lunedì 8 luglio 2024

La mia Recensione: Federale - Reverb & Seduction


 

Federale - Reverb & Seduction


In un mondo fatto di grida, più o meno rumorose, e di falsità, trovarsi all’interno di un misterioso riverbero e di una possente seduzione è già un lasciapassare per sogni che possono scivolare di nascosto nella realtà. Fautrice di questo miracolo è la formazione di Portland, Oregon, capoluogo della contea di Multnomah, sempre capace di sfornare affreschi musicali e di fare dell’arte un serbatoio per gli Stati Uniti.

Giunta al sesto album in studio è riuscita a trasformare il talento e la dedizione in un racconto sonoro e lirico che circonda i suoi diciassette anni di attività, conservando la sua anima petrolifera per versarne il contenuto in dieci possenti tracce, tra la decadenza comportamentale, quella filosofica, in un incastro sensoriale che unisce l’universo umano a quello della natura, sublimando il tutto con petali di veleno addomesticati con sapienza per detergere i rifiuti e depurare le sbavature. In un impasto stilistico che comprende generi musicali marchiati con sapiente forza e delicatezza (quando necessario), ecco presentarsi il velo di una psichedelia rock in grado di posare gli artigli sull'evocazione del mondo spaghetti western, laddove l’Italia del cinema ha saputo attirare artisti in un atto dove dipingere le nuvole e il vento sorpassava l’ispirazione pazzesca dei film di Buñuel, con la sua arte rappresentante la miglior versione surrealista spagnola.

La band di Collin Hegna (nulla da eccepire in merito al suo ruolo di bassista nei mitici The Brian Jonestown Massacre, ma con questo progetto tutta la sua magnificenza rivela un’autorità e una bravura che inchiodano sempre l’ascoltatore, senza sbavature) scrive un geroglifico attento, meticoloso, con echi (e non riverberi…) saltuari di atomi dark country/gothic americana/folk noir che si allineano strepitosamente con quelli che sembrano essere gli “stili musicali ufficiali”.

Dieci fulmini terra-nuvola che rischiarano la volta celeste dei nostri pensieri, con variazioni umorali che rendono più luminosa l’ampiezza del loro range artistico.

Una tensione addomesticata in arrangiamenti sontuosi, effervescenti, per camminare tra le vie di racconti e immagini che si incollano sulla pelle e per nutrire lo strato adiposo e lasciare il tutto scorrere nelle vene.

Un arcobaleno all’interno di un temporale invernale: basterebbero tali parole per inquadrare questo sublime lavoro, ma occorre precisare come Reverb & Seduction sia anche un disegno pieno di timidezza dentro i circuiti espressivi di adulti che paiono giocare con le note come farebbero i bambini, lasciando all’ingenuità il compito di apparire in modo elegante per poi trasformarsi in un atto consapevole.

Appare, spesso, la coraggiosa volontà di dare alle composizioni una struttura proveniente dalla musica classica, pur non negando la volontà della forma canzone, legittimando il bisogno di rendere più ricche e varie queste movenze stilistiche. Una colonna sonora che con le immagini stipula un patto: non essere dimentichi dei messaggi che le parole contengono, per poter rendere il tutto una statua morbida che guarda gli ascoltatori con fierezza. 

Questa affollata formazione visita molto bene le zone che conosce, conducendo poi ogni cosa verso praterie mentali e sentieri istintivi per congiungersi al piano magnetico della magia che a un certo punto crea percorsi non decifrabili, ma che si possono intuire: una forma anarchica che non fa prigionieri e rende l’ascolto un luogo pieno di benefici.

Come in un’esperienza colma di traiettorie ubriache, così si muovono queste composizioni: non trovano detriti e non ne seminano, rispettando l'ecosistema, ma sanno zigzagare tra le possibilità, rendendo fertili le loro virtù, scrivendo un insieme di brani che legittimano il costo dell’acquisto, regalando una tempesta sensoriale che si espande canzone dopo canzone, ascolto dopo ascolto, in un effluvio di sensi liberati da catene pesanti. 

Si soffre con empatia, si veste l’umore di ragionevolezza e condivisione, si compiono scatti che decidono il destino: uno dei dischi più belli degli ultimi anni attende di essere spremuto, rovesciato in ripetuti play.

Non manca, di certo, il bisogno di attrezzarsi di garze: ruscelli di tristezza inondano saltuariamente questo pentagramma, ma lo rendono credibile e veritiero…

Posizioniamo l’attenzione sulle dieci tracce e facciamo del nostro approccio all’album un atto di doverosa attenzione…



Song by Song


1 - Advice From A Stranger

Un boato rinchiuso abita le prime note in un feedback gentile, e poi è blues sporco vestito di una psichedelia magnetica che con il ritornello offre un’oscura parentesi pop. 

Micidiale.


2 - Heaven Forgive Me

L’apoteosi di suggestioni spaghetti western, gonfie di folk noir, conferisce al brano il ruolo di una bandiera di rappresentanza che sventola sulla storia della musica americana. Chitarre come polpa vibrante, un assolo minimalista a indicare la traiettoria della melodia e poi il cantato: come miscelare Morricone, i Pixies, Mark Lanegan e i Sophia in un vascello danzante pieno di ruggine…

Struggente.

  


3 - I’ll Never Forget

Il ritmo, la forma, l'intensità si differenziano dalle precedenti due canzoni e ci ritroviamo in un sagrato dove viene celebrata la memoria e l’attenzione, con il binomio chitarra acustica ed elettrica che prepara il terreno per un cantato che profuma di epicità. La tristezza viene concepita come una grande possibilità di rinnovo personale durante il solo di una potente chitarra piena di acido e sudore.

Calamitosa.



4 - The Gallow Gate 

Tamburi, poi una scivolata ritmica deliziosa, con i rintocchi del pianoforte e il folk che si sposta verso il deserto, non mancando mai di innaffiare il cielo con continue aperture melodiche.

Epica.



5 - Hope Don’t You Haunt Me

16 Horsepower e David Eugene Edwards si inchinano: gli spiriti del deserto sembrano uscire da questa traccia che riassume l’identità dell’alternative americana quando decide di coniugarsi al gotico in superficie.

Sensuale.



6 - Dark Waters

Si corre volando nel buio, con una tensione che paralizza e lascia archi sorridenti sebbene le lacrime siano le prime a uscire dagli occhi. Sacra, austera, potente, compie il tragitto necessario per ricordarci come suonerebbero i Mission se vivessero negli States.

Imponente.



7 - No Strangers 

Un’apparente dolcezza, figlia dei Church e degli Echo & The Bunnymen, si inserisce nell’album, nel percorso di un compasso che comprende tutte le possibilità, per esibire un racconto in cui i cittadini di una città notano uno straniero che si affaccia: e la domenica ha un profumo celeste e sospettoso al contempo.

Ariosa. 



8  - The Worst Thing You Ever Did Was Ever Loving You

Dal piglio country, con ritmiche più votate all’indie, il brano è un collante perfetto con quello precedente e la voce di Megan Diana appare come un sorriso dell’anima.

Intimista.



9 - Home

Tra Portland e Dublino, il viaggio musicale comprende la rivisitazione di codici pop che possano fare del folk un porto del cielo…

Rinfrescante.



10 - Revolver Revolver

L’album si chiude con una canzone strumentale, figlia di paludi che osano correre, con Morricone che dal cielo dirige, i Pixies che scalpitano e la band di Portland che fa di tutto per scrivere un commiato che solleva la pelle e la porta negli anni Settanta, per scrivere di nostalgia e paure senza proferire parola alcuna…

Perfetta.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8th July 2024


https://federalemusic.bandcamp.com/album/reverb-seduction


Jealous Butcher Records








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