lunedì 7 marzo 2022

La mia Recensione: Morrissey - Speedway

 La mia Recensione 


Morrissey - Speedway


Un palo.

Un muro.

Una difesa.

E a pensarci bene è tutto un voler essere l’attacco efficace che sortisce l’effetto desiderato.

È la decadenza di un sentire sempre più in fase di allargamento.

Ci sono argini da conquistare, con la pelle dura e insensibile, come ulteriore appoggio in questa fase distruttiva.

Poi c’è Morrissey, il poeta con la mente sempre piena di onde nere e le scorte in esaurimento, ma ancora resistente.

Che ha lo sguardo fedele di chi può promettere la fedeltà a se stesso, sino all’ultima goccia della sua forza.

Nel suo album Vauxhall and I decide che la morte e la disfatta umana siano meritevoli della sua penna, della sua voce sempre più incline ad appiccicarsi al dolore e a descrivere la decadenza con la sua splendida e al contempo atroce ironia.

Ecco allora il palo, il muro, la difesa, essere i perfetti strumenti del suo essere implicato in vicende che l’hanno ferito e sconvolto.

Ma è proprio dagli attacchi subiti che il poeta di Stretford ha costruito il suo bunker antiatomico, con le ruote…

Sì perché la sua non è una difesa passiva e decide di portarla fuori, in quel mondo ormai per lui così inospitale.

E nella cantina della sua difesa, all’ultimo posto visibile e udibile piazza Speedway, la sega  elettrica ed il martello che lo faranno trionfare.

Senza gioia.

Si rimane sconvolti da come il suo antico marchio, di Smithsiana memoria (testi profondi su musiche che possono essere non pesanti), qui venga consegnato al passato.

È tempo di una atmosfera che sia un chiodo arrugginito e teso come la sua voce, come le sue parole, per un insieme compatto che possa rendere inequivocabile il suo urlo interiore. 

E quando sei avvolto da cotanta tristezza, da contestazioni che diventano lacrime appuntite, non puoi che cadere per terra sapendo che sarà la sua stessa mano a dirti che “In my own strange way

I've always been true to you” e tirarti dalla sua parte. 

Un misterioso atto nel quale ci troviamo prima condannati e poi salvati da lui stesso. 

Ma questa è la sua radice, il suo nucleo inscindibile, a cui per molti può risultare difficile essere fedeli.

E questa non è una canzone, un fare artistico che può condurre ad una serie di riflessioni.

Assolutamente no.

Speedway è la lacerazione che diventa suono dalla melodia minimale ma impetuosa, un viaggio nelle sue ferite a cui concede accesso per quattro minuti e ventisette secondi di puro delirio amniotico, perché questa atmosfera sembra provenire dal grembo di una profonda sofferenza, sempre incinta di se stessa…


Una corrente elettrica dovrebbe portare luce, forza, aiutare, consolare, fortificare, togliere la paura.

E accade solo in Speedway che tutto questo avvenga portando anche il suo opposto, generando una serie massiccia di forze arrese e paludose, come una melma che ingrassa lo sconforto.

Il brano è decisamente la manifestazione di come la sfera privata coincida con quella pubblica, in un coraggioso atto dimostrativo nel quale l’obiettivo è mostrare come la propria vulnerabilità non significhi consegnarsi inermi al nemico.

E che in realtà è ancora più grande di quella supposta.

Ma nei suoi confini esistono forzieri impenetrabili. 

Si parte dalla sua inspirazione per poi incontrare chitarre con le unghie in attesa di divenire cruente.

Una sega elettrica spiazza, stordisce e ci rende anime irrequiete.

Tutto suona unico e maestoso sin dall’inizio, in questo lievitare verso il basso, come se ogni contraddizione dovesse trovare luogo nella musica e nelle parole.

Tra e-bow e chitarra elettrica ritmica ed il basso come fedele scudiero del mistero sonico, Morrissey dal canto suo decide di fissare per sempre la sua critica, l’ironia ed il vento di follia in un cantato malinconico coi denti serrati, digrignando, tossendo con eleganza le impurità che hanno cercato di intossicarlo.

Ed è una corsa che parte per avere l’intenzione di lasciarci indietro, per sconfiggerci, per farci sapere che non sarà mai raggiungibile il cappotto nel quale si è chiuso per sempre.

Sono parole come un terremoto che vuole essere gentile: per educazione, perché in fondo nessuna sua ferita può divenire violenza gratuita. 

Non c’è bisogno alcuno per lui di alzare il volume: lo fanno le parole, lo fa il drumming che si ferma per un attimo, ampliando il senso di caduta libera nel quale la canzone ci getta senza farci dubitare mai. 

È un pugno continuo con le sue nocche ferite che ci regalano un sangue piangente ma non incline alla autocommiserazione.

E quella sega elettrica è un pugnale che rimane nelle nostre orecchie, costantemente, anche in sua assenza.


È una confessione quasi totale: rimane la certezza che qualcosa sia rimasto dentro di sé.

Quello che all’epoca era il 35enne Morrissey mostrava che la sua saggezza e la capacità propulsiva di mettere in evidenza la rabbia potevano coesistere, per arrivare dritto al nostro cuore.

Le chitarre di Alan Whyte e Boz Boorer sono la cascata che gela la pelle, il basso di Jonny Bridgwood è una spugna pregna di acqua che si svuota nel drumming potente di Woodie Taylor, per un brano dal finale denso, caotico, struggente, tribale.

Una canzone che conclude l’album con fare funereo: sembra quasi che lui spenga una ad una ogni candela del nostro vivere, svelandoci la realtà, per farci abituare al buio che sta già vivendo, coscientemente.

Tutto è un lungo fulmine che esplode in un tuono che trova nel drumming finale la sua apoteosi, sconquassando i sensi devastati dalle sue parole.

Questa unione tra il testo e la musica alla fine risulta essere il testamento di un periodo che si è concluso proprio con questa canzone: a quel tempo lui meditava l’uscita di scena, ma fu proprio con queste parole e le note musicali che avemmo la certezza che l’addio sarebbe stato posticipato. 

Forse rimane la sua canzone più strepitosa e devastante, ma non è motivo di giubilo o di celebrazioni: è un carro funebre nato da quei fulmini divenuti tuoni.

E ancora oggi siamo con le orecchie e la mente doloranti perché il poeta non ha più gladioli nelle sue tasche, ma i fenomeni turbolenti del cielo…


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

7 Marzo 2022


https://open.spotify.com/track/7wVwKqDtZ5EZHghJ82XGw9?si=3KFeRzOZQGy4-ZGusuYtOg


https://music.apple.com/gb/album/speedway-2014-remaster/859942535?i=859942556










1 commento:

  1. Non sapevo si potesse commentare qua. L ho scoperto solo adesso. Grazie Alex. Grazie per aprirci il tuo cuore e leggere dentro il nostro e condividere questo infinito amore.

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