venerdì 4 marzo 2022

La mia Recensione: Rover - Rover

 La mia Recensione 


Rover - Rover


L’orologio della tristezza ha le lancette che si muovono sempre, perché loro vanno avanti anche quando noi le vorremmo in uno stato di paralisi. Ma il tempo ha deciso per loro, come per se stesso.


Quando poi la disperazione, l’amarezza, l’inquietudine ed il senso di smarrimento si riuniscono e vanno da lui, allora tutto è inevitabile: ci sarà da riflettere con la testa pesante ed in fase di stordimento continuo.


Timothée Régnier è un’anima francese, dai tratti somatici vistosamente connessi alla sua musica, una damigiana di vino inebriante ma spesso indigesta, specialmente per chi preferisce l’acqua che fa scorrere velocemente tutto.

Senza impegno.


Oggi vi parlo del suo album di esordio, una sbornia che ottunde le persone superficiali, senza possibilità di sentire vie di fuga.

È uno spogliarello di rose che cadono nude per terra, avendo già visto le lacrime seccarsi.

Si è messo talmente a nudo che lo si sente tremare davanti a chi lo evita, perché affrontare i tormenti di un individuo è sempre un esercizio che si preferisce evitare.


Eppure vi sono trame che conoscono la morbidezza, direi anche la leggerezza, tra le pieghe di un album che pur vivendo tra note come nebulosa in fase di schianto sa mostrarne la scia, dove i colori hanno significato, come opposizione estrema e necessaria.

Ascoltare questo lavoro è percorrere il sentiero in penombra che non avrà mai moti di condivisione di massa, perché dove c’è una turbolenza si prende sempre la strada più vicina. La paura della mente sconfigge anche le contraddizioni del cuore.

Timothée è un fuoriclasse senza sciabole, senza armamenti eccessivi, senza l’attitudine all’attacco. Sembra dimesso ma non lo è.

È un universo con il suo ossigeno dal sapore di morte che incanta per la sua autenticità. Mi pare un buon inizio.


E se avete pensieri che attendono di essere innescati, stiate certi che il cavaliere nero dal fare quasi pop saprà farli saltare in piedi, senza il giubbotto antiproiettile, perché lui sfida le porte in quanto sa di poterle sbattere.


Un album che è destinato all’eternità, parlavo del tempo e delle lancette, ricordate? 

Ascoltandolo ci si accorge come i generi musicali che vengono tratteggiati sono predisposti ad agglomerarsi nello spazio traslucido dello smarrimento, come una festa pagana sul sagrato di una chiesa in fiamme.


Ascoltare le 12 lancette è sedersi su ciò che si muove, con la sensazione di scomodità ma anche di una effervescenza inspiegabile e così elegante, sicuramente fuori da questo tempo attuale, così incurante di chi è lento e interessato alla introspezione.

Ok, si parte per visitare i secondi di questo orologio che sembra molto di più una clessidra se la si guarda bene…


Canzone per canzone


Aqualast


La prima lancetta ha le corde della chitarra accordata sul Re Maggiore dei Radiohead, mentre la voce, come puledro senza direzione né padroni, si fa un giro tra originalità varie e occhiolini quasi nascosti verso cantanti maledetti e ben coperti dai loro colletti. Tracce di Beatles mostrano la profondità di impronte non cancellabili. Ed è un atteggiamento psichedelico quello che perviene e che ammanta.



Remember 


La seconda lancetta è quasi obesa e ruvida: sarà la chitarra, sarà la voce che sembra una lamiera che cade dal cielo, in un volo incredibilmente morbido.

I quintali di tristezza e amarezze scivolano per nascondersi ma non fanno in tempo: si vedono, eccome.

Un ritornello che si canta piangendo e poi si corre con questo basso, insieme a voci di vergini medievali, per poter sentire il peso del dolore…


Tonight


La terza lancetta, invidiosa della seconda, corre pure lei, con chitarre come granate che esplodono con fare circolare, ricordando i Kiss con il loro brano più famoso.

Poi, però, tutto diventa terribilmente serio, la tastiera che congela ogni entusiasmo e le parole, che da sole basterebbero per deglutire ogni lacrima nascente, finiscono per precipitare nel vuoto. E il falsetto che vola per scappare via.

Vediamo allora affacciarsi Jeff Buckley, quello triste e bellissimo.



Queen Of The Fools


Con la quarta lancetta andiamo a trovare la poesia sonora di Neil Hannon con i suoi Divine Comedy, per un viaggio quasi psichedelico, sicuramente colorato dalla attitudine francese a nascondere l’ammirazione per il lato pop della Terra d’Albione.

La canzone sfreccia, danza, con parole di metallo, sagge, grevi, come pietra colante ossigeno ormai all’estremo delle sue forze. E non ci rimane che il dipinto di folli felici e della loro Regina…



Wedding Bells


Tutto precipita con la quinta lancetta: Timothée toglie il velo dell’amarezza e concede alla sua nudità il sollievo del crollo, partendo dal tono greve della sua voce, che cerca il torbido con il suo registro basso.

Come una vecchia ricerca sonora - teatrale dei Pulp, tutto diventa un recitativo che invade, ruba e muore tra emozioni sedute sopra le spettrali note di un pianoforte potente e la chitarra che con pochi accenni ci frantuma, mentre il basso si concede quella morbidezza che alla fine ci fa sospirare.



Lou


Prendi le chitarre, un basso, una tastiera, una batteria e una voce come sbadiglio eccitato: inizierai a vedere le piume della sesta lancetta.

Tutto sembra essere un sole improvviso qui: non siate ingenui e superficiali, c’è un trattato di malinconia che si esibisce in questi minuti con maestria e furbizia, perché solo agli stolti sarà concesso di illudersi.

Siamo negli anni 60, come un tuffo improvviso, sulla costa nord degli Stati Uniti, ma nel ventre della canzone la Francia reclama la sua porzione di considerazione.



Silver


Lancetta numero 7.

Il numero del mistero conosce onde spavalde di chitarre polverose, arrivano dal sud degli USA, con le scarpe piene di polvere date dal cammino inarrestabile del buon Timothée che qui concede agli angeli del tempo un po’ di luce.

Ma strizzate le orecchie: la slide guitar è una assassina, prende il cuore del cantante francese e lo fa scendere all’inferno con lei…



Champagne


Rufus Wainwright telefona: per l’ottava lancetta vuole cavalcare il tempo e si affaccia, Timothée allarga le braccia in una accoglienza piena e tutto vibra tra la tastiera e il basso che si baciano felici, mentre la canzone ci porta in Galles a prendere del tè con i Gorky's Zygotic Mynci…


Carry on


La potenza si mostra all’inizio della nona lancetta: dura per pochissimo, tutto va anestetizzato, si deve entrare nel vestito di una disperazione che ha poche forze, i raggi del sole che non riescono a farsi vedere e tutto torna nel vestito di una storia disperata che colora di tempesta questa voce, che più che mai diventa drammatica e invadente. Le chitarre tratteggiano note di buio in avanzamento e la turbolenza delle semplici tastiere rendano l’ascolto un atto magnetico.



Late Night Love


Quelle che si sentono all’inizio sembrano proprio delle lancette, veloci, con l’ansia sulla pelle. Sono le decime.

Come una marcia funebre moderna, tutto diventa una coda lunga, la voce sembra quella di un Tom McRae con la tristezza giù per le corde vocali. 

Tutto è ferita, la musica come un lutto moderno, mentre tenta di essere una scintilla viva, ogni cosa invece muore inconsapevolmente.





Full Of Grace 


Undicesima lancetta: la chitarra come un passo ubriaco ci stordisce, poi Timothée apre la bocca e tutto diventa la sintesi di un folk-noir dipinto di un rock greve senza essere metallico, scorribanda lenta dentro gli aghi della voce, l’atmosfera come quella di un aereo militare con il freno a mano nel cielo, che è perplesso e preoccupato.

Nella foresta nera tedesca il sibilo dei Coil con gli Swans a trattare l’armistizio del mondo mentre i Wovenhand escono a fare la scorta.

Quando la tragedia profuma di bellezza.



Father I Can’t Explain 


Il Tempo decide che all’ultima lancetta sia concessa l’illusione della dolcezza, avendo in dote tre minuti e otto secondi di aria, passeranno velocissimi.

Come se Lou Reed cercasse adepti, e David Bowie accennasse al consenso, la canzone è un passo di danza blues, con i bottoni puliti e la cravatta. Ma il cuore che palpita ha tremori e cedimenti.



In conclusione.


Dopo l’ascolto di questo album ci si ritrova a riconsiderare il viaggio della storia, di cosa la musica permette di vivere e cosa invece neghi.

Sì, è così, perché ciò spiega perché questo artista non sia arrivato al successo. Ma quest’ultimo non serve, non aumenta il valore in sé, certi album nascono per rimanere soli ma non per questo sono privi di senso e ossigeno.

Chi accoglie le forme ampie dell’arte troverà in queste lancette uno dei modi concreti per vivere il tempo.


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

4 Marzo 2022


https://open.spotify.com/album/65jtY7eQJAhmCrT9JG60RX?si=8stsECTYSo6r5CHZ6I04cg


https://music.apple.com/gb/album/rover/501793644









martedì 1 marzo 2022

My Review: SECRETARY - Parallels

 My Review 


Secretary - Parallels


Since the beginning of man's presence on this planet there has been a need for protection. No matter how we have built things and situations of comfort, there has always been an avalanche of elements that have made us feel, and still do, that without protection we are afraid, we feel uncomfortable and vulnerable. And since art has existed, with its various forms, perfect zones have been created to preserve ease and discomfort for eternity, hoping that the first was and is the winner.

Then there are those who, with an album of songs, present both situations at the same time, and you cannot help but find yourself stunned by this intensity. Perhaps it is because of the opposites in this coexistence, or because of the inability to resist the beauty of pain that tries to smile by telling its story.

The result, in any case, is a listening with the heart which is like an earthquake that, while on the one hand destroys, on the other shows what it does in secret, and it is still a joy that offers the strength to rebuild.

These tears are the tenderness that bumps into loneliness at the traffic light, smiles at it and carries it around for new dreams to be made, waiting for better times to come.

In front of this intention one must be very careful: Ellison Wolf and Em Maslich, with the project SECRETARY, are capable of shattering, gently, every refuge because their intensity actually shows us how theirs is indestructible.

Whether it's the music, the words, the voices, everything becomes a constant disintegration because nothing stuns more than intensity, the ability to colour the darkness by bringing it inside us. You have no possibility of escape.

You cannot handle the river, however beautiful it is, because in these forty-seven minutes it has enveloped you in its motion.

In these nine tracks every second is a fist which caresses and combs your soul, to destabilize and comfort at the same time. 

We have experienced all this before, in the most devastating songs of Radiohead (with whom there are points of contact musically speaking) and The Postal Service: of the latter we can feel the common will not to stop the planning of a pain that wants to live in order to kill it.

These songs are sparks that make us understand how intensity can be contemplated and desired and how they become melodic swords that enter from the tip to sink to the handle.

The nineties at their very best, with that attitude of exploding. With the sound of the 2000s.

The whole thing without distortions, but with that suffocating feeling which in its being unmanageable attracts and fascinates.

The guitars, the Rhodes, the indie drumming, the leaden bass, the voices like pearls in the dark, are all programmed to be vehicles that continually clash against that desire for protection I mentioned at the beginning: everything becomes the season that does not exist, the sum of the real ones, and there is no word that can define the essence if not the effect, which is a crash.

A sweet and bitter crash, consequential.

Love, in this album, is a contemplative and magnetic syllable, where the eternal is already present, as a surprise with a lump in the throat, and the lips, clinging to the jumble that moves, sit between the notes waiting for the beating of the angels' wings to die peacefully...



Song by song 


When you know, you know 


A prayer.

The beginning of the album in its very first seconds is exactly that.

A prayer that quickly combines with an electronic approach to freeze the soul, to convey a psychedelic sense of the need to rise.

The voice, on a hazy but diamond pattern, seizes our altruistic impulses and makes us selfish: how beautiful it is to depend on these vocals that make painting its most respectful dress and lead us to desire it. 

The guitar strings are walks that start at the altar and bring us on the streets with electronic music illuminating the threads of our inner tension.



Words


Is it possible to combine trip-hop, funk, electronic music of the 60s, the night with its mystery and the feeling that the purest psychedelia lives in the lightness of small, veiled but gently overbearing instincts?

Yes, Words is here to prove it, with its sly manner, its physical form consisting of short and rarefied guitars, of keyboards like water in a short continuous jet but already capable of wetting our faces with tears. And when the guitar appears, everything becomes an embrace and sweat, while the high notes with delay are nothing but the initial prayer that has not finished its journey...



Wave


How fast is the pruning, violent. How slow is the growth of branches, peaceful.

That's it: in this track we start from the cut branches and with the passing of the minutes we find ourselves in front of the majesty of an elegant tree scented with autumn frost.

Because everything grows: starting from the semi-acoustic guitar, to the voice, to the electric one and to the whole that embraces warmly in the refrain with the scent of life in the phase of farewell.

Then comes the change of pace, the guitars bumping into each other to become reflections of Felt and Television, with the bass insisting and leaving bruises of post-punk memory.

The rhythm of the music grows with this voice that sticks to your heart.

You can't stay cold in front of the black sun that invades your skin with those intense interactions of notes and voices (with counter-songs and falsettos which are your tears that are mirrored), that make you, at the end, when even the rhythm gives way, a rag to reflect on...



Retroacting 


Almost as if it were a modern Gregorian chant, the track throws itself on an ancient folk that cleverly mixes with modern music and Radiohead are there, as guardians of this enchantment, with a sad face.

Like carnality at rest, the song, in its slow drama, offers to remove our now soaked, throw-away skin.

The title of the track, when sung, is already the shot that shatters the silence of the night. The guitar and the Rhodes deceive us, everything comes down to make our belly a dump. The melody brings us back to the heartbreaking work of Saybia, the Norwegian band who is queen in this particular condition in making us dumb. The Secretaries are on the same level.

Then the challenge is to the note that can make us fall faster.

With its irresistible charm, this tune is the acid that will make us swoon at the moment. There will be more coming.

In the meantime, you can find tissues to caress your melancholy that is making love to sadness, where the real orgasm is our listening.


I know It's Wrong


Jeff Buckley, from the second album, arrives at the beginning of the track, with a drumming and a bass that are corsairs stealing our strength. But then vocals shock us even more, with their delicate movement, taking us to the marmots' shelter where the whistles become the keyboards that warn us that at night emotions are naked. The drumming, articulated and lively, stops at a certain point, giving the voice and the bass, and then keyboards, the task of offering the heart the seductive rhythm of fear: how much beauty is shown!

And echoes of Sophia of Mr. Robin Proper-Sheppard appear in vocals, poignant and sweet at the same time, adding pathos to those millimeters of warmth that can be needed at any time.



Too Far, Too Late


The heart as a warehouse from which to steal the secrets of its propensity to dream. In this spectacular molecular ensemble of enchantment and vitaminic impulses, the song we are listening to is perhaps the most successful in highlighting how progressions, changes, are the shutters of their talent which, when opened, show themselves without shadows. The guitars, two perfect ones, like sea acrobats, dive into the empty air, free of friction, to fly over the water of this incandescent mode. If this is not the song that best shows that their deck is made up of 336 cards, the number of seconds they need to stun us, then I don't know what other track can convince you that Secretary is the charm of modernity that casts its nets to entrap us. How wonderful it is to feel defeated before this procession of brushes dipped in the sacred oil of perfection.


Tramadol


The bass is an earthquake, the keyboards its squire, the voice the consciousness that loses itself in the reverberation, where everything scratches with sweetness, with the celestial falsetto, on electronic music which is minimalistic but of immense impact.

This is the structure of a duo that amplifies the direction started by Radiohead in the early 90s, to personalise the mystery towards a more conscious theatricality, in the sweet and surreal din that we are forced to live. 

And the last fifty-two seconds are the farewell we didn't even dream of. And yet...

And yet we are blessed by this cadenced sacredness that is able to annihilate.

When the musical genre becomes what it really is: something useless in front of the majesty of artists capable of dethroning the most erroneous concepts.


Fires 


What happens?

An almost Fado, an almost heart attack delivered by a guitar with a warm red dress, surprises us, Ellison's voice becomes a sad and blissful nettle in its walk, red like the guitar, on our skin which, giving way, turns white.

And then off, everything accelerates, pushing like an angry animal, with vocals kept a little far away to give space to the angelic orchestration of a boiling fabric. And everything comes to be a torture to be worn in order to run away from the world.



Wisdom


As the last dish, the ninth, they bring us a fruit salad: Mazzy Star, The Postal Service, Alt-J, Radiohead, The Doors, Can, in a ballet of references and suggestions, in the slow mixture of comets and debris, of beats and electronic music half-hidden by the fires of a piano stuck on a few notes, to establish our wisest sense of enjoyment: now we know we have heard a perfect Rite.

And it is praise to the horizon, to the bodies waiting to catch their breath, to the feeling that everything makes sense in the final act of this forest full of splendid shadows, where the mould dances slowly, happily.

And it is the Lord of Wisdom, the bass, which drives the melody and the strength of this Goddess, with the right notes, to the farewell, sure that everything will become inevitable and we will go right back to the hors d'oeuvre of When You Know because the misery of our ignorance deserves to commit the only right sin: to eat again this apple called Parallels…


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

March 1 2022


https://secretaryband.bandcamp.com/album/parallels-2


https://open.spotify.com/album/6SLwm8OqURTkEe5VYn1XCB?si=i2N4Bpv5T8KFQ9Qu4prXng


https://music.apple.com/gb/album/parallels/1334522196





La mia Recensione: SECRETARY - Parallels

La mia Recensione 


Secretary - Parallels


Sin dall’inizio della presenza dell’uomo su questo pianeta si è avuta la necessità di protezione. Per quanto si siano costruite cose e situazioni di comodità, è sempre esistita una valanga di elementi che ci hanno fatto sentire , e ancora lo fanno, che senza protezione si ha paura, ci si sente scomodi e vulnerabili. E da quando esiste l’arte, con le sue varie forme, si sono create zone perfette per custodire l’agio e il disagio per l’eternità, sperando che il primo fosse e sia il vincitore.

Poi esiste chi con un album di canzoni presenta entrambe le situazioni contemporaneamente e non puoi che ritrovarti sbalordito davanti a questa intensità. Sarà per gli opposti in questa convivenza, o per l’incapacità di resistere alla bellezza del dolore che tenta di sorridere raccontandosi.

Il risultato, ad ogni modo, è un ascolto con il cuore come un terremoto che, se da una parte distrugge, dall’altra mostra ciò che fa di nascosto, ed è comunque una gioia che offre la forza di ricostruire.

Queste lacrime sono la tenerezza che trova al semaforo la solitudine, le sorride e la porta in giro per nuovi sogni da fare, in attesa di tempi migliori.

Davanti a questa intenzione si deve prestare molta attenzione: Ellison Wolf ed Em Maslich, con il progetto SECRETARY, sono capaci di frantumare, dolcemente, ogni rifugio perché questa loro intensità in realtà ci mostra come il loro sia indistruttibile.

Che sia la musica, le parole, le voci, tutto diventa una disintegrazione costante perché nulla stordisce di più della intensità, della capacità di colorare le tenebre portandole dentro di noi. Non hai possibilità di fuga.

Non puoi maneggiare il fiume, per quanto bello sia, perché in questi quarantasette minuti ti ha avvolto nel suo moto.

In queste nove tracce ogni secondo è un pugno che ti accarezza e pettina l’anima, per destabilizzare e confortare al contempo. 

Abbiamo vissuto in precedenza tutto questo, nelle canzoni più devastanti dei Radiohead (con i quali ci sono dei punti di contatto musicalmente parlando) e dei The Postal Service: di questi ultimi si avverte la comune volontà di non frenare la progettualità di un dolore che vuole vivere per poterlo poi uccidere.

Sono scintille queste canzoni, che fanno capire come l’intensità possa essere contemplata e desiderata e come diventino spade melodiche che entrano dalla punta per affondare sino al manico.

Gli anni novanta nel loro momento migliore, con quella attitudine di esplodere. Con il suono degli anni 2000.

Qui il tutto senza distorsioni, bensì con quella sensazione di soffocamento che nel suo non essere gestibile attrae e affascina.

Le chitarre, i Rhodes, il drumming indie, il basso plumbeo, le voci come perle al buio, sono tutti programmati per essere veicoli che si scontrano continuamente contro quel desiderio di protezione di cui dicevo all’inizio: tutto diventa la stagione che non esiste, somma di quelle reali, e non c’è parola che possa definirne l’essenza se non l’effetto, che è schianto.

Uno schianto dolce e amaro, consequenziale.

L’amore, in questo album, è un sillabare contemplativo e magnetico, dove l’eterno è già presente, come sorpresa con il groppo in gola, e le labbra, appiccicate alla ridda che spossa, si siedono tra le note aspettando il battito di ali degli angeli per poter morire serenamente…



Canzone per canzone 


When you know, you know 


Una preghiera.

Questo è l’inizio dell’album nei suoi primissimi secondi.

Preghiera che si unisce in fretta ad un fare elettronico per raggelare gli animi, per dare un senso psichedelico del bisogno di elevarsi.

La voce, su un pattern nebuloso ma diamantato, sequestra i nostri slanci altruistici e ci rende egoisti: che bello dipendere da questo cantato che fa della pittura il suo vestito più rispettoso e ci porta a desiderarlo. 

Le corde della chitarra sono passeggiate che partono dall’altare e ci conducono sulle strade con l’elettronica ad illuminare i fili della nostra tensione interiore.



Words


Si può unire il trip-hop, il funky, l’elettronica degli anni 60, la notte con il suo mistero e la sensazione che la psichedelia più pura viva nella leggerezza di piccoli impulsi velati ma garbatamente prepotenti?

Sì, Words è qui a dimostrarlo, con il suo fare sornione, la sua forma fisica che consta di chitarre brevi e rarefatte, di tastiera come acqua a breve getto continuo ma già capace di bagnarci il volto di lacrime. E quando la chitarra si affaccia, tutto si fa abbraccio e sudore, le note alte con il delay non sono altro che la preghiera iniziale che non ha finito il suo percorso…



Wave


Come è veloce la potatura, violenta. Come è lenta la crescita dei rami, pacifica.

Ecco: in questo brano si parte dai rami tagliati e con il passare dei minuti ci troviamo davanti alla maestosità di un albero elegante e profumato di brina autunnale.

Perché tutto cresce: partendo dalla chitarra semi acustica, alla voce, a quella elettrica e all’insieme che si abbraccia calorosamente nel ritornello dal profumo di vita in fase di addio.

Poi il cambio ritmo, le chitarre che si rimpallano per divenire riflessi di Felt e Television, con il basso che insiste e lascia lividi di memoria post-punk.

Il ritmo della musica cresce con questa voce che si appiccica al cuore.

Non puoi rimanere gelido davanti al sole nero che invade la tua pelle con quelle interazioni intense di note e di voci (con controcanto e falsetti che sono le tue lacrime che si specchiano), che fanno di te, alla fine, quando anche il ritmo cede, uno straccio su cui riflettere…



Retroacting 


Quasi come fosse un moderno canto Gregoriano, il brano si butta su un folk antico che sapientemente si miscela al fare moderno e i Radiohead sono lì, come guardiani di questo incanto, dalla faccia triste.

Come carnalità in fase di riposo, il brano, nella sua lenta drammaticità, si offre per togliere la nostra pelle ormai fradicia, da buttare.

Il titolo della canzone, quando viene cantato, da solo è già lo sparo che sconquassa il silenzio della notte. La chitarra e la Rhodes ci inguaiano, tutto scende a rendere la nostra pancia una discarica. La melodia ci riporta al fare straziante dei Saybia, la band Norvegese regina in queste particolari condizioni nel renderci muti. I Secretary sono allo stesso livello.

E allora la sfida è verso la nota che riesce a farci cadere più velocemente.

Dal fascino irresistibile, questo brano è l’acido che al momento ci farà svenire. Ne verranno altri.

Intanto trovate fazzoletti per accarezzare la vostra malinconia che sta facendo l’amore con la tristezza, dove il vero orgasmo è il nostro ascolto.



I know It’s Wrong


Jeff Buckley, quello del secondo album, arriva all’inizio del brano, con il drumming e il basso che sono corsari che ci rubano le forze. Poi però il cantato ci traumatizza ancora di più, con quella sua delicata movenza, portandoci nei pressi del rifugio delle marmotte dove i fischi diventano la tastiera che ci avverte che di notte le emozioni sono nude. Il drumming, articolato e vivace, ad un certo punto si ferma, dando alla voce e al basso, e a seguire alla tastiera, il compito di offrire al cuore il ritmo seducente della paura: quanta bellezza che si mostra!

Ed echi dei Sophia di Mr. Robin Proper-Sheppard si affacciano nel cantato, struggente e dolce al contempo, che aggiungono pathos a quei millimetri di calore che possono servire in qualunque momento.



Too Far, Too Late


Il cuore come un magazzino al quale rubare i segreti della sua propensione al sogno. In questo spettacolare insieme molecolare di incanto e pulsioni vitaminiche, il brano che ascoltiamo è forse quello più di tutti capace di evidenziare come le progressioni, i cambiamenti, siano le persiane del loro talento che aprendosi si mostrano senza ombre. Le chitarre, due, perfette, come acrobati del mare, si tuffano nell’aria vuota e sgombra di attriti, per volare sull’acqua di questa modalità incandescente. Se non è la canzone che meglio di tutte mostra che il loro mazzo è fatto di 336 carte, quanti sono i secondi di cui abbisognano per stordirci, allora non so quale altra possa convincervi che Secretary è il fascino del moderno che getta le sue reti per intrappolarci. Che bello sentirsi sconfitti davanti a questa  processione di pennelli intinti nell’olio sacro della perfezione.


Tramadol


Il basso è un terremoto, la tastiera il suo scudiero, la voce la coscienza che si perde nel riverbero, dove tutto graffia di dolcezza, con il falsetto celestiale, sull’elettronica minimalista ma di immenso impatto.

Questa è la struttura di un duo che amplifica la direzione avviata dai Radiohead di inizio anni 90, per personalizzare il mistero verso una teatralità più consapevole, nel fracasso dolce e surreale che siamo costretti a vivere. 

E gli ultimi cinquantadue secondi sono il congedo che non sognavamo nemmeno. E invece…

E invece siamo benedetti da questa sacralità cadenzata che annichilisce.

Quando il genere musicale diventa quello che è per davvero: un qualcosa di inutile davanti alla maestosità di artisti capaci di detronizzare i concetti più errati.


Fires 


Cosa succede?

Un quasi Fado, un quasi infarto consegnato da una chitarra col vestito rosso caldo, ci sorprende, la voce di Ellison diventa ortica triste e beata nel suo camminare, rossa come la chitarra, sulla nostra pelle che cedendo si colora di bianco.

E poi via, tutto accelera, spinge come un animale arrabbiato, il cantato tenuto un po’ lontano per dare spazio all’angelica  orchestrazione di un tessuto in ebollizione. E tutto diventa strazio da indossare per poter correre lontano dal mondo.



Wisdom


Come ultima portata, la nona, ci portano una macedonia: Mazzy Star, The Postal Service, Alt-J, Radiohead, The Doors, Can, in un balletto di riferimenti e suggestioni, nell’impasto lento di comete e detriti, di beat ed elettronica semi nascosti dagli incendi di un piano incantato su poche note, per stabilire il nostro senso di godimento più saggio: ora sappiamo che abbiamo ascoltato un Rito perfetto.

Ed è lode all’orizzonte, ai corpi in attesa di riprendere fiato, alla sensazione che tutto abbia senso proprio nell’atto finale di questa foresta piena di splendida ombre, dove la muffa balla lenta, felicissima.

Ed è il Signore della Saggezza, il basso, a pilotare la melodia e la forza di questa Dea, dalle note esatte, al congedo, certo che tutto diventerà inevitabile e si tornerà subito all’antipasto di When You Know You Know perché la miseria  della nostra ignoranza merita di commettere l’unico peccato giusto: mangiare ancora questa mela che si chiama Parallels…


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

1 Marzo 2022


https://open.spotify.com/album/6SLwm8OqURTkEe5VYn1XCB?si=jy-dEE0OTJmSxxwt6BE8hg


https://music.apple.com/gb/album/parallels/1334522196


https://secretaryband.bandcamp.com/album/parallels-2





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