mercoledì 21 settembre 2022

La mia Recensione: Gaetano Nicosia - Sparare a vista

 La mia Recensione:


Gaetano Nicosia - Sparare a vista


C’è qualcosa di devastante per lo scriba nell’essere anarchico: una serie di torsioni mentali ed emotive che si raggruppano nell’incredibile oceano di ingiustizia che l’essere umano crea, porta avanti e addirittura difende.

E la voce diventa sempre più sottile, con la tendenza a sparire. Ma poi in soccorso arriva un album, che crea spazio alla speranza, anche se nel farlo non manca l’occasione per piangere e specificare una rabbia davvero immensa.

L’artefice è un avvocato dal cuore enorme e dalla mente lucida e combattiva che muove la sua arte dentro coscienze ammutolite e purtroppo soprattutto assenti. Scrive un lavoro composto da nove esplosioni per svegliarci dal torpore che fa dimenticare la follia del male che non esita a sparare sulle voci che si oppongono al potere. L’unico modo per silenziare e rendere innocuo il tentativo di spodestarlo.

Sono una madre e suo figlio i protagonisti di questo progetto: la loro storia cucita nella modalità di uno Stato volgare e prepotente, dal grilletto facile. Sono nove “no”, nove “basta”, nove “vi fermiamo noi” che con convinzione e abilità sfoderano la loro forza e credibilità. E la morte di un ragazzo diventa messaggio di resistenza, la stessa praticata da una madre ferita gravemente ma con ancora respiri da vivere, sanguinanti e tremendi.

Gaetano usa dolcezza e irruenza, un senso urgente per non far addormentare la memoria e sveglia il mare di indifferenza e distacco con composizioni impetuose, frastornanti, come dinamite dalle mille sfumature, perché il senso del dovere gli fascia l’anima.

Un concept album dalla faccia piena di rughe nella sua storia per poterne però creare una nuova, dove lo spirito guida sia la consapevolezza.

Se l’incipit giunge dal libro del collettivo N23 “Perché non sono nata coniglio”, dove la storia di Roberto Franceschi diventa la lotta di sua madre per restituire al cielo tonnellate di doverosa giustizia, Gaetano raccoglie la tensione, la sviluppa e le dona parole e musica per trasportarci dentro una nube nera, nella quale immaginare che non sempre le ingiustizie rimangano quelle degli altri. Così facendo scattiamo in piedi non per ballare o cantare ma per reclamare diritti che dormivano nel letto della nostra intorpidita coscienza.

È il rock che torna ad alzare la voce, che ritrova una funzione sociale, con l’obiettivo perfettamente raggiunto. Lo fa individuando il nemico, la storia che lascia ferite e lacrime, trasformando queste canzoni in un’enorme sveglia nella testa.

Le chitarre, il basso, la batteria: una officina che si sposta in un hangar, per divenire cacciabombardieri con le parole urlate e sussurrate dalla gola di Gaetano, che diventa una furia anche tramite l’ottimo lavoro di produzione di Flavio Ferri, trovando il modo di precisare senza sbavature l’infinita corrente elettrica di una storia drammatica e la sua conseguenza.

Musica da tenersi stretta, da temere, da seguire, da sviluppare nei nostri spazi solitari, per poterci davvero connettere al mondo al fine di essere perfetti animali sociali, senza nessun risparmio da esibire. Un disco con il sudore e i brividi, che genera febbre e smottamenti, attraverso il quale il dito viene puntato contro le istituzioni, i comportamenti menefreghisti e svuotati dal rispetto che Gaetano invece mostra come assolutamente necessario.

I ritmi sono carichi di vibrazioni, le canzoni di inclinazioni verso la robustezza dove le distorsioni sono calibrate e non atti di fighetteria stilistica.

Nell’architettare questo concept album l’artista milanese ha setacciato, è divenuto un segugio di informazioni precise per poi convogliare il tutto in riflessioni che ha musicato, dando loro la capacità di inserirsi perfettamente nel desiderio che le canzoni diventino fiumi dove la vita torni a galleggiare e non l’ennesima macchia di petrolio a inquinare.

Ecco che allora la musica diventa utile e spazza via il gusto, la preferenza, la confidenza con la zona di conforto che alla fine è una discarica tossica.

Gaetano Nicosia si è immerso in atmosfere col mitra e l’elmetto, con le ginocchia piegate dal dolore, riuscendo però a farci vedere il cielo e a farci assaggiare il desiderio di cambiare le cose, avendo prima capito il da farsi.

Un album con le maniche arrotolate, un via vai frenetico di solidarietà e sostegno per il dolore di quell’ingiustizia che ha portato via una vita da questo mondo e fatto lacrimare la madre. Ma così come quella donna ha usato il dolore per reclamare desideri legittimi, Gaeatano usa la musica per mettere a posto quello che può permettersi di fare.

Canzoni che spazzano ma anche che seminano, il tutto concepito come un flusso magnetico dove gli opposti debbono smettere di farsi la guerra.

In tre episodi (vedremo poi tutto nel dettaglio) tutto sembra rallentare e conoscere prospettive nelle quali la necessità di respirare la calma conduce a incontrare melodie più marcate, maggiormente predisposte all’incanto (che siano in modalità semiacustica, o attraverso una psichedelia con una fisicità sognante), consentendo tregua e riflessioni senza correre.

Il suono dell’album è arcigno, benigno e maligno, sempre avendo l’impressione che voglia tener conto della storia, ma con l’obiettivo rivolto verso forme di considerazione che hanno lo sguardo al futuro, come se contemplasse una strana e tagliente forma sperimentale, un’avanguardia a piccole dosi ma poetiche e battagliere.

Si fa necessario, quindi, avere il muso duro di Bertoliana memoria, questa volta in un contesto dove l’errore significa scivolare, cadere giù, nelle braccia del nemico. Ci sono fuochi da accendere, da vedere, da subire e Gaetano ce li porta dentro gli occhi, mentre le chitarre sono schegge sparse tra questi trentatré minuti di contropotere che, oltre a viaggiare tra note, strumenti e parole, viaggia soprattutto nelle mani e nelle gambe che riescono, dopo l’ascolto, ad essere un’azione concreta per impedire a quella storia di avere la possibilità di ripresentarsi. Un album che è l’onda sonora di quelle pagine: qui sono chiassose perché amplificate e pregne del ruolo di dover ribadire la triste vicenda usando la favola della musica, in quanto è uno dei pochi veicoli in grado di fornire altre armi verso i soprusi.

Qui non si tratta di un artista impegnato a spiegare ciò che succede: piuttosto è un prendere posizione e volare cantando con la mente capace di non farsi imprigionare e di incutere paura.

Non più Maestro e alunno nella palestra dell’apprendimento, bensì una strategia che attraverso liriche impetuose e strazianti diventa l’unica arma da usare. Un lavoro toccante, disagevole, che non lascia perplessità. Se è il vostro pollice su o verso che conta allora state lontani da questi paraggi perché all’interno di questo involucro non si ha tempo da perdere e l’ascolto è già una preziosa forma per arrestare il nero beffardo che sa che è anche attraverso i gusti che si addomesticano le coscienze.

Per concludere: l’instabilità dello iato tra realtà, sogno e velleità è parte integrante di questo progetto, che ha in sé l’energia, l’unica possibile, per non essere un bell’album ma una scheggia negli occhi, da mantenere sino a quando le cellule si svegliano per dare a Roberto Franceschi e a sua madre  Lydia non solo un posto di cronaca nera e il risultato di un potere omicida, ma una culla dove possano guardarsi ancora amorevolmente: tocca a noi dare a quella famiglia la possibilità che diventi una realtà bella e importante e non solo un sogno…


Song by song 



Ma io non sono Stato


L’atmosfera, sin dall’inizio, ci fa intendere come sarà l’album. L’opening track è una trascinante esibizione di chitarre fangose, con cambi ritmo che non smorzano la tensione e un basso assassino, come una legnata sulle gambe, rovista il nostro ventre. I sogni infranti di Roberto Franceschi dimostrano il Potere di uno Stato omicida.


Anime perdute


Chitarre tremanti che ci portano in zona Sonic Youth fine anni ’80, aprono il cielo di ricordi di cui Gaetano deve purtroppo segnalare la disperazione con un testo che è una pentola che straborda con la sua acqua incandescente.


Molto semplice 


Sostenuta dal basso e da un chitarra sibilo che dalla periferia giunge nel centro del cuore, questa favola nera avanza con il suo incedere rock che balbetta suoni magnifici sino alla deflagrazione.


Odessa 


Tenebrosa nel suo primo respiro, la voce di Gaetano diventa capace di volare con il suo lieve eco, mentre il sentimento sonico rarefatto con gocce blues e psichedeliche ci fa entrare nel deserto con questa atmosfera tenebrosa.


Sparare a vista


Manifesto anarchico per eccellenza, ci riempie di consapevolezza con le lacrime aggrappate a un proiettile. Il giro armonico e il ritmo ci portano dentro vertigini nere dove tutto esplode senza sosta.


Uomo nero 


Il concept album continua con un episodio straziante, dove un finto pop di convenienza sviene ipnotizzato da parole di piombo, la morte dell’Occidente che ha donato la propria libertà a una Democrazia che si arroga il dovere di fare ciò che vuole. E intanto “Noi sappiamo molto bene il male dove sta”.


Bocca a bocca


La finta ballata, l’illusione, e poi è un orgasmo plumbeo di chitarre Glam annerite, con propensione alla rivisitazione delle possibilità del rock di essere molteplice nelle sue forme. Compatta, è distorta nella sua anima ancora più che nel suono.


Urla e ricordi


I Fugazi, i Sonic Youth e la scena alternativa americana dei primi anni ’90 si riuniscono dentro questi spari lontani, in un artifizio meraviglioso di richiami punk tenuti per le orecchie, nel quale svetta un basso sepolcrale, e la capacità di dare a un assolo breve tutta la suggestione che le parole hanno inciso nella nostra mente.


Caro Papà 


Il giorno dopo la consapevolezza di cosa significhi questa storia, il suo dramma, il suo urlo, Gaetano decide di concludere l’album con una lettera a voce aperta, su un loop elettronico e la polvere psichica della chitarra che spinge i nostri occhi a chiudersi. Parole come rose in attesa di essere accarezzate, la modalità è quella di avere la stessa capacità di alcuni momenti dei Pink Floyd di anestetizzarci, di placarci. Anche la volgarità della storia umana può conoscere una canzone immensa…


FF Recordings

Produttore: Flavio Ferri


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

21 Settembre 2022


https://open.spotify.com/album/1piUiSNx53CUKvw4jUjEyS?si=-I0Zh0vsTTi0UPT3kWwgyQ









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