto nero che volerà, basso, nei nostri crateri.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

12 Gennaio 2023

https://graalofficial.bandcamp.com/album/angelfell



martedì 10 gennaio 2023

La mia Recensione: ⱯRINA - if u could die

 ⱯRINA - if u could die 


Estasi. Sprofondamento. Stupore. Eclissi di ragione. Estromesso. Sbattuto sul ghiaccio sospeso.

Questa è la storia vera del vecchio scriba alla fine dell’ascolto di questa canzone, raggio cosmico fuori rotta, fuori luogo, fuori tempo, indiscutibilmente veicolo di smarrimento e voglia di piangere tonnellate di liquidi. L’adolescenza muore ora, le finestre della coscienza cadono e lasciano le note qui presenti a fare danni: inutile contarli, non finiscono, continuano anche con il play in pausa. Non si può gridare quando le composizioni mettono pancia sulla mente, schiacciando il cranio giù, per terra, e poi si schiantano. La musica è una alabarda circolare, con il ritmo che avanza, si ferma, sempre percuote, allucinata e tenebrosa, spesso in grado di capire che l’ascoltatore vorrebbe fuggire da essa: il mistero può essere la morte con la sua trappola in anticipo. È una collana gotica di brillanti trip hop piena di una parure di diamanti che tintinnano sadicamente. Chitarra Darkwave bastarda, fintamente dolce, che aspetta la battaglia che verrà, e poi il grigiore di effetti elettronici e inevitabilmente la voce, la strega resuscitata che dal loculo intraprende il suo percorso  lastricato di vendetta: non poteva rimanere imprigionata. Poi accade che si finisce con il non essere più in grado di qualsiasi coscienza, si diventa chilogrammi di acido sulfureo tra le pareti di un soffocamento. Il cielo guarda questa voce disumana e scappa. Non si tratta di estensione, di modalità, bensì di quello che pulsa al suo interno, intenta a divenire una mossa strategica per il nostro destino: lei vivrà nella nostra memoria e ci dimenticherà, ci abbandonerà per andare a commettere altre stragi altrove. Sicuramente si sposta dal nostro apparato uditivo per emigrare, senza soste, nelle nostre vene che saranno contente di farle conoscere le nostre cavità. È certo che moriremo con lei: una volta che si è stregati, il soggetto in questione sarà una montagna continuamente in discesa, lo shock a cui non c’è rimedio. La musica, tuoni in marcia robotica, estende la sua chiesa sulla quale ARINA ride con il sangue nell’ugola.

Come in una ipnosi tribale, la canzone illumina i generi musicali, li ammassa, rovista tra essi e li conquista, in un turbinio emotivo che seduce. 

Qualcosa di straordinario accade in questo brano, a causa di un recital di suoni, una storia rimane piacevolmente confusa e riesce ad avvinghiare e a far gridare al miracolo: se anche questo potesse morire forse crollerebbe questo piacevole malessere….


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford 

11 Gennaio 2023

https://paynayloron.bandcamp.com/album/through-the-glass



My Review: ⱯRINA - if u could die

 ⱯRINA - if u could die 


Ecstasy. Sinking. Astonishment. Eclipse of reason. Ousted. Thrown onto suspended ice.

This is the true story of the old scribe at the end of listening to this song, a cosmic ray off its course, out of place, out of time, indisputably a vehicle of bewilderment and desire to cry tons of liquid. Adolescence dies now, the windows of consciousness fall and leave the notes present here to do damage: it is useless to count them, they do not end, they continue even with the play in pause. One cannot cry out when the compositions make the mind swell, crushing the skull down, on the ground, and then they crash. The music is a circular halberd, with rhythm that advances, pauses, always beating, hallucinated and gloomy, often able to understand that the listener would like to escape from it: the mystery may be death with its trap in advance. It is a gothic necklace of trip hop brilliance filled with a parure of sadistically clinking diamonds. A Darkwave bastard guitar, falsely sweet, waiting for the battle to come, and then the greyness of electronic effects and inevitably the voice, the resurrected witch who from the burial recess embarks on its path paved with vengeance: it could not remain imprisoned. Then it happens that one ends up no longer being capable of any consciousness, one becomes kilograms of sulphurous acid within the walls of a suffocation. The sky looks at this inhuman voice and runs away. It is not a question of extension, of mode, but rather of what pulses within it, intent on becoming a strategic move for our destiny: it will live in our memory and forget us, it will abandon us to go and commit more massacres elsewhere. It is certain that it will move from our auditory apparatus to migrate, without interruption, into our veins that will be happy to let it know our cavities. We will surely die with it: once bewitched, the subject in question will be a continually descending mountain, the shock for which there is no remedy. The music, thundering in a robotic march, extends its church over which ARINA laughs with blood in her uvula.

As in a tribal hypnosis, the song illuminates musical genres, piles them up, rummages among them and conquers them, in an emotional whirlwind that seduces us. 

Something extraordinary happens in this track, due to a recital of sounds, a story remains pleasantly confused and manages to captivate and make one hail as a miracle: if even the latter could die, perhaps this pleasant malaise would collapse....


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford 

11th January 2023


https://paynayloron.bandcamp.com/album/through-the-glass



La mia Recensione: UV POP - Sound of Silence

 UV POP - Sound of Silence


La tristezza, madre e figlia di quello che è reale e indiscutibile minimo comun denominatore degli eventi terrestri, alberga come Dea con lo scettro stretto, dentro tutti: le eccezioni sono falsità a prescindere.

In questo panorama che lascia al sorriso una ipotesi suicida, arriva un album bilingue: da una parte la modalità descrittiva, appunto, della tristezza, dall’altro quella di un volo subacqueo in cerca di luce ingannevole, utilizzando musica che non sia troppo precipitosa.

John K. White è un folletto romantico, abita i cassetti dei sogni delle anime silenziose, lo fa da quarant’anni, musicalmente parlando, ed è tornato proprio per celebrare il quarantennale della nascita della sua band con geometriche esposizioni concettuali all’insegna di un umore tendente al malinconico: il dna non mente mai. Il tempo scorre per marcare i passi stantii e i respiri incerti, ma John riesce a rendere ogni cosa visibile con le note musicali, come una magia a cielo aperto, a cui solo lui ha accesso per verificare il tutto. Ed è ironico il fatto che lui sia un essere umano che vive a luci spente nel sistema musicale, ma che sappia illuminare meglio di chiunque altro queste scoscese e impervie sollecitazioni emotive e comportamentali. Un alieno, forse, potrebbe fare lo stesso. Bravissimo però a sistemare qua e là vertigini di colori per non assembrare tutto verso il piombo che mostrerebbe poteri devastanti. Allora si possono constatare matrimoni stilistici eccelsi, per una tavolozza dove i colori si affacciano con carattere. Il Post-punk e l’elettronica diventano conviventi, stabilendo contratti e sogni per un divenire che dura per sessantuno splendidi minuti.

Scatteranno, come sempre gli è capitato, paragoni con la sua voce che sembrerebbe essere figlia di quella di David Bowie. Il vecchio scriba, tuttavia, non perde tempo con queste sciocchezze e, come un sacerdote sordo davanti ai suoi fedeli, prosegue integerrimo verso i birilli, le lastre, le lande, i sensi, i riflessi di canzoni che sono un manto spettacolare, il risultato di alchimie davanti a uno specchio: gran parte di questo lavoro potrebbe appartenere a ognuno di noi, ma alla fine lo specchio si scioglie dentro la sua anima, lasciandoci favorevolmente poveri. 

I ritmi sono quasi sempre lenti, ma molto sembra correre, in questa slavina emotiva, dove le pendenze vengono percorse solo apparentemente in salita. Le atmosfere sono spesso rarefatte attraverso i giochi di prestigio tra le chitarre e un synth a cui basta a volte un solo dito e una sola nota per fare di noi degli schiavi inebetiti, per rendere il tutto una fragorosa risultanza di benefici da intendere: nulla deve negare il mistero, padre e padrone di queste tracce sublimi. La poesia non è appannaggio solo dei poeti: appartiene soprattutto al sole e alla luna, alla volta celeste che John ridipinge con alcune varianti. Si pratica la confidenza ma non è possibile provare amicizia per queste composizioni: rimane impressa, traccia dopo traccia, una sola possibilità di manovra che si definisce in sguardi ammirati e devoti.

Quando si ascolta questo album, scattano in piedi i ricordi di un tempo nel quale la musica era raffinata esposizione del desiderio di ripetere quella esperienza, di essere circondati dall’obliquo desiderio di abbandonarsi al silenzio. A una band che ha avuto a che fare con i mastodontici In The Nursery, con la Sacerdotessa dello sbando comportamentale Nico, con i devastanti Cabaret Voltaire, nulla può impedire di attraversare generi e umori che sono elastici di una fisica estensione verso una follia non caotica ma programmata allo stile più puro. 

Soluzioni tecniche sempre verso nessun compromesso nei confronti di situazioni storiche della scena Post-punk conducono come conseguenza a nasconderlo, per favorire giochi di atmosfere con un grigio Gainsboro che seduce e riduce il desiderio di altre modalità espressive: bastano e avanzano quelle che l’uomo dello Yorkshire del sud ha deciso di rendere indelebili, valide, senza necessitare di niente altro. 

Non perdiamo tempo, passiamo a toccare questi raggi lunari, come segno di un destino che ci regalerà magnificenze ordinate e capaci di fare dell’ascolto una tavola bandita di cibo che presenta gusti e profumi per rendere l’autunno divino e perfetto…




Song by Song


1 - No Songs Tomorrow


Il brano di apertura è un fascio acustico/elettronico con un cantato decadente che supporta un piano sonoro nebuloso, che dà perfettamente spazio alle inclinazioni di John.


2 - Portrait (Extended)


Richiami Gothic Rock ma dalla pelle ricoperta di squame Darkwave, con la voce che si avvicina a schemi di cui un altro John, Fox, fu Maestro. Rimane la chitarra semiacustica a tracciare la melodia, ma le suggestioni entrano prepotentemente nella zona buia, conferendo all’atmosfera un perfetto ponte con le soluzioni Post-punk inglesi dei primi anni ’80.


3 - Some Win This


Ed è notte, artigli piegati che chinano la testa: la voce prende il comando, cori efficaci trascinano, i Death In June appaiono quasi nascosti, ma poi tracce di Adrian Borland risultano visibili e si cade nella trappola della bellezza oscena…


4 - See You


Ecco la Divina, una delle tante, che mostra la sua semplicità nell’essere liquido in espansione, per manifestare la propria nervatura colma di tensione. Si rimane connessi a due chitarre, opposte, una ritmica e una che scava nella pietra. Finendo per stabilire l’intesa con una volontà di sedurre con pochi elementi ma ripetuti, sino all’ossessione. Ed è annessione alla terra degli UV POP.


5 - I.C.


Le cose cambiano, si entra nel lato Post-punk che richiede attenzione perché impuro, assediato da un’anima Neofolk che vuole partecipare alla festa triste in atto. Un ibrido funzionante e capace di crescere con uno scatto magnifico dato dalla chitarra elettrica che lentamente sale sulla cattedra e vomita tensioni assortite.


6 - Psalm


Nulla vale se non ha capacità di attraccare all’emozione: eccoci con una perla che oscilla tra diademi elettronici e cospirazioni religiose a trasportare il tutto verso una intenzione psichedelica senza averne i connotati musicali. Straripante e dotata di seduzione lenta.


7 - Sleep Don’t Talk


Delirio, estasi, liberazione, salto verticale dentro i Cabaret Voltaire con il vestito autunnale, per questa sciabolata isterica che vi avvolgerà senza esitazione. 


8 - Commitment 


Il cerchio del dolore trova schianti elettronici e vampiri assetati di mistero: come prendere i semi malati dell’elettronica inglese della metà degli anni ’70 e renderli fedeli a un basso che tramortisce senza sconti.


9 - Arcade Fun


I Wall of Voodoo che piangono insieme ai Death in June di Heaven Street: ed è incanto trucido e perverso. La chitarra, isterica e ferita, si porta dietro la voce di John, per un insieme di piume bagnate dalla perfezione.


10 - Hafunkkiddies


Una corda si aggira tra la tastiera sanguigna: ed è rapimento, rifugio delle anime stordite, un esempio di come la chitarra che accenna a rovistare tra i sentimenti sia capace di lasciare i propri graffi. Una processione nervosa che cresce, gli strumenti si aggiungono e inondano gli altri, e si è storditi da un impianto sonoro così vicino al cabaret elettronico.


11 - Four Minute Warning


Dai ai Kraftwerk una zona mentale su cui stravolgere gli eventi, fai conoscere loro gli UV POP e sarà un grappolo tossico di incandescenti propulsioni elettroniche, dalla bava colante…


12 - Superstition (Bonus Track)


Lo scriba è contrario alle bonus track, ma qui vale la pena compiere una eccezione. Si inizia con questa bolla magnetica, con intarsi di sax su un crooning dalla grande sensualità, in un incastro che unisce decadi e attitudini di assenza della forma canzone per poter fare della sperimentazione una frustata necessaria. 


13 - Hafunkkiddies (Original Version)


Pare lontana parente della canzone numero dieci dell’album, eppure capace di rivelare le possibilità, gli squarci, le evoluzioni sonore che rendono questa band estremamente importante. E il terremoto del basso unisce la chitarra verso i Bauhaus più magnetici.


14 - Amsterdam (Bonus Track)


Si lascia sempre alla fine la chicca che inchioda l’anima. Tornano gli Ultravox di John Fox nello stile del cantato di John K. White, e questa semi-ballad è la tragedia che scende per rendere muti i pensieri e miti i satelliti evocativi. Chiosa meravigliosa, la perfezione raggiunta ci fa riprendere l’ascolto, come atto di infedeltà alla concretezza unita alla bellezza…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10 Gennaio 2023

https://uvpop.bandcamp.com/album/sound-of-silence

https://open.spotify.com/album/513qLLdVABTQMmh2S3KdY4?si=hqeULFqBQLC-BtF7l2PCQQ




La mia Recensione: Linebeck - karoshi (Over a dream)

 Linebeck - karoshi (Over a dream)


È indubbio che la musica sia un mappamondo di storie e fascinazioni che incontrano stati emotivi e complicanze che generano flussi coscienti e incoscienti di impatto.

In una zona fertile come quella dell’Ontario vive una band di portatori di spensieratezza che si chiama Linebeck, menestrelli e pittori di storie che, in questo luminescente esempio dal titolo karoshi (Over a dream), ci portano la realtà, con le sue intemperie, il peso del lavoro, il tempo che si fatica a gestire e l’inarrestabile volontà di non fermarsi mai. Per farlo scelgono una poesia leggera da trascrivere in note musicali che vola tra le pareti e ci fa danzare, con l’impressione che la band di Filadelfia A Sunny Day in Glasgow si sia mostrata tra le molte a benedire il quartetto canadese. Ma soprattutto incanta questa frenesia agrodolce, tra il testo che conduce a riflessioni importanti e il bacio di una musica davvero accattivante.

Sin dall’introduzione con chitarre pizzicanti e un bel connubio tra il basso vertiginoso e il drumming con inclinazioni Indie, e la tastiera a farci divenire ali di un sogno in volo, sorprende una piccola spruzzata Shoegaze a rendere ancora più seducente l’ascolto. Non ci resta che attendere un album: la premessa è ottima.

Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10 Gennaio 2023

https://linebeck.bandcamp.com/album/karoshi-over-a-dream





My review: Linebeck - karoshi (Over a dream)

Linebeck - karoshi (Over a dream)


There is no doubt that music is a globe of stories and feelings that meet emotional states and complications that generate conscious and unconscious streams of impact.

In a fertile area like Ontario lives a band of bearers of lightheartedness called Linebeck, minstrels and painters of stories who, in this luminescent example entitled karoshi (Over a dream), bring us reality, with its bad weather, the weight of work, the time that one struggles to manage and the unstoppable will to never stop. To do so, they choose a light poetry to transcribe into musical notes that fly through the walls and make us dance, with the impression that the band from Philadelphia A Sunny Day in Glasgow was among the many that blessed the Canadian quartet. But above all, this bittersweet frenzy enchants, between the lyrics that lead to important reflections and the kiss of truly captivating music.

Right from the introduction with tingling guitars and a nice combination of dizzying bass and drumming with Indie inclinations, and the keyboards to make us become wings of a flying dream, there is a little shoegaze sprinkle that makes the listening even more seductive. We just have to wait for the album: the premise is excellent.

Alex Dematteis

Musicshckworld

Salford

10th January 2023

https://linebeck.bandcamp.com/album/karoshi-over-a-dream




La mia Recensione: Midas Fall - Cold Waves Divide Us

  Midas Fall - Cold Waves Divide Us La corsia dell’eleganza ha nei sogni uno spazio ragguardevole, un pullulare di frammenti integri che app...