martedì 26 settembre 2023

La mia Recensione: Noktva - Icarus

 Noktva - Icarus


C’è tutto, tutto.

Tutto quello che segna sulla pelle dell’intelligenza il senso di appartenenza a un miracolo sonoro di cui appropriarsi come si fa con le chiavi di casa, per poter entrare e fruire di ciò che si desidera.

Il cielo per essere perfetto ha creato le rondini, per portare freschezza e verità ai nostri occhi.

Questi ultimi si cibano di anime per affiancare a quel volo il proprio. 

E allora qui che succede?

Siamo all’interno di  una vicenda musicale che, insieme alle liriche, regala l’impressione che la crescita della formazione siciliana sia già un dato di fatto, ci ritroviamo immersi indubbiamente nei loro nuovi capogiri, finalmente felici della loro sofferenza ragionata e tradotta in un cataclisma scenico semplicemente perfetto.

Dopo aver compreso il mitologema di Icaro, possiamo districarci meglio nel racconto extrasensoriale di questo groviglio di immagini che rendono sublimi le cognizioni concernenti l’amore e il tempo, i sogni e dei limiti quotidiani.

Una gioia che non è solo rappresentazione bensì perlustrazione, in un movimento che allunga il cielo e mortifica l’egoismo.

Icaro è un antieroe, qui innalzato a coscienza parlante, comunicatore attraverso un frastuono permeato di nubi che attraversa indenne.

I NOKTVA gli tolgono il paracudute e lo rendono edotto di un percorso, a tratti privo di accelerazione di gravità, presentandogli il conto del suo destino. In un latente e chiaramente sibaritico presente, la band mostra invece forza e ricchezza, decisione e impianto per un risultato che ci fa turnicare dalla parte della bellezza. Perché quando la musica riesce a comunicare il superfluo si vive liberi, con l’unica ossessione di un grazie a forma di inchino. Ma in questo agglomerato di suoni le cinque rondini mostrano anche i semi pruriginosi di istinti con redini in attesa di comando. La fluente crescita sposta il bisogno di definire i generi presenti in questa opera musicale: se proprio vogliamo, il nero attuale li ha resi ancora più neri nell’animo, influenzando il cantato di Kurten e di Miriam verso modalità Deathrock, mentre la struttura crescente del brano contempla situazioni Post-Punk dipinte di una duttilità e volontà di portare a sé macrocosmi di Darkwave.

Ma serve tutto questo? Ce lo farebbe intendere meglio?

Per nulla.

Non una introduzione, bensì lo spettacolo teatrale di una vicenda omicida che trova nelle note il giusto groviglio e ripostiglio.

Un atto comunicativo percorre le strade di riti preparatori, come questa voce che con il suo vocalizzo alza lo sguardo dal basso, da una intimità che qui è chiusa sino all’urlo straziante che scuote la luna.

Poi il basso, lieve subito e dissacrante poi, il synth e la chitarra, che è un volo d’api pieno d’ansia, si alzano e attendono il postulato di Kurten, nipote di un deathrock dalle croci ancora insanguinate, che concede a Miriam di penetrare il testo dove, sin dall’inizio, è chiara l’intenzione di pensare e di rivolgersi a un altro tempo, quello del tempio dei sogni.

Incroci continui di lame e tamburi, spettinano la serenità di chi non si cura degli accadimenti, dei flussi mitologici che ancora si prestano a essere elementi di induzioni senza retorica.

Non sono strumenti ma perlustrazioni mentali che cercano di presenziare al fallimento di un uomo non uomo, di un volo non volo, nel suo precipitare non solo nel vuoto ma soprattutto nello scorrere dei millenni. 

Qua è il suo posto? Il suo ruolo?

I Noktva mortificano la bruttezza di chi non si cura di Icaro e la incidono sulla propria pelle, prima ancora che in un brano che riesce a rendere torbido il battito. 

Una realtà internazionale senza passaporto per le illusioni, esattamente come per il protagonista di questa storia, emblema di una purificazione senza strategie se non il metterlo in salvo.

La crescita del lavoro canoro di Miriam e Kurten è una miccia diabolica, sorprendente, magnifica manifestazione di un connubio senza segni di frustrazione.

Ma per essere tale la sincronia delle anime dalle ali bagnate di petrolio è frutto di tutte e cinque, mangiando la stessa vitaminica propensione ad allungare il cielo dei loro sogni, dei loro aneliti e dei loro sospiri, sempre tesi ad annullare ogni visita verso la superficie della gioia, così poco utile per questi ragazzi ormai adulti e coscienti.

Tracce di un sorpasso temporale, rispetto ad altre band italiane, vengono evidenziate dalla struttura che non prevede la forma canzone come stratagemma di approdo alla piacevolezza dell’ascolto, ma vuole giungerci attraverso una trama, come un racconto che si sviluppa nel terremoto del disordine di una vita morta prima di desiderare il volo.

Perché, se state attenti, Icarus è un sogno, quindi un luogo mentale, una questione e struttura privata. Per essere portato alla luce la band siciliana ha visitato il cielo, lassù, oltre la stratosfera, dove la luce è un urlo senza finestra. Ecco allora che si intuisce il viaggio a ritroso (quella chitarra e quel basso sono i magneti che mettono ordine, mentre i synth sono le ali piene di piombo che cedono, cadendo nel centro dell’addome, per dare alla morbidezza della felicità l’incubo della realtà), per poi compiere il balzo in avanti…

Tutto è teso, perverso, in fuga, sottolineando come la musica sia la scrittura dell’anima, che, in questo caso, parte sin dalla Mitologia.

Un clamoroso album aveva sentenziato le qualità (indubbie) di un grande lavoro, ma qui sono andati oltre: epici, onirici, drammatici, sensuali, pur nei confronti di un morto predestinato al raggiro della storia umana. I cinque si occupano di lui, gli danno un senso nuovo, gli regalano una linea armonica pregna di quella tristezza che consola e che ci fa sentire nel nostro domicilio. Ci mettono in condizione di visitare l’ignoto, di semplificarlo, di rovesciare tonnellate di malinconia in versi semplici ma con il peso specifico di un cielo in caduta libera. 

Icaro non sa se avanzare nelle scie del volto celeste, e Miriam e Kurten inventano uno straordinario stratagemma: iniettare i versi di fumo e cecità, per rendere assiderato ogni tentativo di fuga, per consolidare il labirinto emotivo che permea ogni centimetro di questa composizione. 

Le mura si ritrovano a essere quadri di cera ma molto lontani da quelli dei Litfiba: qui la fattura non è di ordinanza geometrica, piuttosto un trattato che entra nelle vene musicanti di minuti deliziosamente pieni di una nebbia che ristora il sacrificio di Icaro, messo dal gruppo in grado di interrogare la nostra mente. 

Il drumming di Jack è il sigillo che inchioda tutta la musica nell’essere un imbuto, dentro il quale Icaro cerca di risalire, non volendo conoscere l’immensità del vuoto alle sue spalle. 

Un brano del genere non nasce in sala prove, da una jam, bensì dalla persuasione di un cammino che necessita delle lancette del tempo e pazienza. Una cucitura, dopo un imbastimento perfetto, ci regala l’immensa costruzione che non si divide in fasi ma in crescita, esattamente come per la carriera di questo gruppo al quale cediamo ogni nostro sogno: vederli sul tetto del mondo volare, senza paura, insieme a Icaro, beneficiando del nostro abbraccio eterno.

Il Maestro Alessandro Calovolo diceva “Ed è la gioia”.

Io, con paura e modestia, aggiungerei:

“Con Icarus è gioia stramba che cade dalle nostre piume”...


Concludendo: si prenda il vizio di lasciarla in un play continuo, perché è solo dalla dipendenza totale non di un miracolo ma di un duro e serio lavoro che si impara quanto poco conti ascoltare tante sciocchezze.

Prendete la residenza a casa Noktva e avrete una tristezza sensata, fluidificante, onirica, in volo libero…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

26 Settembre 2023


https://noktva.bandcamp.com/track/icarus




My Review: Noktva - Icarus

It’s all there!

Everything that marks on the skin of intelligence the sense of belonging to a sonic miracle to be appropriated as one does with the keys to a house, to be able to enter and enjoy what one desires.

The sky to be perfect has created swallows, to bring freshness and truth to our eyes.

The latter feed on souls to accompany that flight with their own. 

So what happens here?

We are inside a musical affair that, together with the lyrics, gives the impression that the Sicilian band's growth is already a given, we find ourselves undoubtedly immersed in their newfound dizziness, finally happy with their reasoned suffering translated into a simply perfect stage cataclysm.

Having understood the mythology of Icarus, we can better disentangle ourselves from the extrasensory tale of this tangle of images that render sublime cognitions concerning love and time, dreams and everyday limits.

A joy that is not only representation but also exploration, in a movement that stretches the sky and mortifies selfishness.

Icarus is an anti-hero, here elevated to a speaking conscience, a communicator through a cloud-covered din that he passes through unscathed.  NOKTVA take off his parachute and make him aware of a path, at times devoid of gravity's acceleration, presenting him with the bill of his fate. In a latent and clearly sybaritic present, the band instead displays strength and richness, decision and facility for a result that turns us on the side of beauty. For when music succeeds in communicating the superfluous, one lives free, with the sole obsession of a bowed thank you. But in this agglomeration of sounds the five swallows also show the itchy seeds of instincts with reins awaiting command. The flowing growth displaces the need to define the genres present in this musical work: if you like, the current blackness has made them even blacker in soul, influencing Kurten and Miriam's singing towards Deathrock modes, while the growing structure of the track contemplates Post-Punk situations painted with a pliability and willingness to bring Darkwave macrocosms to bear.

But does it all serve a purpose? Would it make us understand it better?

Not at all.  Not an introduction, but the theatrical spectacle of a murderous affair that finds its proper tangle and repository in the notes.

A communicative act traverses the streets of preparatory rites, like this voice that looks up from below, from an intimacy that here is closed up to the harrowing scream that shakes the moon.

Then the bass, light at first and then desecrating, the synth and guitar, which is a flight of bees full of anxiety, rise up and wait for Kurten's postulate, grandson of a deathrock memory with bloody crosses, which allows Miriam to penetrate the text where, from the beginning, the intention to think and address another time, that of the temple of dreams, is clear.

Continuous crossings of blades and drums dishearten the serenity of those who do not care about the events, the mythological flows that still lend themselves to being elements of induction without rhetoric.

They are not instruments but mental patrols that seek to witness the failure of a man not a man, of a flight not a flight, in its precipitation not only into the void but above all into the flow of the millennia. 

Where is his place? His role?  Noktva mortify the ugliness of those who do not care about Icarus and engrave it in their own skin, even before in a song that manages to make the beat murky. 

An international reality without a passport for illusions, just as for the protagonist of this story, an emblem of a purification with no strategy other than to save him.

The growth of Miriam and Kurten's singing work is a diabolical, surprising fuse, a magnificent manifestation of a union with no signs of frustration.

But to be such, the synchrony of souls with oil-soaked wings is the fruit of all five, eating up the same vitaminic propensity to stretch the sky of their dreams, their yearnings and sighs, always striving to cancel any visit to the surface of joy, so little use to these now adult and conscious children.

Traces of a temporal overtaking, compared to other Italian bands, are highlighted by the structure that does not envisage the song form as a stratagem to arrive at the pleasantness of listening, but wants to reach us through a plot, like a tale that develops in the earthquake of the disorder of a life that died before it desired flight.  Because, if you pay attention, Icarus is a dream, therefore a mental place, a private matter and structure. To be brought to light, the Sicilian band visited the sky, up there, beyond the stratosphere, where light is a scream without a window. And so the journey backwards is intuited (that guitar and bass are the magnets that bring order, while the synths are the lead-filled wings that give way, falling into the centre of the abdomen, to give the softness of happiness the nightmare of reality), and then make the leap forward

Everything is tense, perverse, on the run, underlining how music is the writing of the soul, which, in this case, starts as far back as Mythology.

A resounding album had sentenced the (undoubted) qualities of a great work, but here they have gone further: epic, dreamlike, dramatic, sensual, even in the face of a dead man predestined for the deception of human history. The five take care of him, give him a new meaning, give him a harmonic line full of that sadness that consoles and makes us feel at home. They enable us to visit the unknown, to simplify it, to spill tons of melancholy in simple verses but with the specific weight of a free-falling sky.  Icarus doesn't know whether to advance in the wake of the celestial face, and Miriam and Kurten invent an extraordinary stratagem: injecting the verses with smoke and blindness, to make any attempt to escape deadly, to consolidate the emotional labyrinth that permeates every inch of this composition. 

The walls are found to be wax paintings, but a far cry from those of Litfiba: here the invoice is not of geometric ordinance, rather a treatise that enters the musician veins of minutes deliciously filled with a fog that restores the sacrifice of Icarus, put by the group in a position to interrogate our minds. 

Jack's drumming is the seal that nails all music in being a funnel, into which Icarus tries to climb, not wanting to know the immensity of the void behind him. 

Such a piece is not born in a rehearsal room, from a jam, but from the persuasion of a path that needs the hands of time and patience. A seam, after a perfect tacking, gives us the immense construction that is not divided into stages but in growth, exactly like the career of this group to which we surrender our every dream: to see them on the roof of the world flying, fearlessly, together with Icarus, benefiting from our eternal embrace.  Maestro Alessandro Calovolo used to say 'And it is joy'.

I, with fear and modesty, would add:

"With Icarus it is freaky joy that falls from our feathers"....


In conclusion: get into the habit of leaving it in a continuous play, because it is only from total dependence not on a miracle but on hard and serious work that one learns how little it matters to listen to so much nonsense.

Take up residence in Noktva's house and you will have a sensible, fluent, dreamlike sadness in free flight...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

26th September 2023


https://noktva.bandcamp.com/track/icarus








domenica 24 settembre 2023

La mia Recensione: The Kinks - You Really Got Me

The Kinks -  You Really Got Me


“L’amore a prima vista è come vivere un secolo in un secondo”

 François Truffaut


Le cose viste dall’alto sortiscono il medesimo effetto di un ricordo: si ha sempre l’impressione che quella distanza non sia raggiungibile.

Londra. Primi anni Sessanta.

Una officina di sensi liberati, il servizio militare obbligatorio abolito, la volontà di procreare senza il timore di una nuova guerra liberavano le anime di migliaia di famiglie e la Middle Class conosceva uno splendore e uno sviluppo mai vissuto prima. Di lì a poco sarebbe nata la Swinging London, il motore della sicurezza emotiva, economica, alla conquista del mondo. Un agglomerato urbano attratto dalla forma espressiva delle arti in genere, sentenziando un dominio totale nei confronti delle altre città inglesi. Ma un pesante limite adombrava quei movimenti in eccitamento continuo: le fortune, le attenzioni erano concentrate nel nord, tempio di una intimità anomala in grado però di accentrare gli interessi.

Nella musica c’erano i Beatles.

Le robuste inclinazioni a differenziare quello stereotipo (mi riferisco ovviamente alla musica) furono rese manifeste da una band di minorenni, intenti a suonare principalmente cover e con due soli loro pezzi in repertorio. Si chiamavano The Kinks, l’autentica e vera scintilla in grado di illuminare e spegnere, al contempo, il futuro della capitale inglese e i fasti di città come Liverpool, Newcastle e Manchester.

Una ventata di pazzia geniale, inconsapevole, sotto pressione da parte di una casa discografica che aveva fretta di incassare in quanto il tempo, tra il 1962 e il 1964, era misurato in base alla capacità di riempire le casseforti di banche che erano le prime a essere interessate.

Qui arriva il  miracolo: una festa, la band che suona e una ragazza, senza nome, mai più rivista dal cantante, che fa vivere l’adrenalina del giovane sino a condurlo a una vera e propria sbandata. 

Tutto inutile: l’amore non si concretizzò, bensì nacque uno dei riff di chitarra più famosi della storia.

Potrebbe bastare? Neanche per scherzo.

La pressione della Pye Records, la ragazza scomparsa nel nulla, nuove band che emergevano, avevano creato una fulgida esplosione contenuta e fu un rasoio da barba a cambiare la faccia e la storia del rock. Che, seppur non nacque con la canzone di cui vi sto parlando, da qui innalzò il tiro, divenne strategica, contemplativa, una libellula dalla pelle ruvida, lanciata a modificare le impalcature sia del suono che della forma espressiva.

Già, il suono: quel rasoio che tagliò il rivestimento dell’amplificatore ne rivelò uno mai udito prima. Nello studio di registrazione si fece di tutto per riprodurlo e ci riuscirono. Pochi accordi, il testo, circolare, ripetitivo, dal concetto semplice: il tutto divenne la prima bomba benigna della musica degli anni Sessanta. Un pezzo  con l’incredibile capacità di fare di tutto una locomotiva dalla presa rapida, veloce e scattante, con una forza notevole che, giunta a uno straordinario solo di chitarra sbilenco, sconclusionato, imperfetto, ma in grado di rapire i sensi per farli esplodere, definiva per sempre un via libera alla creazione di note robuste, che in poco tempo entrarono prima nella psichedelia e poi nel rock, per toccare le caviglie del punk.

Londra non credette ai suoi occhi e soprattutto alle sue orecchie: un brano solo aveva fornito l’ulteriore scusa per accentrare gli interessi e tutto si illuminò, spingendo nuove formazioni musicali a seguire quel sentire semplice ma in grado di dare le stesse emozioni forti del blues e del rock ‘n’ roll.

Lo stile dell’esecuzione non trova che pochi precedenti ma privi della dissacrazione che quell’amplificatore mutilato aveva conferito, per regalare alla Storia un esempio mastodontico. 

Influente, rilevante e generosa, un regalo del fato che nella durezza è stato gentile con quei giovani ragazzi vicini alla depressione: quando la rabbia diventa preziosa i risultati non possono mancare.

Interessante è invece la genesi, i primi accordi, con un marcato bisogno di approcciarsi a Fats Domino, vero idolo della band. Poi il fattaccio e ora siamo qui a gridare al miracolo… 

Le voci, quando si raddoppiano sin prima del ritornello, diventano l’onda che dalla Manica arriva agli Usa, spiazzando la nutrita e potente unione di formazioni musicali che giocavano con il blues più robusto, ma che ancora non sapevano che nuovi generi  erano in un ventre che doveva ancora partorire una novità poderosa. 

Quella cavità era in mano ai Kinks, con una canzone sola, per  dare al futuro un ventaglio di accessi, possibilità, squilibrando il Beat, il Pop, per creare un nucleo distante e accessibile.

Breve, come consuetudine dei tempi, ha avuto il merito di divenire lunghissima con il passare degli anni perché da quei bagliori un universo parallelo scese sul pianeta Terra. I Byrds, i Cream, Jimi Hendrix, i Led Zeppelin sino ai Deep Purple, avevano solo da accendere un cero all'interno dei loro circuiti compositivi e riconoscere ai Kinks un merito che dura sino a oggi… 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

24 Settembre 2023


https://youtu.be/fTTsY-oz6Go?si=y5FQXu5YwQRr3GU2







My Review: The Kinks - You Really Got Me

The Kinks - You Really Got Me


"Love at first sight is like living a century in a second"

 François Truffaut


Things seen from above have the same effect as a memory: one always has the impression that that distance cannot be reached.

London. Early 1960s.

A workshop of liberated senses, compulsory military service abolished, the will to procreate without the fear of a new war liberated the souls of thousands of families and the Middle Class experienced a splendour and development never experienced before. Soon Swinging London would be born, the engine of emotional, economic security, conquering the world. An urban agglomeration attracted by the expressive form of the arts in general, ruling total dominance over other English cities. But a heavy constraint overshadowed those movements in continuous excitement: fortunes, attentions were concentrated in the north, the temple of an anomalous intimacy capable, however, of centralising interests.

In music there were the Beatles.

The robust inclinations to differentiate that stereotype (I am of course referring to music) were made manifest by a band of minors, intent on playing mainly covers and with only two of their songs in their repertoire. They were called The Kinks, the real and true spark that could simultaneously light up and extinguish the future of the English capital and the glories of cities like Liverpool, Newcastle and Manchester.

A flurry of genius madness, unaware, under pressure from a record company that was in a hurry to cash in as time, between 1962 and 1964, was measured by the ability to fill the safes of banks that were the first to be interested.

Here comes the miracle: a party, the band playing, and a girl, unnamed, never seen again by the singer, who brings the young man's adrenalin to life to the point of leading him into a full-blown crush. 

All in vain: love did not materialise, but one of the most famous guitar riffs in history was born.

Would that be enough? Not by a long shot.

The pressure of Pye Records, the girl who disappeared into thin air, new bands emerging, had created a contained explosion and it was a razor shaving that changed the face and history of rock. Which, although it was not born with the song I'm telling you about, raised its pitch from there, became strategic, contemplative, a rough-skinned dragonfly, launched to change the scaffolding of both sound and expressive form.

Yes, sound: that razor that cut through the amplifier casing revealed one never heard before. In the recording studio everything was done to reproduce it and they succeeded. A few chords, the lyrics, circular, repetitive, simple in concept: the whole thing became the first benign bombshell of 1960s music. A piece with the incredible ability to make everything a fast-moving, snappy, snappy locomotive, with a remarkable force that, when it reached an extraordinary lopsided, rambling, imperfect guitar solo, but capable of rapturing the senses and making them explode, defined forever a green light for the creation of robust notes, which in a short time entered first psychedelia and then rock, to touch the ankles of punk.

London did not believe its eyes and above all its ears: a single song had provided yet another excuse to centralise interest and everything lit up, prompting new musical formations to follow that simple yet capable of giving the same strong emotions as blues and rock 'n' roll.

The style of performance found only a few precedents but lacked the desecration that that mutilated amplifier had bestowed, to give history a mammoth example. 

Influential, relevantly generous, a gift of fate that in its harshness was kind to those young boys close to depression: when anger becomes precious, the results cannot be missed.


What is interesting is the genesis, the first chords, with a marked need to approach Fats Domino, the band's true idol. Then the big deal, and now we are here crying out for a miracle... 

The vocals, when they double up just before the refrain, become the wave that reaches the USA from the English Channel, displacing the powerful union of musical formations that were playing with the most robust blues, but did not yet know that new musical genres were in a womb that had yet to give birth to a mighty novelty. 

That cavity was in the hands of the Kinks, with one song, to give the future a range of access, possibilities, unbalancing Beat, Pop, to create a distant and accessible core.

Short, as was the custom of the times, it had the merit of becoming very long as the years went by, because from those flashes a parallel universe descended to planet Earth. The Byrds, Cream, Jimi Hendrix, Led Zeppelin up to Deep Purple, had only to light a candle within their own compositional circuits and acknowledge to the Kinks a merit that lasts to this day...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

24th September 2023


https://youtu.be/fTTsY-oz6Go?si=y5FQXu5YwQRr3GU2










giovedì 21 settembre 2023

My Review: Cranes - Loved

Cranes - Loved


"Magic is a bridge that allows you to pass from the visible world to the invisible one" Paulo Coelho


The Old Scribe, looking forward to listening to this work again, finds himself erubescent, pierced by daring emotions that bypass comprehension, as the trio, led by the two members of the Shaw family (Alison and Jim), finds Loved continues the nomadic path of a hyaline sampler, capable of whipping up joy within a perimeter in which the band's greatest desire is to postpone, not to remain anchored to the expressive modes of the past. The experimentation in treading artistic waters continues, experimenting with the effects of the glow within the magnetic sphere of depression, but only apparent. Everything navigates, in these slow oil-filled tracks, in achieving the exposure of the initial project, taming it, making it obedient in order to churn out powerful sonic incandescences. One is subjugated by a visceral, disturbing magic, with compositions that reach the place of harshness, seemingly abstruse, pushing our souls to an almost spectral inner turmoil. The primary sensation is one of amazement at the marked need to listen to the songs with an odorous aroma, because the songs truly intoxicate, they know how to attract like the enchanting Alpine sunset. The circumstances that spawned this work are within a cruet covered with secrets and wiles: Alison has never been an ambassador of the band's strategies and tasks, rather an armed queen of the silent modus operandi, the one that reaps victims without a blow. A concept album penned with guitar bundles prone to psychedelic substrates, without leaving behind the sweetish flavour of acoustic guitars that have the task of making the numerous reversals that make each individual episode the key to surprise and enchantment more approachable. Elegance, when twilight, never leads to screaming but rather to governing the cavern of secret considerations that tend to envelop the whole without it taking the road to success.


The sound scrapes, captures, makes you melancholic, establishes contact with frustration that becomes an assured orgasm, although one can never detach oneself from the concern that LOVED is not only a necessity and an expression governed by art, but that it is prone to host fragments of a reality perhaps contrary to the conviction that serenity can exist. The music, like Alison's voice, is a continuous icastic event, which not even a good film can sometimes convey. When you manage to coordinate routes of different styles and genres within a dusty cylinder of mystery, it means that being multifaceted is not just a structural fact. And they had already demonstrated this in the previous three long-distance moments. The fourth episode has a more disconcerting and disorienting approach: dissonances, progressions, and moody departures are joined by new instruments and consequently new possibilities in the writing of what increasingly resemble souls caged in a stormy day. The dreamlike scenery is not lacking, given not only by the singer's childlike voice, but by the continuous, flowing circle of brushstrokes that suggest their delicacy. There are imprints of glaciations, of soaring moods, of polite but still corrosive tribal rhythms, like a magnet carrying all the required treasure. The propensity to create apocalyptic scenarios remains and is an unceasing throb that gives uniqueness to the listener, who finds himself privileged by a work that has no equal.  Concentrated, intense, it never squanders intensity although it is mainly in the B-side that everything is filled with mystery, in the catharsis that needs calm and dexterity. In fact, after the first three sturdy songs, the three members concentrate on spreading the flames, educating the young compositions to study history, including musical history, and it is at that moment that the centre of gravity shifts, delighting and at the same time making us lose all expectation for the subsequent sound settings. When the moody breakdown appears in the vicinity of our pulmonary alveoli, one feels as if barricaded inside a nomadic camp, with dirty silver in our hands...


There is no shortage of Gothic stereotypes (DNA cannot be disobeyed), but it is not those that generate a leaden and craggy imprinting, because the amalgamation between non-similar periods and styles is the crowning glory of their evident maturity. The ideas are so clear that the sonic kaleidoscope becomes an impressionist painting, not to mention the album cover, in which three figures gaze in different directions within a light-coloured mudscape prone to emotional torpor. The dusk, the weary seasons, the ache of living find a convincing mode of tenancy, and, through Alison's anxious vocalisations full of tenderness, an embrace with a fulfilment that leaves one stunned: an artistic parental globe from which procreating a future seems inevitable. And so it did...

An almost hidden joy walks on its toes, lightly, without disturbing great connections in which the fatigue of daily presence is expressed by lyrics that visit stories that are also capable of being ambiguous, at times not entirely perceptible, giving another, extreme, pleasure. The spirituality in the ten tracks (eleven on the CD) travels at high speed, overtaking the rhythm of several ballads, of slow-paced songs, offering another tangible sign of uncommon mastery. 

For the first time, the need for an orchestral build-up arises, conveying intensity above sound, rolling one's eyes in dreams full of classical adrenalin. Desolation becomes the witness of an authenticity that cannot be denied, but to which a gag is attached, to govern it and not leave it too much space. Subdued tones, sudden flashes of lightning, suites to elasticize extraordinary musical loops, make one cry out for a miracle as everything is organised with style, respect, leaving a crack in which wonder can breathe...

The xylophone and strings are magical axes, the gift of the Gods, who have positioned their pass within these compositions that make one shudder with tension and melancholy: let it be acknowledged that LOVED is a solo of a day destined to fade into the perpetual fading of our breaths...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

21st September 2023


https://spotify.link/EAYTkgzTgDb





La mia Recensione: Midas Fall - Cold Waves Divide Us

  Midas Fall - Cold Waves Divide Us La corsia dell’eleganza ha nei sogni uno spazio ragguardevole, un pullulare di frammenti integri che app...