martedì 24 maggio 2022

La mia Recensione: Cloudwalk - Rose again; My sun, My Mind

 La mia Recensione:


Cloudwalk - Rose again; My sun, My Mind 


Nuotare nelle onde della magia avvolgente ci lascia increduli, storditi, come puledri su gambe tremanti, con la bava alla bocca per la quantità di emisferi che sembrano farci compiere un galoppo universale.

Capita talvolta con lo sguardo verso il mondo, con l’ascolto della musica che diventa proprio un pianeta da abitare e che riesce ad abitarti, quando l’attenzione e la sensibilità si prendono per mano.

Vi sto per parlare di un album che mi sta facendo fare il giro delle emozioni, di considerazioni intense, regalando l’ampiezza di cui necessito, come una esperienza energetica notevolissima.

La band è Danese, un soffio di dolcezza pura che arriva dal nord per portarci quel calore che solo la mancanza di profondità può credere che sia impossibile possa provenire da quella parte del mondo. La musica da loro composta ed eseguita con gran classe è capace di sbalordire se si va oltre dei cliché che possono uccidere la percezione: vi è un solo posto dove siano in grado di vivere ed è lo stupore. L’album è un debutto notevole: in cinquanta minuti e undici brani abbiamo cibo per l’anima che può sfamarci, scuotere la nebbia della noia e della mediocrità per sistemare la nostra vacillante intelligenza per tutto il tempo che vorremo. Accennavo alla magia ed è proprio quella che risiede nei circuiti elettrici di questo vapore magnetico, purificante e maestoso, che con il passare dei minuti lascia basiti e tremanti.

Potrei anche cercare di definire tecnicamente il genere, ma mi parrebbe riduttivo: quando si guarda dentro una cellula, tutte le specificità si assentano e gli occhi pulsano per manifesta incapacità descrittiva davanti a ciò che pare indefinibile.

Sì, certamente, lo Shoegaze è presente, come un Post-Rock rivisitato e corretto, ma il nucleo di tutto ciò molto più probabilmente è connesso a una forma invisibile che controlla la forza della natura umana.


Con questo involucro il contenuto non può che essere intenso, incline a una bellezza fatta di intensità crescente, protetta dalla luna e dal silenzio cosmico. Si entra nei rivestimenti sonori come echi di un tempo bisognoso di ascolto, dove l’aria è rarefatta e tutto diventa un regalo immenso. Appare evidente il sincrono lavoro di sinergie che creano atolli, circondati da onde musicali che stregano, segregano il banale e ci purificano.


Come una scossa confidenziale di brividi allenati all’evoluzione, tutto appare nitido per poter essere condiviso da sensi allineati in un patto saldo e invincibile.

Dinamiche desuete mostrano la loro unicità più che evidente per stordire e compattare le nostre inquinate modalità di approccio nel sentire, come un vetro che soffia verso la luce rischiarando la visione del mondo. Il cantato sempre avvolto da movimenti sonori inebrianti, sciolti, vigorosi e capaci di toglierci le briglie per condurci a un galoppo libero.


Esiste una poesia fatta di armonie come batuffoli di lana che si tuffano nella morbidezza della seta, un impianto elettrico di sobbalzi continui, adulti e consapevoli. 

C’è uno spirito di dedizione e completezza che respira tra le composizioni come se non si potesse fare altro che scrivere la storia di una bellezza antica con mezzi moderni, rappresentare il chiaroscuro dell’esistenza con delicata propensione al rispetto, senza essere roboanti nei suoni bensì nelle suggestioni che volano prendendoci con sé. 


Le scintille incontenibili sono visibili quando il poeta le tramanda con i suoi versi: così fanno i Cloudwalk, coniugando il giorno e la notte nel girone della bellezza continua, dove se si vuole essere catturati la prigionia diventa un privilegio.


Questa band sa accorciare le distanze e cancellare le differenze tra il bello e il brutto eliminando il secondo, senza dover far esplodere nulla, ma subissandolo con una classe che non può assolutamente perdere il confronto, perché la bruttezza si spegne dinanzi a questo movimento che come un cerchio che si stringe annulla il potere di chi non è avvezzo a considerare la bellezza come l’unico trono possibile.

È venuto il momento di perlustrare questo territorio che ci lascia a bocca aperta, per respirare l’immensità dell’universo in volo verso ciò che fa del mistero l’unico motivo per cui vale la pena perdersi.



Undici candele celestiali, la prima è MY SUN, l’ingresso nella bellezza con chitarre cadenzate che ricordano l’importanza dei Durutti Column e certe band della 4ad.

CAGE OF LOVE è una canzone quasi robusta con un cantato che sembra provenire da un lupo con la voce bassa, per un’atmosfera alla fine che rimane sognante.

Si arriva a STRANGER e ci si commuove: la densità del cuore trova rifugio in questa melodia adatta a un abbraccio tra le lacrime. 

MOONSHINE: si sta in attesa nell’introduzione, pronti ad un attacco. Ma poi è zona onirica meravigliosa ed estasiante. Un sogno che si apre nota dopo nota.

Una gemma dal titolo RAYS OF WISHES illuminerà anche il cuore più sordo. Se gli Slowdive salissero al nord suonerebbero così!

Lo stupore continua: un piano avvolto di luce notturna è la struttura di RISE AGAIN, al quale basta poco per sussurrarci una melodia marittima, tra onde bellissime.

Il K2 dell’album: GHOST TOWN, lo Shoegaze che si esprime nella maturità poco conosciuta, abbandonandosi a una misurata dilatazione del suono. 

E ora l’Everest: con I WANTED MORE, il volo sul mondo con le ali sonore di una canzone strepitosa, neve fresca negli occhi che piangono felici. Ci si perde nella sua struttura corposa e capace di incollarci tra le sue piume.

BULLETPROOF: anche le frecce possono compiere un cerchio… Qualcosa di sacro esce da questa marcia atipica, una processione dove si celebra la loro intensità.

Ciò che è evidente in questo album è la propensione a rendere compatti i suoni e gli strumenti, ma anche a dare spazio all’effervescente brillantezza di una chitarra sinuosa come quella di FADING WINTER: lo dimostra, basta saper attendere e si gode di questa camminata tra vibrazioni quasi vicine al thriller come  ad esempio nel finale.

Si conclude il percorso tra le candele e MY MIND è la chicca che consola, che rende ancora più valido e interessante tutto ciò che abbiamo ascoltato. È vagare nel tempo e tra le onde della chitarra che le apre per consegnarci un cantato magistrale.  


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

25 Maggio 2022


Brett Tootle - vocals, guitar Jacob Mignon - guitar, backing vocals, piano Teis Harrington - drums Amalie Dallerup - backing vocals, piano, keys Sebastian Krogh - bass


https://open.spotify.com/album/1jfHtSbupVDBCpQHUKjiQU?si=C-rYcaODTEW-_5h5KyQUtQ





Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.

La mia Recensione: Sinéad O’Connor - The Lion and the Cobra

  Sinéad O'Connor - The Lion and the Cobra In un mondo che cerca la perfezione, i capolavori, lo stupore garantito senza dover fare fati...