lunedì 8 luglio 2024

La mia Recensione: Federale - Reverb & Seduction


 

Federale - Reverb & Seduction


In un mondo fatto di grida, più o meno rumorose, e di falsità, trovarsi all’interno di un misterioso riverbero e di una possente seduzione è già un lasciapassare per sogni che possono scivolare di nascosto nella realtà. Fautrice di questo miracolo è la formazione di Portland, Oregon, capoluogo della contea di Multnomah, sempre capace di sfornare affreschi musicali e di fare dell’arte un serbatoio per gli Stati Uniti.

Giunta al sesto album in studio è riuscita a trasformare il talento e la dedizione in un racconto sonoro e lirico che circonda i suoi diciassette anni di attività, conservando la sua anima petrolifera per versarne il contenuto in dieci possenti tracce, tra la decadenza comportamentale, quella filosofica, in un incastro sensoriale che unisce l’universo umano a quello della natura, sublimando il tutto con petali di veleno addomesticati con sapienza per detergere i rifiuti e depurare le sbavature. In un impasto stilistico che comprende generi musicali marchiati con sapiente forza e delicatezza (quando necessario), ecco presentarsi il velo di una psichedelia rock in grado di posare gli artigli sull'evocazione del mondo spaghetti western, laddove l’Italia del cinema ha saputo attirare artisti in un atto dove dipingere le nuvole e il vento sorpassava l’ispirazione pazzesca dei film di Buñuel, con la sua arte rappresentante la miglior versione surrealista spagnola.

La band di Collin Hegna (nulla da eccepire in merito al suo ruolo di bassista nei mitici The Brian Jonestown Massacre, ma con questo progetto tutta la sua magnificenza rivela un’autorità e una bravura che inchiodano sempre l’ascoltatore, senza sbavature) scrive un geroglifico attento, meticoloso, con echi (e non riverberi…) saltuari di atomi dark country/gothic americana/folk noir che si allineano strepitosamente con quelli che sembrano essere gli “stili musicali ufficiali”.

Dieci fulmini terra-nuvola che rischiarano la volta celeste dei nostri pensieri, con variazioni umorali che rendono più luminosa l’ampiezza del loro range artistico.

Una tensione addomesticata in arrangiamenti sontuosi, effervescenti, per camminare tra le vie di racconti e immagini che si incollano sulla pelle e per nutrire lo strato adiposo e lasciare il tutto scorrere nelle vene.

Un arcobaleno all’interno di un temporale invernale: basterebbero tali parole per inquadrare questo sublime lavoro, ma occorre precisare come Reverb & Seduction sia anche un disegno pieno di timidezza dentro i circuiti espressivi di adulti che paiono giocare con le note come farebbero i bambini, lasciando all’ingenuità il compito di apparire in modo elegante per poi trasformarsi in un atto consapevole.

Appare, spesso, la coraggiosa volontà di dare alle composizioni una struttura proveniente dalla musica classica, pur non negando la volontà della forma canzone, legittimando il bisogno di rendere più ricche e varie queste movenze stilistiche. Una colonna sonora che con le immagini stipula un patto: non essere dimentichi dei messaggi che le parole contengono, per poter rendere il tutto una statua morbida che guarda gli ascoltatori con fierezza. 

Questa affollata formazione visita molto bene le zone che conosce, conducendo poi ogni cosa verso praterie mentali e sentieri istintivi per congiungersi al piano magnetico della magia che a un certo punto crea percorsi non decifrabili, ma che si possono intuire: una forma anarchica che non fa prigionieri e rende l’ascolto un luogo pieno di benefici.

Come in un’esperienza colma di traiettorie ubriache, così si muovono queste composizioni: non trovano detriti e non ne seminano, rispettando l'ecosistema, ma sanno zigzagare tra le possibilità, rendendo fertili le loro virtù, scrivendo un insieme di brani che legittimano il costo dell’acquisto, regalando una tempesta sensoriale che si espande canzone dopo canzone, ascolto dopo ascolto, in un effluvio di sensi liberati da catene pesanti. 

Si soffre con empatia, si veste l’umore di ragionevolezza e condivisione, si compiono scatti che decidono il destino: uno dei dischi più belli degli ultimi anni attende di essere spremuto, rovesciato in ripetuti play.

Non manca, di certo, il bisogno di attrezzarsi di garze: ruscelli di tristezza inondano saltuariamente questo pentagramma, ma lo rendono credibile e veritiero…

Posizioniamo l’attenzione sulle dieci tracce e facciamo del nostro approccio all’album un atto di doverosa attenzione…



Song by Song


1 - Advice From A Stranger

Un boato rinchiuso abita le prime note in un feedback gentile, e poi è blues sporco vestito di una psichedelia magnetica che con il ritornello offre un’oscura parentesi pop. 

Micidiale.


2 - Heaven Forgive Me

L’apoteosi di suggestioni spaghetti western, gonfie di folk noir, conferisce al brano il ruolo di una bandiera di rappresentanza che sventola sulla storia della musica americana. Chitarre come polpa vibrante, un assolo minimalista a indicare la traiettoria della melodia e poi il cantato: come miscelare Morricone, i Pixies, Mark Lanegan e i Sophia in un vascello danzante pieno di ruggine…

Struggente.

  


3 - I’ll Never Forget

Il ritmo, la forma, l'intensità si differenziano dalle precedenti due canzoni e ci ritroviamo in un sagrato dove viene celebrata la memoria e l’attenzione, con il binomio chitarra acustica ed elettrica che prepara il terreno per un cantato che profuma di epicità. La tristezza viene concepita come una grande possibilità di rinnovo personale durante il solo di una potente chitarra piena di acido e sudore.

Calamitosa.



4 - The Gallow Gate 

Tamburi, poi una scivolata ritmica deliziosa, con i rintocchi del pianoforte e il folk che si sposta verso il deserto, non mancando mai di innaffiare il cielo con continue aperture melodiche.

Epica.



5 - Hope Don’t You Haunt Me

16 Horsepower e David Eugene Edwards si inchinano: gli spiriti del deserto sembrano uscire da questa traccia che riassume l’identità dell’alternative americana quando decide di coniugarsi al gotico in superficie.

Sensuale.



6 - Dark Waters

Si corre volando nel buio, con una tensione che paralizza e lascia archi sorridenti sebbene le lacrime siano le prime a uscire dagli occhi. Sacra, austera, potente, compie il tragitto necessario per ricordarci come suonerebbero i Mission se vivessero negli States.

Imponente.



7 - No Strangers 

Un’apparente dolcezza, figlia dei Church e degli Echo & The Bunnymen, si inserisce nell’album, nel percorso di un compasso che comprende tutte le possibilità, per esibire un racconto in cui i cittadini di una città notano uno straniero che si affaccia: e la domenica ha un profumo celeste e sospettoso al contempo.

Ariosa. 



8  - The Worst Thing You Ever Did Was Ever Loving You

Dal piglio country, con ritmiche più votate all’indie, il brano è un collante perfetto con quello precedente e la voce di Megan Diana appare come un sorriso dell’anima.

Intimista.



9 - Home

Tra Portland e Dublino, il viaggio musicale comprende la rivisitazione di codici pop che possano fare del folk un porto del cielo…

Rinfrescante.



10 - Revolver Revolver

L’album si chiude con una canzone strumentale, figlia di paludi che osano correre, con Morricone che dal cielo dirige, i Pixies che scalpitano e la band di Portland che fa di tutto per scrivere un commiato che solleva la pelle e la porta negli anni Settanta, per scrivere di nostalgia e paure senza proferire parola alcuna…

Perfetta.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8th July 2024


https://federalemusic.bandcamp.com/album/reverb-seduction


Jealous Butcher Records








My Review: Federale - Reverb & Seduction


 Federal - Reverb & Seduction


In a world of shouts, more or less noisy, and falsehoods, being inside a mysterious reverb and a powerful seduction is already a pass for dreams that can sneak into reality. Author of this miracle is the line-up from Portland, Oregon, capital of Multnomah County, always capable of churning out musical frescoes and making art a reservoir for the United States.

Now in its sixth studio album, it has succeeded in transforming talent and dedication into a sonic and lyrical tale that encircles its seventeen years of activity, preserving its petroleum soul to pour its contents into ten powerful tracks, between behavioural and philosophical decadence, in a sensorial interlocking that unites the human universe with that of nature, sublimating everything with petals of poison tamed with wisdom to cleanse the waste and purify the smears. 


In a stylistic mixture that encompasses musical genres branded with skilful force and delicacy (when necessary), here comes the veil of a rock psychedelia capable of laying its claws on the evocation of the spaghetti western world, where  Italian cinema was able to attract artists in an act where painting clouds and wind surpassed the crazy inspiration of Buñuel's films, with its art representing the best Spanish surrealist version.

Collin Hegna's band (no objection to his role as bassist in the legendary The Brian Jonestown Massacre, but with this project all his magnificence reveals an authority and skill that always nails the listener, without smearing) writes a careful, meticulous hieroglyphic, with occasional echoes (and not reverberations...) of dark country/gothic Americana/folk noir atoms that align resoundingly with what seem to be the 'official musical styles'.


Ten earth-cloud lightnings that illuminate the vault of our thoughts, with humour variations that brighten the breadth of their artistic range.

A tension tamed in sumptuous, effervescent arrangements, to walk the paths of stories and images that stick to the skin and nourish the adipose layer and let it all flow through the veins.

A rainbow within a winter storm: such words would suffice to frame this sublime work, but it should be pointed out that Reverb & Seduction is also a drawing full of shyness within the expressive circuits of adults who seem to play with notes as children would, leaving naivety to appear in an elegant way and then transform itself into a conscious act.


The courageous desire to give the compositions a structure from classical music often appears, although it does not deny the desire for the song form, legitimising the need to make these stylistic movements richer and more varied. A soundtrack that makes a pact with the images: not to be oblivious to the messages that the words contain, in order to make the whole a soft statue that looks proudly at the listeners. 

This crowded line-up visits the areas it knows very well, leading everything towards mental meadows and instinctive paths to join the magnetic plane of magic that at a certain point creates paths that cannot be deciphered, but that can be intuited: an anarchic form that takes no prisoners and makes listening a place full of benefits.  As in an experience full of drunken trajectories, so do these compositions move: they find no detritus and sow none, respecting the ecosystem, but they know how to zigzag between possibilities, making their virtues fertile, writing a set of tracks that legitimise the cost of purchase, offering a sensory storm that expands song after song, listening after listening, in an outpouring of senses freed from heavy chains. 

One suffers with empathy, one dresses the mood with reason and sharing, one takes shots that decide one's destiny: one of the most beautiful records of the last few years is waiting to be squeezed, spilled over in repeated plays.

There is certainly no shortage of need for gauze: streams of sadness occasionally flood this pentagram, but they make it credible and truthful...

Let us place our attention on the ten tracks and make our approach to the album an act of dutiful attention...


Song by Song


1 - Advice From A Stranger

A roar coats the first notes in gentle feedback, and then it's dirty blues dressed in a magnetic psychedelia that offers a dark pop interlude with the refrain. 

Deadly.


2 - Heaven Forgive Me

The apotheosis of spaghetti western suggestions, swollen with noir folk, gives the track the role of a representative flag waving over the history of American music. Guitars as vibrant pulp, a minimalist solo to indicate the trajectory of the melody and then the singing: how to mix Morricone, the Pixies, Mark Lanegan and Sophia in a dancing vessel full of rust...

Poignant.


3 - I'll Never Forget

The rhythm, the form, the intensity differ from the previous two songs and we find ourselves in a churchyard where memory and attention are celebrated, with the acoustic and electric guitar pairing setting the stage for a vocal that smells of epicness. Sadness is conceived as a great opportunity for personal renewal during a powerful guitar solo full of acid and sweat.

Calamitous.



4 - The Gallow Gate 

Drums, then a delightful rhythmic slide, with piano chimes and the folk moving to the desert, never failing to water the sky with continuous melodic openings.

Epic.


5 - Hope Don't You Haunt Me

16 Horsepower and David Eugene Edwards take a bow: the desert spirits seem to come out of this track that sums up the identity of American alternative when it decides to conjugate itself to the gothic on the surface.

Sensual.



6 - Dark Waters

One runs flying in the dark, with a tension that paralyses and leaves smiling bows although tears are the first to come out of one's eyes. Sacred, austere, powerful, it goes the distance to remind us what The Mission would sound like if they lived in the States.

Imposing.


7 - No Strangers 

An apparent gentleness, daughter of The Church and Echo & The Bunnymen, enters the album, in the path of a compass that encompasses all possibilities, to exhibit a tale in which the citizens of a city notice a stranger coming through: and Sunday has a scent at once heavenly and suspicious.

Airy. 



8 - The Worst Thing You Ever Did Was Loving You

With a country feel and more indie rhythms, this track is a perfect glue to the previous one, and Megan Diana's voice sounds like a soulful smile.

Intimist.


9 - Home

Between Portland and Dublin, the musical journey includes revisiting pop codes that can make folk a haven of heaven...

Refreshing.



10 - Revolver Revolver

The album closes with an instrumental song, daughter of swamps that dare to run, with Morricone conducting from the sky, the Pixies pawing and the Portland band doing their utmost to write a farewell that lifts the skin and takes you back to the seventies, to write about nostalgia and fears without uttering a word...

Perfect.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8th July 2024


https://federalemusic.bandcamp.com/album/reverb-seduction


Jealous Butcher Records

lunedì 1 luglio 2024

La mia Recensione: Boulder Fields - With All the Other Ghosts




Boulder Fields - With All the Other Ghosts


Anche i musicisti hanno un pedigree e spesso è la base di una serie di sicurezze che avvolgono l’ascoltatore togliendo paure e incertezze. Quello dello scozzese Cam Fraser è impressionante, una meravigliosa cavalcata nei territori di ciò che è difficile da definire ma di cui, facilmente, ci si ritrova a godere con grande semplicità. È proprio quest’ultima che circonda, definisce e trasporta l’esperienza della sua musica verso una forma di rilassatezza davvero notevole. Siamo nella zona di un indie folk accogliente, gentile, educato, abile nell’approcciarsi anche ad altri generi quasi di nascosto, con classe e gentilezza. Si trovano, quindi, disseminate lungo le undici farfalle piene di onde sensuali e talvolta lievemente malinconiche, tracce di lo-fi, di un folk che pare graffiarsi con miscele rock, ma sempre sottovoce. Il fuoriclasse di Edimburgo si fa affiancare da musicisti che riescono a esaltare la minimalistica ondata di canzoni per far sembrare il tutto il frutto di una band con migliaia di anni di attività alle spalle, quando invece si tratta di un esordio, almeno con questo nome. Il Vecchio Scriba sottolinea come il mondo paia attraversato da questi paesaggi, da questi protagonisti di storie che ti incollano in una riflessione accomodante e profonda. Molto accade con pinte di birra, tavoli affollati, sguardi lunghi, le mani che afferrano le zolle di terra dei parchi e la sensazione netta che gli strumenti traducano le oscillazioni di queste esperienze di vita. Tutto profuma di permanenza nel reale, senza tentazioni ma assumendosi la responsabilità di dare dignità agli accadimenti. Cam sussurra, canta con la voce matura sfiorata da magneti magici, con la capacità di modularla con grande tecnica, usando bene i cori, mai invadenti, mentre il pianoforte, il mandolino, la chitarra acustica e l’organo sono i condottieri di strategici flussi pieni di calori, bersaglieri dalle piume colorate che fanno la loro splendida figura sia nelle storie cittadine sia quando gli spazi offrono la gioia della natura. Il basso acustico è uno stupore continuo, come le spazzole della batteria, che sembrano pilotare le ondulazioni verso l’applauso delle nuvole.

Caldo, fisico, metafisico, emblematico, essenziale, l’album offre panoramiche mentali, visive, in un affollato collettivo di sentimenti in costante ebollizione, dove il sale lo getta proprio Cam con la sua esperienza maturata in tutti questi anni, nei quali ha trafficato con la sua vecchia band The Cateran, supportando nel 1989 i Nirvana nel Regno Unito. Ma nessun caos, nessun disagio da rovesciare nelle nostre orecchie, bensì messaggi portati da piccioni educati alla pazienza, allo storytelling più sensuale che si possa immaginare…

Non ci sono canzoni da preferire, ma un insieme di fascinazioni da conservare sotto la pelle aspra della nostra realtà: se cercate una solida collaborazione con il benessere, questo lavoro vi renderà davvero contenti…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

1 Luglio 2024


https://boulderfields.bandcamp.com/album/with-all-the-other-ghosts



 

My Review: Boulder Fields - With All the Other Ghosts



Boulder Fields - With All the Other Ghosts


Even musicians have a pedigree and it is often the basis of a series of certainties that envelop the listener, removing fears and uncertainties. The Scottish Cam Fraser's is impressive, a wonderful ride into the territories of what is difficult to define but easy to enjoy. It is the latter that surrounds, defines and transports the experience of his music towards a truly remarkable form of relaxation. We are in the zone of a cosy, gentle, polite indie folk, adept at approaching even other genres almost surreptitiously, with class and kindness. One finds, therefore, scattered along the eleven butterflies full of sensual and sometimes slightly melancholic waves, traces of lo-fi, of a folk that seems to scratch itself with rock mixtures, but always in a whisper. 


The Edinburgh star is joined by musicians who manage to enhance the minimalist wave of songs to make the whole thing sound like the work of a band with thousands of years behind it, when in fact it is a debut, at least under that name. The Old Scribe emphasises how the world seems to be criss-crossed by these landscapes, by these protagonists of stories that glue you into an accommodating and profound reflection. Much happens with pints of beer, crowded tables, long gazes, hands grasping clods of earth in the parks and the distinct feeling that the instruments translate the oscillations of these life experiences. Everything smells of permanence in real life, without temptation but taking responsibility for giving dignity to the happenings. 


Cam whispers, sings with a mature voice touched by magic magnets, with the ability to modulate it with great technique, using the choruses well, never intrusive, while the piano, mandolin, acoustic guitar and organ are the conductors of strategic flows full of warmth, soldiers with coloured feathers that make their splendid figure both in city stories and when the spaces offer the joy of nature. The acoustic bass is a constant amazement, as are the brushes of the drums, which seem to drive the undulations towards the applause of the clouds.


Warm, physical, metaphysical, emblematic, essential, the album offers mental, visual panoramas, in a crowded collective of feelings in constant boiling, where Cam himself throws salt in with his experience gained over all these years, in which he trafficked with his old band The Cateran, supporting Nirvana in the UK in 1989. But no chaos, no discomfort to pour into our ears, but rather messages carried by pigeons educated in patience, in the most sensual storytelling imaginable...

There are no songs to be preferred, but a set of fascinations to be preserved under the harsh skin of our reality: if you are looking for a solid partnership with well-being, this work will make you very happy indeed...

   Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

1st July 2024



mercoledì 26 giugno 2024

La mia Recensione: Frenchy and the Punk - Midnight Garden


 

Frenchy and the Punk - Midnight Garden


In una ipotetica giornata nella cucina della musica, non si può mancare all’appuntamento con New York, capace di spaziare nelle proposte, molto spesso succulente e attraenti. Hanno un fiuto pazzesco in quel luogo per riuscire a mescolare, creare, proporre nuove tendenze e lustrare il proprio passato per renderlo sempre eccitante.

Un matrimonio all’insegna della fedeltà verso qualcosa di più di un mero esercizio tecnico: si visita sempre il mistero, l'irrequietezza, il disappunto, la critica, la libertà di movimento culturale per non lasciare quest’arte per terra.

Ci pensa un duo, feroce nella modalità giusta, a spazzare via la noia, la paura, a giostrare la luce dentro un mantello pieno di elettricità e propensioni sismiche notevoli, come un insieme di ore fredde nel cuore dell'estate. Samantha Stephenson e Scott Helland li conosciamo bene: sono amanti della scommessa, mai propensi a copiare i cliché ma  inclini a generare diserbanti nei confronti del loro stesso cammino. Vulcanici, potenti, sperimentano la suggestione accattivandosi le simpatie della successione degli accordi e dei panorami umorali mettendo in combustione parole e tappeti pieni di calore e ipnosi continua, sfiorando i piani emotivi per congelarli in un manifesto ideologico turbinante che disturba l'effervescenza onirica, sviluppandone le onde, con ritmiche increspate di anellini e spilli argentati.


Un insieme squillante, amico della tenebra senza la propensione alla depressione, l’intera opera somiglia a una impronta piena di melma e sacrificio introspettivo, in un duro lavoro di analisi, per permettere ai due artisti di raggiungere vette mai sfiorate in precedenza, pur producendo sempre materiale di ottima fattura. Ma in questo ultimo episodio di una carriera eccitante si vedono eclissi, temporali, si sente l'odore di una sacralità moderna che attinge da simboli in evidente parata.

Una graticola celeste che parte dal Post-Punk per erudire il pubblico di stelle in libera uscita, dentro i meandri di un capogiro continuo, una radiosa avventura fatta di nove episodi, per far convergere il passato di quell’insieme urbano in un incontro dove l’elettricità pulsante di canzoni costantemente ad alto ritmo consentono di sudare e ritrovarsi umidi negli sguardi. Ma esiste un collegamento pieno di entusiasmo nel portare nelle note una teatralità che incorpora il cabaret e lancia frecce, in uno stato di assedio micidiale, acclamando la purezza di stilettate funky camuffate ma che sembrano figlie dei Talking Heads del primo incantevole album. La ritmicità, i giochi armonici di tastiere pazze e voluttuose inducono le dinamiche a essere sempre connesse con la follia. Si visitano territori orientali, si viaggia in Irlanda, ci si sposta nel tempo, ma i riferimenti, ed eventuali assonanze, sono inganni lucenti, meraviglia ed estasi scorticante. 

La furia assume i connotati di una sberla sonora erudita, votata all’insistenza e al non sprecare il calore del sangue nella sua stagionatura creativa. La voce di Samantha è un rosario tenuto tra i palmi delle mani, pronta a volare nel cielo, senza paracadute, priva di paura, modulata e nutriente, che è andata certamente a scuola, facendosi un’idea di ciò che è stato il canto in passato. Buttata la creta sul pavimento della sua cucina mentale, ha generato nuovi vascelli, usando l’ugola come un mulino a vento, dove la potenza e la determinazione sono compagni di viaggi pelvici e profumati di acini d’uva, in maturazione continua.


Il giardino, frequentato di notte dalla band, è un roseto dai colori mutanti: sono i sentimenti che modificano il loro dna e Samantha e Scott sembrano verniciare le indisposizioni, i tremori, i dubbi, con pennellate che sanno stringere il sodalizio con il fremito, circondando la natura e gli esseri umani, con i loro flash sensuali, per consentire al tutto un invito a condensare la vita nella improbabile  chance di sfuggire al loro disegno.

Una innegabile capacità di far sbattere le ali dell'esoterismo e della primitiva forma di esistenza degli impeti naturali umani fa sì che le canzoni siano collegate tra di loro, con una benedizione incessante data dalla melodica propensione a essere rudi ma raffinati, nel palco delle contraddizioni che finiscono per rendere beatamente confuso l’ascoltatore. Un album estasiante che rende il corpo una macchina danzante con le bave alla bocca: non ci si abitua mai ad accogliere composizioni che sembrano nascere mentre le note avanzano. Ed è miracolo puro, vitaminico, una gioia senza finestre che rimbalza sulle pareti di una estatica solitudine.

Entusiasma sino allo sfinimento l’impressione di un capitolo nuovo di questo duo: non solo una macchina da guerra con nuove strategie, non solo una meticolosa attenzione a non rendere le immagini le principali protagoniste, bensì un dipinto dell’istinto perfettamente collegato a un cratere che rivela atomi di terra che scivola dentro i loro frutti, prima acerbi e poi maturi al punto giusto.

Sono brani che si occupano di noi, dilatando i respiri nel loro imbuto, dove la velocità è pari alla intensità, in un gioco spettrale din cui la tensione non viene mai a mancare da parte del loro generatore, e le cellule di una memoria primitiva trovano il giusto tempo, nel candore del giardino di mezzanotte…


È pur sempre rock, un atto artistico, un qualcosa che giunge dall’emisfero del mistero per sostare e trovare residenza nella delirante e meravigliosa connessione con il suono, dove si trovano mini-assoli di chitarra (l’iniziale Midnight Garden, un abbaglio dentro l’ululato di lupi famelici), la massa di gramigna che cerca un luogo nel quale poter correre (Skip Boom), il gothic rock di provenienza Fields Of The Nephilim (Hypnotized), ma che poi vira in un fraseggio funky dilatato e saggiamente incupito.

Con Immortal siamo nel baricentro della perfezione: pop, art-rock, cabaret alzano calici di vino pieno di zucchero sospesi da una chitarra vibrante, con graffi rinfrescati da un arrangiamento perfetto.

Like In A Dream è l’unico brano che all’inizio ci fa pensare di averlo già sentito: Lucretia My Reflection della band di Andrew Eldritch (The Sisters Of Mercy) sembra riproporsi ma è un trucco, un piacevole inganno che dura poco per via del suo proseguimento che ci porta in altri lidi, i loro, di questa coppia artistica che disegna filosofiche strategie, rendendo l’ascolto una continua enciclopedia.

Le atmosfere della sesta traccia (Mr Scorpion) sono un candelabro d’oro, in un palco su cui la tragedia greca trova il suo giusto spettacolo, meticoloso, sensuale, graffiante, che rischiara le montagne in un giorno di eclissi lunare.

L’attacco iniziale di Sleepwalk Shuffle ci ricorda la voracità immaginifica dei Cramps, l’ecletticità degli Xtc, la spigliatezza delle Slits, il mistero dei Talking Heads, per dirigere i suoni in un portentoso riff di chitarra che con i vocalizzi assesta un bel colpo.

Che sia il vostro stupore a ospitare l’ipnotica messa di suoni e la tendenza al cambio di ritmi, di modalità e di atmosfere che fanno di Lighting Up The Sky un magistrale artifizio, con impronte di stivali da cowboy nella saga western di Sergio Leone, per arrivare a sfiorare la spalla di Lene Lovich.

La conclusiva End Of An Era è un processo di spostamento di altostrati nel cielo terremotato autunnale, con un doppio loop, musicale e vocale, che inchioda e ci fa razionalizzare l’esperienza dell’intero lavoro: un lamento gentile, un’acclamazione, un repetita iuvant implacabile e che materializza l’ossessione, fissando la perfezione e rendendoci davvero fortunati…

Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
26 Giugno 2024

My Review: Iamnoone - The Joy Of Sorrow

Iamnoone - The Joy Of Sorrow Whether it is confusion or clarity that generates an oxymoron such as the title of this album is not known and ...