sabato 19 marzo 2022

La mia Recensione: Sugar For The Pill - Wanderlust

La mia Recensione 


Sugar For The Pill - Wanderlust


È la bellezza non è un bisogno, ma un’estasi. Non è una bocca assetata, né una mano vuota protesa, ma piuttosto un cuore bruciante e un’anima incantata.
(Khalil Gibran)


Echi di speranza si affacciano e arrivano dalla Grecia, terra gravida di importanza, storia, fascino.

E il fascino rende possibile il movimento delle anime che si pongono domande come necessità e forma di intelligenza.

Da tre decenni una parte del mondo, specificatamente nella musica, ha collegato l’amore e la fatica del vivere con l’approccio di una retrovia rumorosa chiamata Shoegaze, con annessa la gentilezza del Dreampop.

E dalla misteriosa e poderosa capitale greca si affacciano all’album di esordio cinque angeli:

Vana Rose (voce), Spyros Mitrokotsas (chitarre), Elias K (chitarre), Stefanos Manousis (basso/tastiera) and Konstantinos Athanasopoulos (batteria).

Hanno riversato tutta la loro propensione giovanile con entusiasmo e capacità elevatissime per inondare di curiosità veloci ed enormi il nostro stupore, per essere appunto un incanto che solidifica i rimasugli delle nostre piccole gioie.

Disegnando il tempo di malinconia e positività legate insieme, danno al cielo un nuovo significato perché lo rendono non solo il luogo dei nostri sguardi, ma soprattutto il luogo dove affittare la prossima casa.

Canzoni che viaggiano convinte, persuadendo, allargando la nostra qualità di ascolto: sono semi di vita in un momento in cui la desolazione e la violenza stanno cercando di sconfiggerci.

Diventa quindi prezioso questo insieme di voli che amiamo definire canzoni.

I marchi di fabbrica dello Shoegaze ci sono tutti, ma riusciamo a trovare anche tracce di post-punk e velate propensioni pop che rendono l’album un crocevia abbondante e nutriente, che soddisfa i nostri palati sempre più esigenti.

Assomiglia ad una missione impossibile al giorno d’oggi stordire con un ascolto musicale, vuoi per l’eccessiva massa di proposte, vuoi per una assuefazione che diminuisce la capacità di un vero e profondo approfondimento.

Ma i Sugar For The Pill meravigliano proprio su questo aspetto: sanno infilzare i nostri cuori assetati di incanto e di fragore vero con costante capacità, circondando la nostra anima con un suono e canzoni che  fanno dei brividi continui una mappa serena dell’universo.

Si è felici anche quando ci propongono diamanti tristi: solo ai Maestri è concessa questa abilità.

Troviamo viali alberati di delay e riverberi che però non bastano a loro stessi: ecco arrivare in aiuto melodie intense e nuove soluzioni per rendere il tutto fresco, come un fiume che gentilmente esce dal suo letto per abbeverare le nostre anime.

La maturità artistica è presente in ogni aspetto: dalla musica, alla produzione, alla grafica.

Un disco da mettere nella cassaforte del nostro cuore come un gioiello unico, che ci fortificherà e darà sempre segnali della sua vitalità alle nostre stanche ossa.

Coniugare la robustezza, il ritmo, le melodie, la morbidezza in questo modo in quarantuno minuti è un’impresa notevole, non va lasciata sola e merita di essere illuminata costantemente da ascolti che debbono diventare fedeli.

La novità che presentano è un segno di incredibile importanza: non possiamo fare altro che tuffarci, con desiderio e intensità, nelle loro canzoni.

Esiste il momento nel quale bisogna appropriarsi della fiducia nel futuro ed è partendo da questo album che il presente può anticiparlo con grandi qualità…



Song by song 


Quicksand 


Quicksand è la poesia della polvere che senti nelle note iniziali della tastiera per poi consegnarsi nella chitarra e nel vocalizzo che sconvolge per i suoi riflessi degli anni 90 creando echi nel cuore.

Come Fontana di luce, la canzone vive dell’unione di alchimie ed escursioni celesti, con il basso che da solo basterebbe per farci innamorare. Però tutti i membri della band entrano nella bottega del lavoro, dove esercitano i loro slanci, le passioni che generano questo gioiello, come esemplare unico nel quale poter gioire, a denti larghi e sereni.


Drink Conium


La batteria dà il via a questa corsa, tutto si innalza, nel ritmo, nella intensità, con chitarre che graffiano leggermente, con il bellissimo bridge che spalanca il cielo al ritornello che è un colpo ai fianchi. L’atmosfera risulta sottile anche se il basso e la batteria sono martelli splendenti di forza.



Falling Back To You


Falling Back To You è il moto del mare che entra nella sabbia e lo fa con sottigliezza, con eleganza, mentre il drumming si alterna scandendo il ritmo con le chitarre che viaggiano nel macrocosmo del Dreampop ed un basso che, partendo dai Cure e arrivando ai Joy Division, fa da pilastro saldo per la voce di Vana Rose che elettrizza l’aria con la sua melodica malinconia.

Le chitarre di Spyros Mitrokotsas  e di Elias K sono estasi che invadono i sensi, la tastiera e il basso di Stefanos Manousis sono estasianti e vertiginosi, con la batteria di Konstantinos Athanasopoulos a dare vivacità, allegria e senso di corsa verso quel poco entusiasmo che ci è rimasto da vivere.


Soul Can Wait 


Dopo i tre singoli ecco arrivare questa canzone: Adorable, Cathrine Wheel e Swerdriver appaiono mescolati, festosi nella complessità sonora, più che in quella ritmica, della canzone. Un gioiello dalla pelle colorata di Pop.

Al minuto due e quarantacinque il brano si arresta: è la chitarra a continuarlo mostrando tutto il suo candore moderno, fascio di luce meravigliosa, che trascina la band nel finale con lo splendido cantato di Vana.



More Than a Lover


L’inizio Indie anni 90 già conquista e poi tutto si apre quando arriva il cantato e le chitarre diventano più obese e carnali. Come se gli Slowdive si togliessero il cappotto e volassero in alto nel ritornello, dando alla canzone quel senso di completezza che la rende perfetta. Seducente è vedere lo Shoegaze tout-court dalla parte che invece sembra più leggera: un viaggio tra stili che dà al brano il respiro del vento.


Moan of the Thunder


Liberata l’anima dalle prigioni mentali, ecco che si ritrova scevra da ogni difficoltà: questo brano è esemplare di tutto ciò, perché ci ritroviamo con una melodia che libera la pesantezza del mondo e Vana dimostra tutto il suo talento con un cantato che è un sorriso malinconico che abbandona la paura di vivere. E se la leggenda narra che gli Shoegazer hanno sempre la testa bassa, basta ascoltare questa canzone:  si può fare dolce rumore anche guardando gli arcobaleni.



Diamonds


Il Maestro ritmo torna per creare nuove esplosioni: ci ritroviamo in una danza che è onirica e sensuale, su territori eterei e remoti, chitarra basso e batteria sono impetuosi, generosi, mentre il cantato è una poesia che sembra provenire da una cometa.

Il suono mellifluo pare uscire da un alveare educato e gentile. Meraviglia in generoso essere.


I Wish I Was The Fire


Gli U2 sembrano aprire le danze e poi si mette a fuoco l’evidente capacità della formazione greca di saper navigare nelle possibilità di affreschi sonori che lievitano costantemente.

Con l’impronta di una gazzella veloce che sa come tenere il pathos ad alte quote, la canzone è capace di presentare l’aura gioiosa e magnetica con il drumming ed il basso che definiscono i confini di una intensità clamorosa.


Shiver 


Tensione e romanticismo si mostrano nell’iniziale pianoforte e con l’arrivo della chitarra tutto si fa più complesso: non è facile sostenere la bellezza che non necessita di fragore per essere tale.

Poi è un cristallo che corre forsennato, che provoca uno stordimento siderale: le chitarre si fanno veementi, ma tenute sapientemente più indietro.  Le evidenti pulsioni elettriche si connettono con folgorazioni melodiche maestose.



Stardust 


La “Catch the Breeze” degli anni 2020 arriva alla fine dell’album: il rimando si riferisce solo all’inizio del brano, con tutte le dovute cautele nel riferimento.

Perché poi le vibrazioni si spostano, annettendosi ad altri odori e colori.

Una chiusura che mostra un evidente affresco in movimento angelico, con la perfezione melodica che esce da chitarre ancora in strepitoso stato di grazia.

Chili di generosa inquietudine e struggimento si appiccicano alla tempia.

E la band prende sotto braccio il desiderio di suonare una sinfonia che porta le lacrime a saltare tra lo scampanellio di chitarre emozionanti.


Un eccezionale debutto rende evidente che album come questo sono la poesia che sopravvive alla bruttezza. Straordinario!


Alex Dematteis

Musicshockworld 

18 Marzo 2022


Wanderlust will be released by Shelflife (Us) 

and Make Me Happy Records (Greece) in a 12” LP.



https://sugar-for-the-pill.bandcamp.com/album/wanderlust


https://open.spotify.com/album/7uG92ZPgm55BueIhF3AVCc?si=Kjcu7tBGReCSYqU3QExCjA



https://music.apple.com/gb/album/wanderlust/1608450155









venerdì 18 marzo 2022

La mia Recensione: Dao Strom - Redux

 La mia recensione


Dao Strom - Redux


Un abbraccio quando è circolare prende tutte le zone della mente: se partiamo da questa considerazione il corpo avrà altre sensazioni, afferrerà intuizioni ed il suo perimetro sarà infinito.

Perché dall’unione dei frammenti il risultato non può essere solo numerico ma soprattutto sensoriale.

Ed è qui che l’artista Vietnamita Dao Strom ci porta con il suo ultimo film musicale: a collegare i sensi con gli occhi perennemente chiusi, facendoci toccare e vedere la sua magia nel modo migliore. 

La voce diventa una macchina fotografica, con la messa a fuoco precisa, senza sbavature, tutto all’insegna di una precisione che fa crescere fiori e può immortalare serenamente la poesia delle sue dita su una chitarra che come un’aurora boreale riesce a farci comprendere l’intensità delle particelle che dal sole scendono sulla Terra.

Può essere solo un incanto che ci mette su un tappeto volante per andare a baciarle una ad una.


Le sue parole sono dei “clic”: riprendono i corpi e i pensieri per profumarli di soffice fragranza destinati all’istante che diventa eterno.

Il suo cantato è un “clic”: riprende la spiritualità che vaga nella volta celeste e la porta più vicina, dentro i nostri sensi, per fasciarla di poesia.

Le immagini che usa nei suoi battiti sono “clic” che compiono il cammino della classe coniugata al mistero, per fare di noi bambini davanti al primo stupore.

Per la sua bellezza l’album necessita di consigli per l’ascolto: sarebbe bene mettersi seduti per terra, una candela vicino ai piedi, i testi davanti agli occhi, leggerli prima di ogni singola canzone, farli scivolare per terra, chiudere gli occhi e lasciare la finestra aperta: tutte le pesantezze del vivere prenderanno quella direzione per lasciarvi più leggeri.

E tra quei solchi esistono fila di connessioni che spingono verso una identità che muta per divenire un’esperienza dal beneficio assoluto.

Le atmosfere sono maestose ed epiche senza la presenza di molti strumenti: questa è una delle qualità dell’artista che ormai vive a Portland, ma sembra avere conservato quella spiritualità orientale del suo Paese nativo.

Con Redux Dao abbraccia il mondo per togliere le fiamme esagerate di questo momento agitato al fine di farlo divenire dolce onda gonfia di raggi solari.


Sono tracce che creano contatti tra la parte spirituale che non abbiamo tempo né voglia di conoscere e quella di un silenzioso cammino dei nostri segreti lasciati da soli. Sei come spinto a considerare che certa musica abbia il potere di silenziare la folla degli eventi che albergano in abitudini consolidate ma dannose.

Un disco che offre il riscatto, la morbidezza di una disciplina che nulla ha a che fare con la conoscenza religiosa e la sua fede.

Il beneficio non è immediato: occorre avere pazienza e come per una crema antirughe gli effetti si vedranno con il tempo. Ma la pelle della nostra coscienza, con questo album, troverà quello che la scienza non riesce a rendere fattibile: l’eternità.

Troviamo l’acqua nel deserto e non c’è confusione tra le strade delle città, le spiagge sono calore e aria che giocano a fare l’amore come adulti senza età…

Essere sconvolti da quello che non c’è apre porte abituate a stare chiuse da sempre, lei, non armata ma portatrice sana di proposte, compie il miracolo che forse nemmeno il figlio di Dio ha mai considerato possibile.

Si ascoltano note che svuotano i magazzini armati dei nostri pensieri e ci si accomoda, su quel tappeto, per imparare la calma dell’universo meno buio e meno noto.



Le canzoni



Come una lunga canzone che attraversa le colline del tempo, l’album vive dello scintillio di una chitarra che arpeggiando consente alla voce di Dao di elevarsi a guida spirituale o di divenire  una cantastorie moderna, per mostrarci il suo fotografare la vita lasciandola in movimento… genio assoluto.

Si parte con “Day That We Met” per lasciarci subito incantati tra la chitarra che rimbalza e la voce in approccio etereo.

Con “Only Angel” conosciamo la profondità del cielo e una pellicola scende dalla volta celeste con la sua voce che come un angelo ci protegge, con il cantato che conosce i piani bassi-alti per coccolarci.

Con “Caller of Spirit” tutto si fa intenso e liquido: si scivola nella profondità del tempo e la sua gentilezza prende con sé parole amare con il sorriso… Un’atmosfera malinconica non ci impedisce di vedere emozioni azzurre nel nostro cuore. E la parte elettronica di supporto rende il brano quasi trip-hop.

Se poi si vuole un film di Wenders vecchia maniera, “Jesus Darkness” potrebbe essere il brano guida. Echi di Sinead O’Connor si presentano ed il mondo si fa più piccolo.

La vita è una favola: siamo tutti dei bambini ancora, malgrado tutto, e la divina “Everything That Blows Wrecks Me”, è una ballad senza tempo che diventa la ninnananna per addormentare il male. La chitarra semiacustica che piazza un arpeggio micidiale, voci in mezzo alle nuvole ed una tastiera a rendere il tutto perfetto.

Se poi vuoi fotografare l’anima e le sue corsie intasate ecco “Inside”: se Suzanne Vega dovesse scegliere una nuova musa guarderebbe dentro questo brano: tutto sospeso, tutto vivo, e la delicatezza che soffia dentro queste voci doppiate che abbracciano la paura.

E quando le cose potrebbero essere drammatiche, “Ancestor” avanza negli ascolti perché quelle sue chitarre sono due sberle gentili che si prendono lo spazio per quotare la storia raccontata da Dao, qui Regina della saggezza.

Nuvole grigie avanzano per lasciare lo spazio alle due chitarre che sembrano felici dentro un labirinto con la tastiera che le tiene vicine e amiche. 

Con “Motherbear” siamo dentro ogni tensione che lascia se stessa per divenire un clavicembalo dorato, nella storia della vita che alimenta se stessa.

Se si ha bisogno di uno scatto fotografico del passato sarebbe preferibile tenerlo vivo lasciandogli la porta aperta: “Waking” è tutto ciò; la poesia della saggezza con le voci angeliche come benedizione.

E se ci sono segreti che potrebbero separare le persone, non si può fare a meno di “Innocent” che conclude l’album, lasciando la certezza che nel dialogo vi sia contatto e quindi possibilità di risolvere le cose. Un arpeggio che arriva da lontano, benedetto e prezioso, il folk antico che non perde la sua bellezza.

Tutto finisce per ricominciare: di nuovo foto mobili da fare perché uno scatto che blocca un momento è un assassino. Dao l’ha capito e ha reso possibile un miracolo: è da proteggere…


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

18 Marzo 2022 


https://antiquatedfuture.bandcamp.com/album/redux


https://music.apple.com/gb/album/redux/1612298044


https://open.spotify.com/album/5iCdBWl7jLOmvh1WbXiiut?si=n5Sg_Y6TQMutZbV-rCAF_w







My Review: Dao Strom - Redux

 My review


Dao Strom - Redux


When an embrace is circular it takes in all the areas of the mind: if we start from this consideration the body will have other sensations, will grasp intuitions and its perimeter will be infinite.

Because from the union of fragments the result cannot only be numerical but above all sensorial.

And this is where Vietnamese artist Dao Strom takes us with her latest musical film: to connect the senses with our eyes perpetually closed, letting us touch and see her magic at its best. 

The voice becomes a camera, with precise focus, without imperfections, all in the name of a precision that makes flowers grow and is able to serenely immortalise the poetry of her fingers on a guitar that, like an aurora borealis, succeeds in making us understand the intensity of the particles that descend from the sun to the Earth.

It can only be an enchantment that puts us on a flying carpet to go and kiss them one by one.


Her words are "clicks": they capture bodies and thoughts to perfume them with a soft fragrance destined for an instant that becomes eternal.

Her vocals are a 'click': she takes the spirituality that wanders in the celestial vault and brings it closer, inside our senses, to wrap it in poetry.

The images she uses in her beats are "clicks" that follow the path of the class conjugated to the mystery, to make us children in front of the first amazement.

Because of its beauty, the album needs some advice to be listened: it would be good to sit on the floor, with a candle near your feet, the lyrics in front of your eyes, to read them before each song, to let them slide on the floor, to close your eyes and leave the window open: all the heaviness of living will take that direction to make you lighter.

And amongst those grooves are rows of connections that push towards an identity which changes to become an experience of absolute benefit.

The atmospheres are majestic and epic without the presence of many instruments: this is one of the qualities of the artist who now lives in Portland, but who seems to have retained the oriental spirituality of her native country.

With Redux Dao embraces the world to remove the exaggerated flames of this agitated moment in order to turn it into a gentle wave swollen with sunlight.


These are tracks capable of creating contact between the spiritual side that we have no time or desire to know and that of a silent journey of our secrets left alone. It is as if you are driven to consider that certain music has the power to silence the crowd of events that dwell in established but harmful habits.

A record that offers redemption, the softness of a discipline that has nothing to do with religious knowledge and faith.

The benefit is not immediate: patience is needed and, like an anti-wrinkle cream, the effects will be seen over time. But the skin of our consciousness, with this album, will find what science cannot make feasible: eternity.

We find water in the desert and there is no confusion on the city streets, the beaches are heat and air playing at love like ageless adults...

Being shocked by what is not there opens doors that have always been closed, she, unarmed but a healthy bearer of proposals, performs the miracle that perhaps even the son of God never considered possible.

We listen to notes that empty the armed warehouses of our thoughts and we sit down, on that carpet, to learn the calm of the less dark and less known universe.



The songs


Like a long song that crosses the hills of time, the album lives on the sparkle of a guitar that arpeggiates and allows Dao's voice to rise as a spiritual guide or to become a modern storyteller, to show us her way of  photographing life by leaving it in motion... absolute genius. 

It starts with "Day That We Met" to leave us immediately enchanted between the bouncing guitar and her voice with an ethereal approach.

With "Only Angel" we know the depth of the sky and a film descends from the vault of heaven with her voice that like an angel protects us, with her vocals that know the low-high levels to cuddle us.

With "Caller of Spirit" everything becomes intense and liquid: we slip into the depth of time and its kindness takes with it bitter words with a smile... A melancholic atmosphere does not prevent us from seeing blue emotions in our hearts. And the supporting electronic part makes the song almost trip-hop.

If you want an old-fashioned Wenders film, "Jesus Darkness" could be the lead track. Echoes of Sinead O'Connor show up and the world gets smaller.

Life is a fairy tale: we are all still children, despite everything, and the divine "Everything That Blows Wrecks Me", is a timeless ballad that becomes the lullaby to put evil to sleep. With  the semi-acoustic guitar that places a killer arpeggio, vocals in the middle of the clouds and keyboards to make everything perfect.

If you want to photograph the soul and its congested lanes, here is "Inside": if Suzanne Vega were to choose a new muse, she would look inside this song: everything suspended, everything alive, and the delicacy that blows inside these dubbed voices that embrace fear.

And when things could be dramatic, "Ancestor" advances in our listening because those guitars of hers are two gentle slaps that take the space to quote the story told by Dao, here Queen of Wisdom.

Grey clouds advance to give space to the two guitars that seem happy inside a labyrinth with keyboards that keep them close and friendly. 

With "Motherbear" we are inside every tension that leaves itself to become a golden harpsichord, in the story of life that feeds itself.

If you need a snapshot of the past it would be better to keep it alive by leaving the door open: "Waking" is all that: the poetry of wisdom with angelic voices as a blessing.

And if there are secrets that could separate people, one cannot do without "Innocent" which concludes the album, leaving the certainty that in dialogue there is contact and therefore the possibility of resolving things. An arpeggio that comes from afar, blessed and precious, ancient folk that does not lose its beauty.

Everything ends up starting again: mobile photos to be taken again because a shot that blocks a moment is a killer. Dao has understood this and has made a miracle possible: it is to be protected...


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

March 18th, 2022


https://open.spotify.com/album/5iCdBWl7jLOmvh1WbXiiut?si=srfUFE8TT1SyvjCAXLJheg


https://music.apple.com/gb/album/redux/1612298044


https://antiquatedfuture.bandcamp.com/album/redux





 

giovedì 17 marzo 2022

My Review: The Boxer Rebellion - Ghost Alive

 My Review 


The Boxer Rebellion - Ghost Alive


Time travellers.

Visitors to places.

Residences that change like thoughts.

Once upon a time there was an American, an Australian and two Englishmen who became souls on the move, as if they were living the disease of nomadic beauty. 

After four years in which their amalgam became solid, these boys released their first album: after that beginning, their flight continued under the banner of constant sonic migrations, with no clichés or genres to declare themselves faithful to. Always travelling, mentally and physically.

In 2018, the sixth album arrives and everything becomes clear: grief can create an emotional and acoustic beauty, like a breath that breaks tragedies but does not forget them, giving the awareness that we must work on memory.

And so the death of the leader Nathan Nicholson's father has given rise to the need for a conspicuous intimacy that was poured out with fine feathers in songs that also contemplate the sweetness and subtle intelligence of a soul that has decided not to sink into grief.

An album which contains the need to take folk music and augment it with sonic fascinations to enhance its visionary aspect and at the same time its intimacy, because pain can also be whispered, delicately showing its ramifications.

So the eleven songs are not shots of that pain but the presentation of skills that have revolutionised it, breaking it up before and giving it light in the chest later.

If the voice, as always, is a flock flying in the company of rainbows, the instruments have tuned themselves to make intimacy sound and to do so they have given themselves the ability to breathe the wind between guitars, bass, drums and strings.

One finds oneself with shivers constantly on the skin: like a drunken orchestra that forgets its own habit and approach to the construction of music, the painters of sound decide to travel inside intimacy, dilating spaces of artistic expression, to give everything the dress of light that caresses the darkness, seducing it with compositions that often refer to classical music.

But it is not a concept album: that would be reductive. Starting from a difficulty, they took the opportunity to create an impulse with the light bulb of tenderness turned on, to take away the sense of suffocation that could have done damage.

The result shows that smiles take root over cracks, flying from song to song with that contagious force that gives the listener dreams and depth.

You fantasise with arpeggiated energy (River), indie rock shows its face with delicacy and rhythm (Don't Look Back) and you lose yourself in tenderness (Fear).

Like peaceful nomads you walk with your suitcase with a sure trajectory inside the guitar that reminds you of Nick Drake and Tom McRae (Rain), then continuing on the keys of a minimalist but thunderous piano (Under Control), until the almost psychedelic need to climb into the sky (Don't Ever Stop), finally returning to planet Earth with the tender power of a track that seems to remind us of the splendour of the new acoustic movement of the early 2000s (Lost Cause).

And you can be infinitely sweet even if you have failure in your mind (What The Fuck), and then move on to sit with wounded hands in folk stuffed with clouds (Here I am) and later to walk through the atmospheres of a sea ready to surrender but capable of redemption (Love Yourself), and eventually to go and throw your bones into the bed with a dialogue where bitterness emerges with doubts and questions (Goodnight) and to try to sleep, even if only for exhaustion.


The album has the ability to enhance the acoustic atmospheres: the sense of measure gives it the spectacular ability to be a light avalanche that overwhelms us but with elegance, taking the beats off the threshold. 

This brings us back to the sixties, when the lyrics seemed to get the better of the music, but, if you listen carefully, you will notice how much artisan work has been done to enhance every single note as well as every single word.

Simply monumental!


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

March 17th, 2022


https://music.apple.com/gb/album/ghost-alive/1567013227


https://open.spotify.com/album/5qhDOlEZCyFaNluxgfJsV2?si=QHdP_ZNwS7-aPVI2Bygz0A




La mia Recensione: The Boxer Rebellion - Ghost Alive

 La mia Recensione 


The Boxer Rebellion - Ghost Alive


Viaggiatori del tempo.

Visitatori dei luoghi.

Residenze che mutano come i pensieri.

C’era una volta un americano, un australiano e due inglesi che divennero anime in perenne spostamento, come se vivessero il morbo della bellezza nomade. 

Dopo quattro anni nei quali la loro amalgama si è fatta solido ecco che i ragazzi diedero alla luce il loro primo album: dopo quell’inizio il loro volo è proseguito all’insegna di costanti migrazioni sonore, nessun cliché e genere a cui dichiararsi fedeli. Sempre in viaggio, mentale e fisico.

Nel 2018 arriva il sesto album e tutto si fa limpido: i lutti possono creare bellezza emotiva e acustica, come un fiato che rompe le tragedie ma non le dimentica, donando la consapevolezza che sulla memoria si deve lavorare.

Ed ecco che la morte del padre del leader Nathan Nicholson ha saputo far nascere la necessità di una vistosa intimità che si è gettata con piume sottili in canzoni che contemplano anche la dolcezza e la sottile intelligenza di un’anima che ha deciso di non sprofondare nel dolore.

Un album che contiene la necessità di prendere la folk music e maggiorarla con fascinazioni sonore per esaltarne l’aspetto visionario e al contempo l’intimità perché il dolore può anche essere sussurrato, mostrandone delicatamente le sue diramazioni.

Ecco che le undici canzoni non sono scatti di quel dolore ma la presentazione di abilità che lo hanno rivoluzionato, scomponendolo prima, dandogli luce nel petto dopo.

Se la voce, come sempre, è uno stormo che vola in compagnia di arcobaleni, gli strumenti si sono accordati per rendere sonora l’intimità, e per farlo hanno dato a se stessi l’abilità di respirare il vento tra chitarre, basso, batteria, archi.

Ci si ritrova con i brividi disegnati costantemente sulla pelle: come una orchestra ubriaca che dimentica la propria abitudine e approccio alla costruzione della musica, i pittori del suono decidono di viaggiare dentro l’intimità dilatando spazi di espressione artistica, per conferire al tutto l’abito della luce che accarezzando il buio lo seduce con composizioni che spesso rimandano alla musica classica.

Ma non è un concept album: sarebbe stato riduttivo. Partiti da una difficoltà hanno colto l’occasione per creare uno slancio con la lampadina della tenerezza accesa, per togliere strada al senso di soffocamento che avrebbe potuto fare danni.

Il risultato dimostra che i sorrisi mettono radici sulle crepe, volando di canzone in canzone con quella forza contagiosa che regala all’ascolto sogni e profondità.

Si sogna con energia arpeggiata (River), l’indie rock mostra il suo volto con delicatezza e ritmo (Don’t Look Back) e ci si perde dentro la tenerezza  (Fear).

Come nomadi pacifici si cammina con la valigia con traiettoria sicura dentro la chitarra che riporta alla memoria Nick Drake e Tom McRae (Rain), per proseguire sui tasti di un piano minimalista ma fragoroso (Under Control), sino alla quasi psichedelica esigenza di salire nel cielo (Don’t Ever Stop), per tornare sul pianeta Terra con la potenza tenera di un brano che sembra ricordarci lo splendore del new acoustic movement dei primi anni 2000 (Lost Cause).

E si può essere infinitamente dolci anche se hai il fallimento nella tua mente (What The Fuck), per sedersi poi con le mani ferite dentro il folk imbottito di nuvole (Here I am) e camminare poi tra le atmosfere di un mare pronto alla resa ma capace di un riscatto (Love Yourself), per andare a buttare le proprie ossa dentro il letto con un dialogo dove emerge l’amarezza con dubbi e domande (Goodnight) e provare a dormire, fosse anche solo per spossatezza acquisita.


L’album ha la capacità di esaltare le atmosfere acustiche: il senso della misura gli dona la spettacolare abilità di essere una valanga leggera che travolge ma lo fa con eleganza, portando i battiti fuori soglia. 

Si ritorna quindi verso quegli anni sessanta nei quali il testo sembrava avere la meglio sulla musica ma un ascolto attento conduce a notare quanto un lavoro artigianale sia stato fatto per esaltare ogni singola nota così come ogni singola parola.

Semplicemente Monumentale!


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

17 Marzo 2022





https://music.apple.com/gb/album/ghost-alive/1567013227


https://open.spotify.com/album/5qhDOlEZCyFaNluxgfJsV2?si=QHdP_ZNwS7-aPVI2Bygz0A






mercoledì 16 marzo 2022

 La mia Recensione 


Puressence - Puressence 


1996

Manchester, Inghilterra 

Produttore: Cliff Martin

Label: Island Records Ltd


Nella metà degli anni 90 a Manchester esistevano due schieramenti musicali dirompenti: quello post-punk e quello legato all’elettronica con brutti ceffi dediti alle droghe e comportamenti spesso violenti.

Il Brit-pop stava già scemando come interesse forse proprio perché non definiva un preciso genere musicale bensì un agglomerato confuso che era destinato, proprio per questo motivo, a cedere e a morire.

Le realtà più interessanti arrivavano spesso dalla periferia della città, da dei borghi, da piccoli paesi dove esistevano motivazioni diverse.

Ma esisteva un controllo da quei pochi che avevano il potere di decretare il successo delle band. L’abbondante offerta ricca di qualità era sinonimo di un parziale problema, che veniva risolto in fretta supportando quelle formazioni che avevano contatti “importanti”.

Da qui inizia la lunga lista di gruppi sconosciuti o semi-sconosciuti che, pur avendo quasi sempre uno stuolo di fedeli ammiratori, non aveva accesso ad una dimensione di conoscibilità: a Manchester la meritocrazia, la gavetta non sono mai stati il motivo del successo. Poche eccezioni, questo bisogna considerarlo: The Smiths e James su tutti.

Ecco allora che da Failsworth, cittadina a sei chilometri dal centro di Manchester, Anthony Szuminski, Neil Mc Donald, Kevin Matthews e James Mudriczki, quattro ragazzi vispi, profondi, tutt’altro che spensierati, decidono di tentare il percorso musicale. Sin dal primo singolo (Siamese, 1992), tutto era chiaro: la qualità era immensa e bisognava farle posto, nel momento in cui la città viveva già del delirio dei meno abili e interessanti, dal punto di vista musicale, Oasis.

E prima dell’album di esordio, omonimo (29 aprile 1996), avevano già pubblicato 5 singoli. Ma niente da fare, per loro non c’era posto.

Lo spazio toccava ad altri.

Ma è proprio la capacità dei Mancuniani di capire la loro qualità che non ha impedito di innamorarsene e di creare una appassionata devozione nei loro confronti.

Non hanno colpe: avrebbero voluto che la band di Failsworth mettesse le ali e volasse per tutto il mondo.

Non è andata così e questi ragazzi sono rimasti, ahimè, un segreto che non ha potuto abbandonare lo scrigno nel quale erano stati relegati da persone non legate alla propagazione di una classe indiscutibile.

L’album di esordio è una adunata che partendo dal Post-punk circumnaviga l’elettronica minimalista, convogliando spruzzi Shoegaze con quella psichedelia leggera che non disturba chi non la ama ma che rende felici i puristi, sino a inserire nelle composizioni semi di quella Soul music che li ha ispirati parecchio in alcuni passaggi.

Il tutto sempre con una maschera per rendere il tutto una tela opaca, comunque splendente. 

E poi lei: la malinconia che come sorella siamese vive nella voce unica, riconoscibile e pazza di James.

Tutto ruota intorno a questo miracolo: per alcune band avere una voce simile è sinonimo di successo, per altre invece ne decreta l’impossibilità di dare spazio alla musica.

Quanto alcuni limiti nell’ascolto siano stupidi e dannosi lo si può comprendere ascoltando le 10 canzoni di questo esordio scoppiettante.

Un delirio infinito di esplorazioni, con testi cupi e descrittivi delle condizioni di disagio esistenziale e della solitudine, dei desideri, messi sempre di più in discussione.

Ascoltando questo lavoro si ha la percezione della fatica, dei nervi che graffiano le mani, di occhi sempre più vicini al desiderio di conoscere la fine. Le chitarre sono carezze, come pugni devastanti, alla ricerca di quella zona che possa condurre James a trovare una linea melodica spesso spiazzante e dolorosa. 

Il momento per scrutare come spie affamate dentro allo scrigno è arrivato: le dieci canzoni che sto per descrivere potrebbero trovare posto dentro la vostra sensibilità regalando, postuma, una notorietà che meritano ancora…



Song by Song


Near Distance


Con un inizio che ricorda i migliori The Chameleons e gli ombrosi U2 di October, si arriva presto a sentire James cantare e l’emozione esplode ben prima che le cupe chitarre salgano di intensità.

Un lento rintocco di chitarre come campane funeree con echi calibrati creano un’atmosfera quasi drammatica. Poi è un crescendo Post-punk che giunge alla completa esaltazione senza necessitare delle deflagrazioni.


I Suppose


Sono i The Sound ad apparire nei primi secondi, poi una cupa rasoiata di chitarra e la grancassa creano la possibilità di un suono cresciuto dove lo struggente cantato ci commuove. Le chitarre si fanno più grevi ed il cantato sale di intensità. Ed è un delirio di voci raddoppiate, un drumming intenso e ci si concede uno stordente mutamento dell’umore.


Mr. Brown


Eccole, addensate, infreddolite sul bordo del canale Irwell: sono le lacrime che si sono radunate dopo l’ascolto di questo flusso malinconico che genera fulmini, tuoni e laghi di gocce che nascono da occhi tristi. Tra Shoegaze e Post-punk, il brano riserva cambiamenti, sorprese, con una parte chitarristica, poco dopo la metà, a rivelare traiettorie di lacrime cupe che tentano la fuga.


Understanding


Arriva la tenerezza, un piano ed è subito incanto: il cuore trova un abbraccio nei saliscendi di una voce con le piume dense di poesia.

Si respira Manchester in questo brano: una certa lentezza, una fiacchezza che diventa un merito, un pregio, perché la storia del testo offre una intimità che fa aprire la testa ed il cuore, per una ballad moderna, intensa.



Fire


Una nuvola scende cambiando abito: diventa una pioggia di notte e arriva prima leggera e poi come tumulto del cielo desideroso di renderci fradici e senza forze. Una delle qualità più grandi dei Puressence è di creare tensione emotiva con i brani lenti. Ma arriva sempre il fragore che scuote!



Traffic Jam In Memory Lane


Una chitarra iniziale che ricorda Painted Black e poi via: è un treno il brano, viaggia spedito ed è un post-punk vellutato, si nasconde, ma il basso e la chitarra qui dimostrano di aver imparato la lezione. Soltanto il canto può separarsi da ogni condizionamento per generare un combo perfetto.



Casting Lazy Shadows


Anche quando si concedono a melodie e modi più abbordabili, come in questa sensuale canzone, i Puressence sanno stupire: gli 80’s sono qui, tra riferimenti afferrabili, verso quel pop su basi alternative che attira attenzioni.

 


You’re Only Trying to Twist My Arm


La chitarra iniziale inganna: parrebbe di trovarsi in una zona quasi glam ma poi il brano offre cristalli di cambiamento in divenire, come trappola che sa accattivarsi le simpatie. E gira su se stessa: è la chitarra che guida tutti verso la sua fame di potenza lenta.



Every House On Every Street


Quanto i Radiohead e i Puressence abbiano in comune lo rivela solo questo brano ma ci sono punti in contatto, minimi però ci sono. Da questa canzone negli anni 2000 molte band hanno tratto beneficio e spunto. Un elenco enorme.

Conquista per essere delicata senza cercare un ritornello semplice e banale. Come sommessa, nascosta, mostra la testa quel poco per farsi adorare.


India


Della serie: quando il capolavoro arriva con l’ultimo brano di un album.

Avevamo avuto già i The Psychedelic Furs con una canzone dallo stesso titolo che ci aveva stregato.

Qui, Dio volendo, è forse addirittura meglio.

La struttura è una piovra, nervosa, ficcante, contorta, che flirta con la stessa modalità dei serpenti: il fato ci strega e cadremo nella sua bocca.

Uno dei momenti di maggior classe della loro intera carriera, insegna cosa è Manchester al mondo: un cielo aperto a dare ad ogni secondo una intensità che accoglie e sviluppa modi e sensazioni per definire il tutto come un laboratorio di attriti e melodie che senza affanno conducono allo smarrimento. Un groviglio che stabilisce le loro capacità, scappando dai cliché per trovare nei loro impeti linfa e solitudine.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

15 Marzo 2022


https://music.apple.com/gb/album/puressence/1444055244


https://open.spotify.com/album/1PaFjTRJkrxfviZ1TzRHpV?si=3aYhGITDTSqcyMM3d4-GgQ









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