James - Be Opened By The Wonderful
Il cielo di un pensiero è fatto spesso di metastasi, di artriti, di fatiche che si aggrappano ai raggi per planare sulla terra.
Quando accade sopra a quello di Manchester il petto si gonfia di tremori con la brillantina: la città degli Smiths accoglieva chi era nato prima di loro, quei James che aprirono le danze all’Haçienda in un giorno di pioggia del 1982. L’anno successivo esordirono con Simone, il primo sorriso medievale della capitale musicale del nord, per conquistare felicemente l’anonimato, ceduto come supporter della band di Morrissey, per poi tornare nella panchina dove le luci si abbracciano, mute, con le piume chiuse.
I nove membri decidono di scrivere un episodio nuovo della loro carriera: non c'è spazio per la nostalgia o azioni commerciali come un Greatest Hits per cadere in questo gioco sterile. Poi accade che la memoria di una serata non registrata conquisti spazio, generando l’idea di affidare la propria carriera alle mani di quel direttore d’orchestra che nel 2011 aveva colpito, affascinato, ammaestrato i cuori facendo sentire i James con un abito lungo, come se il teatro concedesse loro di assistere a una recita nella quale sul palco finivano loro stessi, senza fare nulla…. Da sempre i James sono sinonimo di magia, di piccole scosse nelle zone nevralgiche del petto, in cui la notte e il buio non sono parenti o coinquilini, bensì anime in viaggio.
L’album è in realtà il gesto preciso di un fan che negli anni si è costruito la reputazione come uno dei più abili direttori di orchestra. Mancuniano D.O.C., ha coinvolto il folto gruppo a integrare desideri, progettazione e giochi senza bandiera dentro uno studio di registrazione per quattro, intensi giorni.
Joe Duddell ha scelto le canzoni, ha innaffiato senza togliere le radici a quegli scoiattoli sonori che hanno conquistato il rispetto di chi li ascolta, sin dall'inizio. Qui si manifesta la prima fase miracolosa, il primo calice da alzare: non rovinare, non imbruttire, non togliere la sacralità. Bene: non solo l’orchestra ma anche un coro, composto da brividi senza catene, liberi di entrare nelle parole illuminate e illuminanti del buon Tim per poter passeggiare sopra le nuvole. La band è composta da otto musicisti, più Booth al canto. Molti di loro polistrumentisti, con una conoscenza profonda della musica classica e barocca, soprattutto Saul Davies, che, giunto nel 1989 come chitarrista, ha rivelato in fretta di essere un violinista eccelso. E di violini queste canzoni hanno non solo il suono, ma più di tutto l’eleganza che rende l’armonia e la melodia due incanti a portata di bacio. Lo xilofono, il violoncello, la tromba, i timpani, la fisarmonica, un carrozzone multicolore, pronto a spostarsi negli incroci per parcheggiare la loro qualità e aspettare i riflessi giusti per alzarsi nuovamente. Be Opened By The Wonderful è un fascio di venti panchine inclinate verso la dolcezza, la commozione, l’orgasmo di pianti che distribuiscono dopamina, ideato e sviluppato per far continuare quello che accade nei loro concerti: frustare, accarezzare, modificare le canzoni sempre. Ecco: un grande spazio chiuso in uno studio per poter far volare fuori solo le emozioni, i bisogni artistici, nel carillon del piacere che cerca il suono corretto. I James spaziano nel campionario del talento, affittano con entusiasmo il proprio catalogo al maestro e fanno mettere a sedere le ansie da prestazione. Una volta decisa la scaletta, tutto si calcifica, con le impronte della maestria a farci intendere che la band nota per essere stata folk, folk-rock, indie, alternative, elettronica, poteva solidificare il tutto tuffandosi nelle aristocratiche movenze tipiche della musica classica.
Alcune composizioni hanno mantenuto la loro ossatura, altre hanno visto, tramite precisi e vistosi arrangiamenti (alcuni gioiosi, altri con il sale delle lacrime in caduta libera), prendere con fierezza la strada dell’effusione amorosa: tutti i brani dei Mancuniani sono angeli con un unico sentimento…
La guerra, lo scontento di massa, la morte, lo stentare continuo, la monarchia, sono rimasti intatti, trovandosi, però, con la capacità enorme di essere intese meglio. Sarà la dilatazione, la diminuzione del ritmo, la poca presenza del drumming (ma quando presente, David Baynton Power è come al solito strepitoso!), la volontà di miscelarsi anche con la world music. Fatto sta che, mentre si ascoltano queste guide spirituali, la nostalgia cessa proprio di avanzare qualsiasi pretesa. Come un parto strano, particolare, in cui si conosce il volto e si è già deciso il nome del nascituro, ma con la storia tutta da scrivere, ecco che non pare nemmeno di averle già inglobate nel nostro sentire e nel nostro bisogno. Si soffre moltissimo in certi episodi e si sorride ancora di più in altri, quando ogni voce, ogni strumento, ogni parola, ogni suono si lancia verso la positività, l’unico cielo mancante di questa nostra esistenza. Non è un disco pop, non è una gita in cui far assentare l'impegno: BOBTW è la spugna che gonfia il petto per rilasciare acqua minerale, piena di proteine, vitamine e sostanze che si sciolgono nel soffitto della nostra comprensione. Nella saturazione di musiche inconcludenti, di grandi pecche allineate, di stravaganze senza contenuto, l’ascolto di questo complesso lavoro non facilita per nulla chi è alla ricerca di un’astensione. Esattamente l’opposto. I Bluesprint Studios di Manchester hanno consentito ai brani di dirigersi dentro se stessi, tra vipere compiacenti invitate a lasciare immediatamente quei luoghi: con la consueta raffinata eleganza, le note hanno trovato la loro dimensione, si sono sparse, eccitate, realizzate, trascinando l’ossigeno verso un happy hour inconsueto. Il pianoforte, ironico e fondamentale strumento, suonato da Mark, è stato affiancato da quello dell’orchestra, per un rimpallo di voli di farfalle, dove le espressioni più dolci si sono accordate con quelle più sgraziate di una chitarra o di un basso. Un brano, registrato per far parte del prossimo album, ha trovato collocazione in quanto la sua natura elettronica non presentava distanze con gli altri, in un furibondo ballo di gioia con le stelle in festa.
Tim ha ingentilito ancora di più la sua umana accoglienza, dando al suo cantato il modo di presentarsi come uno scolaro con il grembiule, sporco di vita, con i giochi nell’ugola, tumulti per presupposti che hanno saputo far attorcigliare lo stomaco di chi lo ascolta. L’inghilterra è salva ora, il suo percorso tira un sospiro di sollievo, perché nessuna band ha il senso di modernità incatenato alle metodiche che arrivano sino agli anni Venti come i James. La storia non si fida del presente, lo sappiamo bene, ma in questo disco tutto sembra separarsi dalle prassi convenzionali e conservatorie. Si pensa malamente e troppo spesso che la sperimentazione sia un affare della modernità, dell’attualità, insomma dei giorni nostri. Le quote, le specificazioni, le diramazioni che si toccano con mano all’ascolto confermano le parole di Brian Eno: nessuno anticipa la realtà come la band nata nel 1982. Meglio anche di se stessa, poiché continua a stupirsi per prima. Un valzer, un tango, una danza sensuale sembra registrare la residenza dichiarando fedeltà. Ci basta.
Gli archi lenti alleggeriscono le ansie e le condensano verso esercizi di cui gli uccelli hanno consapevolezza. Tutto si sposta consentendo alla ripetitività delle chitarre di stringere sodalizio, di togliere le maschere. Voli acquatici che rendono i sogni infanti già in grado di un linguaggio e del consequenziale messaggio: non solo Tim pesta i piedi della storia umana, lo fa anche l’orchestra e la band, dal momento che ogni canzone ha una direzione, un compito che sollecita curiosità e crea fiducia, per il risultato di una overture dei pensieri senza paura.
Ogni frammento sonoro va oltre il compito di creare una vetrina per esporre il proprio lavoro, in quanto c’è da assegnare un destino, un senso. Le stranezze, i momenti difficili, le incomprensioni (di cui le vicende umane abbondano quotidianamente), si fanno avanti anche qui, generando una nube di polvere giallastra, che rallegra e fortifica. L’antico songwriting è stato messo sotto torchio, assediato, ma sempre con la carineria che li contraddistingue, per pulsioni nuove capaci di generare stupori sotto il cielo. L’orchestra conferma la genialità pop del ventre di molte farfalle sonore, le seda, le stordisce, dà loro un pizzicotto per poi pranzare insieme. Se prendiamo come esempio le due canzoni più note della band (vedremo dopo quali), ci accorgiamo del coraggio, dell’assoluta disciplina di portare dentro di loro un’identità multiforme, nella quale nulla è sbrigativo e inconcludente. L’oscurità di brani che inspiegabilmente non hanno trovato ascolto in questo album stappano una bottiglia di champagne: ripuliti, connessi alla magia dell’attitudine della musica classica, non paiono nemmeno parenti. Il lavoro del coro (su tutte la celestiale Why So Close), ha riempito la voce di Tim di nuovi arcobaleni, arricchendo le geometrie analitiche dei testi di ulteriori supporti. Toccare ciò che si è memorizzato, amato, in cui si è creduto, con il quale si è cresciuti assomiglia a un delitto, a un'azione scorretta.
Invece il miracolo è l’esaltazione, misurata, sussurrata, senza strilli, con quella leggerezza da cui loro non possono assolutamente separarsi.
Ora è tempo di attraversare queste nuvole, le piume, e sentire il cuore come un muscolo in grado di emigrare verso la gioia di luoghi senza nome, ma con la consapevolezza che la storia di queste composizioni ha avuto modo di trascendere, di valicare, di separarsi, di fare del proprio nucleo una risata melodica…
Song by Song
1 Sometimes
Dall’album Laid
La canzone più cantata nei pub del nord dell’Inghilterra dimostra subito la volontà di togliere carne e polpa e mantenere lo scheletro: tocca alla voce e agli archi determinare lo spessore di un brano che è una invocazione a prestare attenzione agli avvenimenti del cielo e al contempo alla verità che stabilisce il suo perimetro negli occhi, dove l’anima intuisce il valore delle persone. Quando il piano nella seconda parte entra, tutto sembra stabilirsi in un bacio segreto, sino al momento in cui l’esplosione del coro alza i brividi, facendo smarrire la forza, nella palude di lacrime inquiete…
2 Love Make A Fool
Nuovo Singolo
Il pezzo nuovo, escluso dal prossimo lavoro, è una mitragliata techno rallentata, civilizzata, uscita il lunedì sera per ballare da sola. Il tappeto, l’handclapping ossessivo, i vocalizzi di Tim come il gemere raffinato di un orgasmo spento, consentono di apprezzare la vitalità della band che conserva lo stile, ma si autorizza a compiere nuove sperimentazioni.
3 We’re Gonna Miss You
Dall’album Millionaire
Tratta dal penultimo album con la produzione di Brian Eno, WGMY rivela la sua natura anni Ottanta (chitarra in odore di Police), ma con quella leggerezza che dà all’impianto sonoro la possibilità di giovarsi dei violini cadenzati, della tuba, della semplicità di un quattro quarti della batteria che pare essere un bastoncino che nuota senza scossoni nel mare di questa delicata estensione della mancanza di un affetto. Il coro finale, ripetuto, senza strumenti, entra duro come il tackle di un mediano: c’è da liberare la canzone da ogni equivoco, ed è fondamentale concluderla in piena esplosione melodica. Un diamante lo era già, ora ha preso ancora più luce…
4 Tomorrow
Dall’album Wah Wah
Per il vecchio scriba i capolavori sono pochi, spesso inutili, nel marasma della bellezza sempre meno riconoscibile. Ma Tomorrow…
Rinvigorita senza aumentare i propri watt, trovato il pertugio dove inserire un approccio che sfiori la sua perfezione, questa versione è una lacrima in un giorno di festa mentre attende la sua esecuzione, il suo ultimo respiro. I James la baciano, le danno un caloroso buffetto sulla guancia e la lanciano direttamente nella verticalità pop, con l’accortezza di mantenere conservata la sua sacralità… Il supporto di Chloe alla voce è una piuma che intossica il polmone del timbro tremante di Tim. Se esiste un brano per dire alla vita “non ti lascio” è proprio questo…
5 The Lake
B-side del Singolo Laid
La b-side del singolo Laid è in assoluto il momento più geniale, toccante, parsimonioso, dolce di questo album. Tutto diventa ghiaccio con le arterie piene di sogni mentre la tempesta dell'orchestra, con i suoi archi pilotati dal tuono, sembrano misurare la pazienza della luna. Come se gli anni Cinquanta fossero compressi in una canzone, tutto di dirige ancora più indietro, più lontano, con l'abilità degli arrangiamenti di farci sentire le acque del Mississippi. Fragorosa, lenta, tiepida, un brivido con la colla entrerà nei vostri sipari…
6 She’s A Star
Dall’album Whiplash
Joe Duddell già nel 2011 aveva intuito che era possibile unire alla dolcezza del brano la drammaticità di una incomprensione: il testo è una trappola, e il direttore lo aveva capito. Si deve dare un pathos diverso, togliere la patina un po’ approssimativa della versione originale e colorare di brividi e paure le sue pareti. Il violoncello si nasconde, piega la schiena, lascia spazio ai violini ma poi, sornione, arriva e decreta l’apoteosi, portando la coppia della storia a fuggire dentro una musica che pare creare lo stesso effetto (pur non essendolo) del Fado, con la tristezza che non allontana le sue unghie dalla felicità…
7 Lookaway
Dal mini album The Morning After
Pochi diamanti elettronici aprono la danza della consapevolezza: lentamente la canzone arriva al semaforo, per prendere coraggio, prima con piccoli segnali di chitarra elettrica, poi riuscendo a bucare ogni resistenza con la veemenza. E l’anima pop accarezza il folk degli anni Settanta, con un arpeggio di chitarra che viene inghiottito da archi famelici ma sensuali…
8 Sit Down
Singolo del 1989
Il manifesto dell’empatia, della comunanza, della condivisione, della fede appesa all’insicurezza, conosce una spiritualità diversa, cambiando l’approccio, rifiutando la ripetizione di un miracolo per crearne un altro, tutto nuovo, così antico… Sit Down qui è un elastico sulle sillabe calorose di Tim, un valzer frenato, un furto legale verso le melodie dei fumosi locali di Manchester degli anni Cinquanta, dove ogni canzone era una poesia piena di sangue. Eliminata la sezione ritmica, tutto appare un affresco del 1400 con l'assoluta scaltrezza di saper sorpassare il tempo.
9 Alaskan Pipeline
Dall’album Please To Meet You
Quali armi usa la bellezza dell’incanto senza tempo? Quelle a disposizione dei vapori pieni di stupore che escono da una ballad rivisitata, portata al Pronto Soccorso, dove il Dottore della melodia ha operato nei canali di una delle performance più toccanti di sempre. I James qui esagerano: pilotano il fango pieno di acqua desiderosa di un bagno all’interno di questo miracolo, lo stendono con gocce di xilofono, un abbraccio di tromba e il vocalizzo di Chloe, come ultima rasoiata per fare della struggevolezza la più dolce delle sconfitte…
10 Someone’s Got It For Me
Dall’album Millionaire
Le vittime che cantano la sofferenza si trovano pigiate tutte insieme in questa moderna marcia funebre, in cui non mancano pennellate di colori fragorosi (“To be born again”, nel ritornello), ma l'epidermide precipita in un tuffo dentro il dolore che qui viene accentuato prima dai violini pieni di tossine, poi dall’impatto (sempre nel ritornello) della chitarra distorta e dalla batteria che sembra far morire tutto ancora di più, sino a quando Tim nel finale innalza il suo canto oltre il miracolo, che nemmeno la canzone può compiere, però, sicuramente, la sua è la movenza di un’anima che ha saputo inclinare l’ugola verso la zona terrestre della perfezione… Come una palla che si sgonfia con dignità, così fa il brano nella sua dissolvenza…
11 - Hey Ma
Dall’album Hey Ma
Erroneamente definita l’interpretazione dell’11 settembre (anche, ma non solo), Hey Ma, oltre a essere il titolo di un album sfortunato perché non ha avuto l’accoglienza che meritava, è anche il titolo di un vettore intellettivo impressionante, con la sua natura rock educata, e in questo caso l’orchestra ha avuto meno necessità di modificare la versione originale. Lenta, senza una goccia di sudore, riesce a farti danzare verso la fine, come una bolla che gioca con la triste realtà, quel palcoscenico di violenze inconcepibili, che Tim cerca di educare allo scioglimento…
12 Hello
Dall’album Millionaire
Finalmente in tanti potranno apprezzare la magia di quella fata che si chiama Chloe. Il profumo esce dalla sua bocca, con le branchie dell’orchestra che lavorano quasi in sottofondo, sottovoce, mentre la fine dell'esistenza umana viene salutata con estremo garbo e rispetto, nel fragore di un sogno calante prima, morente poi. Così fa la musica, nei suoi sobbalzi, non importunando però il testo, rimanendo in disparte a testimoniare un altro gioiello…
13 Beautiful Beaches
Dall’album All The Colours Of You
Eliminata l’elettronica (unica canzone del loro meraviglioso album di due anni fa), il brano raccoglie le fiamme che rischiavano di bruciare la casa del cantante, per poterle spegnere con una propensione alla lentezza di cui tutto beneficia, in una spirale che sicuramente conosce la modalità delle vie parigine dell’Ottocento. Principesca, calda, esercita la volontà precisa di dare al testo lo scettro, senza sdegnare un fare melodico che alla fine strega…
14 Why So Close
Dall’album Stutter
Forse per molti meno convincente dell’originale (dal loro secondo lavoro del 1988), ha in sé, sicuramente, la capacità di filtrare la natura folk per distribuire tracce armoniose in una modalità a cappella, come una sfida tra Tim e il coro. Una canzone pacifista, anomala sia nel testo che nella modalità musicale, trova strada facendo sua l’antica natura medievale e la porta ai piedi del cielo nel finale clamoroso…
15 Medieval
Dall’album Strip-Mine
Gli unici superstiti di quel periodo sono Tim e Jim, il bassista. Le zone musicali del tempo erano decisamente sulla corsia folk, di antica fattura, con metriche marziali, che consentivano al drumming di manifestare la forza e di tenere il polso saldo. In tutto questo il cantato sembra l’annunciazione della vittoria della pace…
16 Hymn From A Village
Dal Singolo James II
La prima canzone dei James a essere stata scritta.
Manchester è uno scrigno maledetto: quanti segreti incantevoli giacciono nelle stanze di ascolti egoisti… Questa non fa eccezione: un carnevale, un arlecchino che scende nelle note per portare a conoscenza la vita di un villaggio del 1500. Una danza, una baldanza, una festa, e il tributo alla conservazione della positività…
17 Say Something
Dall’album Wah Wah
Il dialogo come un battito vitale, la proporzione dei valori che escono di casa. I James decidono di togliere l’impeto, di affidarsi alla sottile puntura dell’orchestra e vedere così fiorire il magnetico andamento di un brano che trova se stesso all’interno della clessidra, il cui componente non è sale bensì l’amore…. E la chitarra finale è la più dolce delle strette di mano…
18 Top Of The World
Dall’album Gold Mother
Ricordate? Un loro album terminava con questo fuoco d'artificio ammutolito, lo shampoo per sciogliere il grasso di una vertigine, per poter giungere alla cima del mondo con ostinazione e convinzione.
Ebbene: quasi tutto conservato, piccoli spostamenti, piccole torce per illuminare, come un soffio educato, la brillantezza di un testo senza tempo. Il sapore trova la sua coperta, gli archi impastano il ritmo e si dondola…
19 Movin On
Dall’album La Petite Mort
“Lascia una piccola luce accesa” canta Tim, nel momento in cui, nel testo, un respiro conosce una prima pausa, poi una seconda, poi l’elegante uscita di scena, dove il silenzio si sposa con le lacrime mute del cantante che decide di scrivere la più dolce canzone sul passaggio di consegne, tra il respiro e la sua assenza… Lui e Chloe passeggiano tra le parole, mentre la chitarra psichedelica sembra un pianto strozzato, e i violini, dal canto loro, paiono voler affrettare il momento del trapasso. Poi Andy, l’essere umano che con la sua bocca gonfia l’aria di magia, soffia nella sua tromba piena di piume color GRAZIE MADRE MIA, e ci fa tuffare nel pianto meno corrotto di sempre. Se la perfezione ha una luce che si spegne piano è proprio tra queste note…
20 Laid
Dall’album Laid
“Una malattia senza cura”: se così fosse saremmo tutti già senza respiro. Invece i James sorprendono ancora trovandola: una gemma che lucida la paura e fa compiere il ritorno a casa, per continuare ogni disastro con il sollievo di una fede che alberga nell’anima fradicia di un testo che, sceso nelle note calde della chitarra acustica e di un violoncello strepitoso, trova il posto dove suggerire una storia dove la psiche sembra uno spavento nella folle corsia del vento. L’insicurezza (“Ah, you think you’re so pretty”) non inficia, non lede l’entusiasmo nascosto di un uomo che ancora vuole accarezzare la pelle della sua amata. La band, l’orchestra, si accordano sul pentagramma della chance a ogni costo e tutto si riempie di commozione, e, giunto il falsetto a stordirci, diventa il modo perfetto per terminare l’ascolto di un miracolo che può ripetersi ogni qual volta l’amore per la bellezza si ritroverà in riserva…
C’è una consegna in arrivo: lasciate aperta la porta del vostro cuore, perché questo album saprà prendersene cura…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
11 Giugno 2023
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