giovedì 10 novembre 2022

La mia Recensione - Ayn & Marlen und Marlen - From The Floor Below

Ayn & Marlen und Marlen - From The Floor Below

Onde su onde nel mare nero del dolore cercano un suono univoco, nella ricerca del quale si muovono discepoli curiosi, con oggetti, deviazioni, frustrazioni tenute elegantemente insieme da brani multiformi al confine del delirio. Arrivano da una piuma grigia della provincia di Biella, in quel Piemonte ricco di boschi, colline, a pochi chilometri da montagne schive, quindi immense.

Ed è da Ponderano, per l’esattezza, che anime a contatto con la disperazione e il fato, compiono il miracolo diabolico di seminare sospetti, scomodità, lacerazioni dai volti anneriti, da sensazioni sconvolte, il tutto all’insegna della lentezza che divarica la mente.

Ed è etereo vagare, etereo sentire ed etereo smarrimento nella scorribanda esistenziale che espone frutti dal profumo corrotto da una bellezza acerba, magistralmente potente.

Sussurri, assenza di urla e rumore che inquinerebbero il tutto, qui siamo al cospetto di un’opera colossale, che impegna l’ascolto per renderlo stremato e perfetto.

È analisi del tempo più che dei luoghi i quali, però, vengono mostrati come un impatto di battiti necessari, quasi smottati a causa delle campane del Signore del senso.

Perché Ayn & Marlen und Marlen del tempo studiano la forma, ascoltano i suoni pelvici e i tremori celebrali sino a creare, con la creta deliziosa di mani sapienti,  bagliori che lo rappresentano senza equivoci. Un album come esperienza continua con la solennità, il sottile dispiacere che parte da essere un taglio per divenire la crepa di un burrone in decomposizione. In tutto questo il sole nero che si pavoneggia all’interno di una grotta ha il ruolo di domandare all’esigenza il suo senso. Perché sa che senza se stesso la vita è già morte. 

Chitarre elettriche decadenti, in un post-punk avvelenato di tristezza, e chitarre ritmiche semiacustiche a generare il contatto con il folk rock non ammaestrabile conferiscono solo la base di suoni medievali perennemente in stato di eccitazione, tenuti a bada con fermezza per non generare confusione.


 Psichedelico è l’umore, magnetico è il pulsare, dilatata è la propensione di una inquietudine in movimento, tra ombre e abisso che si cercano incessantemente, con gocce di sudore che si sciolgono nell’acido di questa storia itinerante.

Nel disco si vola, lentamente, con le ali chiuse, nelle viscere delle tentazioni, nel ventre terrestre febbricitante, privo di lamenti.

Non sono generi musicali in parata, tantomeno danze che attendono di compiersi, bensì processi mentali che fustigano le velleità, ammanettandole e conducendole obbligatoriamente al nichilismo, Re della ragione, in attesa della vestizione.


Cantilene orgiastiche escono da fumi come funi: pronti ad affezionarsi al collo per sbiancarlo, con una presa che stringe piano piano. Un lavoro limpido nel girone della malinconia, di un gravitare nella psicoanalisi, con i Maestri a suggerire linee melodiche colme di stregoneria plumbea.

Tutto è un romanzo, tra questi solchi, partendo proprio da chi lo ha ospitato prima e pilotato dopo: Fëdor Dostoevskij.

Perché tutto pare proprio arrivare dal 1800 e dalle pagine di un libro, Bibbia sacrilega dell’anima dal titolo “Memorie dal sottosuolo”. Ed è ciò che vive segretamente tra la terra e le radici che troviamo in questo concept album: scavare dentro di sé, come un pellegrinaggio in cerca della meta.

Obbligata a essere metafisica.

Lo è per davvero perché tra le canzoni troviamo realtà assolute che neghiamo in quanto amiamo la comodità, la falsità e non l’autenticità e il rispetto delle sue leggi.


Quando si ascolta musica come quella che troviamo qui si è fortunati: un ingresso ci aspetta per portarci nei luoghi senza luci, come palestra, come allenamento per quello che verrà alla fine dei nostri battiti. Si vince il desiderio del bene per vivere la dimensione del perdersi, dove nessuna catarsi ci attende per purificarci e realizzare i nostri meriti e mezzi, ma piuttosto un veder proiettati i satelliti neri nella verità più profonda.

Si acquisisce appartenenza. Indissolubile.

Cacofonie, estremizzazioni, gocce di sale che escono da tastiere dal respiro ipnotico, sono i protagonisti del circo dannato di oscillazioni antiche che tornano tra le dita di questi cavalieri ombrosi.


Fluida architettura tra neuroni che, paralizzati, riescono in ogni caso a costruire un palazzo mentale, non come rifugio ma come espressione di una necessità. La band non corre, non ha fretta, perché sa bene come la lentezza sia saggezza, seppur anacronistica. 

Le suggestioni, i richiami, le vibrazioni sono il metronomo perfetto di un incedere che deve dare chiarezza all’interno della nebbia e non fuori.


Avverti il loro carillon sottolineare il tempo con lacrime fiere e robuste, sottili quando i sussurri della voce di Marleund Marlen sembra l’alito segreto di ogni respiro.

Mentre Ayn canta come un pilota delle tenebre, quasi esanime, portentoso. I due guidano le musiche verso passi che si distanziano dalla fisicità, attaccati come un francobollo al desiderio di unirsi come entità in via di estinzione.

Si deve uccidere il luccichio, separare solo l’inevitabile, con l’amore come ingombro e nei testi troviamo la maniacale esibizione di estremi che, con totale ragione e abnegazione, ci calamitano verso la purezza. Niente muta, abbisogna solo di essere conosciuto, tra vermi, sostanze ignote, dentro le chitarre che si prendono la responsabilità di decodificare e il lavoro delle bacchette di una batteria che quando arrivano sulle pelli aprono templi, con il basso che è uno schiavo ubbidiente della bellezza ammaestrata.

Non c’è più tempo per divagare: sia ora il momento di avere coraggio e bramosia per visitare questa bellezza eccelsa.



Song by Song


1 Catabasi


Il fuoco crea disastro, e la coltre di fumo diventa lava concentrica: il primo brano è il giorno dopo una eclissi morta in fretta con crepitii, voci, tastiere a rendere tragico il pensiero.



2 My Body Made Of Nothing 


Chitarra Darkwave su una lastra chimica, l’apocalissi gioca con il Neo-Folk e la voce peccaminosa di Marleund crea vibrazioni costanti.


3 Neptune In The V House


Il romanzo cresce, le pagine si aprono sotto occhi che scoprono la sfera glaciale, tamburi lontani come furori su una tastiera che diventa complice del fuoco.


4 Never Come  Back


Il dramma entra nella voce femminile su uno scampanellio che ci ricorda i Virgin Prunes e i Death in June in stato di grazia.

Quando arriva Ayn tutto si fa corale e la decadenza è il regalo del dolore.


5 Memoires Du Sous Sol


Gli In The Nursery e i Dead Can Dance più malefici si incontrano su questa traccia cupa e nefasta, lucente perché mostra la paura con la sua faccia ghignante.


6 Alchemical


Arriva quasi la dolcezza, come punizione divina, in una ballata liturgica dentro chitarre piene di echi e suggestioni magnifiche, con la voce che ci ricorda l’onda eterea della rimpianta 4ad.



7 The Worm is Born


Gli spettri baciano le profondità, le sue creature. Una chitarra Neo-Folk, doppie voci e controcanti deliziosi si sdraiano su una tastiera in odore di eternità. Ed è commozione pura.



8 Immutable Black


Tutto bolle ed evapora con le chitarre che sembrano birilli argentati mentre colpiscono anime deboli. Ed è Dark Country sino ad arrivare nella zona sacra dei Coil più armonici e peccaminosi. Ed è processione su un drumming che sveglia e ci trasporta sulla voce di Marleund Marlen, evocatrice dell’anima.


9 Anabasi


È la fine, tutto sfuma, si è massa liquefatta con il fiato congelato. La musica è Ambient e soffocante, permeata da suoni acidi che escono da grotte insanguinate. Iniziato con un delirio di presentazione, l’album si conclude con l’ultimo atto nichilista.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

11 Novembre 2022


https://soundcloud.com/taiyototetsuo/sets/ayn-marlen-und-marlen/s-BYpfusfUFQV?si=68973578ac244bd1a5e08098d1180ef2&utm_source=clipboard&utm_medium=text&utm_campaign=social_sharing&fbclid=IwAR3tYx9vBGidrBcEeSwLF-YvqmHPXnlQncwFfM2WAvee9ik2TCffsZzXREs






mercoledì 9 novembre 2022

 La mia Recensione:


The Cramps - Off The Bone


Lo scriba non ama molto scrivere recensioni su delle compilation, con rare eccezioni.

Ma quella di cui mi sto concentrando a scrivere lo merita perché rappresenta perfettamente il percorso dei primi anni della band americana. Vi sono tutte le loro schegge terrifiche, le pulsioni di un duo che ha saputo sintetizzare ed evolvere lo spirito rock and roll della patria che lo ha generato. Con l’abilità di forzare, di estremizzare, di stravolgere il percorso musicale di generi che stavano prendendo la muffa. Irruenza, passione e l’ascolto massiccio di sconosciute produzioni hanno creato loro dinamiche di sviluppo, riuscendo a cambiare il concetto che precedentemente connotava il tutto. L’incursione nel loro mondo definisce, fa scaturire e illumina bisogni che portano ad assumere consapevolezze stralunate e torbide, all’interno di un divertimento che si trova spiazzato ma che è inevitabile.

I Cramps sono una lastra piena di proiettili, un omicidio che salva, nel mare rosso e nero di perversioni multiple ma che si fanno ben volere.


Saper riconoscere la validità delle proposte di un passato che profumava di perfezione, metterci le mani e portare il tutto in una dimensione in cui gli incubi e i colpi di frusta diventano in modo ineccepibile elementi basici nei quali perdersi è il loro principale punto di forza, che avvolge e conferma l’unicità che pilota la consapevolezza verso il beneficio: immenso.

Le canzoni per i Cramps sono identità nelle quali entrare per non uscirne, un legame che va oltre lo stile e la piacevolezza. Un tutt’uno che rende la vita una forma espansa, nutriente, ribelle e dove ogni cosa ha un senso di continuità che oltrepassa la registrazione e i concerti. Non una routine, bensì un modo di essere.

La loro vita è garage, psychobilly, voodoobilly, rock and roll, epilessia orgasmica di fragori spesso sfuggenti e irraggiungibili. I mezzi a disposizione sono pochi ma non fragili, in un cortocircuito continuo che abbatte la fragilità del palco per poter creare, liberamente, uno spettacolo teatrale dove la scrittura e la recitazione sono respiri continui. È un’apnea che fortifica i polmoni.

Ritrovandoci dunque in un funerale anomalo, in cui poter continuare a morire e a festeggiare insieme a personaggi terrificanti e agonizzanti nel tripudio di scenari dove i loro viaggi e i messaggi sono facilmente intuibili. Ed è l’unicità che assume lo scherno e ci fa anche ridere con l’amarezza e la complicità a benedire il tripudio che giunge a esaltare. Non ci sono frizioni, cedimenti, tentennamenti. La loro musica, viscerale e cruda, non ha bisogno di sistemi complessi, di strutture polivalenti, di strategie: è un missile notturno, con la sua polvere omicida, che schizza via per colpire con precisione il nostro sistema nervoso centrale.

Ma si balla, ci si sballa, perché i cromosomi, i pioli del loro dna conducono sempre a fare del nostro corpo una marionetta in movimento.

Sono i dettami della cultura junk a prendere il potere per unirsi al campionario di horror movies di serie B e oltre, al fine di compattare il proscenio dove tutti possono assistere alla recita e applaudire.

Il tutto comprendendo il divertimento con consequenziali critiche che non mancano, finendo per incantare, perché la loro profondità di riflessione è sempre lucida ed estremamente valida. 

Capaci di immagini connesse alla trasfigurazione, come sacerdoti di un culto religioso da scoprire e nel quale gettarsi a capofitto, Poison e Lux creano una gittata instancabile, con l’intento di purificare ciò che loro stessi hanno sporcato per primi. Musica che uccide il presente, da cui si tengono ben lontani, non per nostalgia del passato, ma in quanto la decadenza attuale è spoglia di contenuto e interesse per questi artisti. E anche perché la decadenza dei tempi antichi continua a emozionare, a generare attrazione, e la loro meticolosa ricerca di quello che ha prodotto consente loro un innamoramento continuo.

Celebrano la cultura pop utilizzando il rock’n’roll e la possibilità di divagare, di assumere il ruolo, indiscutibile, di anime pregne del perfetto mix tra descrizione di storie allucinanti e la volontà di gettarle nella contemporaneità, eliminando così il ruolo sociologico del parlarne. Uno stratagemma funzionale e potentissimo: sono le donne e gli uomini del passato che visitano il presente.

L’avanguardia americana, che passa da scrittori sconosciuti ma capaci di linguaggi colti e coscienti, a registi completamente avulsi dalla realtà, a un esercito di pornografiche manifestazioni continue, conduce la coppia più bella del mondo a respirare connessioni multiple che veicolano sempre la volontà di immersione. Finendo per creare uno sguardo che non ha bisogno di aprire gli occhi, bensì di farli danzare su strati densi di atteggiamenti e costumi in cui spogliare è l’unica forma di opposizione a maschere e cliché che svuotano la veridicità dell’esistenza.

Determinati a essere in una formazione a quattro sin dall’inizio e dove lo strumento del basso poteva essere escluso, iniziarono con due chitarre, quella splendida e oscena di Bryan Gregory e quella di Poison. Il ruolo di batterista è sempre stato complicato, una ossessione legata alla insoddisfazione. Però i Cramps sono decisi a conquistare gli annoiati Newyorkesi portandoli nel loro emisfero, che aveva al suo interno molti elementi che avevano generato lo stesso punk che nella città americana aveva un largo seguito. Ma ne erano rimaste le ceneri e loro sono riusciti a mangiarle con la loro follia.

Sovvertendo il cliché che l’ideatore del tutto fosse di impronta maschile, Lux viene “ridotto” a voce e performer, mentre la sensuale e potente Ivy diventa la mente dell’intero progetto: le donne si ritagliano un ruolo fondamentale, determinando un notevole cambiamento. 

Le canzoni nascono, prolificano, numerose e in grado di essere libere nell’assomigliarsi come di manifestare, saltuariamente, anche la possibilità di nuove forme che fanno del loro campionario musicale un blocco perfetto.

Non voglio però inoltrarmi troppo in una analisi del mondo Cramps, visto che per farlo dovrei scrivere perlomeno un libro. Ho accennato, ho preparato, introdotto un minimo questa band perché credo che spesso esistano gruppi entrati nella mitologia, ma dei quali da parte del pubblico spesso non esiste una precisa conoscenza. Tanto è il valore di questa band come enorme è ciò che ha generato, portando artisti che nemmeno immaginiamo a usare in grandi dosi il suo percorso artistico e umano.

Modelli, Maestri, spiriti dalle dita lunghe, prensili in maniera spaventosa, sono riusciti a contaminare, a seminare nell’arte gli estremi con incoscienza e consapevolezza, facendo divenire eterna la loro strada, che era incominciata da un semplice autostop.


La selezione proposta dalla band è soddisfacente perché riesce a rendere chiare le rotte del loro percorso, nutrendo l’ascoltatore che non lo conosce di autentiche prelibatezze, gemme pronte a sparare i loro proiettili di clamorosa potenza, in corpi e menti che conosceranno il visibilio.

Non poteva mancare Human Fly, figlia, madre e nonna di una caverna vodoobilly nella quale sospirare dentro la chitarra che è il cuore pulsante di una traversata celeste, resa spettrale dal cantato.

The Way I Walk circonda il capo, in una sfilata anni cinquanta dagli occhi pieni di trucco, mentre gli stop and go, le urla e le oscillazioni della chitarra ci rendono il corpo dinoccolato.

Con Domino siamo nel circo equestre, una tenda dove danzare Psychobilly senza attrito ma sapendo alzare la polvere del nostro cuore.

Arriva Surfin’ Bird ed è pogo, la leggerezza e il bisogno di calpestare le onde, velocemente.

Lonesome Town è una frustata lenta, sensuale, una processione suggestiva, per giungere nella città dal cuore rotto, dove si impara a dimenticare, tra singhiozzi e lacrime.

Garbageman è seduzione, un invito a scrollarsi di dosso ogni esitazione, con chitarre graffianti e scivolose e il lavoro di Lux a incendiare il microfono con sospiri e risucchi atti a svegliare le anime intorpidite.

Dio Elvis vive in Fever, che i Cramps rendono avvelenata, cadaverica, spettrale.

Drug Train è un battimano che accompagna la propensione alla trasgressione mai negata da parte di una band che qui si diverte in un viaggio dove la droga mostra la sua genialità.

Love Me è sesso, puro, lucido, che smuove i muscoli e conduce il desiderio a compiersi.

I Can’t Hardly Stand It è la raccolta di guai che generano attrazione compiendo il miracolo, nella sua semplicità, di fotografare una innegabile attitudine. 

Goo Goo Much è il lato psichedelico degli anni 60 che bacia i raggi solari degli anni 50 in un perfetto matrimonio stilistico.

She Said è il guaito di Lux a denti stretti, un crooning malato sino all’accelerazione tribale che conquista.

The Crusher è la follia di un giro di chitarra rock ‘n roll, in una storia cruenta che viene un po’ anestetizzata da questo fare epilettico che sconquassa.

Save It, demoniaca e oscura, con il suo tremore che viene usato per portare nuovi corpi nella danza della condivisione.

New Kind of Kick chiude la compilation con la sua semplicità, poche note, la voce che spinge come fosse assatanata, in un elenco di voglie che arrivano a compiere un percorso determinato a realizzarsi.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10 Novembre 2022











 My Review:


The Cramps - Off The Bone


The scribe does not really like to write reviews of compilations, with rare exceptions.

But the one I'm focusing on writing about deserves it because it perfectly represents the early years of this American band. All their terrifying splinters is there, the drives of a duo that was able to synthesize and evolve the rock and roll spirit of the homeland that spawned it. With the ability to force, to go to extremes, to twist the musical path of genres that were getting covered in mould. Impetuosity, passion and a massive listening to unknown productions generated their own developmental dynamics, succeeding in changing the concept that previously connoted it all. The raid into their world defines, triggers and illuminates needs that lead to dazed and cloudy consciousnesses, within a fun that feels floored but which is inevitable.

The Cramps are a slab full of bullets, a murder that saves, in the red and black sea of multiple perversions which however are able to make themselves well liked.


Knowing how to recognize the validity of the proposals of a past that smelled of perfection, getting their hands on it and bringing it into a dimension where nightmares and whiplash unimpeachably become basic elements in which to get lost is their main strength, enveloping and confirming the uniqueness that drives awareness toward benefit: immense.

The songs for The Cramps are identities into which to enter in order not to leave them, a bond that goes beyond style and pleasantness. A whole that makes life an expanded, nourishing, rebellious form where everything has a sense of continuity beyond recording and concerts. Not a routine but a way of being.

Their life is garage, psychobilly, voodoobilly, rock and roll, orgasmic epilepsy of often elusive and unattainable frenzies. Their means are few but not fragile, in a continuous short-circuit that breaks down the fragility of the stage in order to create, freely, a theatrical performance where writing and acting are continuous breaths. It is an apnea that fortifies the lungs.

Thus finding ourselves in an anomalous funeral, in which we can continue to die and celebrate together with terrifying and agonizing characters in the riot of scenarios where their journeys and messages can be easily understood. And it is the uniqueness that takes on mockery and also makes us laugh with bitterness and complicity to bless the jubilation that comes to exalt. There is no friction, no relenting, no wavering. Their music, visceral and rough, needs no complex systems, no multi-purpose structures, no strategies: it is a night missile, with its murderous powder, spurting out to hit our central nervous system with precision.

But we dance, we get high, because the chromosomes, the rungs of their DNA always lead to make our bodies a moving puppet.

It is the dictates of junk culture that take over to join the collection of second-class horror movies and beyond, in order to compact the proscenium where everyone can watch the play and applaud.

All of this including entertainment with consequential criticism that is not lacking, ending up enchanting because their depth of reflection is always lucid and extremely valid. 

Capable of imagery connected to transfiguration, like priests of a religious cult to be discovered and thrown headlong into, Poison and Lux create a tireless cast, with the intent to purify that which they themselves first soiled. Music that kills the present, from which they keep well away, not out of nostalgia for the past, but due to the fact that current decadence is devoid of content and interest for these artists. And also because the decadence of ancient times continues to excite, to produce attraction, and their meticulous search for what it produced allows them a continuous falling in love.

They celebrate pop culture by using rock'n'roll and the ability to digress, to take on the role, unquestionably, of souls pregnant with the perfect mix of description of hallucinatory stories and a willingness to throw them into contemporaneity, thus eliminating the sociological role of talking about it. A functional and very powerful stratagem: they are the women and men of the past who visit the present.

The American avant-garde, moving from unknown writers but capable of cultured and conscious languages, to filmmakers completely detached from reality, to an army of pornographic continuous manifestations, leads the world's most beautiful couple to breathe multiple connections that always convey the will to immersion. They end up creating a gaze that does not need to open its eyes, but to make them dance on dense layers of attitudes and costumes in which undressing is the only form of opposition to masks and clichés that empty the veracity of existence.

Determined to be in a four-piece lineup from the beginning and where the bass instrument could be excluded, they began with two guitars, Bryan Gregory's splendid and obscene one and Poison's. The role of drummer was always complicated, an obsession related to dissatisfaction. However, The Cramps were determined to win over bored New Yorkers by bringing them into their hemisphere, which had within it many elements that had spawned the same punk that had a large following in the American city. But its ashes were left, and they managed to eat them up with their madness.

Subverting the cliché that the originator of the whole thing was male-dominated, Lux is "reduced" to vocalist and performer, while the sensual and powerful Ivy becomes the mind behind the whole project: women carve out a fundamental role, bringing about a remarkable change. 

Songs are born, they proliferate, numerous and able to be free in resembling each other as well as occasionally manifesting the possibility of new forms that make their musical collection a perfect block.

However, I do not want to go too far into an analysis of The Cramps world, since to do so I would have to write a book at least. I have mentioned, prepared, introduced this band a minimum because I believe that there are often bands that have entered mythology, but of which the public often has no precise knowledge. So much is the value of this band as enormous is what it has generated, bringing artists that we do not even imagine to use in large doses its artistic and human path.

Models, Masters, long-fingered spirits, frighteningly prehensile, they have managed to contaminate, to sow into art extremes with recklessness and awareness, making their path, which had begun from a simple hitchhiking, become eternal.


The selection proposed by the band is satisfying because it succeeds in making clear the routes of their path, feeding the listener who does not know them with authentic delicacies, gems ready to fire their bullets of resounding power, into bodies and minds that will know rapture.

Human Fly could not be missing, daughter, mother and grandmother of a vodoobilly cave, in which to sigh inside the guitar that is the beating heart of a celestial flight, made ghostly by vocals.

The Way I Walk surrounds the head, in a 1950s parade of makeup-filled eyes, while the stop-and-go, screams and guitar swings make our bodies shambling.

With Domino we are in the equestrian circus, a tent where we dance Psychobilly without friction but knowing how to raise the dust of our hearts.

Then comes Surfin' Bird and it's pogo, the lightness and the need to step on the waves, rapidly.

Lonesome Town is a slow, sensual whiplash, an evocative procession to reach the city of broken hearts, where we learn to forget, amid sobs and tears.

Garbageman is seduction, an invitation to shake off all hesitation, with scratchy, slippery guitars and Lux's work to set the microphone on fire with sighs and sucks designed to awaken numb souls.

God Elvis lives in Fever, which The Cramps make bitter, cadaverous, ghostly.

Drug Train is a beat that accompanies a band's never-denied penchant for transgression that here has fun in a journey where drugs show their brilliance.

Love Me is pure, polished sex, muscle-moving and leading desire to fulfillment.

I Can't Hardly Stand It is the collection of troubles that generate attraction accomplishing the miracle, in its simplicity, of photographing an undeniable attitude. 

Goo Goo Much is the psychedelic side of the 60s kissing the sunbeams of the 50s in a perfect stylistic marriage.

She Said is Lux's yelp through gritted teeth, a sick crooning until the tribal acceleration that conquers.

The Crusher is the madness of a rock 'n roll guitar riff, in a gory story that is somewhat anesthetized by this epileptic manner that shakes us.

Save It, demonic and dark, with its tremor being used to bring new bodies into the dance of sharing.

New Kind of Kick closes the compilation with its simplicity, just a few notes, the voice pushing as if it were possessed, in a list of desires that come to a determined path to fulfillment.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10th November 2022









martedì 8 novembre 2022

La mia recensione: Nero Kane - Of Knowledge and Revelation

Nero Kane - Of Knowledge and Revelation

Spesso immagino l’anima del piccolo Archimede guardare il suo mondo, cercare scintille per vedere la sua mente ingegnarsi, per inventare qualcosa. Credo che oggi avremmo tutti bisogno del suo moto inarrestabile e della sua qualità creativa, della volontà di scoprire, di darsi da fare.

In questa mancanza si muove la mia tristezza che cammina fino a lande lontane dal mio sguardo, dove molto si crea ma poco si inventa.

Chi è che può darmi questa visione in modo perfetto?

Un soffio di vento tra la nebbia: Nero Kane, un folletto italiano ma che vive nelle pieghe misteriose di luoghi a cui non è permesso l’ingresso.

Come fai a considerare musica ciò che ti spalanca la coscienza e ti fa sudare dalla gioia tremante che nuota sulla tua pelle?

Ascolto come rapito questi passi da giorni, li guardo e capisco come l’arte arrivi dallo sguardo di Archimede: abbiamo un erede.

Potete sbizzarrirvi quanto volete, e anche con precisione, per classificare i generi musicali del qui presunto, per voi certamente tale, nuovo album.

Ma rimango con il mio convincimento: siamo davanti all’invincibile presenza di uno spirito che si è preso la responsabilità di aprire il cielo delle nostre sicurezze e di aggiungere nuove meraviglie.


I luoghi non hanno il nostro linguaggio, difficilmente possiamo intenderli, Nero Kane ha generosamente concesso alla sua bontà di farlo per noi, ed eccoci travolti, scoperchiati, immersi in codici antichi rivelati dalla sua scelta: come un pittore del mistero, ha dipinto sulla sua tela i segreti più antichi, traducendo attraverso la moderna proprietà del linguaggio, che al confronto mostra la mancanza di stile.

E l’artista inventore milanese ne esce vincitore, in grado di fare tutto perfettamente, coniugando mondi ed epoche lontane per darci una visione di insieme di assurda bellezza.


Torna la lentezza antica, il vento che bacia la pioggia e cerca i nostri occhi, tra i fulmini che entrano dentro dita mentre cercano la chitarra, la regina parlante, la comunicante eletta dalla Dea della bellezza, Afrodite.

Ci troviamo in un ascolto che scova i tesori della terra, musica che non usa i muscoli ma gli occhi, in un dialogo fitto con le dita e l’ipotesi di un volo che testimonia, verifica, contempla le nudità e gli inganni del tempo. Tutto conosce lentezza e metodo, uno studio futurista ordinato e abile nell’ampiezza dell’accoglienza. Esistono vette drammatiche, edifici mentali in fase di analisi, con la cura che viene proposta, utilizzata e che risolve. Musica da infarto celeste, confezionata per spalancare lo stupore e l’attenzione verso un clima interiore ideale.

Gli spiriti si vestono eleganti davanti a questa esibizione di classe: non sono abituati e paiono smarriti. Il folk si fa cosciente delle proprie nuove necessità e viene spinto con determinazione verso la carezza psichedelica più buia.

Fanno male, malissimo, le zone di controllo delle tensioni evocate e mostrate con saggezza: anche il buio trema e il boato scalda la cognizione perché siamo davanti a un flusso immenso di peculiarità studiate a tavolino, come una scienza esatta senza balbettamenti né esitazioni.

Ma non perdiamo tempo e mostriamo subito il contenuto di questo diadema.


Song by Song


1 Lady of Sorrow


Una chitarra si muove sospetta su un tappeto tenebroso della tastiera che copre il respiro, trasmettendo sentimenti glaciali e mistero a un brano che comprende il crooning di Nero Kane, che presenta la vita sotto la luna. Incomincia il pianeta visionario, le suggestioni che aprono perfettamente l’album. Ed è dark-folk imbevuto di particelle gotiche, lente, con attitudine ambient che rende eterea la modalità di sviluppo del concetto espresso.



2 Burn the Faith


Inizio che lascia il sospetto che la synthwave si impossessi del male, con la voce di Samantha Stella a ipnotizzare, con maestosa qualità, nel ventre della fede, i desideri e le passioni. Una processione funerea che invita alla riflessione di chi uccide per amore. La monotonia musicale conferisce credibilità e tremore continuo.


3 The Vale of Rest


Echi di Dead Can Dance penetrano il sospetto, poi il cantato di Nero fa schiantare ogni dubbio o sicurezza, per portarci verso i Death in June. Il fuoco scalda la calma e la brucia sempre con estrema lentezza, senza bisogno alcuno di far correre il ritmo. Ed è una preghiera sinistra, l’incontro di una poesia ferita che conduce poi alle due voci che si uniscono per rendere tutto spettrale.



4 The Pale Kingdom


L’arpeggio barocco sospende il tempo, Samantha canta come strega attratta dai volti, dando all’interpretazione vocale un labirinto glaciale che produce sospiri tremanti. L’album trova un brano che già lo rappresenta perfettamente con le modalità musicali unite verso il delirio tenebroso.



5 The End, the Beginning, the Eternal


Come cercare di sterminare gli incubi legati alla morte, nella canzone che esperimenta l’unione del tempo arrivando all’infinito. La magia beve ogni paura e regala la miseria dell’intenzione di essere eterni, e tutto si fa massiccio malgrado una splendida linea melodica.



6 Lacrimi și Sfinți


È un pellegrinaggio nella natura alla ricerca della verità, con l’organo che con pochi accordi si fa beffe di noi. I sogni si rompono e si vive la nudità dell’anima con particelle deathrock proprio grazie a quello strumento. Ma la musica è sul piano folk pregno di buio e fascinazioni verso la massa eterea che spinge a seguire i pianeti dell’universo. Un recitato che stringe il nostro pomo d’Adamo per farlo singhiozzare.



7 The River of Light


Dante cammina in uno dei suoi gironi, l’acqua culla sino all’arrivo della chitarra che ci fa compiere passi di danza con gli occhi chiusi, ipnotizzati, per portare ogni buio interiore verso la catarsi, necessaria. Sopor Aeternus mette il suo sorriso ancestrale e il respiro melmoso sulle dita di Nero Kane, che sviluppa una tensione densa di attrazione, sino all’ipnosi. Una lunga attesa si impossessa del nostro ascolto come elevazione di una coscienza totale.



8 Sola Gratia


Il teatro sperimentale sposta la sedia dal palco per fare entrare lo spirito di voci dalle sembianze Gregoriane. Ed è il terrore della paura, di Lovecraft, si sente l’incedere di una ricerca impietosa che porta alla coralità delle due voci, spietate per semplicità e capacità evocative. Tutto si fa minuscolo, minimalista, definitivo, disarmante per cupezza, ossessivo, liturgico. Il fuoco ora scoppietta dentro ossa intimorite e si giunge alla conclusione dell’album avendo toccato con mano la profondità del dolore e della contemplazione.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

9 Novembre 2022


https://nerokane.bandcamp.com/album/of-knowledge-and-revelation


https://open.spotify.com/album/0YFJKXICbnnNkkklP93Let?si=p2Wpy-9MRfCkLzK3FXQfSg






My review: Nero Kane - Of Knowledge and Revelation

Nero Kane - Of Knowledge and Revelation

I often imagine the soul of little Archimedes looking at his world, searching for sparks to see his mind strive. I believe that today we would all need his unstoppable motion and creative quality, his willingness to discover, to get busy.

It is in this absence that my sadness wanders to moors far from my sight, where much is created but little is invented.

Who is it that can give me this vision perfectly?

A breath of wind through the fog: Nero Kane, an Italian elf who lives in the mysterious folds of places that are not allowed to enter.

How can you consider music what opens up your consciousness and makes you sweat with the trembling joy which swims on your skin?

I’ve been listening, as if enraptured, to these passages for days, I look at them and realise how art comes from the gaze of Archimedes: we have an heir.

You can indulge as much as you like, and even accurately, to classify the musical genres of this alleged, for you certainly such, new album.

But I remain with my conviction: we are before the invincible presence of a spirit that has taken the responsibility to open up the heavens of our certainties and to add new wonders.


Places have not our language, we can hardly understand them, Nero Kane has generously allowed his goodness to do it for us, and here we are overwhelmed, uncovered, immersed in ancient codes revealed by his choice: like a painter of mystery, he has depicted the oldest secrets on his canvas, translating them through modern property of language, which in comparison shows a lack of style.

And inventor artist from Milan comes out on top, able to do everything perfectly, combining distant worlds and epochs to give us an overall vision of absurd beauty.


The ancient slowness returns, with the wind kissing the rain and seeking our eyes, among the lightning that enters fingers as they search for the guitar, the talking queen, the communicant elected by the Goddess of beauty, Aphrodite.

We find ourselves in a listening that unearths the treasures of the earth, music that does not use the muscles but the eyes, in a close dialogue with the fingers and the hypothesis of a flight that witnesses, verifies, contemplates the nakedness and deceptions of time. Everything knows slowness and method, an orderly futurist study in the amplitude of reception. There are dramatic peaks, mental edifices during the analysis phase, with the care that is proposed, used and which is capable of providing a solution. Music of celestial infarction, packaged to open amazement and attention to an ideal inner climate.

Spirits dress elegantly before this classy performance: they are not used to it and seem lost. Folk becomes aware of its new needs and is pushed with determination towards the darkest psychedelic caress.

The control zones of the tensions evoked and wisely displayed hurt, very badly: even the darkness trembles and the roar warms the cognition because we are in front of an immense flow of peculiarities studied at the table, like an exact science without stuttering or hesitation.

But let's not waste time and immediately show the contents of this diadem.



Song by Song


1 Lady of Sorrow


A guitar moves suspiciously over a gloomy carpet of keyboards that cover the breath, conveying glacial feelings and mystery to a track that includes Nero Kane's crooning, presenting life under the moon. The visionary planet begins, through the suggestions opening the album perfectly. And it is dark-folk imbued with gothic, slow particles, with an ambient aptitude that renders ethereal the way the concept is expressed.



2 Burn the Faith


A beginning that leaves the suspicion of synthwave taking possession of evil, with Samantha Stella's voice which is able to hypnotize, with majestic quality, in the belly of faith, desires and passions. A funereal procession that stimulate reflection in those who kill for love. The musical monotony gives credibility and continuous tremor.


3 The Vale of Rest


Echoes of Dead Can Dance penetrate the suspense, then Nero's vocals crash any doubt or confidence, leading us towards Death in June. The fire warms calmness and always burns it with extreme slowness, without any need to rush the rhythm. And it is a sinister prayer, the meeting of a wounded poem that then leads to the two voices which unite to make everything ghostly.



4 The Pale Kingdom


The baroque arpeggio suspends time, Samantha sings as a witch attracted to faces, giving the vocal interpretation an icy labyrinth that produces trembling sighs. The album finds a track that already represents it perfectly with the musical modalities united towards tenebrous madness.



5 The End, the Beginning, the Eternal


How to try to exterminate death-related nightmares, in the song that experiences the union of time reaching infinity. Magic drinks away all fear and gives the misery of the intention to be eternal, and everything becomes massive despite a splendid melodic line.



6 Lacrimi și Sfinți


It is a pilgrimage into nature in search of truth, with the organ mocking us with a few chords. Dreams are broken and the nakedness of the soul is experienced with deathrock particles thanks to that very instrument. But the music is on the plane of folk filled with darkness and fascinations towards the ethereal mass that drives one to follow the planets of the universe. A recitative that clutches our Adam's apple to make it sob.



7 The River of Light


Dante walks in one of his circles, the water cradles until the arrival of the guitar that makes us perform dance steps with our eyes closed, hypnotised, to bring every inner darkness towards the catharsis that is necessary. Sopor Aeternus places an ancestral smile and a muddy breath on the fingers of Nero Kane, who develops a tension filled with attraction, to the point of hypnosis. A long wait takes possession of our listening as elevation of a total consciousness.



8 Sola Gratia


Experimental theatre moves the chair from the stage to let in the spirit of Gregorian-sounding voices. And it is the terror of fear, of Lovecraft, one can hear the progress of a pitiless search that leads to the chorus of the two voices, merciless in their simplicity and evocative capacity. Everything becomes minuscule, minimalist, definitive, disarming in its gloom, obsessive, liturgical. The fire now crackles within frightened bones, and we reach the album's conclusion having touched the depths of pain and contemplation.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

9th November 2022


https://nerokane.bandcamp.com/album/of-knowledge-and-revelation

https://open.spotify.com/album/0YFJKXICbnnNkkklP93Let?si=p2Wpy-9MRfCkLzK3FXQfSg







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