sabato 3 settembre 2022

My Review: Hey Calamity - On The Run

 My Review:


Hey Calamity - On The Run


The bad news is that time flies. The good news is that you're the pilot.
(Michael Althsuler)


Thousands years of life with an invisible clock secretly running inside our history: with an extreme race, we have always tried to defeat it, to make it at least stop for a while. In every human being, the dream is that and the surrender is the intention itself.

From the land that seems to hold this dream most audaciously (generous Australia) comes a man who, with guitars and electric words, tries to keep the sunlight burning in the midst of darkness, and to do so he writes a song which is like a summer storm, a melodic lightning bolt that surrounds us.

One can plummet across time as well as across the sky, having a powerful yet gentle sound wave that guides us through the passing of those hands, with the events experienced, in an attempt to bring joy into the heart, giving the mind oxygen and dream bubbles.

Dave Thomas, with his creature Hey Calamity, returns just a few days after the release of Bleeding Heart, with the ability to give Shoegaze its historical propensity for strength but managing, with sublime and angelic brushstrokes, to bring us into the confines of Dreampop, with his bass work that seems to come out of mid-80s British Post-Punk.

It is songs like this that give us the breath, the strength, to be able to run through the territories of human affairs with the feeling that the warmth of the sun can be our greatest benefit.

And so the guitars become viral, powerful, huge exercises in which the Australian singer's velvety voice flirts with passion and firmness within lyrics that seem to leave a bitter taste in the mouth, but Dave acts with honesty in the course of his observation.

On The Run takes us back to the 90s, with the psychedelic approach of Catherine Wheel and the stubbornness of Chapterhouse, in the magmatic and sensual forest of vapours that seek a sponge to be absorbed: please be generous in your listening, so as to grasp its freshness and vitality.

In conclusion: the risk one takes with On The Run is to better understand reality by waking up dreams, in order to sedate them, because in the end Dave teaches us that life must be lived and with a song like this we can find motivation and strength, in a frenzy of beauty that will give us smiles to spend…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

4th September 2022


https://heycalamity.bandcamp.com/track/on-the-run-2


https://open.spotify.com/track/6dTROXoZpILOIEUAx8SFuG?si=WFHCrPHzTOue45WRQs4Lnw







venerdì 2 settembre 2022

My Review: The Dark Shadows - Sour Candy

 My Review:


The Dark Shadows - Sour Candy


Sydney is a cloud full of colour, the attraction for souls trying to fly through everyday life with the propensity to smile, in the middle of the turns of fatigued existences but willing to travel in the sun's rays.

Among those who best express all this are certainly three girls with huge hearts and hands capable of conveying positivity even when the topics they deal with have their breath inside disappointment, doubts, requests (rightly kept veiled) for clarity.

The Dark Shadows are back, one song and everything becomes lamplight, ecstasy, amazement in the play of notes full of wind. 

The fairy Brigitte Handley writes words of shattered glass, about a broken relationship, and to do so she travels in depth to extrapolate those elements of relations that can crack the heart, the skin, the meaning of existence.

But, as with many Smiths songs, the supporting music is joyful, full of energy, able to bring us the attitudes typical of the new continent so that we can face it all with great strength.

Ned Wu (drums), Carly Chalker (bass player) and Brigitte Handley (voice, guitar), are back with an intense, melodic, fresh track, a trip with the surfboard over the waves of the Australian sky, to establish a connection between different but well-blended musical genres, in which their propensity to give rhythm and melody their embrace to the 60s, the undeniable source of inspiration for this truly explosive trio, stands out. The result is a vortex rich in easily digestible juices, addictive and with the power to push us to repeated listenings, an adventure inside their coffers that makes us dance, not dreamy for sure, but aware that from a grey-tinged story one can find an incentive to change direction.

With an impetuous start, followed by a pause that shows their sublime qualities, the track arrives at the true beginning of the verse after 44 seconds, and we quickly find ourselves inside the conviction that we needed music like this, passionate and true, stratospheric in its embrace, perfectly produced, without any tension drop.

Sour Candy teaches the meaning of legitimate communication towards those who cause pain, and the answer is a joyful song: hats off!👏❤️🇦🇺


Out on September 6 2022


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

3 September 2022




La mia Recensione: The Dark Shadows - Sour Candy

 La mia Recensione:


The Dark Shadows - Sour Candy


Sydney è una nuvola piena di colori, l’attrazione per le anime che cercano di volare dentro la quotidianità con la propensione al sorriso, tra le pieghe di esistenze affaticate ma vogliose di viaggiare tra i raggi del sole.

Tra chi meglio riesce a esprimere tutto questo ci sono sicuramente tre ragazze dal cuore enorme e dalle mani capaci di veicolare positività anche quando gli argomenti trattati hanno il respiro dentro la delusione, i dubbi, le richieste (giustamente tenute velate) di chiarezza.

The Dark Shadows tornano a farsi vive, una canzone e tutto si fa lampada, estasi, stupore nel gioco di note piene di vento. 

La fata Brigitte Handley scrive parole di vetro rotto, su una relazione finita, e per farlo viaggia in profondità per estrapolare quegli elementi dei rapporti che possono far crepare il cuore, la pelle, il senso dell’esistenza.

Ma, come per molti brani degli Smiths, la musica a supporto è gioiosa, carica di energia, in grado di portarci le attitudini del nuovo continente per poter affrontare il tutto con grande forza.

Ned Wu (drums), Carly Chalker (bass player) e Brigitte Handley (voice, guitar), sono tornate con un brano intenso, melodico, fresco, un viaggio con la tavola da surf sulle onde del cielo australiano, per stabilire un contatto tra generi musicali diversi ma ben amalgamati, nel quale spicca la loro propensione a dare al ritmo e alla melodia il loro abbraccio agli anni 60, fonte di ispirazione innegabile di questo terzetto davvero esplosivo. Il risultato è un vortice ricco di succhi, facilmente digeribili, che crea dipendenza per ascolti che si sommano a ripetizione, un’avventura dentro i loro forzieri che ci rende danzanti, non sognanti di certo, ma consapevoli che da una storia a tinte grigie si possa trovare lo stimolo per virare.

Con un impetuoso attacco, seguito da una sospensione che mette in mostra le loro eccelse qualità, la canzone arriva al vero inizio della strofa dopo 44 secondi, e velocemente ci si ritrova dentro la convinzione che avevamo bisogno di musica come questa, appassionata e verace, stratosferica nel suo abbraccio, prodotta in modo perfetto, senza cali di tensione.

Sour Candy insegna il senso della legittima comunicazione nei confronti di chi causa dolore e la risposta è un brano gioioso: hats off👏❤️🇦🇺


In uscita il 6 Settembre 2022


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

3 Settembre 2022






mercoledì 31 agosto 2022

La mia Recensione: Death In June - Nada!

 Death in June - Nada!


C’erano un tempo, che sembra lontanissimo, piccole botteghe dove l’aspetto del lavoro artigianale, oltre a connettere caratteristiche romantiche e uniche, constava di passione e specificità che non facevano parte della metodologia industriale. 

In una di queste un numero ristretto di esseri umani dall’impeto ribelle e dissacratorio escogitavano teorie esistenziali e suoni molteplici, legati comunque a sonorità post-punk. Il loro breve percorso bastò per incendiare menti esigenti e affamate di oblique propensioni contenenti pillole di cattiverie camuffate ad arte. Un progetto che rapidamente prese una direzione diversa, essendosi affidato alla geniale creatività di sole due anime: Douglas Pearce e Patrick Leagas, due fiaccole di creatività dal DNA davvero distante, ma capaci con il loro effettivo secondo album di tracciare semi che da una parte germoglieranno nella creatura del solitario Douglas e dall’altra vedranno Patrick ideare e formare i Sixth Comm.

Ecco allora una freschezza contagiosa che si dirama per volontà, possibilità, capacità di creare una piramide sghemba ma assolutamente in grado di suscitare furori passionali di gemme ancora splendenti in un oggi dove la solitudine, la disperazione, la distruzione rappresentano maggiormente il segno di una attualità soffocante.


Il lavoro è un insieme di masse nichiliste moventi, un arcipelago di follie tenute ferme con lo scotch e l’intenzione di fissare poliedriche onde di depressione dalla matrice nostalgica. 


Le personalità dei due sembrano creare un lavoro diviso, dove ognuno dipinge la propria propensione con caratteristiche distanti ma che possono amalgamarsi magicamente all’ascolto, come un unicum siderale e potente. Lacerazioni continue che fanno rimbalzare le emotività distribuendole nei vari meandri Darkwave e Industrial con l’avanguardia che riassume il tutto mediante la propria volontà di scatenare gli animi in un incendio emotivo impressionante.


Album davvero seminale, capace di espandere flussi di magnetica propensione alla miscela di icone, di movimenti dove i paradossi vengono anestetizzati, e nel quale tutto converge verso un amalgama che compatta la fine degli anni ’70 alla prima parte degli ’80, in un collage dove progettualità, ispirazione e dinamismo sonoro sono stati capaci di far conoscere una modalità diversa di fare musica. Grazie anche alla supervisione di David Tibet, questo smeraldo dal color tenebra riesce a vivere di trasformazioni continue, un crocevia dove trova posto la techno pop dance assemblata con scintille minime di post-punk, con l’affacciarsi di quel neo-folk che dall’album successivo sarà sempre più presente. I testi vivono di picchi assoluti ma anche di qualche banalità: quest’ultime spariranno definitivamente dal prossimo lavoro. La matrice industrial mostra timidamente le sue pulsioni e tutto ciò è dovuto a Patrick, l’unico davvero desideroso di inserirlo in questo episodio che è comunque capace di un range stilistico impressionante. 


I due però sono stati in grado di essere manovratori calibrati di magie e tragedie, di cavalcate apocalittiche, di saper affascinare per questo calvario musicale nel tempo della dispersione dei valori umani, contribuendo a suggerire riflessioni e studi che, partendo dalla storia fatta di eccessi, ha trovato equilibrio in claustrofobici dettagli.

Con la loro musica si è inscatolati tra tripudi emotivi e pensieri che stremano, con la fatica che diventa una preziosa alleata per tenere allenate le tensioni: con Nada! siamo nel ventaglio che diventa il dettaglio dei loro forzieri, in una palestra dove allenare la nostra flessibilità per poter accettare l’ampiezza di proposte intense e folgoranti.

Tutto sembra estetismo, gloriosa e manifesta intenzione di far echeggiare la potenza del fallimento umano, con la violenza e l’operazione a farci sentire in una cella nel giardino delle torture future. Come se l’ossigeno non fosse l’elemento più indispensabile delle nostre esistenze, i due sono stati capaci di buttarci dentro tonnellate di vapori acquei, annebbiando la nostra positività e propensione alla serenità. Dieci sono i riflessi di questo diamante ondivago e sfuggente, che ci fanno galleggiare tra l’oceano e la tenebra invocata con sollecitudine e potenza.


Sono pazzie cucite sulla pelle queste canzoni, una lampada a petrolio di infinita bellezza, con una forza tellurica notevole atta a sconquassare sistemi di appassita qualità del vivere, in una frustata di effervescente propensione all’urto sensoriale: i due sono stati intensi e pieni di carburanti  più che mai tossici, per poter far impallidire le nostre stanche inquietudini.

Nada! è la nuda e cruda allergia a ciò che è noto, risaputo e stanco, un calcio alle caviglie che sa rendere tiepide le nostre doloranti lamentele.

Se la disgregazione può essere la terra di una rinascita compiuta ed efficace, ecco che questo lavoro diventa il viatico di speranze di nero vestite per allarmare la nostra bocca con gusti incatramati e acidi, ma dopo la digestione di questi diamanti un senso di eterna purezza saprà rendere più sereno il nostro vagare. 

Il piano visionario del progetto esercita dipendenza, in una cascata di elementi che sembrano legati ad una disciplina dalla gestazione complessa ma redditizia, facendo tremare il cuore, con stati di agitazione appiccicati ai gangli della base come i genitori di una malattia degenerativa che conduce al sorriso macabro e succulento. Si possono trarre deduzioni e conclusioni, ma queste composizioni sanno come indurci all’insicurezza e a ogni ascolto tutto sembra franare, mentre una sensazione di sudditanza psicologica ci scarta e strappa la mente per condurci dentro una dipendenza carnale e non salvifica: sono peccati mortali a cui noi possiamo solo arrenderci con illuminata convinzione.

Stazionare in questa palude dalle scintille atomiche ci riporta alla sensazione di una guerra che drappeggia i sensi di antichi sogni quasi malefici e dissacratori, nel contesto di un freddo interiore che brucia i pensieri: Nada! scavalca la comprensione e come una deflagrazione interrotta ci riduce a brandelli sparsi nel potere magico di una follia oncologica.

Sono mari di introspezione visiva e letterale quelli che sgorgano dalla penna di Douglas: la bassezza e il declino del mondo qui hanno ancora una maschera, che verrà tolta e sostituita nel giro di poco tempo. Intanto apprendiamo come la musica, soprattutto dove è Patrick al timone, abbia molto spazio e questo conduce il combo a trovare bilanciamenti che, quando è Douglas a scrivere, propendono verso parole più copiose e pregne di luce soffocante e tetra. Non siamo a livelli di dualità o di una separazione forzata in casa, bensì nel territorio dove intelligenze, propensioni e sensibilità diverse sono il perimetro in cui estrarre dalla melma il materiale che dai due, conviene specificarlo, è bene amalgamato. Si è comunque all’interno di specchi che invece di riflettere le altrui capacità gettano ombre che si amano in ogni caso, senza difficoltà. Spruzzate di psichedelia dal mantello affettato di graffi e grumi sanguigni conferiscono al progetto un’aura quasi biblica, con leggero rimando al periodo più nebuloso di quella corrente musicale, sponda Londinese.

Concludendo: un esempio di come certe unicità abbiano solo apparentemente vita breve, possedendo invece, tra le pieghe del mistero, tutta la motivazione e la capacità di trasferirsi nel futuro per vivere la maestosità dell’eternità.



Song by Song 


The Honour of Silence


Semi di neo-folk creano l’avamposto e il cielo diventa una lampada scossa dai tamburi, gli arrangiamenti da film western trovano residenza in una tromba che sublima il senso apocalittico di una vicenda che vuole onorare il silenzio. Le fondamenta del futuro di Douglas Pierce sono rese evidenti in questo brano, che suona tra il sepolcro e la volta celeste.



The Calling (Mk II)


Patrick canta sul brano dalla più evidente propensione elettronica dell’album, in modalità Evocazione accesa: qualcosa di sacro si impasta con le sonorità provenienti dalla Germania per un risultato di cupa bellezza, su innesti industrial che contemplano una chitarra acustica, mentre la danza ci rende ingobbiti. 



Leper Lord


Douglas diviene un arciere medievale, capace di melodie vocali vibranti, baritonali con propensione a salire verso la volta celeste. Sono gli angeli che lo invocano in questo breve brano che spalanca la notte per udire le creature piangere.



Rain of Despair


È una convulsa e quasi techno danza a farci vibrare sulle rive ipnotiche del canto, cantilena che causa dipendenza e trasporto, per farci notare come il loop di Fields sia stato scarnificato all’insegna di una magnetica espressione industrial.



Foretold 


In una stanza, dove un’introduzione quasi in odore di funzione religiosa dipinge le pareti di cupezza, echi di Kraftwerk provano l’approccio ma poi la via percorsa è quella della fuga e dello spostamento verso un cabaret dalle unghie nere, con la voce di Douglas che sembra invocare intensamente divinità dai volti osceni. Brano dall’inclinazione ebm rallentata, fenomenale ed evocativa.



Behind the Rose (Fields of Rape)


Funghi allucinogeni approcciano il folk contaminando gli umori e le movenze: altro brano simbolo dell’enfasi del nuovo sacerdote delle terre perdute, dove il tempo è un vuoto in cui perdere ogni coscienza. Gli arrangiamenti sono l’esempio di accurate perlustrazioni verso un’estetica antica, con le voci tenute leggermente a bagno nell’eco e nel riverbero. 



She Said Destroy


Fulmini, ancora, per entrare nell’oscurità con una melodia scarna ma efficace, dove ogni ritrosia collassa davanti a questo nuovo diamante pieno di decadenza e furore ammaestrato, per condurci al tempio dove si contemplano fiori essiccati e la bellezza dell’assenza della luce. E anche su questo brano migliaia di nuovi discepoli metteranno le mani per estrapolarne i segreti.



Carousel


Ecco il tappeto del mistero che viaggia tra dosi generose di groove elettronici dal ghigno ipnotico e la polvere settecentesca tirata fuori da una nuvola addormentata, appoggiata alla chitarra e a trombe evocative. Il cantato sembra essere uscito da un Marc Almond innamorato e incantato dalla sequenza di bugie e peccati.



C’est Un Rêve


Stridori, graffi e scintille di lacrime, unite al vociare caotico di ansie abbondanti sono il preludio di questo cuore nero evocato e trovato: la claustrofobica danza che ne consegue è un bouquet di follie severe e ordinate per dare in compattezza la sensazione di una doverosa prigionia sensoriale.



Crush My Love


Si conclude l’ascolto del diamante a dieci facce con l’incantevole Crush My Love, paranoica esibizione di confusione dei raggi lunari in cerca del sonno definitivo. Tra la Francia ipnotizzata degli anni ’60 ai vapori dei Can, con spruzzate psichedeliche ammalianti, la canzone rende evidente l’ampiezza dell’antenna del pianeta Death in June che trasmette frequenze colme di suggestioni e brividi congelati.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

1 Settembre 2022


https://www.youtube.com/watch?v=RwtE_PJB4rI&t=18s





My Review: Death In June - Nada!

 My Review:


Death in June - Nada!


Once upon a time, which seems so far away, there were small workshops where the craftsmanship aspect, besides connecting romantic and unique features, consisted of passion and specificity that were not part of the industrial methodology. 

In one of these, a small number of human beings with a rebellious and desecrating enthusiasm came up with existential theories and multiple sounds, linked in any case to post-punk sounds. Their short journey was enough to set on fire demanding minds hungry for oblique propensities containing pills of artfully disguised wickedness. A project that quickly took a different direction, having been entrusted to the brilliant creativity of only two souls: Douglas Pearce and Patrick Leagas, two torches of creativity with truly distant DNA, but capable with their actual second album of sowing seeds that on the one hand will germinate becoming the creature of the solitary Douglas and on the other will see Patrick conceive and form Sixth Comm.

Here there is a contagious freshness that branches off in willpower, possibility and the ability to create a pyramid that is outlandish but absolutely capable of arousing a passionate fury of still-shining gems in a today where loneliness, despair and destruction are more the sign of a suffocating actuality.


This work is a collection of moving nihilistic masses, a collection of follies held in place with tape and the intention to fix polyhedral waves of depression with a nostalgic matrix. 


The personalities of the two guys seems to create a divided work, where each one paints their own propensity with distant characteristics that can magically amalgamate through listening, like a sidereal and powerful unicum. Continuous lacerations that make emotions bounce, distributing them in the various Darkwave and Industrial meanders, with the avant-garde summing it all up through its own will to inflame minds in an impressive emotional fire.


A truly seminal album, capable of expanding streams of magnetic propensity for mixing icons, movements where paradoxes are anaesthetised, and in which everything converges towards an amalgam that compacts the end of the 70s to the first part of the 80s, in a collage where planning, inspiration and sonic dynamism were able to introduce a different way of making music. Thanks in part to David Tibet's supervision, this dark-coloured emerald manages to live through continuous transformations, a melting pot where techno pop dance assembled with minimal sparks of post-punk is placed, with the emergence of that neo-folk that from the following record will be increasingly present. The lyrics have absolute peaks but also some banality: the latter will definitively disappear from the next work. The industrial matrix timidly shows its impulses and this is all due to Patrick, the only one really eager to include it in this episode, which is nevertheless capable of an impressive stylistic range. 

The two, however, have been able to be calibrated operators of magic and tragedy, of apocalyptic rides, of knowing how to fascinate through this musical ordeal in the time of the dispersion of human values, contributing to suggest reflections and studies that, starting from history made of excesses, have found balance in claustrophobic details.

With their music, one is boxed in amongst emotional jubilations and thoughts capable of exhausting, with fatigue becoming a precious ally to keep tensions trained: with Nada! we are in the fan that becomes the detail of their coffers, in a gymnasium where we train our flexibility to be able to accept the abundance of intense and dazzling proposals.

Everything seems like aestheticism, a glorious and manifest intention to echo the power of human failure, with violence and operation making us feel we are in a cell in the garden of future torture. As if oxygen was not the most indispensable element of our existences, the two were able to throw us inside tons of watery vapours, clouding our positivity and propensity for serenity. Ten are the reflections of this wandering and elusive diamond, floating us through the ocean and the darkness invoked with solicitude and power.


These song are madness sewn on the skin, an oil lamp of infinite beauty, with a remarkable telluric force capable of disrupting systems of withered quality of living, in a whiplash of effervescent sensory impact: the two were intense and full of more than ever toxic fuels to make our tired anxieties pale.

Nada! is the naked and raw allergy to what is known and tired, a kick in the ankles that is able to make our aching complaints tepid.

If disintegration can be the land of an accomplished and effective rebirth, then this work becomes the viaticum of black-clad hopes to alarm our mouths with tarry and sour tastes, but after digesting these diamonds a sense of eternal purity will know how to make our wandering more serene. 

The visionary plan of the project is addictive, in a cascade of elements that seem to be linked to a discipline with a complex but profitable gestation, making the heart tremble, with states of agitation clinging to the basal ganglia like the parents of a degenerative disease that leads to a macabre and succulent smile. Deductions and conclusions can be drawn, but these compositions are capable of inducing us to insecurity, and with each listen everything seems to fall apart, as a feeling of psychological subservience tears our minds to lead us into a carnal and unsalvageable addiction: these are mortal sins to which we can only surrender with enlightened conviction.

Standing in this swamp of atomic sparks brings us back to the sensation of a war that drapes the senses in ancient, almost malefic and desecrating dreams, in the context of an inner cold that burns the thoughts: Nada! bypasses comprehension and like an interrupted deflagration reduces us to scattered shreds in the magical power of an oncological madness.

The ones that flow from Douglas’s pen are seas of visual and literal introspection: the baseness and decline of the world here still have a mask, which will be removed and replaced within a short time. Meanwhile, we learn how music, especially where Patrick is at the helm, has a lot of space and this leads the combo to find balances that, when Douglas is writing, are leaning towards more copious words full of suffocating, gloomy light. We are not at the level of duality or a forced separation at home, but rather in the territory where different intelligences, propensities and sensibilities are the perimeter in which to extract from the sludge the material that by the two guys, it should be specified, is well amalgamated. One finds oneself, however, inside mirrors that instead of reflecting each other's abilities cast shadows that one loves in any case, without difficulty. Sprinklings of psychedelia with a cloak full of scratches and bloody lumps give the project an almost biblical aura, with a slight reference to the most nebulous period of that musical current, the London bank.

In conclusion: an example of how certain uniquenesses are only apparently short-lived, possessing instead, between the folds of mystery, all the motivation and capacity to move into the future in order to experience the majesty of eternity.



Song by Song 


The Honour of Silence


Seeds of neo-folk create the outpost and the sky becomes a lamp shaken by drums, the western-style movie arrangements find residence in a trumpet that sublimates the apocalyptic sense of a story that wants to honour silence. The foundations of Douglas Pierce's future are made evident in this track, which sounds between the sepulchre and the vault of heaven.



The Calling (Mk II)


Patrick sings on the most electronically inclined track of the album, with evocation mode switched on: something sacred is mixed with sounds from Germany for a result of gloomy beauty, over industrial implants that contemplate an acoustic guitar, while the dance curves our backs. 



Leper Lord


Douglas becomes a medieval archer, capable of vibrant, baritone vocal melodies with a propensity to soar towards the celestial vault. The angels invoke him in this short track which opens up the night to hear creatures weep.



Rain of Despair


It is a convulsive, almost techno dance that makes us vibrate on the hypnotic banks of the song, an addictive, transporting chant, to push us to notice how Fields' loop has been reduced to the essential in the name of a magnetic industrial expression.



Foretold 


In a room, where an introduction almost smelling of a religious service paints the walls with gloom, echoes of Kraftwerk try the approach, but then the path taken is the one of escape and displacement towards a black-nailed cabaret, with Douglas's voice seeming to invoke intensely obscene-faced gods. A track with a slowed-down ebm inclination, phenomenal and evocative.



Behind the Rose (Fields of Rape)


Hallucinogenic mushrooms approach folk contaminating moods and movements: another track symbolising the emphasis of the new priest of the lost lands, where time is a void in which all consciousness is lost. The arrangements are an example of accurate explorations towards an ancient aesthetic, with the voices kept lightly bathed in echo and reverberation. 



She Said Destroy


Lightning, again, to enter the darkness with a thin but effective melody, where all reluctance collapses before this new diamond full of decadence and trained fury, to lead us to the temple where dried flowers and the beauty of the absence of light are contemplated. And on this track, too, thousands of new disciples will get their hands to extract its secrets.



Carousel


Here is the carpet of mystery that travels through generous doses of electronic grooves with a hypnotic grin and eighteenth-century dust pulled out of a sleeping cloud, backed by the guitar and evocative trumpets. Vocals seem to have come out of a Marc Almond in love and enchanted by the sequence of lies and sins.



C'est Un Rêve


Shrieks, scratches and sparks of tears, combined with the chaotic clamour of abundant anxieties are the prelude to this black heart evoked and found: the claustrophobic dance that follows is a bouquet of a severe and ordered madness to convey the feeling of a dutiful sensory imprisonment.



Crush My Love


We conclude our listening of this ten-sided diamond with the enchanting Crush My Love, a paranoid display of moonbeam confusion in search of the ultimate sleep. Between the hypnotised France of the 60s to the vapours of Can, with charming psychedelic sprinklings, the song makes clear the amplitude of the antenna of Planet Death in June, which transmits frequencies full of suggestions and frozen shivers.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

1st September 2022


https://www.youtube.com/watch?v=RwtE_PJB4rI&t=18s




domenica 28 agosto 2022

La mia Recensione: Atmos Bloom - Flora



Londra, la capitale di effervescenze e fluorescenze, mette al mondo creature per poi vederle spesso prendere la via del trasferimento: non sempre può trattenere anime desiderose di curiosità verso situazioni diverse e così, come una trama che sa di fuga per la vittoria, alcune di loro migrano per trovare se stesse, sprigionando nei nuovi luoghi il talento e la serenità.

È accaduto anche a Tilda Gratton e a Curtis Paterson, coppia nella vita quotidiana e in quella artistica, che si sono trasferiti nella città musicale inglese per eccellenza: Manchester.

E di questo luogo magico hanno assorbito molte cose: dall’entusiasmo, allo studio, all’approccio tecnico preciso, alla libertà di sperimentazione, per concludere nella gioia di canzoni che concedono l’espressione del proprio talento conscio che la consapevolezza di poter crescere ancora supera la qualità di un già ottimo risultato. Un album di esordio notevole che, nell’intenzione del duo, non voleva impegnare troppo l’ascoltatore sotto l’aspetto del minutaggio: sette inchini sonori per poco più di ventisette minuti, ma la qualità dei brani scritti non sminuisce quello che per molti potrebbe essere considerato un mini Lp.

Attivi da due anni, sono riusciti a trasformare la difficoltà del lockdown in una possibile ondata creativa: dove c’è costrizione possono esistere elementi di bellezza, senso e validità che permettono attraverso la delicatezza del loro approccio di generare petali morbidi e intense atmosfere oniriche che stimolano sorrisi, danze e gioie intense. 

Nel loro mondo le fate e gli gnomi abitano il tempo dentro melodie colme di sensualità e attività ludiche come volo di canzoni che miscelano coscienza e abilità, donando all’ascolto l’intima convinzione che i due ragazzi sappiano scrivere gioielli di luce.

Chitarre e tastiere che odorano di poesia e freschezza, unite al cantato che cattura deliziosamente, sono i principali elementi che danno a Flora (magnifico titolo che ben spiega cosa si muove all’interno di questo album), tutta la libertà per poter incantare l’ascolto. Che velocemente ci consegna disegni come schizzi di azzurro nel cielo dei nostri respiri, portandoci con generosa capacità, nel circuito della memoria, dentro le trame che furono un tempo approcciate dai Mazzy Star, dai The Durutti Column, sniffando lentamente alcuni edifici sonori dei Cocteau Twins, e buttandoci, con incanto, a osservare alcune delle magie dei DIIV. Ma non troverete plagi bensì ispirazioni, furti legalizzati che conducono alla conoscenza di se stessi. Partiti da lì, i due hanno costruito la loro identità per poter inserire elementi propri che alla fine sono quelli che ci fanno affermare di aver trovato qualcosa di nuovo e di estremamente valido.

La delicatezza e la giovinezza sembrano dimostrare che esiste ancora la possibilità di sentirsi contaminati, di creare fasci di ammirazione notevoli e di trovare nell’ascolto amici con cui vivere il tempo liberandosi pienamente dalle molte negatività dell’esistenza: Flora è un regalo prezioso, un fiume pulito, un volo nell’aria pura, una coccola diurna per arrivare alla notte leggeri e pieni di entusiasmo.

Dal punto di vista dei generi musicali ci troviamo di fronte al dosaggio perfettamente equilibrato tra dreampop e Shoegaze, il tweet pop e minimi accenni a un inconscio e minimalista post-punk. Si respira la convinzione che il lavoro di creazione sia perfettamente equilibrato e che ognuno dei due abbia luoghi di competenza che ispirano l’altro per far crescere e perfezionare le tracce musicali, portandole a fissarsi per sempre dentro la bellezza che incide così tanto per farle divenire capaci di resistere nel tempo: ameremo questo debutto anche tra molto tempo.

Con convinzione estrema affermo che finalmente si ascolta un album che disinfetta, pulisce e lascia brillante il macrocosmo delle nostre esistenze, restituendo a noi il diritto di vedere il presente e il futuro come luogo di accesso alla serenità.

E ci si sente amati, rispettati, liberati da musiche che troppe volte sono colme di dolore e tremore: Tilda e Curtis sono angeli che come chirurghi sanno estromettere la negatività per condurci a sentirci leggeri e votati all’ottimismo, come missionari che sanno cos’è il vero amore, per dare agli altri la possibilità di vedere l’esistenza come un camminamento equilibrato e seducente.

Che sia allora benvenuto il momento nel quale si entra in questi sette petali per poter annusare meglio flagranze intense e morbide…



Song by Song 



When We Met


L’album inizia con il desiderio di un ritorno al passato, alla magica dimostrazione del valore di un incontro. Tutto questo viene rappresentato con un’atmosfera delicata e lucente, tra chitarre e tastiere che si alternano e trovano modo di creare un grande gemellaggio. Ed è un desiderio che entra nella eterea dimensione di un sogno che danza dentro le pennellate sonore di Curtis e la voce da fata dell’800 di Tilda, per stabilire sin da subito l’effervescente propensione verso tappeti sonori ricoperti di petali. Vini Really e Robert Smith stringono la mano, compiaciuti, a quelli che potrebbero essere nipoti baciati da un generoso talento.



Daisy


C’erano volta i The Sundays, macchina da guerra di sogni fluenti e accattivanti. In Daisy il duo Mancuniano prende il lato positivo del Pop, iniettando alcune di quelle cellule della band di Bristol dentro il proprio scrigno fatto di trame vocali piene di ossigeno e chitarre che fluttuano dalla grigia Manchester all’azzurro cielo degli incanti più belli. Trascinante, gioiosa, la canzone mostra come si possa architettare la bellezza e depositarla dentro le note.



Something Other Than You


Già il titolo incuriosisce e dice molto: è una partenza che fa ben sperare. Infatti: qui troviamo la poesia degli Slowdive unita alla capacità dei due ragazzi di oscillare tra gli anni 90 e i giorni nostri, per permettere alle melodie di trovare il baricentro dove depositare incanto e poesia. Ed è il lato morbido dello Shoegaze che crea fragori delicati, petali di rose e batuffoli di cotone che si abbracciano stupendamente. Tutta la loro potenzialità trova modo di essere reale nel brano più suggestivo dell'album, qualcosa di speciale che è meglio non definire, perché sarebbe come mettere le catene ai sogni…



Picnic In The Rain


Curtis e Tilda costruiscono un castello colorato nel cielo, tra i palazzi vittoriani di Manchester e i suoi edifici moderni, con la capacità di fissare con precisione vortici di sinuosa bellezza dando modo al ritmo di trascinarci in una danza dove siamo bendati ma liberi di sognare. Ci ritroviamo dentro i percorsi di chitarre votate all’incanto e al dreampop che diventa il Maestro di sorrisi come diamanti destinati all’eternità. Il basso, con matrice post-punk, dà lo slancio a chitarre luminescenti e la voce sembra tratteggiare nelle nuvole disegni di una bimba che trova la propria fuga nel cielo.



Time


Il ritmo qui rallenta, la chitarra crea un loop sensazionale, il basso è il suo custode per un groove magico e sensuale e la voce una Dèa che cammina nel tempo per mostrare la sua indiscutibile inclinazione a rendere eterna la dolcezza. 

Come una stella che vagabonda galleggia nel blu così fa questa piuma: i due sono maghi che conferiscono alle note il ruolo di essere incanti inevitabili.



Almost Natural


Tutta la stratosfera scende su Manchester per sussurrare ai due di respirarne l’intensità: accade che la voce tenuta saggiamente più lontana si possa allineare perfettamente con le note che sembrano arrivare dai delicati polpastrelli di Vini Reilly, e si notano accenni alla valanga di suggestioni della Sarah Records, su tutti i Blueboy. Della band di Reading si ascolta la loro propensione ad allineare al basso corpulento chitarre attorcigliate ma leggere. I due tuttavia trovano modo di essere originali ed è affidata allo splendido cantato di Tilda il ruolo e la capacità di mostrare che la band non è affatto soggiogata dal potere del passato di quelle sue realtà. Si sogna per fermare gli incubi con questa splendida creatura.



Morning Sun


Ed è in clamorosa attitudine allo stupore che la band Mancuniana decide di terminare l’album di esordio: Morning Sun compatta il basso e la chitarra dentro un suono saldo e leggero al contempo, con il cantato che sembra sussurrare la necessità di un controcanto che si rivela magico ed essenziale. Le chitarre sembrano un rapimento continuo e si ha la netta sensazione che questo sia stato un brano studiato, ma che ha trovato il suo spazio gravitazionale per essere un abbraccio, un congedo temporaneo, perché non ho dubbi che sentiremo altre gemme da questa coppia artistica baciata da abilità e sedicenti propensioni nel fissare sulle note tutta la loro dolcezza…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

28 Agosto 2022


https://open.spotify.com/album/5MOsdLQs3Rx5ed7cnrH5Ku?si=G3kKk4oOR0CYQu4EUlY_qw


https://atmosbloom.bandcamp.com/album/flora







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