giovedì 11 aprile 2024

La mia Recensione: James - Yummy


 

James - Yummy



Sia la gioia l’unico contagio ammissibile, approcciabile, condivisibile e abbracciabile. La musica rischia di perdere la sua antica peculiarità, che era quella di avvicinare le menti e i corpi.

Ci pensano i James, con il loro diciottesimo album in studio, a dare, come spesso accade con loro, l’esempio, lo stimolo, la possibilità di mantenere inalterate le qualità e di trovarne delle nuove. Il loro approccio è ancora quello di un gruppo di persone intente a rinnovare il proprio passaporto e la propria identità, proponendo nuove forme stilistiche, generando stupore per l’intenzione profonda di non sedersi sul passato: troppo intelligenti, troppo avanti per lucrare sull’amore dei loro numerosi estimatori. Yummy è un boato docile, programmato per insinuarsi senza far troppo rumore, ma con l’indiscutibile qualità di spingere a impegnarsi nell’ascolto. Per molti ci sarà parecchio da fare per poter accettare, in primis, questa volontà di scrivere canzoni ermetiche, poco accessibili alla facile masticazione se non in brevi momenti, specialmente nei ritornelli, e, inoltre, per riuscire a ingerire chiaramente questa intenzione di un corpo scrivente che sembra essere "limitato" a quattro dei nuovi membri della band di Manchester. In molti, sia musicisti che ascoltatori, rimangono ancorati a ciò che li ha fatti incontrare, facendo preferire un lato decisamente immaturo e nostalgico che non consente di apprezzare e considerare il bisogno di una identità di crescere. Un continuo cappio al collo che fa spegnere ogni flusso nuovo e innovativo.

Ci sono momenti in cui un insieme sonoro può essere un imbuto: questo ci fa cadere tutti insieme nello spazio della bellezza e non c'è nulla di sensualmente più appetitoso di un arcobaleno che fluttua nel tempo. I James lo prendono e ci mostrano le sue intensità sino a farcene sentire la fragranza. Non sono mai stati legati al territorio di provenienza, mai figli diretti e devoti della loro città, bensì musicisti in grado di sorvolare il mondo e di assorbirne gli odori, le tensioni, i sogni, arricchendo il loro vocabolario attitudinale, navigando sui cambiamenti, mostrandoli, e arricchendo le nostre vite con pulsioni, riflessioni, danze in modo continuo. L’ultimo lavoro dimostra tutto questo, partendo dai suoni, da un incredibile groove generale che seduce e fa scuotere, per proseguire con i testi di Tim, ancora una volta abili nel rinnovare linguaggio, direzioni, dimensioni per confermare l’altissimo livello di scrittura. L’esperienza dal vivo con un'orchestra e un coro gospel ha consentito loro di rinnovare il repertorio, ma è stata sicuramente anche un’occasione per suggerire nuove possibilità con queste dodici sirene ipnotiche. La vita, la morte, il successo, l’ansia, le esagerazioni, il dolore, l’ironia sono solamente alcune delle traiettorie del cantante. Ma la musica sa fare altrettanto: non solo sposa perfetta dei testi, ma genitore desideroso di dare disciplina a talenti sempre svegli, capaci, in grado di portare il tutto in uno stato di grande levatura. Sensazioni ed emozioni multiple si ritrovano iniettate di positività, come un atto che non può cessare di esistere sebbene il mondo sembri optare per il suicidio. Qui troviamo la gioia di vivere attraverso la freschezza della produzione di Leo Abrahams, le sensuali movenze di miscele continue del pop più mirato all’eleganza, l’utilizzo di una elettronica che si inserisce nella radice di generi musicali diversi, come un circolo sensoriale che rifiuta un’unica dimensione. Inoltre, l’ascolto diventa visione, un film che cambia sceneggiatura, proseguendo abilmente nel variare fisicamente i tratti dei personaggi. Così facendo, tutto diventa adunata, presenzialismo, assistenza, amicizia, un comitato di idee che progrediscono senza stancarsi mai. Nel quinto decennio del loro incredibile percorso artistico, i James di questi ultimi anni sembrano più spavaldi, meno interessati alla politica del consenso e, come muli giustamente ostinati, percorrono le scelte con orgoglio e soddisfazione, per poter manifestare che la musica, almeno quella della scrittura, appartiene a loro. Dopo, è tutta un’altra storia.

Ci si commuove spesso, i punti di domanda sembrano missili con il vestito da festa, innocui in quanto non uccidono, ma certamente con l’intenzione di non passare indifferenti. Infatti, lo stomaco si ritrova spesso a chiedere ossigeno, si capisce bene che la qualità che ha sempre fatto parte del loro dna (quella di comunicare in modo diverso le cose che si sanno e di dirne altre del tutto sconosciute) è ancora ben presente. Cambia il vestito, non il loro essere studenti, per primi, di se stessi. Fa male, lasciatemelo dire, pensare che una band debba essere l’esecutrice dei sogni di chi li ama. Queste nove anime voltano le spalle, camminano nelle canzoni come nei respiri dell’arcobaleno notturno, come spiriti invisibili, ma alla fine, quando la giornata si sveglia, ti accorgi che avevano ragione, depositando nel cielo brani che lentamente si appiccicano al cuore, lubrificando quelle vene sempre meno capaci di far passare dentro se stesse nuove molecole.

Si, Yummy è un disco sorprendente, moderno, incline a raggruppare suoni e vocaboli in un giorno nel quale la noia e la malinconia cercano un appiglio, un aiuto. Eccolo, presente, costante, propenso a essere un abbraccio eterno che, se apparentemente sembra di difficile assimilazione, in realtà ha fatto un patto con il tempo. Sono pazienti questi giovani vecchietti, perspicaci, cavalieri del gusto con le mani grandi, per poter prendere le nostre incertezze e collocarle nella zona dove tutto riposa. 

Salvifiche, rigeneranti, letterarie, queste dodici canzoni sono il sorpasso nei confronti dell’ignoranza, timbri insospettabili di una nuova modalità di appartenenza ai colori di un lavoro prodigioso, dispettose perché negano a tutti l’accesso alla facilità dell’inganno. Si deve studiare, spostare il baricentro dei vizi e seppellirli, per l'eternità…

Sempre di più emerge la sensibilità della loro arte, non più un megafono che attira le attenzioni, ma un insieme di pagine da leggere in silenzio: questa è la vera magia di questo ultimo album dei James…




Song by Song

1 - Is This Love


Una coperta affettiva, in grado di andare oltre le domande, permea i tessuti sonori e come un intervento chirurgico degno di Houdini, riporta per un attimo la band nei territori stilistici dei primi anni 2000. Si sogna, ci si contorce dolcemente nei pressi di un brano che collega una strategia minimalista degli strumenti a un volo epidermico dato dal cantato di Tim.



2 - Life’s A Fucking Miracle


Il mondo, con i suoi caotici assembramenti sociali, riesce a trovare una stabilità con la consapevolezza che la vita sia, in modo laico, un miracolo indiscutibile. Lenta, diritta, arriva al centro con un ritornello che stabilisce il voluto contatto con la realtà che deve essere aggiornata, cambiata e assemblata. Vistosa e rigorosa, consegna pienamente al mondo la flessibilità del loro concepire la creazione artistica.



3 - Better With You


Tim Booth e Chloe Alper diventano gli attori di un disegno d’amore che rivela come la dolcezza sia una prerogativa dei James da sempre, qui con l’abilità di una progressione che, partendo dalla lentezza, riesce a sviluppare trame angeliche. Liberatosi da catene pesanti, il cantante vola leggero nella corrente dei venti. Come portare gli anni Cinquanta ai giorni nostri…



4 - Stay


Straordinario esempio di come la tensione sia capace di veicolare la mancanza di appigli, sfuggendo a ogni definizione, per essere un camaleonte in cerca di sfide, questo pezzo dimostra l’alchemica struttura dell’improvvisazione, dei flussi coscienti che non richiedono di essere inseriti dentro delle regole. Un arpeggio di chitarra che odora di cielo, la batteria che ci tiene in pugno con la sua semplicità per fare di una pop song la carezza di cui abbiamo bisogno.





5 - Shadow Of A Giant


Jon Hopkins presta dita e talento per l’introduzione del brano, in quello che è l’episodio più sognante e di maggior durata dell’album. Si sale sino a incontrare le stelle, con gli archi che diventano il termometro della nostra emozione, per una incredibile capacità di estendere le note in una progressione che avviluppa i sensi. Si viaggia tra la tristezza e l’attesa, con la voce di Chloe che in lontananza bagna il nostro volto sino a quando il violino tzigano di Saul ci fa piangere…



6 - Way Over Your Head


L’uomo Booth ancora una volta volge lo sguardo verso le condizioni in cui la precarietà, la debolezza e la povertà non hanno modo di sorridere. Ci pensa lui però con questo testo e la musica sembra aspettare il coro finale, in grado di far vibrare i palpiti. È un invito a cercare qualcuno che faccia dormire la sofferenza ed è proprio in questa parte della canzone che molti amanti dei James potrebbero essere accontentati: a volte accade l’armistizio tra chi vuole andare avanti e chi resta indietro. Quando la band costruisce un palazzo sonoro come questo ci si rende conto che l’amore per loro non finirà, perché tutto qui sembra un raccolto di frutti lungo le note che lentamente gonfiano il petto…



7 - Mobile God


Un’arma, costante e pericolosa, palesa la sua esistenza: la musica è una vibrazione continua, un sondare le possibilità espressive, per lasciare al testo l’analisi di una realtà soggiogata dall’uso tecnologico della comunicazione, in cui la vera schiavitù attuale mostra nuove catene. Il groove è un impasto di elettronica e chitarre che con un accordo secco circondano il testo sino ad approdare al ritornello che libera i circuiti cadenzati dal coro che vibra nei circuiti di satelliti pieni di informazioni che intasano la nostra vita. Clamorosa!



8 - Our World


Il mondo precipita con il proprio sconvolgimento fisico, irriconoscibile rispetto a poco tempo fa, saturo di alienanti egoismi e sperimentazioni. Il fischio iniziale è un meraviglioso inganno rispetto all’argomento trattato e, come per i migliori momenti degli Smiths, il contrasto tra parole e musica rende l’attenzione una miccia continuamente in stato di allerta. Melodica, pop, in realtà vive di un caos reso gentile…



9 - Rogue


La vita deve essere uno stato cosciente, non un ammasso di eventi. Partendo da questa considerazione, sia le parole che la musica rendono accessibile l’intuizione, il dovere e una nuova coscienza. Nel tentativo, riuscito, di mantenere l’esistenza in uno stato in cui le decisioni siano consapevolmente strutturate per migliorarne le condizioni. Le chitarre semi acustiche tornano ad abbaiare ed è gioia pura, il cantato incalzato e ll basso di Jim che ci catapulta, con morbidezza e vivacità, in una danza effervescente.



10 - Hey


Gioia, allegria e dinamicità fanno di questo episodio quello maggiormente intento a rendere fisico il sorriso e la risata, in un atto puro di positività senza compromessi. Inizia però come un vampata dolorosa, caotica, per poi perdere l’afflato elettronico e divenire una ninnananna moderna che invece di farci dormire ci fa intendere come la musica sia un ponte tra il vero e il bisogno di cambiare le nostre convinzione. Il titolo viene ripetuto più volte per poi dilatare gli incroci micidiali degli strumenti.



11 - Butterfly


Il momento che farà esaltare chi ama i James da sempre. Tutte le loro caratteristiche del passato qui si depositano in un brano perfetto, un bacio alla loro storia, un grazie e un inchino, in cui l’abbraccio al tempo dona entusiasmo e grande gioia: se esiste un luogo dove tutti saranno contenti è proprio nell’angelica dimensione di questo episodio. L’inizio è un filo psichedelico che poi diventa, nel cantato di Jim (per pochi attimi) un abbraccio a “Really Hard”, tratto dal loro album di esordio Stutter, e i momenti più delicati della loro storia a cui siamo affezionati.  Ci si commuove con immensa gioia liberatoria…



12 - Folks


Pare un addio, un sorriso amaro, che con il violoncello e la tromba sembra farci intendere il tempo come una questione davvero molto lunga. Il cantato diventa evocativo come non mai: mostra le rughe dell’energia e la preoccupazione, la sua voce come sabbia di una clessidra che si sta per depositare tra le braccia dell’infinito, quello silente, privo di voce. Toccante, drammatico, il congedo riserva emozioni e colpi di tosse: le sue preoccupazioni sono anche le nostre. Le note del piano, distorte in lontananza, sembrano provenire dal teatro della paura, poi tutto si scioglie, l’armonia e la melodia tracciano la strada su cui le parole di Tim diventano rugiada per fare di questo ultimo episodio un valzer anomalo nel contesto di una pop song che bacia l’infinito…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
12 Aprile 2024


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