giovedì 13 ottobre 2022

La mia Recensione: Submotile - One Final Summit Before The Fall

 Submotile - One Final Summit Before The Fall


“Tensione è chi pensi che dovresti essere. Pace è chi sei.”

Proverbio cinese


La bellezza di poter arrivare alla pace interiore attraverso l’ascolto della musica è un qualcosa di raro, di privilegiata propensione, un evento che spiana gli accumuli di tossine che ogni esperienza di questa vita normalmente offre.

Nel mondo della produzione musicale continua ed esagerata la realtà che emerge, in tutta la sua gravità, è quella della mancanza di volontà nel prendersi del tempo per studiare, per riconoscere, per valutare e soppesare quello che abbiamo ascoltato.

Ma nel farlo dovremmo sempre tener conto del fatto che si tratta di una conoscenza che abbisogna di metodo e rispetto.

Il rischio è quello di ammassare canzoni e album nel luogo dove la  consapevolezza si ingolfa e non permette la fluidità degli impulsi ricevuti al fine di storicizzarli per il loro reale valore.

In questo ottobre dell’anno 2022 arriva un roseto che brilla di freschezza e dove i colori dell’emozione e della curiosità sono integri e capaci di gonfiarci gli occhi in una gioia che stupisce e non conosce assuefazione.

Gli autori di questo miracolo laico sono i Submotile, combo di due anime votate alla poesia ritmica, angeli sviluppatori di melodie che entrano nelle vene liberando l’ossigeno che fortifica il respiro dell’incanto.

Il terzo album è una piramide morbida che sconquassa il cuore avviluppandolo in braccia ritmate, votate all’impatto melodico che sconfigge ogni reazione: un lavoro che profuma di intoccabilità, rendendoci esseri in inchini devoti.

L’ascolto di queste nuove canzoni è un cammino nello stupore che si materializza nel luogo dell’abbraccio senza tentennamenti, tra bordate educate e pennellate di crateri sonori che svelano la luce dei nostri battiti propensi al sogno. Una storia di nove capitoli che non è né favola né romanzo, bensì un fiato continuo di episodi come fogli di carta che assorbono le loro doti naturali di essere incantatori e sovrani morbidi del regno di una Atlantide moderna, dove l’impossibile viaggia tra le note e non sul mare.

Come moderni Poseidone e Platone, hanno il potere di vita e di morte delle loro anime nascondendoci la latitudine della loro creatura, mostrandoci nel contempo il mito della profondità.

Un notevole passo in avanti rispetto ai due lavori precedenti: un senso di compattezza e di ricerca per sviluppare trame che non siano legate a un genere specifico. Per poter comunicare linguaggi nuovi che diano modo ai due di trovarsi con maggior frecce nel loro arco, teso e capace di far coprire alla musica distanze lunghe e precise.

Ciò che regna è la certezza che i due artisti abbiano trovato un equilibrio, la maturità necessaria per sconfiggere la sensazione che sia solo uno stato di grazia a premiare i nostri fortunati ascolti: ripetendoli confermano questo ragionamento, rivelando quanta parte del futuro sia già evidente in questo album che è il primo respiro della loro nuova vitalità, dando a Daniela Angione e a Michael Farren il vestito che li proteggerà in seguito. Questo album mostra la loro condizione artistica in perfetta salute, confermando la loro propensione a vivere davvero la musica come un progetto di crescita. Ecco che le canzoni sono mattoni, calcestruzzo e tutto ciò che serve per rendere la loro casa solida.

Sembrano essere passati molto più di tre anni dal loro brillante esordio con Ghosts Fade On Skylines, che aveva connesso lo scriba al duo italo/irlandese. Un lavoro in cui vinceva una piumata irruenza, mentre nel secondo Sonic Day Codas la melodia del cantato e una propensione più dreamy ci faceva essere ascoltatori beneficiati da canzoni che ribadivano anche come lo shoegaze stesse mutando pelle. In questo terzo album tutto viene confermato, ma aggiungendo una maggior libertà alla creazione. In tutto questo la seconda consecutiva produzione di Simon Scott, il batterista di Cambridge degli Slowdive, svela che la loro unione è capace di alzare l’asticella delle loro volontà, di fare delle loro composizioni uno sguardo pieno di fiducia verso un cielo sempre più stupito e meravigliato.

I watt a disposizione sono molti, inseriti nella tiara di Daniela e nel diadema di Michael: questi simboli del potere sono giustamente sopra le teste della coppia artistica che fa nascere in noi umili ascoltatori la gioia di sapere che siamo governati da canzoni che ci rendono sovrani del piacere e di una fortuna senza vincoli. Musica e parole, la bellissima copertina che ci fa sorvolare le vette del mondo: tutto, in questo terzo passo della loro splendida carriera, trova modo di essere bellezza senza data di scadenza.

I testi di Daniela si sono premurati di avere la capacità di oltrepassare la convinzione che in questi generi musicali non siano importanti l’amore, la solitudine, la memoria, la fiducia, la redita, la consapevolezza del potere della mente e l’esperienza della vita: tutti vengono visitati dall’anima gentile di questa italiana che coniuga la sua maturità descrittiva alla bellezza del suo cantato, sempre convincente, privo di esitazione.

Dal canto suo, Michael non lascia niente al caso: i suoi polpastrelli, le sue pedaliere sono un patto per l’eternità dove tutto esiste con forza, il senso del ritmo che si appoggia su note inchiodate dalla loro stessa bellezza per vivere e morire con il nostro ascolto. Il suono è arcigno, risoluto, dinamico, intriso di momenti dove tutto raggiunge le vette rappresentate dalla copertina di questo disco. E la stratosferica Blood Loss conferma la sua abilità di non essere dimentico di avvolgimenti dal sapore semi-acustico per poi tuffarsi, con leggerezza, verso un suono leggermente più potente, ma tutto questo lo vedremo meglio nell’analisi Canzone per Canzone.

Tramortisce il senso di assoluta capacità di portare il loro percorso musicale verso la montagna interiore della loro sensibilità, vistosa e contagiosa, per fare di noi particelle vaganti, come una tappa obbligatoria verso un destino amico: la musica raramente può fare questo, riconoscergliene il merito è doveroso. Lo stile, il senso di appartenenza nei confronti delle loro radici evitano paragoni, non esiste la necessità di dare loro una valutazione positiva perché esistono dei richiami, dei riferimenti in cui sentirsi comodi: ciò che soffoca ogni genere musicale è proprio questa condizione e il loro talento sta anche in questo aspetto, perché capaci di viaggiare dentro il Noise, lo Shoegaze, il Dreampop e un Alternative spesso camuffato, con grande eleganza, oltre che con notevoli capacità, per trovare la propria unicità.

Sono canzoni che danno la certezza che la solitudine e la condivisione sociale possano coesistere, senza sbandamenti o impossibilità: l’intimità personale e la voglia di danzare con altre persone vivono insieme in una storia d’amore dalla pelle che muta come queste stelle, liscia e morbida ma anche ruvida, dentro un anello dove la tiara e il diadema si incastrano perfettamente, regalandoci magia e sogni ad occhi aperti.

One Final Summit Before The Fall è l’universo in transito di due anime che, in perfetta salute e unione di intenti, mostra la propria curiosità e capacità di osservazione di dinamiche che possono ancora essere esplorate e analizzate, in un continuo fascio luminoso che ci permette di vedere le loro traiettorie in modo limpido, anche quando il loro wall of sound sembrerebbe in teoria offuscare la chiarezza che è invece insita nelle loro composizioni: basta ascoltare tutto con profondità e tutto viene svelato in una pergamena dorata e piena di valore…


Song by Song


From First Light Until Our Final Sleep



Con i primi secondi, caratterizzati da chitarre in orbita Cure, l’impressione che il suono e l’attitudine della band sia cambiato viene confermato quando proseguendo il brano ci porta alla chiara evoluzione dell’aspetto ritmico, con un drumming 90’s, chitarre gioiose ma piene di rughe, sino allo stop and go del minuto tre e cinquantotto secondi: tutto diventa roccia magmatica per un brillio di schegge rivelatrici di una maestosa presenza. Fragore e rumore uniti nella poesia di uno Shoegaze rivitalizzato.


Resonica


Il ritmo si alza, le chitarre grattugiano la polvere, la psichedelia entra spavalda per un brano che trascina con la sua capacità di esplodere subito, per poi consentire alla voce di Daniela di accarezzarci il cuore. Chitarre come mulini a vento sino al ritornello dove tutto si fa definitivo, irruente e catartico. Si può dare ritmo alla sensazione eterea? Certamente: Resonica è un sogno con i muscoli di un cavallo purosangue.



Hit This Summer


Profumi di Dreampop fine anni ’80 conquistano i primi secondi e poi tutto continua nella frenesia delicata di chitarre pulsanti perfettamente abbracciate al drumming che dipinge traiettorie impeccabili per far impazzire le gambe. Una lunga piacevole contorsione sonora ci porta a capire che non è un viaggio ciò che stiamo compiendo con questa canzone e con l’album, ma il vivere nella nostra casa dove abbiamo già tutto, senza dover preparare le valigie. Hit This Summer è la brezza del duo che innaffia le nostre vene piene di assenzio.


Foreshadowing

Il primo singolo di questo album è un petalo in volo sui ricordi, molti richiami che vengono anestetizzati da una perfetta produzione, precisa e attenta e capace di esaltare il binomio musica/cantato, mettendo in condizione la coppia italo-irlandese di scrivere un gioiello che, con chitarre incendiarie, toglie la coperta ai sogni per restituire la bellezza del vivere, spegnendo le ombre.



Blood Loss


Se esiste una cellula primordiale di questo album è proprio Blood Loss, la Divina, colei che indica la continuazione del percorso artistico della band: il passato è tenuto sotto braccio, il presente, stabilito da cambi di ritmo e da chitarre che sanno giocare nell’alternanza del loro abito intrecciato alle melodie, è una realtà che trasforma la volontà di diversificarlo in un clamoroso dato di fatto. È poesia sincopata che incontra il sollievo, attraverso il bacio accademico di una prestazione miracolosa.



Hope In Sound


Un arpeggio celestiale ci consegna immediatamente una complessa struttura nella quale il basso coinvolge il drumming e lo spinge ad attorcigliarsi alla chitarra. Dal canto suo Daniela canta sinuosamente e tutto diventa delirio controllato in un ritornello dalla matrice pop, che conquista e ci stimola a notare come la band abbia la capacità di arrivare in diversi terreni espressivi. Anche senza distorsioni si è travolti e attratti da questa piccola sirena che annaffia la nostra pelle di ipnotica estasi estiva, dove le fragranze si liberano completamente.



Drop To Eternity


La canzone più sorprendente arriva con i suoi primissimi secondi: come se entrassimo nella stanza della loro intimità, la band sfodera un gioiello vivace, tenero e votato alla eternità perché con loro la bellezza non invecchia. Si può rimanere giovani senza essere Dorian Grey e con questa nuova perla il diavolo si arrende: ciò che vediamo è un oceano pulito e libero di avanzare nel cuore. Tutto è corale, compatto, incisivo, in una chiara dimostrazione che con loro si può anche ascoltare una parte acustica che, se disegnata dalle loro dita, può entrare comodamente in noi.



Ataraxia


Lampi, tuoni, fulmini, una storia che diventa una cascata con colpi di scena, cambi di ritmo, chitarre abbondanti ma disciplinate, un cantato in retrovia ma suggestivo, in grado di ammutolirci per chilometri e chilometri di pura gioia sonica. Seppure privi di abbondanti dosi di feedback e distorsioni, la penultima traccia risulta essere potente e magnetica.



Farewell Aquarius (And We Thank You)


La canzone più lunga della loro intera carriera è un romanzo dalle tinte malinconiche, un setaccio doveroso dell’esistenza nella prossimità di un epilogo avvolto dal mistero. Una nube solitaria si getta nella nebbia dandoci la possibilità di scorgere un notevole lavoro del basso, che cavalca in modo armonioso le scie di chitarre nostalgiche, vicine ai Catherine Wheel, mentre le siderali atmosfere consentono a Daniela di rendere le sue corde vocali magiche, come uno zucchero filato, e di farsi circondare, nella parte centrale del brano, da valanghe di suoni ebbri di luce. Poi è un lungo congedo che ci ascia attoniti e fedeli al loro approccio chiaramente shoegaze, con fili sottili di noise a rendere perfetta la conclusione di un lavoro che, senza dubbi, è l’album Shoegaze del 2022 per lo scriba.

Siamo noi a ringraziare la band per questa visita dentro i loro maestosi battiti…


Data di realizzazione: 21 Ottobre 2022


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
14 Ottobre 2022




giovedì 29 settembre 2022

La mia Recensione: Marlene Kuntz - Karma Clima

 La mia Recensione:


Marlene Kuntz - Karma Clima


Non c’è più tempo per l’approfondimento, per dare spazio alle Opere che necessitano volontà, interesse, passione, coinvolgimento.

Con questi presupposti scrivere del dodicesimo lavoro dei Marlene Kuntz rende la penna pesante per uno scriba indeciso sul da farsi.

Ma è giunto alla conclusione che occorre definire le cose, pur sapendo che la pigrizia e la volontà di giudicare negativamente potrebbero annullare l’intero senso di questo lungo scritto.

Scrivere un concept album su argomenti drammatici, reali, innegabili sarà già motivo di una forte contrapposizione, a prescindere, perché la massa ormai è votata alla velocità, al disinteresse, alla scarsa partecipazione laddove, invece, necessiterebbe una presenza conscia.

Quello che si ascolta tra queste nove tracce sarà contestato, verrà conclamato il definitivo abbandono nei confronti della band da parte di molti, nessun dubbio a proposito, perché l’ignoranza, il mancato rispetto e una profonda metodica verso la conoscenza di ciò che davvero può fare l’arte per resocontare la fallibilità umana sono ormai comportamenti definitivi.

Eppure i Cuneesi hanno scritto un’opera straordinaria, densa di riflessioni, immagini, evocazioni, preghiere laiche e inviti al cambiamento di marcia.

Occorre dimenticare il fanatismo, anche l’amore per la band, e addentrarsi nel senso umano e artistico di un vero Progetto, che annette modalità di approccio e di espressione totalmente diversi rispetto al passato.

Spiazzante, crudele, intenso, votato all’analisi del momento e di futuribili proiezioni, l’album è il capolavoro della band, e aggiungerei purtroppo, viste le tematiche affrontate.

Ma la modalità suscita emozione, commozione, uno smottamento dei pensieri verso la volontà di adoperarsi a rendere l’ascolto l’inizio di un nuovo percorso.

A scanso di equivoci, per non farvi leggere tutto ciò inutilmente: non è un disco di chitarre, di schizzi elettrici dentro lo stomaco, ma lo stesso organo viene preso a calci, viene accarezzato come non si potrebbe fare con alcuna chitarra. La sua presenza fa parte di un’onda sonora che trova il territorio di sviluppo attraverso un senso collettivo dove synth, orchestrazioni, un drumming di ispirazione elettronica, sono i cardini di riferimento e dove le chitarre si adagiano per saldare il tutto, in una compattezza assoluta, gradita, di valore estremo, indiscutibile.

Le canzoni entrano nell’oscurità dei comportamenti, facendoci vibrare, terrorizzandoci, dandoci la consapevolezza che ciò che muoveva l’arte dei Marlene ora ha trovato sviluppo e maturità, uomini Veri, Responsabili, realmente Attivi.

Un concept album che ruota dentro parole gravide di lacrime, lamenti, potenziali scosse da programmare con intelligenza. 

Si viaggia con sguardi dal pianeta verso il cielo, dal cielo, dentro, nella profondità di questa Terra, esaminata e portata a una comprensione precisa, per far sì che ci appartenga una consapevolezza reale, con dinamiche poetiche e totalmente connesse alla introspezione. E allora la propensione elettronica sa stupirci, condurci alle lacrime, scaldando prima il cuore e poi la testa, consapevole che per molti occorrerà molto tempo prima di comprenderlo: la speranza è che almeno si impari ad amarlo in fretta, perché non c’è tempo da perdere, la Signora Marlene vi vuole tutti gentlemen. È un album d’amore per l’amore, dove gli sprechi, i rifiuti attitudinali verso la responsabilità di ognuno di noi debbono essere eliminati e non più prodotti.

Perché le voci e i silenzi di questa esistenza ai bordi del dirupo siano campanella d’allarme, la capacità di determinare azioni salvifiche.

Tutto è un velo, una finestra che concede comprensione e partecipazione, attraverso suoni e melodie che pur descrivendo le brutture lo fanno in modo incantevole, bellissimo, regalando aria pura e disinfettata, che è un’impresa mastodontica, soprattutto ai giorni nostri.

Dimenticare il passato di questa band per conoscerne una nuova: questo occorre fare per non perdere l’occasione di una nostra crescita perché loro, come sempre, ci hanno preceduti compiendola per primi.

Ci sono brividi in arrivo, copiosi, e vi sono anche fiaccole di stupore, l’incredulità del trovarsi dentro un fiume dove vivono sentimenti pieni di rughe, dove i sogni appartengono solo agli sciocchi.

Tutto in Karma Clima comporta la sudorazione della mente, in cui lo sconforto viene a trovarsi nella splendida situazione di essere uno stimolo. Non c’è da danzare, forse nemmeno da cantare, perché queste canzoni hanno una direzione diversa da raggiungere e solo una alleanza con loro ci farà visitare la concreta capacità che hanno avuto di trovare quella bellezza che cercavano ovunque.

Le atmosfere sviluppano la traiettoria celeste, un senso effettivamente in grado di non farci sentire il peso, perché la musica è un raggio di luce notturna su cui sono le parole a fare da contraltare, regalandoci, quasi come una poesia spaesata, chilometri di zavorre.

Il mondo viene visto dall’alto, avendo premura poi di camminarci dentro, per avere una visione globale precisa, dove il dettaglio non solo fa la differenza, ma rivela il senso di disumana indifferenza nei confronti di ciò che accade. 

Tutto è storia, geografia, dove la morale viaggia al loro interno, scuotendo l’anima che, smarrita, cerca una mano, trovandola proprio in questi canzoni disagevoli ma pregne di verità.

Davide Arneodo rivela tutte le abilità tecniche che dovevamo prima o poi veder confluire in un disco: tutti gli altri sono architetti che non prendono ordini da lui, ma sostengono con la loro classe infinita queste creazioni che hanno la modalità del suono attuale per essere più credibili. E allora giunge la compattezza della band, a definire artigli elettronici sposati con melodie barocche, dove tutto è innovativo, facendo indossare alla Signora Marlene un abito mai visto prima: solo dando agli occhi atomi di profonda osservazione li condurranno all’innamoramento, che se accadrà sarà immenso, data la capacità di questo tessuto di avvolgere e sussurrare emozioni e pensieri come un infarto necessario.

Avere bisogno di questi brani deve essere una esigenza che bisogna decidere aprioristicamente, il fiato va congelato, come ghiacciaio necessario, da aggiungere a un mondo surriscaldato che non dà più importanza al freddo.

Le canzoni però scaldano, eccome se lo fanno: sono proiettili sottili, polveri letali per accoppiarsi, in grado di bucare il superfluo che regna sovrano dentro menti assenti e che devono riscoprire il senso del dovere e non solo di quella libertà che sta distruggendo tutto.

Marlene salvifica, saggia, con quella pesantezza che non fa a meno di linee morbide e sensuali, di chiome da guardare e da accarezzare. E, come nucleo di un cuneo pesante, partono da Cuneo per coinvolgerci, per non perdere la leggerezza che si raggiungerà solo quando ogni cosa avrà ritrovato l’equilibrio che rispetta tutti.

Non servono le farfalle nello stomaco ascoltando Karma Clima: quelle devono poter vivere nella natura, come tante emozioni che non debbono essere una questione privata, bensì zone mentali contro la meschinità dell’interesse, e allora quest’opera diventerà un prodigio dentro di voi, anche nella pancia, non dubitatene, però prima deve entrare in circuiti a molti dei quali non siete abituati né interessati.

Cos’è in fondo questo lavoro? Una nuvola dallo sguardo acceso verso la clemenza, verso una necessaria pausa egoistica, una propensione melodica al futuro. Sono proprio i movimenti di accordi e le loro successioni ad essere un mistero che necessita di quel tempo di cui parlavo all’inizio: bisogna formarlo, viverlo, per non arrivare alla disperazione di quel “tutto tace,” che è il simbolo del disastro.

Ora vi porto nei sentieri che non sono sonici, schizzati, pieni di frastuono, perché dentro questo album tutto è maggiorato rispetto a questi tre elementi, tutto è elevato al quadrato con classe immensa, in un delirio che sarà vostro quando sarete voi ad andare verso i Marlene e non il contrario…



Song by song


1 - La fuga

Testo e musica compatti, determinati a fare del messaggio qualcosa di chiaro e ineccepibile, nel tempo della confusione e dello smarrimento. È arte allo stato puro questo perfetto connubio: non ci rende liberi di fuggire da un eventuale tentativo di nascondere lo sguardo e diventa un vento dalle sbarre pesanti capaci di raggiungerci dall’alto, precipitando sulla nostra meschinità. Il pianoforte rende drammatico il tutto, come lo fa il drumming, tra beat e pelli vere a rimbombare dentro le parole. Le chitarre sono nascoste, la melodia rivolge il pensiero verso il cielo e gli chiede il proprio silenzio… Imponente.


2 - Tutto tace

Il cantato sorprendente di Cristiano, sull’accoppiata piano-tastiera, è uno shock rigenerante, sino al grigio maestoso di un ritornello che conduce al pianto, intenso, e il tutto accade su una linea melodica stretta ma che accoglie potenti suggestioni. Perfetto esempio di ciò che dicevo prima: non conta se non arrivano le farfalle qui, in quanto questo brano vale di più di ogni pregiudizio, perché è un volo che appartiene alla saggezza, quella più clamorosamente dotata di classe. Quando la Luna ti entra nel cuore.  Clamorosa.


3 - Lacrima

Incalzante, vibrazioni elettroniche a rapire l’orecchio, con un ritornello che scioglie ogni resistenza, per dare la sensazione di come certe parole possano essere sostenute solo da una musica precisa, ed è un miracolo questo combo, che conduce a una lacrima “così tenera”. LACRIMA è la fotografia di un impeto desideroso di mantenere il contatto con il passato, ma con i passi dentro un presente che cerca di garantirsi un futuro.  Straziante.


4 - Bastasse

L’Olimpo Marlenico mostra il dolore e si trasforma in una ballata moderna, di ispirazione folk, con gli accessori di una perfetta miscela World ed Elettronica, il tutto con una  leggerezza che scatena commozione. Le chitarre lavorano in cantina, ma salgono le scale avendo un pianoforte come migliore amico. Come se il disco solista di Cristiano avesse trovato una proiezione umorale tra le pieghe del vestito della Signora Marlene. Intensa.


5 - Laica preghiera

Struggente, lenta, ampia come una vallata di alta montagna, dove poter sentire meglio gli Dei, questo brano contiene tutta la cura dell’intimità che viene portata agli altri. Per farlo sceglie tre fasi distinte, perfettamente collegate, con la partecipazione di Elisa, che stupisce per il perfetto mood attitudinale, per il fatto di dare alla sua voce la grandezza della musica.  Poi il finale vede lei e Cristiano fisicizzare il testo con un cantato commovente, mentre Davide Arneodo dipinge le traiettorie melodiche. Necessaria. 


6 - Acqua e fuoco

Dopo un attacco che evoca i Bad Seeds, si entra in una sezione di richiami elettronici in continuo movimento con uno splendido lavoro di archi; il basso di Luca quasi dub seduce e spiazza, con piacevolezza e incanto. E se esiste una musica che entra in un testo è proprio questa, per trasformare una melodia in una montagna russa. Intrigante.


7 - Scusami

Forse il momento più alto dell’album, dove l’emozione dell’ascolto fa tornare la canzone dentro di noi per appropriarsene, con la miscelanza di chitarre e tastiera che sono i motori di un groove che potrebbero farci danzare a testa bassa. Ed è un volo che contiene parole mature, che creano feritoie e ferite, sino al recitato finale, nello stile personale di un crooning che abbiamo imparato a conoscere in questi anni. Corrosiva.


8 - Vita su Marte

Una radura di dimensione apocalittica entra nella progressione stilistica musicale che offre il peso specifico di una band completamente dentro processi creativi studiati, e in modo perfetto. Nessuna concessione: anche il ritornello, che potrebbe subire attacchi da parte dei critichini, in realtà è la legittima conseguenza dell’impianto che lo precede. Maliziosa e sensuale.


9 - L’aria e l’anima

Ed è un racconto dalle piume piene di ricordi quello che conclude l’album, il teatro che entra nelle immagini create dalla penna accalorata di Cristiano, su una base musicale struggente, che sospende ogni pensiero obbligando all’ascolto approfondito. La tristezza diventa il giudizio conclusivo sulla crudeltà umana. La chitarra finale è il bacio di addio, dove se esiste una speranza è in quelle note… E il sorprendente coro di chiusura, oltre a intenerirci, sa anche essere uno schiaffo al mondo adulto. Uno zigzagare nel caos sensoriale.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

30 Settembre 2022


Karma Clima
https://open.spotify.com/album/23RMGstKGwXFnA5SOygDho





mercoledì 28 settembre 2022

La mia Recensione: THE SMITHS - Strangeways here we come

 THE SMITHS - Strangeways here we come 


Recensione di tre anni fa che ripropongo


Dopo aver seguito tutta la loro carriera, album dopo album, un giorno, poco dopo l’uscita di questo, mi sono ritrovato con la consapevolezza che non ce ne sarebbero stati altri: un dolore, un tormento, una dannazione che mi ha attanagliato per molto tempo.

Questo è un album che lascia un gusto amaro nel cuore, taglia le gambe, spezza il respiro: questa band è la band della mia Vita, della mia adolescenza, persone che sono state il mio sguardo, il mio pensiero, gli attimi minuscoli che giorno dopo giorno hanno fatto di me una persona.

Un album che davvero è una prigione, dove arrivano un po’ tutti: ragazze in coma, persone che devono essere fermate, ballerini, gente infelice, e tanto altro.

Questo album è un luogo che mostra come sia possibile mostrare una grandezza assoluta anche nel momento dello sfacelo, del conflitto, della disperazione.

Un album sofferto e sofferente che come una vanga stacca la terra dal suo luogo originale per essere spostata da un’altra parte: quella parte è l’immortalità, il rispetto, il ricordo.

Canzoni che decretano ancora una volta un sicuro talento ma senza la speranza che abbiano dei fratelli e delle sorelle in avvenire.

È uno sparo secco che dura 36 minuti quanti bastano per decretarne un posto sicuro nel mio Olimpo degli ascolti, la mia venerazione ed il mio Grazie eterno.

Strangeways è una bandiera che non si ammaina, è un gesto di addio che non conosce fine e al quale io volgo il mio sorriso e la mia lacrima perché nessuno come The Smiths è riuscito a fare questo in me, e ascoltare ancora oggi questo album fa di me un essere in privilegio costante.

Non fatico a pensarla come Morrissey e Marr che l’hanno definito il loro Migliore: in quella affermazione c’è tutto il rispetto per un album che ha avuto un travaglio tormentato, una guerra ed una distanza interna ma che non ha tolto la classe cristallina di quei due che, anche senza più la serenità di un tempo e l’amore di una amicizia immensa, hanno lasciato al Tempo, un gioiello, l’ennesimo, irripetibile, eterno.

Lunga vita Strangeways: sei nel podio da 32 anni e non scenderai mai perché ciò che vale non conosce la scomparsa.


Song by song


A rush and a push and the land is ours


Per il loro ultimo album i Mancunians aprono le danze portando a se, con la solita magistrale scrittura di Morrissey, un fantasma che si aggira e che fa dell’amore un luogo strano, gesti strambi, una storia accattivante sostenuto dal menestrello Johnny in splendida forma che attira a se Andy e Mike in una canzone che inizia con profumi francesi degli anni 30 per diventare nel giro di breve una canzone con il chiaro marchio The Smiths.


I started something I couldn’t finish


Una canzone zeppa di giochi di chitarra, la voce di Morrissey che lancia singhiozzi gutturali come era abituato fare con i Live, una canzone che spiega ancora una volta quanto nella musica pop sia importante l’arrangiamento, che completa, e snellisce, abbellisce la struttura.


Death of a Disco Dancer


Tenebre, momenti di tensione, paure, sensazioni sinistre: sono l’avvio di questa candela che illumina la mente, questa è una canzone spettacolare che mostra come per quanto Moz e Johnny possano non più guardarsi in faccia i loro talenti erano come calamita ed un pezzo di ferro, destinati ad essere uniti. 

Una canzone che cresce con un Pathos enorme sino ad approdare ad un finale che è burrasca, siamo fradici, spettinati, lacrimanti: un testo ed una musica che sono un tutt’uno, Johnny e Mike piloti della melodia e del ritmo alla fine di questa che senza dubbio è una delle canzoni più belle mai scritte.


Girlfriend in a coma


La band con la maggior capacità di produrre Singoli è qui ad affermarlo ancora una volta con questa canzone, una apertura alare per far entrare ossigeno nei nostri polmoni.

Musicalmente vede la connessione con quei anni 60 anni tanto amati ed un arrangiamento più moderno per una canzone che può anche farci danzare mentre Morrissey scrive in poche parole quelli che altri non riuscirebbero a fare con migliaia.


Stop me if you think you’ve heard this one before 


Nuovo capitolo di Morrissey della serie: come non aver paura di un titolo lunghissimo.

E questo è un brano che rivela come in fondo gli Smiths non siamo mai cambiati così tanto ma di aver saputo aggiunger dal loro potenziale solo quelle che davvero era necessario.

Capace di stare in Meat is Murder come in The Queen is Dead, quì si respira tutto il loro essere inglesi, l’ironia, l’amarezza, la diffidenza, un nuovo proiettile che ci trascina a danzare con spensieratezza mentre sono le parole stesse dei proiettili senza che nemmeno ce ne accorgiamo, li facciamo entrare in noi sorridendo: ecco, anche solo per questo motivo la penna di Morrissey è unica.


Last night I dreamt that somebody loved me


Cosa posso dire di questa canzone? Può una mano essere ferma mentre trema dinamite con tutto il suo carico di disperazione? Posso io tradurre una marea che sposta tutto ciò che ha al suo Interno?

No, qui non parliamo di canzone, di arte, o di quanto altro.

Qui è un dolore allucinante che trova una voce malinconica ed una musica maestosa, che per sempre regnerà Sovrana nei nostri cuori.

Con una introduzione che poteva anche bastare come canzone ecco che poi arriva il Fragore, che ci butta nel mare con violenza e amarezza, una musica perfetta per morire, non in pace, ma con l’illusione di braccia che possano salvarci come atto d’amore ma...era tutto un sogno e ora con tutti gli organi sconnessi e migliaia di lacrime io brindo a quella che forse è la canzone Manifesto del talento di Johnny e Morrissey.


Unhappy birthday 


Ironia: questa amica fraterna di Morrissey.

Talento musicale: questo supporto eterno di Johnny.

Andy e Mike sono bravissimi ma tutto proviene dai due ormai ex amici che confezionano una canzonetta irresistibile e moderna con aperture alla danza e alla sospensione, una frenata ed una accelerata essenziale.


Paint a vulgar picture 


L’introduzione vale già una carriera per molti chitarristi: deliziosa, sensuale, potente, dolce che poi fa entrare a bordo un basso semplice ma a sua volta irresistibile.

Una invettiva che deve per forza , per sua natura, essere feroce e spietata e su questo chi meglio di Morrissey può sciorinare l’infinita collezione di contraddizioni, la precarietà, il cattivo gusto, la tristezza del fare denaro sulle spalle degli artisti incuranti dei loro bisogni e ideali? 

Tenetela stretta a portata di riflessione: questa canzone è stata una bomba che è esplosa addosso a migliaia di idioti che, corrompendo sopratutto i giornalisti musicali, hanno cercato di restituire a Morrissey ma lui ancora oggi continua a fare quello che fece con questo testo, perfetto e purtroppo meraviglioso.


Death at One’s Elbow 


The Smiths di Meat is Murder tornano con un vestito nuovo, un titolo nuovo, nuovi trucchi ma lo stile, compatto e perfetto, è quello, uno stile che sappiamo bene essere riconoscibile.

Forse un testo non riuscitissimo per una volta, e glielo concediamo, ma rimane una bella canzone.


I won’t share you 


L’album finisce, il sogno finisce, la realtà cambia e prima di fare tutto questo gli Smiths si congedano con una canzone che profuma di esordio: Johnny e Moz di fronte, chitarra acustica, voce e sguardi, parole che arrivano come petali.

Poi, il nuovo Johnny, il ragazzino diventato nel tempo maestro di confezionatore di abiti cuce addosso un arrangiamento che è delizia pura e intoccabile.

E sfuma alla maniera sua salutandoci e donandoci lacrime che non perderemo mai...


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

29 Settembre 2019


https://open.spotify.com/album/7jfexk2w5aDI25njkN0UGg?si=tZd7u66qSuWsPt9JK5GePA




domenica 25 settembre 2022

La mia Recensione: SixTurnsNine - Borders

 SixTurnsNine - Borders


Prendiamo un aereo e voliamo a Düsseldorf, nella Germania Occidentale, per respirare tutto il profumo artistico che quella città emana da sempre.

Molto attiva, capace, importante, ha tra le sue braccia anche una spiccata propensione a proporre continuamente band in grado di affascinare, attirare, dando al suo porto la possibilità di smerciare musica veramente interessante.

L’orecchio dello scriba cade nell’ascolto dell’album di esordio del combo tedesco che ritiene il più strutturato nel generare clamore, intensità, ricchezza per la volontà di non rimanere legato solo alla storia del luogo di appartenenza, bensì di avere in dote la capacità di un respiro internazionale che gioca totalmente a suo favore.

Dopo cinque anni spesi a conoscersi, sperimentare e creare proprie canzoni, i tre cavalieri della fascinazione pura hanno deciso di fare il grande passo pubblicando Borders, che, senza perdere tempo, è un gioiello che si attacca ai tessuti della mente, arriva al pericardio e invade le vene, tutte, per coccolarle attraverso melodie e soluzioni tramite un uso sapiente dell’elettronica.

Il tutto potrebbe essere banalizzato da un “È Trip hop”: nulla di più incompleto, parziale e lontano dalla verità.

Innegabili sono l’attitudine e l’abito, ma immergendosi in un vero ascolto si colgono non solo sfumature, bensì anche costruzioni non necessariamente legate a quel genere.

Riusciamo invece a scorgere fiammate Post-Punk, dentro flussi di detriti di musica Industrial tenuta sapientemente come contorno, per  dare spazio a nuvole di Proto-Goth, creando un insieme suggestivo e originale.

Lutz Bauer è il genio, il pilota dei suoni, l’uomo che scolpisce le composizioni fornendo suggestioni spettacolari, fresche, moderne, senza dimenticare decadi che sembrano lontane.

Il bassista si chiama Philip Akoto, il poeta della ricchezza, dal talento sopraffino e con la capacità di avvolgere le architetture di Lutz in modo perfetto.

Poi lei, Anja Valpiani, la voce straordinaria dal canto vellutato, romantico, sensuale, una rugiada dai cristalli nell’ugola. Lei ha il merito di non vedere la sua lingua di origine come un ostacolo: canta perfettamente in inglese e la sua tecnica non è per nulla penalizzata, come pure i testi che paiono scritti da una madrelingua.

Le luci, la penombra, il buio sono territori emotivi che vengono vivisezionati e portati dentro una contemplazione che non lascia nulla al caso. 

Musica come parole che incantano, parole come musica che nutrono l’ascolto e lo gettano verso la leggerezza, malgrado la luce buia della notte, perché i tre ci portano in ogni caso raggi di sole.

Occorre metodo nell’ascolto, per poter individuare la miriade di elementi (non solo influenze) che rendono compatto e intenso questo debutto, occorre cercare, solamente in questo modo si potrà essere travolti dolcemente da una cascata sensoriale che creerà beneficio senza limiti. L’ascolto allora diventa un imbuto che ci condurrà nel canale intuitivo, programmato, sviluppato dai tre alberi tedeschi, sì, proprio così, perché loro sono individualmente capaci di donare forza e una bella visione. Ma la loro unione fa schizzare alle stelle le loro singole qualità: Borders è una tavolozza di odori resi corporei, un miracolo in grado di sortire slanci di intimità con destinazione l’estasi e la catarsi.

C’è una tensione blues che permea tutta l’opera, soprattutto per via di alcuni passaggi vocali di Anja che riesce a variare le sue incredibili interpretazioni  seguendo il flusso della musica, come se fosse ipnotizzata e sedotta da stimoli che arrivano dal corredo delle note, per poter volare liberamente con la sua tensione interiore. 

È fluorescenza articolata che giunge inavvertitamente, come ulteriore conferma di una potenza che da tutte le parti confluisce nel centro dei nostri sensi percettivi.

Si è circondati dalla dolcezza, dalla sensibilità, dalla leggerezza che dalle nuvole scende dentro il nostro sistema nervoso centrale, che è desideroso di sconvolgimenti delicati.

Doveroso è anche rendere merito a testi che spaziano moltissimo, dall’amore che si sente, che cerca protezione, che vuole condivisione, a una romantica e positiva attitudine anche nello scrivere del dolore, della fatica dell’esistenza, il tutto con pennellate di fantasia perfettamente cucita sulla realtà.

Con annessa la descrizione di volontà che mettano nei nostri ascolti e successive interpretazioni emisferi perfettamente ramificati.

L’impatto delle connessioni tra l’esterno e l’interno vengono specificate attraverso liriche potenti e convincenti.

È consolante, carezzevole constatare come le atmosfere e le modalità scelte per esprimere flussi magnetici di magia intensa abbiano nel suo DNA anche un fare che consuma l’esperienza Trip hop per cogliere un succo in un frutto che sembrava ormai spolpato del tutto. Questi impareggiabili tedeschi invece lo ripresentano, ma con la volontà di mostrarne il valore con la purezza di mescolanze che ne aumentano il prestigio.


Moments, Fatigue, Ginger: canzoni nelle quali viviamo tutti una scossa elettrica elegante dentro atmosfere cupe ma piene di grazia.

Flames è la perfetta miscela tra una sensazione che i Cure potevano indirizzarsi verso questo pianeta musicale e il Trip hop.

Love Map offre una voce che si arrotola dentro i battiti, ed è vapore che si scioglie nel crooning e pennellate di incanto.

Ma tutte le composizioni hanno un’immensità da sfiorare con la magia di trucchi che sapranno lasciarvi a bocca aperta…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
26 Settembre 2022

Data di pubblicazione album: 30 Settembre 2022










My Review: SixTurnsNine - Borders

 SixTurnsNine - Borders


We take a plane and fly to Düsseldorf, West Germany, to breathe in all the artistic perfume that city has always emanated.

Very active, capable, important, it also has in its arms a marked propensity to continually come up with bands that are able to fascinate, attract, giving its harbor a chance to put on the market really interesting music.

The scribe's ear listens to the debut album of the German combo that he feels is the most structured in generating hype, intensity, richness because of its willingness not to remain tied only to the history of its place of belonging, but rather to have in its possession the capacity for an international scope that plays totally in its favor.

After five years spent getting to know each other, experimenting and creating their own songs, the three knights of pure fascination decided to take the plunge by releasing Borders, which, without wasting any time, is a jewel that sticks to the tissues of the mind, reaches the pericardium and invades the veins, all of them, to cuddle them through melodies and solutions with a skillful use of electronic music.

The whole thing could be trivialized by "It's Trip hop": nothing could be more incomplete, partial and far from the truth.

The attitude and the dress are undeniable, but immersing oneself in a careful listening one catches not only nuances, but also constructions not necessarily related to that genre.

Instead, we manage to notice glimpses of Post-Punk flames, within streams of debris from Industrial music held expertly as a contour, to give space to clouds of Proto-Goth, creating an evocative and original whole.

Lutz Bauer is the genius, the driver of sounds, the man who sculpts the compositions providing spectacular, fresh, modern suggestions, without forgetting decades that seem distant.

The bassist is called Philip Akoto, the poet of richness, with an overpowering talent and the ability to wrap Lutz's architectures perfectly.

Then she, Anja Valpiani, the extraordinary voice with velvety, romantic, sensual vocals, a dew with crystals in her uvula. She has the merit of not seeing her native language as a hindrance: she sings perfectly in English and her technique is not at all penalized, as are the lyrics that seem to be written by a native speaker.

Lights, dimness and darkness are emotional territories that are vivisected and brought inside a contemplation that leaves nothing to chance. 

Music as words that enchant, words as music that nourish our listening and throw it toward lightness, despite the dark light of night, for the three bring us rays of sunshine anyway.

One needs method in listening, to be able to identify the myriad elements (not just influences) that make this debut compact and intense, one needs to search, only in this way we can be gently swept away by a sensory cascade that will create limitless benefit. Listening then becomes a funnel that will lead us into the intuitive, programmed channel developed by the three German trees, yes, that's right, because they are individually capable of giving strength and a beautiful vision. But their union makes their personal qualities skyrocket: Borders is a palette of smells which have been given a physical form, a miracle capable of producing spurts of intimacy made to reach ecstasy and catharsis.

There is a blues tension that permeates the entire work, especially because of some vocal passages by Anja, who manages to vary her incredible interpretations by following the flow of the music, as if hypnotized and seduced by incentives coming from the set of notes, in order to fly freely with her inner tension. 

It is articulated fluorescence that arrives inadvertently, as further confirmation of a power that from all sides flows into the centre of our perceptive senses.

One is surrounded by the gentleness, the sensitivity, the lightness that descends from the clouds into our central nervous system, which is eager for a delicate upheaval.

It is also necessary to give credit to lyrics that range widely, from love that is felt, that seeks protection, that wants sharing, to a romantic and positive attitude even in writing about the pain, the toil of existence, all with strokes of imagination perfectly stitched to reality.

With attached description of wills that put perfectly branched hemispheres in our listening and subsequent interpretations.

The impact of the connections between the outside and the inside are specified through powerful and compelling lyrics.

It is comforting and caressing to see how the atmospheres and modes chosen to express magnetic streams of intense magic also have in its DNA a way of doing that consumes the Trip hop experience to extract the juice from a fruit that seemed to have been squeezed entirely. Instead, these peerless Germans re-present it, but with a willingness to show its value with the purity of mixtures that enhance its prestige.


Moments, Fatigue, Ginger: songs in which we all experience an elegant electric shock inside dark but grace-filled atmospheres.

Flames is the perfect blend of a feeling that The Cure could move towards this musical planet and Trip hop.

Love Map offers vocals that roll up inside the beats, and it's steam that melts into crooning and brushstrokes of enchantment.

But all the compositions have an immensity to be touched with the magic of tricks that will leave you speechless....


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
26th September 2022

Date release: 30th September 2022








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