domenica 23 aprile 2023

La mia Recensione: The National Honor Society - To All The Distance Between Us

 The National Honor Society - To All The Distance Between Us


La si ama proprio tanto la band di Seattle: il suo Pop è una carezza romantica, un approccio garbato, una successione di canzoni che spaziano, variano di parecchio, con uno stile che è facile riconoscere.

Si passa da un Indie Pop capace di alte velocità a un Alternative che pare avvolgere senza voler sembrare scortese, ma sempre con la melodia al centro, facendo credere che la città si sia spostata a Birmingham (UK), nella metà degli anni Novanta, avvicinandosi nella zona della Sarah Records con atomi di Dreampop acerbo e spettacolare. Colpisce e affonda la capacità di instaurare un rapporto, con le sue canzoni, nel quale sono proprio i componenti della band a essere sorpresi per primi, per il lavoro di arrangiamenti che le fanno volare nel cielo delle nostre fantasie…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

23 Aprile 2023


https://thenationalhonorsociety.bandcamp.com/album/to-all-the-distance-between-us








My Review: The National Honor Society - To All The Distance Between Us

The National Honor Society - To All The Distance Between Us


You really love this Seattle band: its Pop is a romantic caress, a gentle approach, a succession of songs that range, varying a lot, with a style that is easy to recognise.

It goes from an Indie Pop capable of high speeds to an Alternative that seems to envelope without wanting to sound rude, but always with melody at its core, making one believe that the city has moved to Birmingham (UK), in the mid-nineties, approaching the Sarah Records area with atoms of acerbic and spectacular Dreampop. Striking and sinking is the ability to establish a rapport, with its songs, in which it is the band members themselves who are surprised first, by the arrangement work that makes them soar into the skies of our fantasies...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

23rd April 2023


https://thenationalhonorsociety.bandcamp.com/album/to-all-the-distance-between-us




La mia Recensione: BARA HARI - Agoraphobic

 BARA HARI - Agoraphobic


Torna la Lady Gotica di Los Angeles, sempre più addentro a una coltre melodica di sentimenti oscuri che vengono quasi anestetizzati da arrangiamenti deliziosi, mentre la chitarra graffia e dà uno schiaffo (gradito, per carità!) al cantato, vero centro di gravità permanente, che è il faro di questo brano, lento, seducente e capace, con il suo Art Pop, di lasciare tutto perfettamente godibile. Non è difficile immaginare la danza che può suscitare Agoraphofic: una fiumana di sensi a circondare i desideri per farli arrendere, uno ad uno…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

23 Aprile 2023


https://remissionentertainment.bandcamp.com/track/agoraphobic-2




My Review: BARA HARI - Agoraphobic

BARA HARI - Agoraphobic


The Gothic Lady from Los Angeles is back, more and more penetrated by a melodic blanket of dark feelings that are almost anaesthetised by delightful arrangements, while the guitar scratches and slaps (welcome, for goodness' sake!) the singing, the true permanent centre of gravity, which is the beacon of this track, slow, seductive and capable, with its art pop, of leaving everything perfectly enjoyable. It is not difficult to imagine the dance that Agoraphofic can provoke: a torrent of senses surrounding desires to make them surrender, one by one...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

23rd April 2023


https://remissionentertainment.bandcamp.com/track/agoraphobic-2








La mia Recensione: No Juventud - Nudos

 No Juventud - Nudos


La formazione di Simon Gaviria torna con quattro tracce piene di quella sacralità che ben conosciamo: si entra nell’oltretomba per rimanerci, in un perimetro soffocante, avamposto di una eternità dove le ombre sono raggi di luce sepolcrali. Il loro Post-Punk è una scossa Darkwave ora, con elementi elettronici a rendere più vasto il loro repertorio, più in grado di affacciarsi agli anni Ottanta europei (La Tormenta), e gravitare nella nebulosa Neo Gotica (Dolor), mentre con Nudos qualcosa di sperimentale si presenta, pur ricordandoci nell’attacco iniziale i Cult dell’album Love. La conclusiva Salir A Jugar è sicuramente il brano che sferra l’attacco al passato della band Colombiana e ci mostra muscoli e lampi di di furore, spalancando il suo futuro verso atti di gloria: bentornati e grazie di cuore! 

Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

23 Aprile 2023


https://nojuventud.bandcamp.com/album/nudos








My Review: No Juventud - Nudos

No Juventud - Nudos


Simon Gaviria's band returns with four tracks full of that sacredness we know so well: one enters the underworld to stay there, in a suffocating perimeter, an outpost of an eternity where shadows are sepulchral rays of light. Their Post-Punk is a Darkwave tremor now, with electronic elements to make their repertoire broader, more able to lean towards the European Eighties (La Tormenta), and gravitate into the Neo-Gothic nebula (Dolor), while with Nudos something experimental presents itself, though bringing up to our minds in the initial part The Cult and their album Love. The concluding Salir A Jugar is definitely the track that launches the attack on the Colombian band's past and shows us muscles and flashes of fury, opening its future towards acts of glory: welcome back and thank you!


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

23rd April 2023


https://nojuventud.bandcamp.com/album/nudos




La mia Recensione: Callière - Freefall Into Heaven

 Callière - Freefall Into Heaven


Una colata di colori giungono dal bravissimo artista Francese Andrey Rose, che con il suo nuovo album spalanca le proprie capacità su un dirigibile: farà il giro del mondo, sperando di poter atterrare nei cuori di chi sta cercando la dolcezza e la poesia di note istruite a celebrare la vita. Capace di traiettorie che fanno dello Shoegaze lo scheletro di questo mezzo di trasporto e del Dreampop la scia, il dotatissimo musicista sposta l’asse terrestre con le sue trame, battiti lenti e intensi, dove il suono è la chiave di violino della nostra fortuna, immensa. Dieci atterraggi sul pianeta melodico: come un architetto che progetta in uno sgabuzzino, fa volare via tutto il suo traffico emotivo, partendo da un luogo piccolo, che è la sua timidezza e forma di rispetto, per poi trascinare gli ascoltatori nel suo arcobaleno.

Vi si augura di spendere bene il tempo Freefall Into Heaven, sperando che queste canzoni diventino semi dorati nel vostro petto…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

23 Aprile 2023


https://calliere.bandcamp.com/album/freefall-into-heaven




My Review: Callière - Freefall Into Heaven

 Callière - Freefall Into Heaven


A flood of colours comes from the talented French artist Andrey Rose, who with his new album spreads his skills on an airship: he will travel around the world, hoping to land in the hearts of those who are looking for the sweetness and poetry of notes instructed to celebrate life. Capable of trajectories that make Shoegaze the skeleton of this means of transport and Dreampop the wake, the gifted musician shifts the earth's axis with his textures, slow and intense beats, where sound is the violin key to our immense fortune. Ten landings on the melodic planet: like an architect designing in a closet, he makes all his emotional traffic fly away, starting from a small place, which is his shyness and form of respect, and then dragging listeners into his rainbow.

Wishing you well on your time Freefall Into Heaven, hoping that these songs will become golden seeds in your chest...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

23rd April 2023


https://calliere.bandcamp.com/album/freefall-into-heaven






La mia Recensione: Gene - Olympian

 Gene - Olympian 


“Nessuno è inutile in questo mondo se è capace di alleggerire i pesi di un altro uomo.” Charles Dickens 


“Se avessimo una forte visione e percezione di tutta la vita umana quotidiana, sarebbe come sentire l’erba che cresce e il cuore dello scoiattolo che batte, e moriremmo di quest’urlo che esiste dall’altra parte del silenzio.” George Eliot


Una stella fatica a guardarsi: nel cielo non esiste nessuno specchio e l’idea che si ha di sé rimane tale, un vagare senza certezza. Questo accadeva nei primi anni Novanta nella musica Inglese: la capitale europea stava cedendo lo scettro, la Regina era morta da anni…

Arrivò la stupidità del giornalismo inglese che inventò la dicitura Britpop e fu la continuazione di un delirio che creava schieramenti inutili.

E poi Londra.

I Gene.

Emerse un palo della luce dentro il caos di quella città e aveva sin dagli esordi mostrato le rughe della bellezza, dell’intensità dello sguardo, aveva ossigenato l’aria con la poesia di immagini che avevano consentito la nascita di due singoli strepitosi, non inclusi nell’album. Non una meteora, non un inganno, non una metafora, non un affanno, bensì la necessità di una scrittura che ponesse quelle quattro anime distanti dalla confusione dello Star System. 

Matt James (il batterista, il più fantasioso di quegli anni) e Kevin Miles (il bassista, quello con il tocco più delicato) passeggiavano nel tempo con i sogni e le pinte di birra, in attesa, in frenata, senza aver paura di sprecare la prima occasione che sarebbe potuta arrivare. Una sera, a un concerto, Steve Mason, giovane di una bellezza sottile e quasi nascosta, senza la sua amata chitarra, incontrò i due in un locale: l’inizio di un delirio con le rose sul capo trovava una fisicità che di lì a poco avrebbe manifestato un talento enorme. Nacquero gli abbozzi, i tavolozzi, i respiri senza parole, senza immagini. La storia, si sa, aspetta sempre un lampo, in questo caso biondo e timido, e il suo nome era Martin Rossiter, l’angelo della pianura, quella dove i palazzi e i ponti creano immagini potenti. Nacque la band, e nacque Olympian, il primo folle freno, l’anticipo di quello che poi sarebbe stato il secondo album, meglio strutturato e prodotto, senza però il sudore sulla schiena.

Inquadrare le strutture di questa collezione di gocce di sudore è semplice: il pop aveva trovato un dolore giusto, la penna, non miracolata ma vera, per dettagliare lo sconforto e la solitudine cadere insieme alle lancette del Big Ben. Ma c’era tanto da fare, in quanto esisteva un mondo nel circuito Londinese che si opponeva: i Blur e i Suede dettavano legge e si doveva passare da loro per avere il lasciapassare. Ma Steve, il guerriero, il diavolo vestito di marrone chiaro, che aveva tra i denti melodie inarrivabili, cambi ritmo che, con l’immenso intuito di Matt, potevano sublimare l’arte senza tennamenti, aveva deciso di affrontare a muso duro le due band. 

Tutto parte con una canzone nata ascoltando un festival, presentato da John Peel. Da quell’istante la musica, per i quattro ragazzi dalla risata facile, non sarebbe più stata un gioco.

Il vecchio scriba ha visto la genesi di quelle undici luci di candele, e mai avrebbe immaginato che sarebbero entrati degli strumenti e si sarebbero presentati degli arrangiamenti a disarcionare le prime impressioni.

I violini, il cello, la tastiera del vicino di casa di Martin: queste tre situazioni avrebbero sconvolto per sempre i primi pianti di queste tenere e fragili discese di pioggia. Pieni di dubbi, con la malsana convinzione che il mercato li avrebbe respinti, i ragazzi londinesi non cercarono di promuovere l’album più di tanto, vista l’armata britannica che era scesa in campo: troppi i dischi, le storie, le mode, la confusione da dover affrontare per avere la certezza di una anche misera attenzione.

Olympian è un trattato di economia domestica della riflessione, di emisferi in contatto, un calvario educato, con il presente che è indice di tensione e il passato che non riesce a svanire: nessuna fuga possibile, per far così divenire la penna stilografica di Martin in grado di far scendere, liofilizzate per la maggior parte dei testi, storie dove il capriccio di un desiderio non poteva che durare per pochi minuti. Si spiega così la rabbia del vecchio scriba davanti alla stupidità di chi ha sempre paragonato questa band a una di Manchester: non ci vuole poi molto per sentire che ciò che suona all’interno del disco è Londra, solo Londra, il Nord non riesce proprio a entrare. Prendete i ritmi delle chitarre acustiche ed elettriche di Mason: i Jam sono lì. Sorridono, applaudono e possono stare muti: i nipotini hanno la loro forza, la scorza e la volontà per divenire qualcuno senza somigliare a nessuno.

Non vi basta? Ascoltate Matt James: sembra pure lui scrivere le parole, giocare con Martin per far cantare le sue bacchette, anticipare l’ugola col fumo dentro di questo cantante potente, che sfiora le emozioni prendendole a ceffoni sorseggiando del buon Brandy.

Già, l’alcol: le canzoni fanno l’effetto di una ubriacatura in un giorno di nebbia, togliendo i punti di riferimento, spostando i punti cardinali a piacimento, per un insieme che dura meno di un’ora.

Il tempo, questo nemico della stupidità, amico della sensibilità, scombussola la scrittura di Martin: deve giostrarlo, deve batterlo, e cosa fa per raggiungere questo obiettivo? Lo seduce, gli dipinge, nei versi, tratti che lo rendono quasi sereno, con inganni straordinari, riusciti, facendolo cedere. Fu alla fine delle registrazioni di Olympian che Rossiter capì di avere il grande male dell’anima, e quello gli piegò le gambe, ancor prima di iniziare il tour…

Leggere i testi di questa testimonianza, unica, di una dolce ribellione, e di una già matura propensione al cedimento, fa nascere immediatamente la convinzione che questo fascio di tossine non l'avrebbe portato tanto lontano, e così avvenne. I temi, le vicende, le storie vissute dai personaggi di questo disco sono tutti con la voce debole o piena di raucedine, mai limpida: i loro giorni sono storti e contorti, e ogni inizio di giornata è uno schianto. I quattro trovano il sistema di sembrare distanti dall’attualità: non sono attaccati morbosamente agli anni Settanta come i Suede, non sono così dinamici come i Blur, non sono così stupidi come gli Oasis, o frivoli come gli Elastica, bensì più inclini a mediare come i Mancuniani Mansun, dentro territori leggeri dove i riferimenti non lasciano troppo le orme.

Il rock graffia senza necessitare di eccessivi distorsioni, il Northern Soul è più nell’ugola di Martin che negli strumenti, il blues è quello americano, obliquo, con i colori di una sei corde che non esita mai, e che conosce la storia ma sa inciderne una nuova. Si danza con il taccuino degli appunti, le lenti del cantante diventano le nostre, scompare la moda di Carnaby Street e si entra nei Docks con gli anfibi, di notte, confusi e infelici: non è il sole che può servire a una città che,  sin dagli anni  Sessanta, ha inventato luci false…

Ecco la similitudine con gli Small Faces: l’eleganza dell’opposizione, sempre. Dal punto di vista climatico, si hanno oscillazioni d’umore, non si può negare l’evidente bisogno di mostrare e nascondere la realtà, partendo dal linguaggio, sia musicale che letterario. Ci si sposta, quindi, più verso l’inizio del secolo scorso che non negli ultimi tre decenni. Viene spiegato in questo modo la necessità di Mason di spaziare nel blues e nel country, non quello degli anni Novanta di sicuro. Il basso spesso decide la direzione, illumina la voce, mentre gli accordi sono sempre in attesa di morire, sorridenti…

C’è un episodio, in Olympian, che da solo potrebbe portarvi lontano dall’ascolto che, onestamente, è quello che vorrebbe il vecchio scriba: questo lavoro deve morire prima o poi nel suo petto o in quello di pochi altri.

L’episodio si intitola To The City, la trasgressiva, la maleducata, la meravigliosa forma di capriccio che porta l’album sulle onde del Mississippi: non più armonia, ricerca di colori tenui, ma una aggressione, iniziale, nei confronti di ogni gentilezza. Ma, se ascoltate bene, noterete come poi i Gene siano capaci di far arrivare atmosfere Francesi, i Byrds bussano, i Rolling Stones pure, sino alla veemenza di Steve che porta la canzone nel suo bacino pieno di fili elettrici scoperti.

Olympian non esiste, è un piano onirico nel bel mezzo degli anni Novanta, un’oasi nel tempo degli Oasis, una incanto senza medaglie, ma con quella unicità che fa sì che a ogni ascolto si muoia un pò di più…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

23 Aprile 2023


https://open.spotify.com/album/63pLihcr6nXOYNy0mzUWdV?si=9nlAjmv8Tk2yFOqpAJhUQA






La mia Recensione: Debris Discs - Losing the Matriarch

Debris Discs - Losing the Matriarch 


Si prepari un monumento a James Eary: basterebbe ciò che ha fatto con i My Sides of the Mountain e con i Coves & Caves per tributargli il merito della sua classe. Lui continua imperterrito e con la nuova formula Debris Discs ha trovato il modo di deliziarci con una canzone che fa parte dell’imminente album, costruito su lettere della seconda guerra mondiale. Ma ciò che si ascolta è una musica effervescente, leggera, voluminosamente sognante, allegra e dotata davvero di un notevole buongusto. È un Electro-Pop che accoglie tra le sue braccia un Dreampop sottile ma efficace, con un organo che ci fa compiere un tuffo nella gloriosa attitudine degli anni Sessanta. Abbiamo davvero bisogno di connetterci ai movimenti delle nuvole in cerca di un bacio…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

23 Aprile 2023


https://debrisdiscs.bandcamp.com/album/losing-the-matriarch






My Review: Mogwai - The Bad Fire

  Mogwai - The Bad Fire A desert finds its source in the sonic bridge of a time spent leaving traces of vibrations in the hope of a landing ...