martedì 7 ottobre 2025

La mia Recensione + Intervista: Nightbus - Passenger


Debut Album of the year 2025
Mancunian Album of the year 2025

Nightbus - Passenger


Un agglomerato famoso che vive apparentemente di rendita, visto il suo clamoroso apporto nel passato e la gloria conseguita, continua a essere una fabbrica umana di talento e qualità, che fatica purtroppo a emergere per mille fattori, uno dei quali è sicuramente una stampa musicale poco avvezza a considerare quanta nuova qualità alberghi sotto il cielo mancuniano.

Assistiamo quindi a uno spreco costante di studi, sguardi, approfondimenti che potrebbero darci la misura della verità.

Giunge una band a raccogliere il tutto, facendoci viaggiare di notte, scacciando i sogni, decidendo, piuttosto, di farci urlare con cupezza, di trascinarci nella realtà e di farci maturare, avvolgendoci in atmosfere amniotiche gravide di elettronica, ventagli dub, sottili avamposti trip hop, impulsi dream pop, arpeggi elettrici che fanno l’occhiolino al post-Punk senza farsi notare troppo, agganciando i generi musicali tra di loro per consegnarci un album di debutto che ci fa porre delle domande e ci impedisce di cercare la fuga nei diversivi, di non donarci completamente a ogni forma di dipendenza.

Registrato a Leeds con Alex Greeves alla produzione, questo lavoro è una strategica propensione a separare la routine di canzoni a rapido assorbimento ma prive di contenuto da queste dodici composizioni, che sono una liquida via crucis, tra passi felpati, quelli danzanti e torce per illuminare l’anima ma non la strada…

Olive Rees (voce e chitarra), Jake Cottier (chitarra ed elettronica) e Ben McFall (basso) sono incastri e rabdomanti sonori, indagatori e scienziati, illustratori di tavole antiche nel fragore odierno, angeli dalla voce sottile e tuttavia in grado di creare ragnatele veraci per catturare l’ascoltatore tramite flash ipnotici.

Diversi i punti di contatto con gli anni Novanta, le successive strategie di una forma canzone evoluta, ma la band di Manchester gioca sulle atmosfere, sulle rarefazioni, su lenti cambi ritmo, conferendo alla strumentazione e alla voce il compito di essere amalgama, alga, vento, ossigeno in caduta sull’asfalto, di convertire le dance floor in un luogo mistico dove la riflessione è desiderata e necessaria.

Un album maturo, sorprendente, scioccante, fresco, capace di catturare l’energia giovanile e depositarla innanzi a una popolazione adulta che si troverà a dover fare i conti con una scioccante sequenza di gioielli nutrienti.

I testi sono un vocabolario che cerca di comparire nella logica, nell’ardita ricerca, usando immagini e racconti come una movimentata lezione di narrativa inglese, colpendo, attrezzando l’attenzione di antenne nuove, accordate a una forza davvero notevole. I sentimenti diventano racconti, fermate del bus, un abbraccio, una coperta umida di nudità mentali che inducono all’abbraccio…

Si tocca la sensazione del calore dell’equatore, così come il gelo dell’Antartide, come se il bus, impazzito, volenteroso, capace, non prevedesse soste e nemmeno l’intenzione della resa. È la vita intera che sale, con le sue storie, spostandosi, e i tre ragazzi pilotano l’esperienza di un volo senza ali, dentro l’epicentro della notte nella quale al giorno non è permesso presentarsi…

Certificando la fine di un passato, il trio accende fuochi pieni di brina, brillantina, con geiser umorali che tendono al grigio e al blu, in una combinazione seducente e armoniosa…

Le canzoni sono piene di mistero, di fragori mutilati e di scie attitudinali verso un pop che preservi il tutto, per fare del tempo dell’ascolto un bisogno assoluto di immersione e ripetizione, divenendo una tossicità benevola e necessaria, non imputabile di colpa.

Con la conferma, dopo i due straordinari singoli Angles Mortz e Ascension, che quella a cui assistiamo è una danza tribale elettrificata e resa ampia per allargare il bacino dei riferimenti, per permettere ai brani di trasformarsi in luoghi, templi nei quali la preghiera viene sostituita da un brindisi e da perplessità: seppur giovani, i Nightbus già sono consapevoli della complicanza dell’esistenza e, così facendo, in questo lavoro disegnano la saggezza, gli impeti che cercano un caos più utile, e ci guidano attraverso un’odissea moderna in cui essere dei passeggeri è uno splendido privilegio…


Song by Song


1 - Somewhere, Nowhere

Un’accogliente penombra strumentale fa salire i passeggeri: danza ipnotica, accenni di chitarra, un groove assassino ma morbido apre il cielo notturno e l’influenza elettronica degli anni Novanta ci lascia la sensazione di una partenza pregna di dolcezza e malinconia. Ammaliante…



2 - Angles Mortz 

Uno dei due singoli che hanno anticipato questo debutto a lunga gittata è già un manifesto, un passaporto emotivo e razionale, con la voce di Olive che è un ventaglio che ingloba raucedine e piume dense di lacrime. L’approccio dream pop fa da apripista a una danza che vive del loop di una chitarra molto Sarah Records e il basso di Ben che circonda il tutto come un incedere rispettoso ma che accelera il viaggio del bus. Ed è delirio segreto…



3 - False Prophet

Tra accenni neofolk, il boato sottile dell’hip hop e le eleganti contorsioni dei Black Box Recorder e dei Saint Etienne, il pezzo raccoglie ondate elettriche ed elettroniche con il registro vocale di Olive che va a posizionarsi sotto le nuvole, mentre i fasci sonori sono i frammenti di una giungla in cerca di consacrazione. Ipnotica…



4 - Fluoride Stare

Rarefazione, climax cinematografico, asfissia e libertà: un boato può essere limato da tessiture segrete e muoversi in scioltezza come fa questo brano, nuovo binario conturbante, nuova tossina colma di stop and go, di fluorescenza e di nebbia in mezzo alla pioggia. E il viaggio prosegue scivoloso e sinuoso…



5 - The Void

La voce di Olive diventa un tempio accogliente, con cantanti  antiche e diverse tra di loro che hanno segnato gli ultimi quattro decenni. Misurata, potente, suggestiva, la chitarra una sferzata controllata, mentre il canto oscilla tra guitti gutturali e tenere espressioni, con l’involucro sonoro che pare in attesa di un cambio di scenario. Riflessiva, astuta, elegante sino all’ultima goccia…



6 - Ascension

L’altro singolo conferma la loro intenzione primordiale: un effluvio elettrico che si fa energetico, quasi sognante, con le parole che sono  invece un riflesso della realtà, in una mescolanza sensuale e beat elettronici perfettamente incastonati tra la chitarra e il basso…



7 - Just a Kid

 I Massive Attack salgono a Manchester, aspettano che i tre ragazzi inseriscano i loro innesti, e lo fanno con una chitarra quasi gotica, mentre un crooning maschile attende l’incantevole forma espressiva della modalità di canto di Olive che, sapientemente, non arriva… 



8 - Host

Il momento di gloria che benedice l’intero lavoro: Host è un laboratorio cosciente, una sperimentazione, una montagna russa dentro il fragore e l’attesa, con un ghigno diabolico e sofferente, una scia di petali, un arpeggio di chitarra antico che si trova circondato da un'incantevole muraglia di suoni lentamente epilettici, sino a quando Olive si dimostra una interprete vocale eccelsa, giocando con l’umore dell’ugola, i registri vocali, e la canzone diventa una zona pericolosa in cui il Bus rischia di smarrirsi data la tensione. Clamorosa e magistrale…



9 - Landslide

Tra alternative, indie rock e dream pop, il brano è una cupola celeste, che fa scendere scintille e impulsi, un bagliore che corre con il basso e il synth che si sorridono e la voce a incantare le finestre del bus…



10 - Renaissance

Un senso armonico di completezza induce il laboratorio dei tre a scrivere una favola in attesa, dentro scivolate di suoni e vocalizzi minimalisti, come un grembo che partorisce una vita nuova nel buio, e la presenza dei Morcheeba e di Tricky a benedire il tutto…



11 - 7am

Ecco affacciarsi l’anima torbida dei Nightbus, nei primi secondi del brano,  come una danza sensuale perfida, tra gittate di chitarre e un riverbero abbottonato, mentre il crooning di Olive crea un monologo avvincente, in attesa del rombo concavo di una chitarra grattuggiata…



12 - Blue In Grey

Il viaggio non finisce con l’ultima tappa: vince la sensazione che viaggeremo ancora con tutto ciò che abbiamo vissuto sino a questa dodicesima traccia.

Tutto si conclude con il clima che pare un “ci vediamo domani”: la band finisce, sfinisce il nostro boato muto dato dall’ennesimo stupore. L’insieme è un gioco di riferimenti, di costruzioni in cui la forma canzone viene accerchiata e si gode dei minuscoli cambiamenti, di cambi ritmo e della assoluta convinzione che certe canzoni sembrano cappotti validi per tutte le stagioni…



Intervista con la band:




1. Ciao Andy e Olive, vi ringrazio per la vostra disponibilità e ti porgo i miei più sentiti complimenti per il vostro straordinario album di debutto. Vorrei chiedervi quali siano, se presenti, gli elementi di cui siete particolarmente soddisfatti e quali, al contrario, necessitino di ulteriori sviluppi.


Jake -

Il risultato principale è stato riuscire a far sì che tante canzoni così diverse tra loro sembrassero

parte di un unico insieme. Direi che gran parte del merito va ad Alex Greaves, il nostro

produttore. È in sintonia con il progetto proprio come noi e credo che il suo stile piuttosto particolare

abbia contribuito a dare coerenza all'album. Non credo che ci siano stati sviluppi significativi per questo

album, è unico nel suo genere perché contiene brani scritti il primo giorno e altri scritti

tre anni dopo. L'album stesso è la colonna sonora dello sviluppo dei Nightbus, di noi come

individui e della nostra pratica creativa. Abbiamo cercato di stare al passo con l'industria

negli ultimi tre anni e credo che ora ci siamo finalmente riusciti.



2. In un’analisi approfondita di quest’opera, le canzoni appaiono connesse tra loro al di là dei generi musicali proposti, suggerendo un’atmosfera corale avvincente. Si tratta di una scelta deliberata? In caso affermativo, quali sono state le eventuali difficoltà incontrate nella sua realizzazione?

Sì, certo, voglio dire, già nelle fasi di pre-produzione abbiamo discusso della possibilità che fosse

un lavoro senza soluzione di continuità, quindi ci aspettavamo che tutte le canzoni fossero dello stesso genere. Abbiamo

parlato dei colori e dei luoghi rappresentati dalle canzoni, se fosse stata una scena di un film

e come sarebbe stata quella scena. Visivamente abbiamo creato un intero universo alternativo, poi abbiamo

iniziato a registrare, ed è per questo che penso che il risultato sia così ben riuscito.



3. Le canzoni presentano una miscela di gioia, perplessità, un dolore maturo che non si manifesta con eccessiva enfasi, e un’attitudine a cogliere la vita negli spazi spesso trascurati dalla mente umana.  Quanto, nella stesura dei testi da parte di Olive, è stato determinante un approccio spontaneo e intuitivo, e quanto, invece, una ricerca mirata e specifica?


Penso che il termine “concept album” sia una descrizione approssimativa per questo lavoro. Abbiamo fatto un po' il contrario.

Non abbiamo mai voluto che le canzoni fossero collegate a ciò che hanno fatto, ma scriviamo in modo molto sincero e parliamo sempre di esperienze vissute o di cose sepolte inconsciamente.

Olive:

"Mi piace creare personaggi e storie per esagerare i significati. In definitiva, non possono

essere così profondi se non ci identifichiamo con loro. Immagino che la ricerca specifica siamo noi stessi.

Siamo abbastanza emotivamente intelligenti, quindi basta guardarsi dentro per rendersi conto che ci sono

probabilmente migliaia di altre persone che provano le stesse cose".



4. L’aspetto musicale dell’album evidenzia un’impressionante varietà di generi e periodi storici, accompagnata da una produzione impeccabile. Esistono generi musicali che intendete esplorare nelle prossime composizioni?


Olive:

"Ho scritto alcune canzoni che sono un po' più vicine alla scena rave, ho qualcosa di solido

indie pop e persino western emo. Qualcuna di queste finirà nel prossimo album? Non ne sono sicuro, non sto

scrivendo per uno scopo specifico. Penso che per me funzioni meglio così, perché non ci penso troppo, dato che

la mia mentalità è che nessuno le ascolterà"

. Il prossimo album sarà senza dubbio un altro

accumulo di cose che ci sono piaciute. Sarà un mix di generi con un tocco Nightbus.

Non sappiamo ancora come suonerà, ma sta venendo fuori piuttosto bene.



5. La struttura a trio semplifica il processo creativo? L’apporto di ciascun membro del gruppo risulta più evidente? In che misura le idee subiscono una trasformazione nel momento in cui vengono condivise?

Olive:

"Assolutamente, tendo a concentrarmi principalmente sui testi e sulle melodie principali, che si tratti di una

melodia vocale evidente o di un riff di chitarra. Jake è più concentrato sulla produzione e ha una migliore

comprensione della teoria, motivo per cui non potrei mai scrivere le sue parti di chitarra.

È un musicista completo e costituisce una solida base. Penso che i miei limiti siano i punti di forza di Jake

e viceversa, ed è questo che rende il duo così speciale”.

Non competiamo per le parti, ci

limitiamo a colmare le lacune l'uno dell'altro e quando qualcosa è fantastico ci rispettiamo a vicenda

dal punto di vista creativo abbastanza da alzare le mani e dire: "Sai, non ho bisogno di aggiungere nulla,

hai fatto un ottimo lavoro".



6. Infine, vorrei chiederti quanto sia importante per voi l’esecuzione dal vivo di quest’opera. E chiederti inoltre se esistono ostacoli che potrebbero ostacolare tale realizzazione. Spero di no e intanto: ci vediamo qui a Manchester per la vostra data!

L'elemento live è estremamente importante. Abbiamo trascorso tre anni utilizzando deck e tracce perché volevamo che la musica fosse adatta agli ambienti dei club e dei locali notturni a cui era destinata.

È sempre stato un vantaggio e uno svantaggio, poiché è un mezzo facile da usare, ma il trattamento della traccia è diventato sempre più difficile nelle impostazioni audio dal vivo, dato che i locali variavano molto. Eravamo letteralmente in balia del locale e a volte i concerti non andavano come avrebbero dovuto. Abbiamo sentito che la naturale evoluzione di questa campagna discografica era quella di prendere un batterista, non è un suggerimento strano dato che in questo album usiamo comunque molto trip hop e breakbeat. Sentiamo che ha dato nuova vita e coerenza alle esibizioni dal vivo e siamo

entusiasti di andare in tour! Spero solo che dal punto di vista sonoro il risultato sia tale da continuare a piacere al pubblico.

L'idea di prendere un batterista è sempre stata oggetto di dibattito tra i fan, quindi spero che quelli che l'hanno voluta siano contenti, haha.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8-10-2025


https://nightbusuk.bandcamp.com/album/passenger


https://open.spotify.com/album/52f6pfRHOcB3Mo5g2VKPqb?si=0ezCQZ5zS7iTZ2qTFsCTLQ


https://music.apple.com/gb/album/passenger/1822759245






giovedì 28 agosto 2025

My review: Eirēnē, Paris Alexander & The Stave Church - Inner Sanctum


 

Eirēnē, Paris Alexander & The Stave Church - Inner Sanctum


When a sensitive soul seeks contact with truth, it can only note, through a laborious mnemonic journey, what it has chosen, experienced and endured, including a mask, inevitably the primary source of secrets and misinterpretations.

The wonderful Eirene writes a frighteningly truthful text for everyone, translating herself and immersing us in awareness, in an enchanting game of rebounds and intuitions, which manifest superiority over what was a concrete block for her new propensity for truth.

To achieve all this, together with her life and musical partner Paris Alexander and Bruce Courtney (better known for his project The Stave Church), she has created a song that mirrors the sky, an exciting shower of sculptural tremors, with her vocal range fluctuating and transporting the music to a territory where the dark hemisphere is found, inevitably forced to draw tepid rainbows, which are the perspective of a text that aims to be sincere and proactive.

A sound base that impregnates fear with its dark electro flashes and unusual rhythmic pauses for Paris, who gives free rein to her creativity here, mixing experience and knowledge to better allow Eirēnē new ways of singing, with vibratos, elongated syllables, in a march with ever-present EBM chromosomes, while at the same time knowing how to translate the epic nature of Baroque music into an electric guise, achieving an incredible level of seduction as a result.

A song with two sides, in which it is wonderful to see how skilfully Bruce has managed to insert himself, marking the whole with his recognisable style. 

After the very first moments, in which Dead Can Dance seem to kick things off, an amniotic electric forest arrives, with skeletal chords and hypnotic black clouds created by superb synth work. 

The words become a dumping ground, a funnel, a stranglehold, and guilt and shame are set in a magnetic flow that leaves no escape. The notes become heavy, dancing like a naive attempt to escape, and the project envisages silent tears set in the glare of the singer's high register, ending up absorbing and swallowing them.

Witnessing a bow, a journey towards choices, both in life and art, is an honour that we must know how to transform: the two British artists and the American artist have done so, with the certainty that in their artistic composition, the true, the false, the dark and the dream of better times have been perfectly connected to an inevitable and desired catharsis, annexing to the pleasure of writing the duty of cleansing the soul.

The music, consequently, was a perfect partner for the lyrical side, making us close our eyes and transporting the dance into the dark corners of our refusal to believe in who we are.

A song like a fan: it refreshes us, but it does not make us forget the difficulties of life.

For this reason, the Old Scribe declares that the trio has written a choral manifesto, pointing the way forward in a captivating manner, freezing time and giving everyone a chance to improve the quality of our lives.

And it is definitely much more than just music...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

28th August 2025


Out tomorrow



La mia recensione: Eirēnē, Paris Alexander & The Stave Church - Inner Sanctum


 

Quando un’anima sensibile cerca il contatto con la verità non può che annotare, tramite un faticoso percorso mnemonico, quello che ha scelto, vissuto e subito, tra cui anche una maschera, inevitabile, prima fonte di segreti e di male interpretazioni.

La meravigliosa Eirēnē scrive un testo spaventosamente veritiero per tutti, traduce se stessa e ci fa immergere nella consapevolezza, in un gioco incantevole di rimbalzi e guitti, di manifesta superiorità nei confronti di ciò che era un blocco di cemento per la sua nuova propensione al vero.

Per fare tutto questo crea, insieme al suo partner di vita e musicale Paris Alexander e a Bruce Courtney (meglio conosciuto con il progetto The Stave Church) una canzone che è uno specchio del cielo, una pioggia emozionante di scultoree propensioni al tremito, con il suo range vocale che fluttua e trasporta la musica in un territorio dove l’emisfero cupo si trova, giocoforza, costretto a disegnare tiepidi arcobaleni, che sono la prospettiva di un testo che vuole essere sincero e propositivo.

Una base sonora che ingravida la paura con i suoi flash dark electro e pause ritmiche inconsuete per Paris che qui dà sfogo alla sua creatività, mescolando l’esperienza e la conoscenza per meglio permettere a Eirēnē modalità nuove nel canto, con vibrati, sillabe allungate, in una marcia con i cromosomi ebm perennemente presenti, e al contempo sapendo tradurre l’epicità della musica barocca con un abito elettrico, conseguendo come risultato un incredibile livello di seduzione.

Un brano con due facce in cui è meraviglioso constatare come Bruce sia stato abile a incunearsi, marchiando l’insieme con il suo stile riconoscibile. 

Dopo i primissimi istanti nei quali i Dead Can Dance sembrano dare il via al tutto, arriva una foresta elettrica amniotica, con accordi scheletrici e nuvole nere ipnotizzanti conferiti da un superbo lavoro dei synth. 

Le parole diventano una discarica, un imbuto, una stretta al collo, e i sensi di colpa e la vergogna vengono incastonati in un magnetico flusso che non lascia scampo. Le note si fanno grevi, si danza come ingenuo tentativo di fuga e il progetto prevede lacrime mute incastonate nei bagliori del registro alto della cantante, finendo per assorbirle e inghiottirle.

Essere testimoni di un inchino, di un cammino nei confronti delle scelte, di vita e artistiche, è un onore che dobbiamo saper trasformare: i due artisti inglesi e quello americano lo hanno fatto, con la certezza che nella loro composizione artistica il vero, il falso, il nero e il sogno di tempi migliori siano stati perfettamente connessi a una catarsi inevitabile e voluta, annettendo al piacere di scrittura il dovere di una pulizia dell’anima.

La musica, conseguentemente, è stata una partner perfetta per il lato lirico, facendoci chiudere gli occhi e trasportando la danza negli angoli bui del nostro rifiuto di credere in ciò che siamo.

Una canzone come un ventaglio: rinfresca, ma non ci fa dimenticare le difficoltà della vita. 

Per questo motivo il Vecchio Scriba dichiara che il trio ha scritto un manifesto corale, ha indicato la strada e lo ha fatto in modo accattivante, paralizzando il tempo e dando a tutti una chance per migliorare la qualità delle nostre esistenze.

Ed è decisamente molto più che musica…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

28 Agosto 2025


In uscita domani



My Review - Iamnoone - melancholia

 Iamnoone - melancholia Iamnoone - Melancholia There is a contemplative planet that collects and welcomes and never discards, preferring to ...