mercoledì 20 aprile 2022

La mia Recensione: Arlo Bigazzi / Flavio Ferri - Alfabetiere

 La mia Recensione 


Arlo Bigazzi / Flavio Ferri - Alfabetiere 


Il mondo come linguaggio, come sistema di decodificazioni, come possibilità di capire e farsi capire. La ricerca della creazione di un insieme che possa far fruttificare ricchezze individuali e collettive. Usando anche la visione poetica che illumina e addolcisce le coscienze. Una forma di sviluppo che consente di trovare un baricentro per partire verso la consapevolezza. È il più grande dizionario umano tutto questo e lo percepiamo dentro il lavoro di Arlo Bigazzi e Flavio Ferri, che in “Alfabetiere Majakovskij!” ripartono dall’album “Majakovskij! - il futuro viene dal vecchio ma ha il respiro di un ragazzo”, per unirsi alle fotografie di Lucia Baldini. Cinque brani dell’opera precedente vengono ripresi e rielaborati, aggiungendone altri due nuovi.

Note musicali come lettere, come un via continuo verso il sentiero della conoscenza, un viaggio che forma la comprensione, su territori dilatati e colmi di mistero e luce, tutto questo tenuto insieme da chi ha compreso il percorso da compiere e  sa renderlo chiaro.

Sono poesie sonore, magazzini della memoria e slanci verso la creazione di scintillii che diventano stelle polari.

Parti acustiche, parti elettroniche, per un sogno che scende nella realtà quotidiana portando con sé quell’infinito sconosciuto capace di divenire concreto in una serie di composizioni che sono già immagini, scatti di percezioni, di intuizioni in viaggio tra il passato ed il futuro.

Canzoni come navicelle ricoperte di velluto mentre in viaggio sondano l’universo poetico del sentire la vita come esperienza sensoriale. Loop, lampi di suono morbidi, mantra strepitosi che rendono l’ascolto uno stupore continuo.

Il buon Arlo crea atmosfere dotate di profondità senza nessun contorno di tristezza, sapendo fare del suo percorso un dizionario emozionale e percettivo laddove Flavio distorce, dilata, sublima per conferire all’insieme una compattezza che odora di ambienti senza confini, unendo l’ovest e l’est del mondo, con uno spostamento che diviene ulteriore beneficio culturale per quelle anime volenterose e predisposte a continuare la ricerca più profonda delle verità.

Strumenti come sillabe, vocali e consonanti in un dialogo continuo, dove nulla stride, niente è fuori posto, dando alla musica un senso di completezza che abbatte i limiti della forma canzone.

L’alfabeto cirillico si unisce a quello arabo per circumnavigare maggiormente la comprensione in una festa di informazioni che finalmente aggiungono precisione e chiarezza.

Questo album stoppa la frenesia come un evento che nasce dal deserto, dai ghiacciai, luoghi disabitati e quindi prova evidente della frenesia umana, come se fosse in grado di creare una nuova vita partendo dal silenzio e dal rumore più dolce che esista: quello della natura.

Si giunge alla sensazione che la new age e la sperimentazione più pura siano antiche possibilità stilistiche che i due condensano e da cui decidono di prendere poi le distanze per aggiungerci, attraverso uno sconfinato talento, i loro stilemi.

Movimenti continui di sogni che oscillano nel cammino dell’incoscienza finendo per compattarsi nella realtà umana che i due aRtisti rendono accessibili trasformando il tutto attraverso strumenti che conosciamo ma che trovano una originalità, una forma nuova che conferma il fatto che l’arte sia ancora capace di inventare ulteriori modalità espressive.

Il lavoro di Lucia Baldini e di Chiara Cappelli, insieme alla magica e profonda penna di Mirco Salvadori, che perlustra perfettamente il contenuto, conferisce all’opera eleganza ed una maggior comprensione della musica, finendo per fissare il tutto nel magico non luogo che sapientemente hanno reso concreto.

Strepitosa manifestazione di eleganza e di creazione di nuovi stimoli per dare alla nostra ridotta capacità intellettiva la possibilità di rigenerarsi e di liberarsi di ciò che è divenuto stantio e sterile.

Oltre che un piacere ascoltarlo è soprattutto un riscatto ed una chance di crescita quello che i due strepitosi musicisti, con le loro lucidissime visioni, hanno saputo donarci al fine di insegnarci a parlare la lingua della Cultura e dello sviluppo umano.



Canzone per canzone


1. Se accendono le stelle 4:43


L’apertura è affidata alla esperienza che ha saputo intervenire sul reale: gelatina musicale dentro un sibilo che nuota sulle onde come un campanello d’allarme, inserti di elettronica come insetti lenti a creare l’inizio dell’idea di una parola, che verrà. Un brivido corpulento arriva dal basso che sonda il terreno in un fragore che Flavio doma sapientemente.



2. Poeti estinti 4:25


La verità indiscutibile attraversa il mare per scendere a terra: subito il basso si prende gocce di note che provengono da una tastiera per rendere la sabbia accogliente. Il brano sembra un velo che cammina dentro le nostre insicurezze, con rintocchi ed echi a suggerire la dimensione del lavoro da fare, perché c’è da inventare un linguaggio comprensibile. E allora la melodia semplifica il tutto donando morbidezza, con un loop che abbraccia ciò che sembrava smarrirsi. 



3. Cella 103 5:24


Qui la dimostrazione che il fare non ha potuto che agire in quanto tale e allora note più tese, vibranti, passi che conoscono l’ombra, basso distorto e la fatica del vivere che viene rappresentato dal bip che sembra provenire da un letto di ospedale. Ci si muove con circospezione, guardinghi, per un brano che fonde il jazz all’elettronica, passando per le derive spaziali di Robert Fripp e il progressive stralunato dei Beggars Opera.


4. Ljuda 7:14


Una sillaba nasce, tra la polvere alzata da questa poesia sonora: vive l’allusione all’atto dell’esistere che annienta il discorso arcano per divenire forma concreta. Lo si capisce dai fluidi lenti color vento dei vari inserti di cui è composta la canzone, rasoi elettronici con i mantra necessari per dare alla minima unità fonica appena nata forma e sicurezza.



5. L’alba del 28 febbraio 5:17


Muore l’ambiguità che una sillaba, divenuta ormai parola, possa creare e, dentro questo castigo sonoro, come un temporale che blocca la velocità, se ne ha la pura percezione. Tutto è dilatato, sino a quando il basso di Arlo diviene il battito del cuore del linguaggio crescente. E ci si sposta di latitudine, come una marcia nomade tra le corsie della paura. Flavio governa la tensione spogliandola, ma rivestendola nel contempo di dubbi per fare del quinto brano un miracolo lessicale.



6. Dodja 6:55


Il mistero di una forza che vuole rivelarsi permea questa oscillazione termica data da note quasi gioiose nel sentiero di una cupezza che si avverte in lontananza. E la parola diventa verbo, creando nuove forze, e la tastiera suggerisce un percorso minimalista e indiscutibile. Gocce di ghiaccio scendono dall’alto per purificare il linguaggio, mentre ci si rende conto che anche musicalmente qualcosa di nuovo è nato, rendendo il tutto un ascolto unico.



7. Se accendono le stelle [reprise] 2:48 


L’ultimo brano non determina la fine, piuttosto il contrario: ci lascia in dotazione la consapevolezza che dobbiamo decodificare la bellezza ricevuta come dono unico e incommensurabile e che simbolizza l’inizio di un circuito che si ripeterà come ciclica costante. I due sintetizzano il tutto per un brano plumbeo, rigido, ossuto, glaciale, con spruzzi di melodia e inclinazione alla positività. Il modo migliore per far sentire la Poesia del poeta Russo nell’era moderna, riassumendo le suggestioni antiche che Arlo e Flavio hanno saputo rendere moderne e comprensibili a tutti.

Di una bellezza davvero struggente nella danza dell’ipnosi più suadente.


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford 

21 Aprile 2022


L'album uscirà il 22 Aprile 2022




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