giovedì 19 settembre 2024

La mia Recensione: Ist Ist - Light A Bigger Fire


 

Ist Ist - Light A Bigger Fire


“Quello che voglio esiste, se solo ho il coraggio di cercarlo”

Jeannette Winterson, scrittrice, Manchester, Uk


Esistono anime perse che assomigliano a dei cercatori di funghi, in boschi coperti dalla nebbia e dalla pioggia battente, intenti a formare la propria identità, con il coraggio in stato di allerta.

Al quarto lavoro, la band Mancuniana sfodera brillanti sonori, nuove prospettive e una carica gothic pop immensa, libera di appagare una crescita che si è resa evidente nei molti live degli ultimi anni. Un’idea, un concetto, un frastuono ragionato, un’enfasi controllata dalla frenesia, incollata a dei diamanti che spezzandosi rivelano raggi di luce poderosi.

Vibrazioni come innesti di spettri nascosti che con azione chirurgica scolpiscono il concetto del suono. Sebbene la tendenza sia di mettere in frigo il clima a loro congeniale della malinconia, l’antimateria oscura è percepibile, con evidenti sequenze umbratili che saranno riconosciute e amate dagli appassionati della prima ora.

Le sorgenti sonore sono eterogenee e scolpite con continuità e intelligenza, nello specifico, dal basso, dalle chitarre e dalla batteria, con i suoni sintetici che creano vortici liquescenti, moderni nella forma ma dal profumo antico, con l’inchino agli Human League e ai Tubeway Army.

Quello che impressiona, sbalordisce e conquista è la produzione affidata a Joseph Croys, il soldato della struttura, che ha lavorato con Hurts, Courteneers e gli Slow Readers Club. È evidente che agli strumenti è stata impartita una linea guida, un equilibrio, per poter dare più omogeneità a composizioni già in grado da sole di conquistare il cuore, ma che abbisognavano di una disciplina e di un senso di collettività che mancava nei lavori precedenti.

Palese è la volontà di condurre le canzoni in una zona mista, dove la purezza del genere musicale sia da mettere da parte: l’armoniosa unione delle forze ha generato una crescita nella scrittura, nella dinamica e nella capacità di conferire un senso di freschezza e positività che forse non erano state volute prima. Brilla la penna di Adam Houghton, come la sua nuova tendenza a modificare l’interpretazione del canto, senza perdere la matrice inconfondibile che da ben dieci anni lo caratterizza.

Però…

Però è uno shock vedere una serie di dialoghi con l’io interiore che divengono un canto tra le nuvole piene di sabbia, mentre la musica deposita cortecce di ombre.

Ed è epicità che gonfia le vene, le espande, le terrorizza, le maledice con garbo e le porta tra le strade di una Manchester sempre più stretta per questi quattro musicisti con le vie della mente percorse da una compatta idea di mutazione, ampliamento delle proprie energie e potenti motivazioni.

La freschezza dei suoni è un inganno intelligente: nulla di davvero gioioso vive nelle melodie effervescenti presenti in diversi episodi, e la canzone che chiude l’album sarà una meteora infinita, senza morte, che farà intendere quanta progressione e duttilità esista in quei polpastrelli sempre in grado di aggiungere massa alla loro calamita.

Gli Ist Ist sono capaci percepire l’emozione donata, con un numero crescente di persone che adoperano le loro composizioni per compattare la solitudine, i tratti di una evidente unicità, malgrado, soprattutto all’inizio, le comparazioni non siano mancate, generando un comprensibile tedio in loro.

Le chitarre e il basso, proprio grazie alla straordinaria produzione, sono meno vistose ma sembrano lavorare il doppio, definire l’impeto attraverso capacità multiple, finendo per indossare  il mantello del suono con grande precisione e concedendo spazio all’elettronica per rendere il tutto contemporaneo e sensato. Figlio di una realtà che nega un certo tipo di appartenenza al disagio, il disco coglie invece ciò che vive nel sommerso e, attraverso una fluida ragnatela di percezioni, diventa un metronomo che mette in riga le sbavature, uccidendole per elevare il senso. 

Canzoni come omaggio al bisogno di una coperta che assicura la sicurezza dell’anima: ecco perché tutto scorre, ma una scure, un masso, una valanga, una frana e un terremoto trovano modo di regalarci un senso di abbondanza che elettrifica i nervi e li colora di grigio.

Hanno fatto del loro sogno e delle loro necessità il perimetro di un laboratorio aperto all’intimità, al sondare e alla combustione che può privarsi dell’onda selvaggia degli esordi: tutto è più pesante, ma con raffinatezza, con il dolore che pare vesta un completo di luci…

Si piange per la vastità di incontri, si fa esperienza con il male visto da un lato atipico, si balla con la testa piena di ronzii continui, si trema per la sensazione che un addio sia sempre possibile con le nostre esistenze, si brinda al talento di un’opera che riassume, contiene, diversifica e appare nella sua magnificenza acida, conturbante e quasi impietosa. Nel momento in cui decidono di afferrare la vita, la paralizzano con obese forme di esplosioni senza fine.

Drammatico, plumbeo, onesto, concentra il percorso di una crescita sino a giungere in uno studio di registrazione dove non esiste il miracolo ad attendere i musicisti bensì un lavoro, di testa, di pancia, con le luci che visitano le ombre per creare un patto.

Sostiene la memoria, innaffia il ritmo con un poderoso bilanciamento delle pulsioni, deterge la melodia per dare una voce ai balbettii che spesso danneggiano le composizioni. I quattro non cadono nel tranello e dipingono il cielo di ogni nostra camera con la linea di un futuro evidente: gli Ist Ist sono una risorsa, non un palazzo a cui volgere lo sguardo.


Mettiamoci sull’attenti, andiamo a perlustrare questa energetica tela e mettiamoci a ballare…



Song by Song


1  - Lost My Shadows


Impetuosa, strabordante, nel suo vestito di ordinanza, ribadendo lo stile, la forma e l’attitudine degli ultimi due album, la canzone che apre questo è un anello di congiunzione che però lascia piccole tracce di ciò che accadrà. Semplice ma fragorosa, trasmette, attraverso le parole di Adam, la sicurezza che molte del passato sono ormai alle spalle, e il quarto lavoro a lunga distanza lo dimostra per davvero.




2 - The Kiss


Vibrazioni, spilli e poi il solito devastante basso di Andy aprono i cancelli, il synth di Mat disegna traiettorie vicine a Gary Numan e il ritornello è un arcobaleno che viaggia dentro i riff post-punk di ordinanza. Ma la freschezza rende il tutto diverso e attraente.



3 - Repercussions


Eccoli, evidenti, i cambiamenti, le diverse abilità, i nuovi calibrati giochi di alternanza, nei suoni, nei movimenti, per principiare una straordinaria volontà di acclimatarsi con l’epicità. Quando, nella seconda strofa, Andy cambia l'effetto del suo strumento, si rende evidente come ci sia una calibratura che conferisce  alla veste della forma canzone una specificità mai adoperata in precedenza. E il fraseggio conclusivo delle chitarre finisce per essere una sontuosa cavalcata con la voce che ritorna a usare la rabbia di un tempo…



4 - I Can’t Wait For You


Se l’inizio ci offre infiniti rimandi, dagli Stranglers, agli Interpol e a una lunga fiumana che potrebbe anche tediare, ecco che la band struttura una dolcezza assottigliando gli odori, i colori, non usando il fragore ma la delicatezza. E il controcanto di Joel, il batterista, entra come un vortice di grandine nella testa…



5 - Dreams Aren’t Enough


Quanta tristezza danza tra lacrime in attesa di essere asciugate da un destino crudele che visita l’aspetto onirico dell’esistenza. La voce scende in cantina, per salire nel cielo trasportata da una tastiera che circonda e rende possibile avvicinare, in un crossover quasi impercettibile, almeno tre decadi, per ritrovarci triturati da una chitarra sibilante, disperata…



6 - Something Else


Joseph Croys indaga, percepisce che non sono gli errori a impedire la crescita, ma occorre mettere un microscopio nelle idee. Così facendo si capisce quanto la sua mano abbia creato la possibilità che un'idea brillante diventasse un urlo rugginoso con le redini… Tenebroso e pieno di guaiti, con le parole di Adam, il lavoro di un noise caustico, il brano riesce a rendere sgomenti, con l’ineluttabile desiderio di cantare e ballare da soli, abbaiando alla luna. Le pause, i rientri, diventano il fragorio che educa il cuore…



7 - What I Know


La seconda canzone del lato B è un cortocircuito, in cui la lentezza, la rarefazione, vengono a supportare il testo e la voce, per trovare una marcia che, con la sua cadenza marziale e circondata dall’uso di una elettronica fine ma esaustiva, producono un grande senso di gioia: alcune consapevolezze rendono i brani eterni…



8 - Hope To Love You Again


Immaginate Robert Smith con la voce baritonale e i  suoi Cure nella febbricitante versione pop: ecco un raggio di sole semplice, crudo, caldo, con circuiti elettronici circolari che trasmettono un senso fluido di spostamento…



9 - XXX


Bagliori iniziali dei Can e poi una linea retta, una sottile propensione a esseri lievi ma gravitando nell’infinito dove non c’è sicurezza. Ed è una frustata al rallentatore, produce dolore, soffoca e consente ad Adam di cantare con i cavi nell’ugola, facendoci rabbrividire. Tutto si accelera, mentre la canzone rimane lenta, un miracolo questo incomprensibile ma seducente. In questa struttura lontana dal post-punk ma più incline a una sperimentazione vicina alla new age ci viene mostrata una band che sa allontanarsi pure da se stessa…



10 - Ghost


Una tragedia, un’unghia messa sotto una pressa, un dolore lento che galvanizza l’impietosa avanzata di un pezzo che spacca il cuore, come un magnete che ci fa conoscere il vuoto. L’ultimo brano è un pugno, una sedia elettrica che ci insegue: prima lentamente, poi meno, ritornando nei secondi finali a essere una torcia che illumina le nostre difese mancanti.

Drammatica, nella sua esibizione, nella sua capacità di avvolgere ogni anima nella propria rete, parte da un pianoforte che, sposando una tastiera, chiama a rapporto gli altri strumenti. Ma non è il crescendo dell’atmosfera a farci sentire gambizzati, bensì la certezza che ci sia un inquieto mistero che governa le note, il testo, per farci sentire come un malato con pochi minuti da vivere. Il melanconico approccio è solo un elettrodo in più per fare di questa composizione il modo perfetto per illuminare la lunga scia di lacrime che possono finalmente celebrare il nuovo luogo nel quale vivere. Non è pop, non è rock, è poesia che spalanca la consapevolezza e ci rende fragili, nel modo migliore, consentendoci di dare ai quattro cavalieri di Manchester il nostro abbraccio riconoscente: concludere così un album è il miglior omicidio possibile…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Settembre 2024


https://ististmusic.bandcamp.com/album/light-a-bigger-fire



Ist Ist:


Adam Houghton

Joel Kay

Andy Keating

Mat Peters


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