martedì 19 marzo 2024

La mia Recensione: Swirlpool - Distant Echoes

 




Swirlpool - Distant Echoes


È giunto il tempo della coniugazione, della memoria che attiva i suoi canali pregni di intelligenza e rispetto per poter sondare il passato e dargli nuove possibilità per un futuro più consapevole. 

Lo si fa attraverso una band tedesca, la sua passione per lo Shoegaze, addentrandosi magicamente nel fiume dei riverberi, dei sentimenti che scuotono l’anima dell’ascoltatore, che si ritrova immerso tra candelabri, ombre, venti, magie sospese, tra il bianco e nero e lo sfumato, tra addensamenti sonici e struggenti melodie, dove la malinconia timbra il passaporto per portare queste canzoni sul palco dell’emozione più complessa e robusta che si possa desiderare. 

Nel meticoloso setaccio che vede concentrato questo genere musicale nei suoi (almeno qui) trentaquattro anni di vita, tutto appare sintetizzato alla perfezione per poi dare un colpo di coda e caricare a bordo nuove pulsazioni, nuovi atteggiamenti, nuove inclinazioni, al fine di conferire a questo vivaio di incandescenze controllate un trono: sarebbe importante che gli venisse riconosciuto, in quanto Distant Echoes è uno di quei lavori che fanno la storia. Al suo interno i cliché vengono esaltati, attraverso la metodica dello studio, per poi sviluppare un moto necessario di nuove stelle. Un atteggiamento che esplora, quasi segretamente, i territori di caccia del post-rock meno conosciuto, iniettando semi di indie-rock sottile, quasi mistico. Il tutto produce un insieme di poesie che regalano chitarre come magneti, il basso morbido ma in grado di sostenere l’intero apparato sonoro, e un drumming che traccia melodie corpose, un vigile che lancia il suono e il ritmo nelle giuste direzioni. Si corre, si vola, si insegue il baricentro di un desiderio che non conosce calcoli: la professionalità di Thomas A. Fischer, Markus Kraus e di Christian Atzinger produce incantesimi, petali di margherite piene di ardore e capacità di esplorare la luce. Prediligono la forma canzone, ma è come se ogni parte delle loro composizioni avesse singoli progetti, per un puzzle di assoluta bellezza. Ogni momento è una bolla che si tuffa nell’arcobaleno di onde elettriche che sanno, sapientemente, coniugare la realtà e il sogno, facendoci toccare le note come un miracolo inatteso. Un album che sembra scritto per essere ascoltato in una mansarda, con qualche bicchiere di vino, dei dolci e un libro di psicologia: c’è vita da toccare in questi fiumi, ogni brano diventa un bastoncino che scivola nell’acqua di un concetto fatto di vibrazioni, tensioni e carezze, per scatenare riflessioni ed emozioni. Ci conduce a percepire con nitidezza uno strato proteiforme, causando adorazione e incredulità, nello scenario del caos subliminale dello shoegaze dipinto e non urlato, attraverso modalità prevalentemente preposte al giusto ritmo, con la predilezione dei cambi ritmo. Arpeggi dal cuore acceso, direzioni mai casuali verso una melodia che non si ritrova mai in solitudine, con un gioco di squadra che compatta la voce piena di riverbero con musiche gonfie di inventiva, per una creazione globale che impegna l’ascolto in una profonda attenzione. La produzione di Mark Gardener (Ride) conforta, stupisce, regalando l’ulteriore certezza che questo esordio sia nato per essere protetto con sapienza e intelligenza. Scorre, e lo fa benissimo, questo flusso magnetico di pennelli e seta, per avviluppare il cuore in un’estasi indiscutibile. 

Sin dall’inizio, con la canzone che dà il titolo all’album, abbiamo la maestosità e la timidezza, per un combo che consegna alle chitarre e al drumming lo scettro e in cui il post-rock abbraccia lo shoegaze più semplice da ascoltare, in un tripudio di intensità e calore. In Caught In A Dream la band dimostra come melodia e potenza possano essere un duo invincibile, con il cantato che pare una giornata di pioggia senza sorrisi, mentre la tastiera dipinge possibili arcobaleni e le chitarre si alternano tra schemi Dream Pop e Shoegaze. Quando arriva Paranoia realizziamo dove sia collocato lo stile portato sul palco del cielo dagli Slowdive: è una processione cupa che non rinuncia alla dolcezza con chitarre che guardano i Cure di Wish mostrare le rughe. Immensa. La conclusiva Drowned Voices è un addio quasi mistico, immersa nella sua lentezza che ipnotizza, affascina e mostra il futuro di questo genere musicale: è uno sfiorare l’intensità di un suono che viene mostrato con pudore, come se nulla dovesse essere ostentato ed è in questo frangente che il gruppo sfodera soluzioni con pazienza e ricerca. L’intero palcoscenico sonoro merita uno studio preciso: non sarà l’album più amato del 2024, ma sicuramente tra quelli che sapranno dimostrare che sono gli studenti a insegnare al mondo che c’è ancora tanto da conoscere…

Prodigioso il fatto che, mentre le vibranti forme artistiche esibiscono la loro struttura, tutto sembra farsi evanescente: non si può controllare la bellezza di questa carrellata pelvica di equilibri, si può solo “subirne” il fascino, in una giostra di suoni in continua ascesa. E lo sporco di chitarre ammaestrate alle contorsioni produce un insospettabile senso di pulizia: quando le diapositive sonore lavano l’anima e ci si sente più leggeri…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Marzo 2024


L'album uscirà il 22 Marzo 2024


https://swirlpoolmusic.bandcamp.com/album/distant-echoes


domenica 10 marzo 2024

My Review: Jo Beth Young - Broken Spells


 Jo Beth Young - Broken Spells


"Not knowing when dawn will come, I leave every door open."

Emily Dickinson


A silent gathering drives the music: from that practised by all escapes this higher order that is organised by a celestial troop, to make it much more than an emotional event.

In this restricted organisation, the one written, composed and sung by JBY is certainly the spearhead, the clear representation that there is an effluvium that makes smells the guardians of a pleasant and essential stunner. Because the English singer with her new sonic painting builds bridges, waterfalls, embraces for an encounter that has several concepts to express, which makes her a citizen with a passport that allows her to arrive in every land willing to sow the seeds of this extraordinary tribute to conscious work in her listeners.

This happens when Broken Spells penetrates the soul: one becomes a travelling resident like her, a soul in non-stop transit.

There are several novelties compared to the previous Strangers: in these five years, the study of singing and the construction of the waves that make her songs a short circuit of an elegant, graceful and full of inspiration cosmos, finds important specifications, giving, in addition to her folk style contemplating atoms of World Music, a greater presence of fine, vital electronics, never pompous or inappropriate. Rather: an ensemble that creates a unique idyll, magnificent and full of colourful bubbles, as if a rainbow inhabited it.  One thus finds oneself swimming in its celestial space with greater intimacy and an incredible unforeseen reality. Listening stuns, enlightens, makes the skin of the heart moist, with the sensation of experiencing a continuous suspension in the face of everyday distortions: she grants us hope, emotion, the duty to seek a positivity that in her new compositions build an unassailable motion. A skilled multi-instrumentalist with clear ideas, she gathers musicians around her fingers with patience, quick to collaborate, to make these tracks a crowd of compact stars, building a sky of their own, slow, virtuous and infinite.

Peter Yates on guitar (Fields Of The Nephilim), Jay Newton on piano (Abrasive Trees), Jules Bangs on bass (Herija), John Reed on Steel Guitar, Ben Roberts on cello (Silver Moth/Prosthetic Head) are a combo aligned with Jo's project, a talented condenser, who moves inside the clouds, with the task of keeping the initial ideas rarefied, but bringing them fearlessly in front of eternity.

She seduces and conquers the certainty that this artist is able to bind the past and the present in that mystery, fear, conscience and turmoil are perfectly aligned, in a form of discipline that does not contemplate mistakes, superficiality and dastardly choices. Perfection: there it is, achieved, defined and shown to stun like an earthquake of slow kisses, oblique but never venomous glances, because sweetness for Jo Beth is an overt act of respect. As one listens to these new ten blinks, one can definitely feel her maturity in creating a concept album, sonorous, emotional, the range of her secrets shown almost completely, with the conviction that some are left in her hands, perhaps to be presented in the future.

The attitude is to give this modern bouquet with the imprints of electro folk, ambient, artpop, progressive, a chance to connect with a mood that brings out the instinct of baroque music that is surely within its sensibility, perhaps unconsciously, but that does not matter. What is important is the bright beam of synapses in contact, in the miracle of different epochs, of an acclimatisation with history and the future, here placed not as a hypothesis but as a territory in which these notes already construct it.

Her voice is a velvety driver, without neurosis, without annoying jerks and also a polite walk between colourful changes of register, a gentle tide that uncovers the nerves, a tale read slowly with attention and care. There is no need to bother other singers, to make comparisons: serious listening shows her unique identity, capable of making us experience the pleasant condition of a marriage between her uvula and our ears. But do not think that music is a pillow, a blanket, a stick on which everything is touched to create condensation. Absolutely not: it is a continuous breath, a parallel journey, an ensemble of natural identities with the wise authority determined to coexist with these vocal vibrations for a collective that also has a way of showing individual validity.

Let us not make the mistake of making this album merely a list of compliments: we need to experience it, to make a solid participation, to become music ourselves in order to understand the dynamics that have allowed Jo's to create not an event, but what this artistic expression should normally be, the biomechanics of an educational and exploratory work for our souls.

Penelope is blonde: she builds and unbuilds to give the dream a soundtrack that keeps fantasy a constant, because reality is no longer able to give her space. Beth succeeds, in abundance, with quality, melting the badness, harnessing this harmful human nature with her elegant propensity to show another dimension, possible and indispensable.

She brings the area where she lives (Northern Ireland) into the centimetres of our imagination, stretching the idea we have of those places, creating aquatic movements where there are clods of earth instead, in a wonderful opportunity for transformation, making possible the contact between the real and the dreamlike. Her mental laboratory illuminates the wind and, when the songs find the light, listening to them means writing an incredible new story.

Broken Spells represents an opportunity to feel the heavenly face stretching out its hand, as if its intention was to generate our peace: it takes less than an hour to have a master guide, to find oneself in enchantment, to feel lighter...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10th March 2024


https://jobethyoung.bandcamp.com/album/broken-spells



La mia Recensione: Jo Beth Young - Broken Spells


 Jo Beth Young - Broken Spells


“ Non sapendo quando l’alba arriverà, lascio aperta ogni porta.”

Emily Dickinson


Un’adunata silenziosa pilota la musica: da quella praticata da tutti fugge questo ordine superiore che è organizzato da una truppa celeste, per renderla molto di più di un evento emozionale.

In questa ristretta organizzazione quella scritta, composta e cantata da JBY ne è sicuramente la punta di diamante, la rappresentazione evidente che esiste un effluvio che rende gli odori i custodi di uno stordimento piacevole ed essenziale. Perché la cantante inglese con il suo nuovo dipinto sonoro costruisce ponti, cascate, abbracci per un incontro che ha diversi concetti da esprimere, il che la rende una cittadina con il passaporto che le consente di arrivare in ogni terra vogliosa di seminare negli ascolti questo straordinario tributo al lavoro cosciente.

Ciò accade quando Broken Spells penetra nell’anima: si diventa residenti viaggianti come lei, anime in transito senza sosta.

Diverse novità rispetto al precedente Strangers: in questi cinque anni lo studio del canto e della costruzione delle onde che fanno delle sue canzoni un corto circuito di un cosmo elegante, aggraziato e pieno di ispirazione, trova specificazioni importanti dando, oltre al suo piglio folk contemplante atomi di World Music, una maggiore presenza di una elettronica fine, vitale, mai pomposa e inopportuna. Piuttosto: un insieme che crea un idillio unico, magnifico e pieno di bolle colorate, come se un arcobaleno ci abitasse dentro.  Ci si ritrova così a nuotare nel suo spazio celeste con maggiore intimità e una incredibile realtà imprevista. L’ascolto stordisce, illumina, rende la pelle del cuore umida, con la sensazione di vivere una sospensione continua nei confronti delle storture quotidiane: ci concede la speranza, l’emozione, il dovere di cercare una positività che nelle sue nuove composizioni costruiscono un moto inattaccabile. Abile nell’essere una polistrumentista dalle idee chiare, raduna attorno alle sue dita musicisti dotati di pazienza, veloci nella collaborazione, per fare di questi brani una folla di stelle compatte, costruendo un cielo a sé, lento, virtuoso e infinito. 

Peter Yates alla chitarra (Fields Of The Nephilim), Jay Newton al pianoforte  (Abrasive Trees), Jules Bangs al basso (Herija), John Reed alla Steel Guitar, Ben Roberts al violoncello (Silver Moth/Prosthetic Head) sono un combo allineato al progetto di Jo, una condensa di talento, che si muove dentro le nuvole, con il compito di mantenere rarefatte le idee iniziali, portandole però di fronte all’eternità senza timore.

Seduce e conquista la certezza che questa artista sia in grado di legare il passato e il presente in quanto il mistero, la paura, la coscienza, il trambusto sono perfettamente allineati, in una forma di disciplina che non contempla errori, superficialità e scelte scellerate. La perfezione: eccola, raggiunta, definita e mostrata per stordire come un terremoto di baci lenti, occhiate oblique ma mai velenose, perché la dolcezza per Jo Beth è un atto conclamato di rispetto. Mentre si ascoltano questi nuovi dieci battiti di ciglia, si avverte decisamente la sua maturità nel creare un concept album, sonoro, emozionale, il ventaglio dei suoi segreti mostrati quasi del tutto, con la convinzione che alcuni siano rimasti nelle sue mani, magari da presentare in futuro. L’attitudine è quella di dare a questo bouquet moderno con le impronte di electro folk, ambient, artpop, progressive, la possibilità di connettersi con un umore che faccia emergere l’istinto di musica barocca che è sicuramente all’interno della sua sensibilità, forse magari inconsciamente, ma questo non conta. Quello che è importante è il fascio luminoso di sinapsi in contatto, nel miracolo di epoche diverse, di un acclimatamento con la storia e il futuro, qui posto non come un'ipotesi ma come un territorio nel quale queste note già lo costruiscono. 

La sua voce è un pilota vellutato, senza nevrosi, senza scatti fastidiosi e anche una educata camminata tra colorati cambi di registro, una marea gentile che scoperchia i nervi, un racconto letto lentamente con attenzione e premura. Non è il caso di scomodare altre cantanti, di fare i confronti: un ascolto serio mostra la sua identità unica, in grado di farci vivere la piacevole condizione di un matrimonio tra la sua ugola e le nostre orecchie. Ma non si pensi che la musica sia un cuscino, una coperta, un bastone su cui il tutto si tocca per creare una condensa. Assolutamente no: è un respiro continuo, un viaggio parallelo, una insieme di identità naturali con la sapiente autorevolezza, determinata alla convivenza con queste vibrazioni vocali per un collettivo che ha anche modo di mostrare validità individuali. 

Non si commetta l’errore di fare di questo album solamente un elenco di complimenti: occorre viverlo, rendere solida una partecipazione, divenire noi stessi una musica per capire le dinamiche che hanno permesso a quella di Jo di creare non un evento, bensì quella che dovrebbe essere normalmente questa espressione artistica, la biomeccanica di un lavoro educativo ed esplorativo per le nostre anime.

Penelope è bionda: costruisce e disfa per dare al sogno una colonna sonora che mantenga la fantasia una costante, perché la realtà non è più in grado di darle spazio. Beth sì, ci riesce, in abbondanza, con qualità, sciogliendo la cattiveria, imbrigliando questa dannosa natura umana con la sua elegante propensione a mostrare un’altra dimensione, possibile e indispensabile.

Porta nei centimetri della nostra immaginazione la zona dove vive (l'Irlanda del Nord), allungando l’idea che abbiamo di quei luoghi, creando movimenti acquatici laddove invece sono presenti zolle di terra, in una meravigliosa occasione di trasformazione, rendendo possibile il contatto tra l’aspetto reale e quello onirico. Il suo laboratorio mentale illumina il vento e, quando le canzoni trovano la luce, ecco che ascoltarle significa scrivere una nuova incredibile storia.

Broken Spells rappresenta un’occasione per sentire il volto celeste teso ad allungare la mano, come se la sua intenzione fosse quella di generare la nostra pace: occorre meno di un’ora per avere una guida maestra, per ritrovarsi nell’incanto, per sentirsi più leggeri…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10 Marzo 2024


https://jobethyoung.bandcamp.com/album/broken-spells


mercoledì 6 marzo 2024

La mia Recensione: Loom - Eternal Aphelium E.P.

 


Loom - Eternal Aphelium E.P.


Il frastuono del silenzio rende mobili le anime desiderose di calore, modificando la direzione e la permanenza dei propri bisogni, non permettendo a se stesse di tergiversare, di non adoperare il tempo nel modo migliore.

Gli svedesi Loom prendono la slitta e vanno a nord, nello spazio che rende la loro mente un bagliore che abbraccia i sogni, portando la valigia della realtà ben stretta tra le braccia e le ugole.

In tutto questo il nuovo E.P. mostra alcuni cambiamenti, sorprese che stordiscono e rendono l’ascolto una traversata celeste gonfia di visioni e percezioni che scaldano il cuore, combattendo il freddo e la rabbia del vivere odierno.

Torna Monika Axelsson come voce principale della band, mentre Evelina Nicklasson ha deciso di prendersi una pausa. In più, in un brano, ci capita anche di sentire il cantato di Roland Klein, insieme al chitarrista Fredrik Axelsson.

Assistiamo a una mutazione, a una elaborata premura volta a dare alle composizioni e al suono la possibilità di divenire materia celeste, parente stretta dei sogni, in un abbraccio che consente alla formazione nordica di esprimere un talento seducente, ammaliante, generoso soprattutto nel fare dei ritmi più lenti un attracco stilistico prossimo a meteore Post-Rock.

Ma rimane essenziale, per dovere di cronaca, riconoscere che lo Shoegaze è qui approcciato con grande esigenza esplorativa, quasi come se i quattro avessero studiato possibili assestamenti e graziosi, ma efficaci, miglioramenti.

Riuscendoci.

Quattro nuovi dipinti e quell’Aphelium III uscito a Gennaio di questo anno. Il territorio su cui si posano la scrittura e le capacità espressive che coniano un abbraccio uscito da una sedia a dondolo in vimini, con una fiasca piccola di whiskey, è una duna piena di neve che fa da trampolino verso il cielo. Le chitarre, in questo gioiello invernale, trovano il modo per spaziare in incroci possenti e rarefatti con gli altri strumenti, agganciando, concretamente, la possibilità di compattare le varie individualità espressive. Per quanto concerne i cantati, emerge una solidarietà, un sostegno, un ammiccamento, una dolcissima intimità che veste l’ascolto di vibranti emozioni, mostrando, rispetto al resto della discografia del gruppo, una maggiore e spiccata propensione a concedere loro il palco, su cui la luce del gradimento stabilisce un contatto generoso, benevolo di premure e sostentamento.

Capaci di riprodurre la struttura evidente del genere musicale che ha trovato negli Slowdive e nei Low (perché, davvero, assistiamo alla miscela di un lavoro che comprende Shoegaze, Post-Rock e Slowcore) il maggior punto di riferimento in queste cinque canzoni, questi artisti, attraverso l’accurata produzione di Henrik Viberg e anche la propria, dipingono i giochi di luce con una cornice che rende etereo il tutto, come se la sensazione di entrare direttamente nel loro processo compositivo divenisse reale. Si giunge ad attraversare spazi mentali, sentimenti, in una festa dove i suoni trattengono sia la gioia che il dolore, rendendo il respiro muto ma colmo di grandi vibrazioni.

Eternal Aphelium diventa, così, un E.P. di concessioni, uno spettacolare vascello tra solide qualità del passato che non scompaiono, ma sono desiderose di ospitare una mescolanza che rende il quartetto gravido, per fare dell’arte dei Loom la possibilità di acquisire brividi e riflessioni.

Nuvole come chitarre in fase di atterraggio, un drumming come un tuono in uno stato ormonale ed esplorativo e il basso come distributore di saggezza e sostegno, e per finire una tastiera che chiude il percorso di espressione per consolidare la potenza evocativa.


Song by Song


1 - Slowmotion


L’emozione, più rapida a manifestarsi, giunge proprio dalla opener track, un masso di roccia che si alza in volo, con le chitarre shoegaze che troneggiano, per consentire poi alla soave voce di Monika di accarezzare i nostri occhi e giungere al ritornello, che condensa il tutto, trasportando i corpi nella casa del sogno. Come una giostra circolare, il perimetro del suono afferra più di trent’anni di questo genere musicale, lucidando le medaglie al valore conquistate…


2 - My Melancholy Girl 


Un arpeggio di chitarra e una tastiera sottile obbligano il ritmo a rallentare, ma il battito diventa tachicardico: la voce di Fredrik prima e di Monika poi, sono il terreno dove nascono lacrime dolcissime. Un caos ragionato, tenuto a bada con classe, in una ninnananna solare che esprime il talento di una canzone come sonda, per camminare nel cielo, con la nudità del suono a scaldare le orme di una musica poetica come non mai…


3 - Trapdor


Potente, come in numerosi episodi degli Adorable e dei Catherine Wheel di Ferment, il terzo brano vede Fredrik e Roland cantare insieme, in mezzo a schegge psichedeliche e un drumming che sfida la pazienza del cielo che vorrebbe dormire. Giunge, nel ritornello, anche il controcanto di Monika, in un combo compatto, lunare, dolcemente nevrotico, facendoci danzare, con il basso che spinge il suo pulsare a fare di tutto ciò un complesso amplesso di colori e vibrazioni.


4 - Aphelium III


Il singolo che ha anticipato l’E.P. è una droga che riempie la mente di visioni, con la chitarra graffiante ma in grado anche di costruire una melodia quasi feroce, mentre le due voci passeggiano all’unisono per creare una struggente linea melodica. Scintillii che generano richiami, fascinazioni, con il risultato di una dipendenza che fa compiere ripetuti e goduriosi ascolti…


5 - Proximity


Il congedo è spettacolare: Monika lascia la sua voce angelica sulle corsie di un arpeggio semplice ma generoso di approcci, con il basso che scivola verso il petto, per poi condurci nel vento, un’ascesa spirituale in prossimità di una eternità che potrebbe proprio avere questo gioiello come colonna sonora. La tastiera qui è più incisiva per quanto mantenga il suo minimalismo, ma quelle poche note ci fanno immergere nella grande luce che l’insieme produce, conferendo all’insieme bellezza e coccole, per far divenire il tutto un perfetto fade-out, una lenta processione con l’abito della generosità a fasciare un lavoro maestoso…


In uscita l'8 Marzo  2024


Fredrik Axelsson - Guitars, keyboards, vocals

Roland Klein - Basses, programming and backing vocals 

Eddie Wilmin - Keyboard

Monika Axelsson - Vocals


Recorded by Loom

Produced by Henrik Viberg and Loom

Mixed and Mastered by Henrik Viberg



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

7th March 2024

My Review: Loom - Eternal Aphelium E.P.


Loom - Eternal Aphelium E.P.


The din of silence makes souls eager for warmth self-propelled, altering the direction and permanence of their needs, not allowing themselves to tergiversate, not making the best use of time.

Sweden's Loom take the sledge and head north, into the space that makes their minds a dream-embracing glow, carrying the suitcase of reality tightly in their arms and uvulas.

In all this, the new E.P. shows some changes, surprises that stun and make listening a celestial crossing swollen with visions and perceptions that warm the heart, fighting the cold and anger of living today.

Monika Axelsson returns as the band's lead vocalist, while Evelina Nicklasson has decided to take a break. In addition, in one track, we also get to hear Roland Klein singing along with guitarist Fredrik Axelsson.

We witness a mutation, an elaborate thoughtfulness aimed at giving the compositions and the sound the possibility of becoming celestial matter, a close relative of dreams, in an embrace that allows the Nordic line-up to express a seductive, bewitching talent, generous above all in making slower rhythms a stylistic mooring close to Post-Rock meteors.  But it remains essential, for the sake of the record, to recognise that shoegaze is approached here with great exploratory exigency, almost as if the four had studied possible settlements and graceful, but effective, improvements.

Succeeding.

Four new paintings and that Aphelium III released in January of this year. The territory on which the writing and expressive skills that coined an embrace out of a wicker rocking chair, with a small flask of whiskey, rests is a dune full of snow that acts as a springboard to the sky. The guitars, in this winter jewel, find a way to space out in powerful and rarefied crossovers with the other instruments, concretely engaging the possibility of compacting the various expressive individualities. As for the vocalists, there emerges a solidarity, a support, a winking, a sweet intimacy that dresses the listening with vibrant emotions, showing, compared to the rest of the group's discography, a greater and more pronounced propensity to grant them the stage, on which the light of approval establishes a generous, benevolent contact of care and sustenance.  Capable of reproducing the evident structure of the musical genre that has found in Slowdive and Low (because, really, we are witnessing the mixture of a work that includes Shoegaze, Post-Rock and Slowcore) the major point of reference in these five songs, these artists, through Henrik Viberg's careful production and also their own, paint the light effects with a frame that makes everything ethereal, as if the sensation of entering directly into their compositional process became real. One reaches across mental spaces, feelings, in a feast where sounds hold both joy and pain, making one's breath mute but filled with great vibrations.

Eternal Aphelium becomes, thus, an E.P. of concessions, a spectacular vessel between solid qualities of the past that do not disappear, but are eager to accommodate a mixture that makes the quartet pregnant, to make Loom's art the possibility of acquiring thrills and reflections.

Clouds as landing guitars, drumming as thunder in a hormonal and exploratory state and the bass as a distributor of wisdom and support, and finally a keyboard that closes the path of expression to consolidate the evocative power. 


 Song by Song


1 - Slowmotion


The emotion, quickest to manifest itself, comes from the opener track, a boulder of rock rising into the air, with shoegaze guitars towering, to then allow Monika's suave voice to caress our eyes and reach the refrain, which condenses the whole, transporting bodies to the house of dreams. Like a circular merry-go-round, the perimeter of sound grasps more than thirty years of this musical genre, polishing the medals of valour won...


2 - My Melancholy Girl 


A guitar arpeggio and a subtle keyboard force the rhythm to slow down, but the beat becomes tachycardic: first Fredrik's voice and then Monika's are the ground where sweet tears are born. A reasoned chaos, kept at bay with class, in a sunny lullaby that expresses the talent of a song as a probe, to walk in the sky, with the nakedness of sound to warm the footsteps of a poetic music as never before


3 - Trapdor


Powerful, as in numerous episodes of Adorable and Ferment's Catherine Wheel, the third track sees Fredrik and Roland singing together, amidst psychedelic shrapnel and drumming that defies the patience of the sleeping sky. Monika's countermelody also arrives in the refrain, in a compact, lunar, sweetly neurotic combo, making us dance, with the bass pushing its pulse to make it all a complex amplexus of colours and vibrations.  


4 - Aphelium III


The single that anticipated E.P. is a drug that fills the mind with visions, with the scratchy guitar but also capable of building an almost ferocious melody, while the two voices stroll in unison to create a poignant melodic line. Sparks that generate recalls, fascinations, resulting in an addiction that makes for repeated and enjoyable listening...


5 - Proximity


The farewell is spectacular: Monika leaves her angelic voice on the lanes of a simple but generous arpeggio of approaches, with the bass gliding towards the chest, then leading us into the wind, a spiritual ascent towards an eternity that could really have this jewel as its soundtrack. The keyboard here is more incisive as far as it maintains its minimalism, but those few notes immerse us in the great light that the whole produces, giving the whole beauty and cuddling, to make the whole become a perfect fade-out, a slow procession with the garment of generosity to wrap a majestic work...


Out on 8th Mrach 2024


Fredrik Axelsson - Guitars, keyboards, vocals

Roland Klein - Basses, programming and backing vocals 

Eddie Wilmin - Keyboard

Monika Axelsson - Vocals


Recorded by Loom

Produced by Henrik Viberg and Loom

Mixed and Mastered by Henrik Viberg



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

7th March 2024

La mia Recensione: Auge - Spazi Vettoriali

  Auge - Spazi Vettoriali Il tempo viene archiviato solo dalla massa ignorante di chi ha fretta, quella che stringe gli spazi e divaga nel n...