sabato 6 aprile 2024

La mia Recensione: The Palace of Tears - Veiled Screen, Woven Dream


 

ALBUM OF THE YEAR 2024

The Palace of Tears - Veiled Screen, Woven Dream


Quando si definisce nemico il dolore si perde totalmente la possibilità di crescere, di delineare la verità che sviluppa la coscienza e la rende visibile e afferrabile sul vicolo della quasi perfezione, dato che quest’ultima non è cosa umana.

All’arte viene concessa la possibilità di trasformare l’impossibile in un corollario di pianeti in transito, mentre portano sulle loro spalle la spada di Damocle da disperdere tra le costellazioni, avendo in cambio l'emblematica capacità della catarsi di restituire percezioni purificatrici, veicolando verità e trasformando il valore della perplessità.

Abbiamo modo di approcciarci, con garbo e rispetto,  a un album che consacra il valore della famiglia, del lutto come occasione di rinascita, assistendo a un diario che racconta la terribile perdita del fratello della cantante e la probabile riunione dei due in uno spazio non fisico bensì mentale.

Leah Kahn aka LV Darkling (voce, paroliere) è colei che ha indirizzato il desiderio della esperienza dell’elaborazione del viaggio celeste di suo fratello in versi e introspezioni che si sono palesati in un’ugola capace di rilasciare poesia dalle piume nere e vibrazioni amniotiche dalla bellezza indicibile. Si è frastornati, ammanettati, paralizzati verso un percorso che trasforma le convinzioni in un buio che determina confini diversi. E il fatto più stupefacente è che si approda a diversi tipi di guarigioni, mentre le mani si rivelano bagnate e i polsi tremanti: ci si ritrova dentro lezioni di vita che graffiano la paura della perdita di ciò che vorremmo infinito per comprendere, invece, che la saggezza sta nel desiderio di non dimenticare chi è prezioso per noi.

Erick R. Scheid (chitarre, elettronica, ingegneria) è un arco magnetico di esplosioni nucleari trattenute all’interno di un'ampolla medievale che getta il contenuto di suoni incatramati verso il presente, elaborando strutture che circondano il globo terrestre, assimilando nozioni di fisica e matematica, con la profondità di graffi di animali selvatici a rendere le ferite giustificate. Da lì, il suo laboratorio si ingegna a diversificare la musica, non come luogo stagnante e svilente di generi musicali, bensì come un parto in cui la nascita è il luogo di metabolizzazione delle esperienze precedenti. Con la sua mente che genera pulsioni, Erick inocula tensioni e vibrazioni nel circuito esplorativo che fa della lentezza il luogo nel quale l’ambiente diventa concreto e viene visualizzato dai suoi strumenti, con la maestria di chi traducendo i pensieri disegna sentieri in cui perdersi è il vero godimento, manifestando la volontà di donare sacralità a questi fiumi sonori.

Il disco diventa il mezzo attraverso il quale si misura la temperatura corporea dei drammi, dei pensieri fasciati di spine, ma anche il presupposto per far crescere il respiro della speranza, donandole lo scettro della perseveranza. Acuto, profondo, imbarazzante per i moti che avvicinano paure e disagi, quello che si ascolta è un segno di divinità prive di identità, dove non viene richiesta adorazione e sacrificio ma un impegno importante verso l’accoglienza di ciò che si teme vivere.

Si giunge così all’assemblaggio che, mediante l’apparato sinuoso dell’uso dell’elettronica, rende compatto il lungo processo di seminatura di ghiandole gotiche, schizzi di propensioni di musica eterea e chitarre in bilico tra lo shoegaze e l’ambient, sorprendendo però in quanto il tutto non reclama una identità separata, ma un’orgia sensoriale che liberi dalla presunzione e diventi un masso che resista alle tentazioni.

Si vive la certezza che queste sette fauci notturne siano fuoriuscite da un film muto del secolo scorso, da un proiettore che traduce le scorribande e le lenti processioni e le inserisce nelle immagini in movimento, per rendere univoco l’insieme, per non disperdere la complessità di un apparato scenico che sale alla fine dell’ascolto su un palco, in un teatro circondato da anime desiderose di veder recitato questo impianto di bellezza senza tempo.

L’anima viene messa in una valigia, la vita intera dentro un make up nel quale gli eccessi di nero sono l’accesso al cielo notturno e dove i simboli sono i guardiani di ogni apertura mentale: il tempo custodisce i riflessi, gli amplessi dei pensieri, tutto straborda con intelligenza e il caos diventa il fratello di sangue che governa la follia. Stratificazioni, immersioni, voli a schiaffeggiare la volta celeste sino a planare sulla sabbia di un deserto sconosciuto: ciò che si vive è un ascolto educativo, sensoriale, con la memoria che scrive a se stessa riciclando qualsiasi rifiuto, per evolverlo in un monumento che possa sorridere.

New Orleans diventa così il centro di raccolta spettrale, simbolica, in un marasma che raccoglie in eredità altri agglomerati di tempi lontani e anche recenti (Arcana, Lycia, Dead Can Dance, Ataraxia tra quelli più immediati e intuibili), ma con l’indiscutibile merito di essere più vicini a una dimensione extrasensoriale, facendo compiere una sana e abbondante fatica: esistendo queste condizioni il risultato non può che essere un processo di purificazione totale.

Oltre a ciò che si è descritto non bisogna negare il romanticismo che riesce a immergersi nelle paludi soniche trovando sempre il modo di respirare, di rimanere saldo e di far vedere le proprie piume: oltre a usare bene le orecchie, in questo album bisogna anche aguzzare la vista. Se non si vuole perdere questa modalità quasi completamente scomparsa, occorre guardare bene dentro queste tracce e allora un bouquet di rose apparirà dinanzi ai nostri occhi.


Song by Song

1 - Black Obsidian Beyond Oblivion

Un caveau di microfrequenze allarga in lenta processione il suo potere di acquisto e distribuisce i suoni annessi al cielo, in un abbraccio lento, pilotato dalla voce di contralto di LV Darkling che semina petali di dolore come se fosse un sorriso invernale. La sacralità governa i luoghi e ci si accascia con dignità, mentre piccole fiaccole darkwave accennano la loro presenza.



2 - An Echo in Time

Un viaggio, uscito da un sepolcro e coraggioso, è affidato a synth in parata militare, pronti a centrare il bersaglio, per poi prendere ritmo e inoltrare le inclinazioni eteree ai bordi di una attitudine in cui le pergamene gotiche ci portano sulle ali del tempo. Il cantato, qui più nascosto, a un tratto vira verso il registro alto e siamo tutti lacrime sognanti…



3 - The Embers of Your Being Glow Still

Il crepuscolo genera ombre a lunga gittata, l’incenso si espande, le chitarre sono spari sinuosi in meticolosa generosità, tra veli e lampi, con la presenza di pietre millenarie a fare da vigile celeste. I draghi si riempiono di fuoco e permangono nel momento notturno per rendere il cielo un applauso scrosciante. Misteriosa, dalle molteplici forme, la canzone è una ipnosi caotica vestita per presenziare al messaggio di una colomba dalle piume nerastre…



4 - Cimetière de l’Absinthe no.333

La soluzione è quella di un brano strumentale, che alimenta attimi di tensione e l’antica propensione all’attesa, in una nuvola metallica che espande atomi elettronici perfettamente levigati, una favola priva di parole che conosce il metodo per divenire una pellicola horror di grande fattura…




5 -Lair of the Undying

Misticismo, spionaggio (con il grande occhio che scrive ciò che accade), e un volo che abbraccia la notte: si toccano le vette più alte di questo clamoroso lavoro, la musica si genuflette solo all’angelico cantato, ma senza perdersi d’animo traccia, con synth, basso e chitarra e un drumming androgino, il percorso di bugie in perdita di autorevolezza. Si fa l’esperienza della refutazione della morte e della dissolvenza per credere, piuttosto, a un clamoroso ritorno. E la musica non è cornice, bensì un paesaggio in espansione…



6 - Veiled Screen, Woven Dream

Ecco che entriamo in un apparente stato di quiescenza, si attende che l’uva pigiata prenda gusto e al novantesimo secondo accade: da quel momento, il pezzo  che dà il titolo all’album, diventa un coro affidato a distese di chitarre distorte, e il grumo di ombre danzanti si trasforma in un canovaccio che, tra giacenze darkwave ed eteree, fa divenire il tutto l’incontro di anime ribollenti di sacralità.



7 - The Serpent Bearer (feat. Unwoman)

Le profezie appartenevano a uomini che camminavano nel deserto, invece in questo ultimo delirio sonoro è una sacerdotessa a compiere questo atto di coraggio nei confronti del tempo: si tocca il cielo, si scava nella terra più paludosa e i tocchi di chitarra sono accenni resi visibili da poteri a noi sconosciuti. Come una lunga dissolvenza, l’addio a questo incredibile lavoro è un ricordarci i sintomi del dolore, le sue conseguenze, con la generosa intenzione di non picchiare ma di stendere garze sulla nostra mente. Angeli e demoni firmano l’armistizio e dichiarano come questo universo sia pronto a generare ancora nuovi corpi celesti: il tocco finale di una passeggiata che ha fatto incontrare la vita e la morte sotto il mantello nascosto della notte…

Che lo stupore, l’affanno, la speranza, i giochi di prestigio siano complici di questo nucleo in esibizione eterna…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
6 Aprile 2024

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.

La mia Recensione: Aursjøen - Strand

  Aursjoen - Strand “La leggerezza per me si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono a caso” - Ital...