giovedì 7 settembre 2023

La mia Recensione : Slowdive - everything is alive


Slowdive - everything is alive


E’ fuggito dal labirinto della realtà ed è finito sotto la ruota dei sogni!

(Mikhail Kuzmin)




Un labirinto, una donna al centro, il viso indecifrabile, colori pastello rendono l’immagine un percorso da iniziare, immaginando che la musica sappia far muovere i passi e condurli all’uscita.

Tornano i cinque gabbiani di Reading, affamati di vita ma generosi nel lasciare cadere dall’alto dei loro maestosi voli cibo per le nostre anime: si rimane a bocca aperta e gli occhi intinti in un sogno liquido. Capaci di disinfettare il loro senso artistico da trappole corsare sempre pronte a ingabbiare il talento, gli Slowdive compiono il lavoro più completo della loro lunga percorrenza artistica, generando aria fresca nei motori delle loro composizioni, decidendo di costruire il tutto con  imponenti richiami alla Storia umana, con immagini che paiono giungere da luoghi e Tempi molto lontani. Entrano in modo definitivo nello spirito Post-Rock, nell’elettronica imbevuta di morbida propensione all'incanto, per anestetizzare la consueta volontà verso una possibilità nel generare frastuono, e l’abilità di raffinare ancora di più una scrittura che conosce modalità diverse per poter connettersi all’inevitabilità della morte. Due lutti si sono succeduti in questi anni per quei membri della band che hanno trasportato il proprio dolore verso la contemplazione e la serenità. 

Avete mai sognato di entrare in un arcobaleno? Ecco, già sapete della sua breve esistenza, del suo destino con una veloce data di scadenza. 

Questo fanno i cinque gabbiani di Reading: ci offrono un unico appuntamento con quella destabilizzante sensazione che oltre la loro musica non vi siano confini da sfiorare. Toccante, rassicurante, disarmante, l’ultimo lavoro vive di dettagli come fermagli per i capelli di pensieri in un agglomerato lucente, intento a sondare con un regale distacco i nostri sentimenti. Non è Shoegaze, non è Dreampop, è un concept album sulla bellezza priva di retorica, una raffineria che incendia i sentimenti di seta, portando il volo di un sentire non comune in giro per i cieli di un mondo che se ignora la propria ignoranza può cibarsi di tutto questo: se l’eternità è ciò che l’uomo cerca, eccola qui, nella dimensione terrena, pronta a essere stabilizzata nella corsia della gioia. Pensate al titolo: un dato di fatto, un'affermazione priva di drammaticità o di luci, dove il bene e il male rimangono in vita. Nulla cambia, se non il desiderio di musicare la realtà nel fascio organico di una piattaforma onirica che privilegia la lentezza, senza però smarrire l’innato approccio Pop che fa di questo gruppo musicale l’unica meteora che non si congeda mai…

Impiegano anni per tornare, lo fanno in questo modo, e si sa, noi essere umani svuotati di inclinazioni alla profondità, non possiamo che rimanere confusi innanzi a questa dimostrazione di classe che tende sempre più a illuminare la loro carriera e le nostre esigenze. La pandemia ha rallentato l’impulso schizofrenico della natura tutta, compresa quella nostra, di persone sempre più perse e disperse. In quel periodo il mastro Neil pensava di dirigere le sue composizioni verso una pura forma elettronica. Una volta consegnate, quelle forme sono state impastate dagli altri quattro ed ecco il risultato: il labirinto della copertina sonda ogni forma per divincolarsi dalla stagnazione, anche da quella musicale, per partorire una indagine che da emotiva raggiunge il livello spirituale, come una danza calma per far sentire la morbidezza dei nostri fianchi. Non un laboratorio,  uno studio, una sala prove, bensì un volo di anime intrecciate a pochi passi dal baricentro dell’universo: non è mai stata così prossima la loro Reading a divenire la capitale delle nostre affamate ambizioni. Misurati con gli effetti, semplici nelle ritmiche, ogni brano non conosce evoluzioni continue ma uno schema semplice, minuscolo e tuttavia dannatamente efficace. Ed è questa componente che porterà molti “seguaci” degli Slowdive al lamento, a sentirsi traditi con questo lavoro che sembra chiaramente contenere bellissime briciole del loro percorso artistico, ma con la chiara necessità di perlustrare altre forme di vita.

Generosa è la propensione a circondare gli accordi di tappeti elettronici che consentano a Simon Scott di vibrare con il suo drumming nell’incanto di un imbuto dalle pareti dorate. Le due chitarre (Neil Halstead e Christian Savill) sono un goniometro che imprigiona ogni smarrimento per liberarle avendo avuto in dono la loro grazia. Mai spavalde, mai strafottenti, mai permalose, le due sei corde sono vitamina pura, capaci di entrare nella psichedelia come nello Space-Rock meno gravido, e di tergiversare per il tempo giusto con alchemie vicine agli Alan Parson Project, così come ai Can e ai Kraftwerk, per un giro temporale e geografico davvero notevole. Mr. Nick Chaplin è semplicemente il miglior bassista a disposizione di quei sogni che abbisognano di una sferzata per tenere il busto eretto. 

Detto questo: non si possono negare le profonde interazioni di una scrittura di trame sonore con quelle dei testi, per la prima volta ermetici, sfuggenti ma incapaci (grazie a Dio o a chi ne fa le veci) di lasciarci nel pericoloso brodo dell’indifferenza: la penna di Neil non è un faro, un bagliore, bensì un sussurro che non necessita di essere decifrato. I suoi testi sono geroglifici orgogliosi di essere compresi solo da lui, ma sanno sfiorare il cuore, regalare la convinzione che la sua sfera privata non debba essere violata. 

La parte che approda all’ambient è incredibilmente matura, permettendo ai diversi generi musicali presenti di vivere nello stesso spazio, senza frizioni, remore o tensioni. L’album è un fluido, che scende dalla bocca dei cinque gabbiani, in percorrenza verticale, per centrare perfettamente i nostri apparati, in parata, bisognosi e in attesa di non conoscere la parola fine…

Difficile immaginare, in un mondo che in modo sgarbato cataloga per poi dimenticare, dove questo fascio principesco possa essere relegato: specialmente in Inghilterra la musica dei giorni nostri assomiglia al gioco del potere di una massa che conosce la stagione di un giorno per esaltare, per poi buttare via tutto. Ma EVERYTHING IS ALIVE saprà resistere: alle divinità non si può opporre resistenza e queste otto canzoni tasteranno la fragilità dell’arroganza, annientandola con dolcezza sopraffina, elegantemente.

Saper ascoltare significa pilotare il tutto nell’incastro smisurato dell’immortalità, l’unico luogo adatto a questi otto bocconi di un cibo prelibato, capaci non solo di sfamare ma di soffermarsi nel ventre, nella mente, nelle nostre lente progressioni di danza, nei nostri sogni liberati con la chiave della loro classe, sigillo di sicurezza di una qualità indiscutibile.

Non ci resta che andare ad assaggiare ognuna di loro ringraziando in anticipo…


Song by Song 


1 - shanty


L’album inizia con una partitura, breve, di elettronica, la chitarra è molto simile a quella di Teardrop dei Massive Attack, ma capace di liberarsi dal pericoloso accostamento per poi incanalarsi in un gioco atmosferico che pare uscire da un anfiteatro greco, con la dolcezza delle voci della regina dei cuori Rachel, e quella di Neil, convogliando nel delicato binomio Postrock - Psichedelia che attraversa il cielo del nostro stupore…


2 - prayer remembered


Un vistoso calo di ritmo ci conduce nella planimetria del mondo Slowdive, tutto, dal lontano 1991 ai giorni nostri, in un pezzo strumentale che permette di sentire le voci dello spirito sostituire quelle del duo di Reading. È lacrima lenta che sale su in cielo, in quel fragore Post-Rock che accarezza la base Shoegaze della band, qui attenta, premurosa nel calibrare le suggestioni, con i colpi di drumming di Simon che danno ritmo a una continua esplorazione. Musica che esce dai granelli di sabbia di un deserto comportamentale: i cinque dipingono un capolavoro di inconsueta attesa, mai una esplosione, mai una esagerazione, bensì un continuo emigrare nella storia di una intensità che non abbisogna di frastuoni…


3 -alife


Il tempio dell’incanto ci mostra donna Rachel inchiodare i dubbi nel suo afflato, nel suo tributo, nel suo inchino poliedrico per consegnare il testimone della canzone dal buon ritmo a Neil, ed è un intreccio di sensazioni che giocano a mostrarsi, a cambiarsi d’abito, nell’unico brano dell’album che si concede qualche variazione in più, ma sempre nella corsia di  un necessario minimalismo. Tutto quì è uno spirito corsaro ingentilito, soffice, rapace ma capace di essere rispettoso e le tastiere dipingono conforto ispirando alle chitarre  una strada lastricata di opzioni che paiono essere suggerite dagli anni Sessanta…


4 - andalucia plays


Il Vecchio Scriba non ha dubbi: questa è la composizione più sofferta da parte di Neil, un calvario che scendendo dal cielo mostra gli sbadigli di un dolore quasi silenzioso ma esistente. Il suo cantato conduce al pianto, mentre suoni quasi new age e una chitarra in odore di Faith dei Cure si appoggia al nostro cuore, distruggendolo dolcemente. Torna quella semiacustica e la sensazione che proprio in queste note abiti tutta la talentuosa capacità che gli Dèi hanno concesso ai cinque di Reading. Compatta, lenta ma veloce ad approdare nei nostri involucri, fa della sua apparente semplicità un vanto sussurrato…


5 - Kisses


Pochi accordi, il ritmo mostra subito la sua tenera capacità di farci danzare in una storia dalla trama semplice ma che adopera metafore, anche musicali, per permetterci di inoltrarci nel sogno e baciare il desiderio di una dimensione onirica senza bavaglio sulle labbra. Con un fare decisamente Shoegaze, annettendo minuscole particelle acustiche, tutto scivola con l’eclettica loro capacità di trame complesse che si trasfigurano, concedendoci la possibilità di immagazzinare la magnificenza che abbiamo potuto ascoltare. Mantra corposo, dama incantevole per ogni corte, regale anche per anime povere, Kisses è la perfetta Pop song imbevuta di sogni, quando il Dreampop non è soltanto un genere da esibire ma una modalità di essere ultraterreni…


6 - skin in the game


La maturità non evitabile per i cinque gabbiani: trentadue anni di carriera necessitavano di una resa dei conti, di un momento in cui dovevano tornare: ecco ciò che è stato il loro arrivo, la loro percorrenza, il senso… Un distributore di piume nel sacco dei nostri corpi in apnea, perché queste chitarre sono una dinamite resa incandescente senza necessitare dell’esplosione bensì di un navigare, secondo dopo secondo, nel corpo amniotico di un labirinto eccelso…


7 chained to a cloud


Si può governare la marea di stelle che danzano nel cielo? Se ti chiami Slowdive come minimo puoi mettere sul palcoscenico la rappresentazione e abbandonare ogni velleità di poterle toccare. Però: la band di Reading ancora una volta affitta la maestria e disegna un involucro con i gioielli che vengono rilasciati dal canto angelico di Rachel, una donna bambina piena di grazia che, supportata da leggeri echi e riverberi, si trova a un passo dal cantato di Neil, per confezionare un piano di magnetismo colmo di una magia fluttuante, inossidabile e impermeabile, all’interno di un loop che con la tastiera trova il modo di fissare il brano nell’Olimpo, l’unico luogo dove le comete non muoiono mai. Sei minuti e cinquantuno secondi dove ciò che non si verifica è il rispetto per questa elaborata parentesi tonda dentro la quale la matematica cambia pelle e diventa brivido…


8 - the slab


Nel cielo di Reading una scossa elettrica, un fremito, un’estasi verace e vorace prende possesso dei sensi e determina la nascita di un amplesso sonoro senza precedenti: the slab è il laboratorio dell’inconsueto, un gioco imprevisto, un’assonanza inusuale che determina terremoti emotivi capaci di dirigere la valutazione dell’album con due sole parole: GRAZIA MULTIPLA.

Le chitarre sono lapidarie, ma non ferme, bensì le ali di gabbiani che afferrano la melodia e la inchiodano nelle corsie di uno spazio mai così generose di elaborate strategie sonore. Definendo tutto ciò che abbiamo sinora udito e portandolo fuori della nostra comprensione, la chiosa è un gioiello che regala la conferma che gli Slowdive siano capaci di avere il suono del nostro tempo ma perfettamente connesso con quello che lo ha preceduto. Lo sanno fare solo i Maestri questo tipo di operazione…


Concludendo: nella speranza che spariscano gli opinionisti, gli inetti, i precisatori di ogni sciocchezza, questo lavoro è un un combo stratosferico nel quale crescere e una piscina in cui navigare tra le canzoni che alla fine diventano onde capaci di ospitare ogni nostra sciocchezza.

Ma è proprio cibo quello che cadrà senza sosta dai cinque gabbiani ai quali dobbiamo l’eterno inchino…


⭐⭐⭐⭐⭐


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

7 Settembre 2023


https://slowdive.bandcamp.com/album/everything-is-alive




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