giovedì 23 febbraio 2023

La mia Recensione: The Slow Readers Club - Knowledge Freedom Power

 The Slow Readers Club - Knowledge Freedom Power



Dove eravamo rimasti?

Ci sono magie che perdono quota, approssimazioni e illusioni che rubano spazio, nell’oceano della confusione che cancella la realtà e crea nel virtuale un accesso libero che, oltre a confondere, diseducare e a livellare con un vistoso ribasso la vita, conduce a una frenetica corsa verso l’apparenza.

La distanza tra le persone, questa vecchia signora, ha le ore contate.

Qualcuno può darle una mano? Può farle coraggio, sostenerla?

Magari utilizzando in parte gli stessi elementi della modernità, magari solo per poter giocare apparentemente la partita con le carte truccate di cui si diceva prima?

Sì, i The Slow Readers Club lo sanno fare, e benissimo.

Così avanti anche a loro stessi medesimi, l’ultimo album è il loro capolavoro evolutivo, il sorprendente percorso che abbraccia la loro carriera e la rende una fotografia lontana, da guardare ma senza più nessun grado di parentela.

La band di Manchester sta costruendo un palazzo di vetro, un luccichio per mostrare i meccanismi delle idee e della classe a disposizione per poter diventare quattro chip collegati al futuro, non come sfida o per curiosità, ma per una necessità di essere un sistema solare dentro la gabbia nebbiosa di un presente che può schiacciare. Non più tristezza e lamento: basta con la propensione a rendere accessibili i flussi di disagio e stop alle descrizioni di ciò che sconfigge la vita. Occorre l’abilità di creare nuove strade, nuovi cieli, inclinazioni, portando un impeto progettuale che sappia creare spazi qualificanti e diversi. Da qui il miglioramento/cambiamento che arriva alla musica partendo dalle loro identità umane. Spazzano via la concorrenza con un album che raccoglie un sudore mentale, un esercizio di alternanze sonore, ambientali, e attitudini per una corsa che diventa radiosa: avrebbero potuto far suicidare la loro musica con cliché ripetuti, escogitare hit come calamite. Invece sono diventati un cantiere nel cielo dove i raggi solari baciano il buio: Knowledge Freedom Power è un semaforo con il verde e il  giallo che lasciano sempre in movimento la macchina dei loro progetti, tra sperimentazioni e oscillazioni che recano un urlo educato dentro di noi, tra stupore e una benzina da mettere nel motore dei nostri bisogni. Una nuova band che nasce già adulta e oliata, che spruzza entusiasmo ed energia e che scavalca ogni attrito. Non è beffarda con chi l’ha sempre amata e seguita in questi anni, perché i quattro mancuniani hanno sempre avuto rispetto per i loro fedeli sostenitori, senza per questo rinunciare alla possibilità di un percorso che rivelasse le loro esigenze artistiche.

Vorrei tranquillizzare chi teme che in tutta questa identità positiva siano scomparsi del tutto la sensibilità connessa alla tristezza, a una certa decadenza e sana cattiveria: è tutto integro e perfettamente bilanciato, magicamente, tra le nuove forme espressive. 

L’amore per la vita, la condivisione del male, la prospettiva da costruire, il sole e il buio trovano un tavolo su cui tracciare ipotesi, argomentazioni fitte e precise che lasciano a tutte le componenti la possibilità di manifestarsi: un album di per sé miracoloso già solo per questo motivo. L’euforia è un’arma che la band di Manchester usa in diversi momenti, conducendo l’ascoltatore a sorridere e a sognare, ad allontanarsi dal baratro, ma quest’ultimo viene usato per non sbilanciare il tutto verso gli eccessi. 

Sorprende questa volontà di spaziare nelle canzoni come se fossero foglie composte dello stesso segreto dei serpenti: la vita è cibo, e per consumarlo bisogna approcciarsi con le armi giuste, strategie tra i denti, passando tra schemi sonori permeati dall’elettronica dai manti musicali votati all’enfasi e a una dolce manifestazione di chitarre con la nebbia negli occhi ma inclini a scovare i raggi solari.

L’oscurità però rimane: fa parte di un passato che non vuole imporsi ma tantomeno arrendersi, e lotta con i suoi artigli che, come vedremo nella descrizione canzone per canzone, in alcuni episodi mostra il suo ardore, il suo nervosismo, come una pancia che ha al suo interno un vecchio feto scalciante. 

I suoni sono la vera identità del tutto, un filare di uva pronta a essere raccolta per un nettare immediato che inebria e conquista, senza esitazioni. Non più “solo” brani, ma travi, arbusti, radici, lame di ghiaccio con la giusta coperta per avvolgere l’ascolto in una zona dove anche il più triste brilla per profondità e immediatezza. 

Joe Cross ha messo il quartetto nella condizione di essere dei soldati educati a una battaglia gentile, nella quale l’attitudine a usare i synth come trama principale si accosta al rock, con la volontà di tessere melodie e ritmi in grado di non far preferire uno rispetto all’altro, donando incastri perfetti. In questo modo le canzoni, una dopo l'altra, diventano un abbraccio forte e delicato, in cui il ritmo spesso si trasforma in una danza dagli occhi aperti al futuro e uno sguardo indietro, senza perdere l’equilibrio.

La voce, in tutto l’album, è una lacrima che, rivelatasi solida e fredda, scalda il cuore perché nel suo linguaggio diversificato, più positivo, nulla può cancellare la sua pelle: Aaron commuove come non mai, i suoi guizzi, i suoi falsetti più melodici e ancor più potenti del passato sono rasoiate continue. Le sue ricerche per trovare armonie e ritmi inclini al convincimento sono pazzesche, in quanto strutturate per conficcarsi nella mente, in una metamorfosi minima perfettamente riuscita, come se ci fosse stato un piccolo bisturi a modificare leggermente l’impianto che conoscevamo a memoria. I brividi si affollano, lo stupore prende il palcoscenico per non lasciarlo più e, canzone dopo canzone, quelle sue corde vocali diventano corse inebrianti, conducendoci a un canto sguaiato, ribelle, riuscitissimo.


La loro muscolosa distopia non è morta, in pericolo o quant’altro, ma è in compagnia di qualcosa che somiglia all’opposto per conferire alla musica un volto pieno di sfumature e approcci poco prevedibili, dove il tutto conosciuto ora diventa ancora più gonfio, pieno di poetica maestria. Il loro album migliore vi aspetta, sappiate approcciarvi con gli occhi sgombri da qualsiasi inquietudine, perché questa la troverete, spesso camuffata, ma sempre presente. I lettori lenti ora leggono più velocemente, in quanto il futuro non può più essere una vicenda di cui non occuparsi e loro lo hanno saputo fare benissimo…


Song by Song


1.Modernise


Ad aprire questo lavoro è un brano vigoroso, tra i vecchi TSRC e i Muse, con un violento synth e un basso sontuoso, che determinano la linea del loro sesto lavoro. Vengono offerti varianti stilistiche, alternanze strumentali, cavalcando il rock e l’elettronica attraverso grande passione e capacità, con il ritornello che libera la pazzia… 





2.Afterlife


Una perla vibrante conquista l’ascolto, con la tecnica strumentale che rivela maggiormente il talento e la direzione, con la sua potenza che va colta e assimilata, e che generosamente svela i loro muscoli inseriti tra le note, facendo sì che tutto sia un delirio ipnotico.

Dicevate che erano cambiati? Avevate paura? Non siate sciocchi (anche se cambiare è legittimo): qui siete tra le mura di Manchester pronti a balzare per le strade del mondo ballando, con la pelle sudata di tristezza e la voglia di vivere in una convivenza difficile ma possibile. Straordinaria! 




3.Sacred Song


Se il futuro deve essere un luogo pieno di empatia e rispetto, Sacred Song è la canzone adatta per guardarsi in assenza di astio e ridere con consapevolezza e maturità, il luogo in cui i sensi saranno sorpresi e la masticazione del tutto porterà via del tempo se siete esigenti e incapaci di accettare la crescita di questi ragazzi diventati con il tempo uomini. Siamo in presenza del sole, della luce, di energia regalata in un fascio scatenato di emozioni che vi conquisteranno.




4.Lay Your Troubles On Me


Si piange, si riflette, si scoprono le carte, in questo vascello nelle antiche acque del porto di Salford. La voce, la melodia del cantato, l’arpeggio della chitarra di Kurtis, il drumming perfetto di David e il basso lineare di Jim fanno di questo brano un pianto sereno, che esploderà nel petto verso la fine…




5.How Could YouKnow?


Lo stupore non ha limite, all’interno dell’arte dei Mancuniani: eccone la prova in un fraseggio subliminale, un modo elaborato per pianificare l’incanto che si veste per truccare le carte. La canzone è il crocevia dell’album, sintesi e sviluppo di una alchimia che abbisogna di ascolti, ma saprà deliziarvi una volta sfiorata la sua pelle magica. Un inno che ha granelli di mistero, una matrioska liquida che troverà la condensa perfetta quando avrà raggiunto il vostro cuore. Un altro momento in cui una composizione può avere senso dentro l’immensità di uno stadio per la sua coralità avviluppante.



6.Knowledge Freedom Power


Il primo brano uscito ad annunciare il nuovo album è una corsa che conosce piccole pause, con la parte centrale che diventa un inno alla consapevolezza. La strofa è come sempre un ipotetico ritornello per molte altre band, per stabilire ancora una volta che con loro il genere musicale è l’ultimo dei pensieri, perché si è avvolti da rock, elettronica, pop e tanta gioia che bacia il dolore…



7.What Might Have Been


La canzone preferita del vecchio scriba, senza dubbio.

Tutto si fa anni Ottanta, maestoso, gigante, con la sensazione che potrebbe essere il brano adatto per identificare tutta la loro carriera, comprensiva di un background che non è dimentico degli Smiths, che in qualche modo sembrano presenziare per poter applaudire una creazione “enorme”. E l’SOS amoroso  di Aaron alla fine conquista definitivamente.

La potenza ha mille forme e modalità per questi talentuosi Mancuniani, e qui la rivelano tutta, mostrando come sappiano tirare giù il cielo e riempirlo della grandezza terrestre…






8.Seconds Out


Le tenebre umane mostrano la loro profondità nello splendido ottavo appuntamento, dove si può avere la sensazione di essere soffocati, imprigionati dalle proprie incapacità. Tutto torna, il loro Dna è algebra, piume di dolore che spuntano fuori dal cuscino per interrompere il nostro sonno. 

E come dentro una catastrofe naturale inarrestabile, tutti i sensi sembrano spaiati e persi. Della serie: quando per avere un arresto cardiaco ti basta ascoltare una canzone…




9.Forget About Me


I fratelli Starkie trovano il modo per essere impetuosi con delicatezza, in un esercizio straordinario e che a un certo punto permette di rivelare il miglioramento vistoso di David con il suo drumming solare, pieno di energia.

Per non parlare poi di quei Synth che baciano la luna.




10.No You Never


Tutto il passato della band si dà appuntamento nell’ultimo brano, per stile e riferimento musicale, ma ancora una volta qualcosa di pulsante, immediato, necessario, mette la testa fuori per corteggiare quella che sarà sicuramente la canzone che metterà tutti d’accordo. L’apoteosi deve sempre manifestarsi alla fine…



Per concludere: programmazione e genuinità, talento e forza, fantasia e drammi tenuti per il bavaro. Tutto questo permette di affermare che il disco che può insegnare molto è proprio tra le vostre mani…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

24 Febbraio 2023


https://open.spotify.com/album/5Hjrk5ZrtyQgt0MDzdT6nu?si=NBTijMMKTAmNT7z_SSJEbw





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