lunedì 10 aprile 2023

My Review: Corbeuau Hangs - Necramor

Corbeuau Hangs - Necramor


Like a wound that smiles at the sky, here comes the second single from this band from Arizona, who seem to have found that mode of expression that seems to have long since failed to emerge in their neck of the woods. A heap of darkwave clouds set fire to a bass guitar that has no qualms: the bassist likes Peter Hook and doesn't hide it, even if the track's atmospheres are closer to that of hypothetical The Sisters of Mercy in the process of extinguishing pomposity. Battle-hardened, deftly exploiting four synth notes, the song develops an insistent guitar turn that is not afraid to disfigure itself in front of Wayne Hussey's ancient, skilful hands. There is something that escapes the old scribe: where can one find a flaw in this? Certainly: in the publication date, because it seems that the boys have forgotten the value of contemporaneity. Carl McCoy will certainly be smiling: this voice cannot be as devastating as his, but it contains a remarkable seductive capacity in that, starting with the lyrics and the biblical reference, nothing seems to be left to chance, reaching at the end of the song a space within which tiny crumbs of joy are filled with salt. If American post-punk still manages to have its say, it is because, evidently, what happened in the 1980s in Europe has not yet lost its breath...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10th April 2023


https://corbeauhangs.bandcamp.com/track/necroamor






La mia Recensione: Corbeuau Hangs - Necramor

Corbeuau Hangs - Necramor


Come una ferita che sorride al cielo, ecco arrivare il secondo singolo di questa band proveniente dall’Arizona, che sembra aver trovato quella modalità espressiva che dalle sue parti pare da tempo non riuscire più a emergere. Un cumulo di nubi Darkwave incendiano un basso che non ha peli sulla lingua: al bassista piace Peter Hook e non lo nasconde, anche se poi le atmosfere del brano sono più vicine a quella di ipotetici The Sisters of Mercy in fase di spegnimento della pomposità. Battagliera, abile a sfruttare quattro note di synth, la canzone sviluppa un insistente giro di chitarra che non teme di sfigurare davanti alle antiche mani sapienti di Wayne Hussey. C’è qualcosa che sfugge al vecchio scriba: dove si può trovare una pecca in tutto questo? Ma certo: nella data di pubblicazione, perché pare proprio che i ragazzi si siano dimenticati il valore della contemporaneità, ed è già pronta la benedizione per questo motivo. Carl McCoy di certo sorriderà: questa voce non sa essere devastante come la sua, ma contiene una notevole capacità seduttiva in quanto, a partire dal testo e dal riferimento biblico, nulla pare concesso al caso, raggiungendo alla fine del brano uno spazio dentro il quale minuscole briciole di gioia si riempiono di sale. Se il Post-Punk americano riesce ancora a dire la sua è perché, evidentemente, ciò che accadde negli anni Ottanta in Europa non ha ancora perso il respiro…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford 

10 Aprile 2023 


https://corbeauhangs.bandcamp.com/track/necroamor







My Review: Heathermint - Honeypearl

 Heathermint - Honeypearl


The old scribe is crazy about Poland these days and once again sets his sights on a band he knows very well. Gentle and effervescent souls, capable of producing the petrol of the spirit through macrobiotic food full of shoegaze and Indie Rock liquids, allowing them to create a song full of light and angelic harmony, robust and tender at the same time. The entrance is given by a slippery guitar, then the rhythmic one gives way, after a few moments, to the solo one, capable of becoming an embrace, until the vocal, in full 90s Shoegaze style (but with more light inside), completes the architecture of this journey on the edge of the most acerbic psychedelia. Welcome back and as always Thank you very much...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10th April 2023


https://heathermint.bandcamp.com/track/honeypearl



La mia Recensione: Heathermint - Honeypearl

 Heathermint - Honeypearl


Il vecchio scriba va pazzo per la Polonia in questo periodo e ancora una volta mette gli occhi su una band che conosce molto bene. Anime gentili ed effervescenti, capaci di produrre la benzina dello spirito attraverso cibi macrobiotici pieni di liquidi Shoegaze e Indie Rock, che consentono loro di creare una canzone piena di luce e angelica armonia, robusta e tenera al contempo. L’ingresso è dato da una chitarra scivolosa, poi quella ritmica lascia spazio, dopo pochi istanti, a quella solista, in grado di divenire un abbraccio, sino a quando il cantato, in pieno stile Shoegaze degli anni Novanta (ma con più luce al suo interno), completa l'architettura di questo viaggio al limite della psichedelia più acerba. Bentornati e come sempre Grazie di cuore…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10 Aprile 2023


https://heathermint.bandcamp.com/track/honeypearl




sabato 8 aprile 2023

La mia Recensione: Nick Cave & The Bad Seeds - The Boatman’s Call

 Nick Cave & The Bad Seeds - The Boatman’s Call


Nel mondo degli affetti, il bilancio è spesso una croce che vola come una piuma con la bava alla bocca, girovaga, ermetica, votata all’essenziale perdita di se stessa.

In tutto questo ogni fine dei rapporti diventa il chiavistello da utilizzare per correggere gli effetti. Nick Cave lo sa molto bene. Ha scritto un album per documentare un’analisi, per fermare il volo, per separarsi dal metodo tradizionale, perché quella volta il dolore ha preso una direzione portando sui suoi passi pietre di amianto. PJ Harvey aveva fatto provare all’autore australiano la frenesia errante dell’amore, quella che sbilancia verso la felicità, che non ci si può permettere quando si è abituati agli eccessi delle deviazioni. Solo, drammaticamente solo, solitario come nuova vocazione obbligatoria,  ha trovato nelle sue giornate domande senza speranze, libri svuotati di ogni senso, l’amicizia come ulteriore forma di disperazione. Il Pianoforte, il fratello siamese emerso al pubblico definitivamente con Murder Ballads, gli si è seduto sulle gambe, urlandogli di metterci il cuore, di fermare le stelle delle ispirazioni, di stracciare la progettualità artistica e di virare verso un nuovo abisso: il ricordo, la riflessione del non sapere come respirare senza la sua musa. Eccolo, nudo su una stalagmite di bronzo, guardare il precipizio del futuro e rivolgersi a un Dio con cui non aveva mai avuto il piacere di parlare: se stesso…

Quello ritenuto tale rimaneva ancora ancorato ai suoi dubbi, alla ritrosia che, da uomo intelligente, non voleva cancellare. Quindi? Il piano, nero, silente, buio, illuminato da quei tasti bianchi che come sirene dalla voce macchiata lo attendevano, si palesa completamente. I suoi semi cattivi se ne stavano in vacanza dal lavoro, dalla vita, Nick non si faceva vivo ma, intanto, canzoni come fiati spettinati uscivano dai suoi pensieri, un binocolo questa volta puntato verso il lato sinistro del suo cuore, tenendo le spine sui palmi dei pensieri. Lentamente, la forma degli sbagli, delle colpe, delle risate sfumate, degli atti d’amore divenuti ormai ricordi, prendevano un appendiabiti e si stendevano su quei tasti golosi, gelosi di quel talento che per una volta si sedeva pure lui a guardare.

Un album sulla disperazione? Certo che no: il peggio era ormai alle spalle, ma qualcosa di ancora più pericoloso visitava la sua mente ed era quello del pericolo della consapevolezza, che impedisce di sbagliare con quella leggerezza di cui lui si è sempre nutrito. Cosa c'era da capire, da vivere, cosa non era consentito fare? Dove direzionarsi? Aveva ancora senso scrivere per scrivere? Le api sono animali strani quando vivono all’interno di una casetta fragile come sa essere la mente e Nick lo sa: dato del tu alla difficoltà delle idee non chiare, quei tasti si sono visti raggiungere da parole così intime come mai era accaduto prima. Non autoanalisi bensì un seminare verità e slanci passionali, con storie questa volta legate alla sfera personale, alla separazione, al sogno spezzato di una stagione storta. 

Inutile aggiungere che non serve capire cosa gli sia accaduto, ma verificare il  motivo che lo ha spinto a elaborare pubblicamente il suo tormento. Non più vomito artistico, quanto piuttosto una coperta di raso sulla sua pelle chiara.

Dodici rappresaglie con la vestaglia, il caffè nero, forse bollente, a scaldare il suo battito venereo, e poi via, a consumare il tempo con la sua avvelenata pergamena, la Sacra Bibbia che improvvisamente torna utile…

Vicino alla metodica così cara al suo Maestro Leonard Cohen, la scrittura si è fatta ossuta, cianotica, scarna nelle intenzioni, un operare sotto controllo: a lui interessava il cammino e non la direzione di quelle forme musicali, così vicine al blues come non mai, non elettrico, non acustico, ma soprattutto umorale. La nuvola tossica questa volta non era utile, nemmeno presente, nel suo silenzio era stabile e in attesa un magico incontro: occorreva solo che lui si sintonizzasse con quella parte della vita che aveva sempre rifiutato. Divenne un marinaio, un traghettatore del dolore, un impiegato comunale di quella circostanza che tutti sperimentano: il divorzio dal piacere.

A un'attenta analisi dei brani si fa evidente che l’intimità esibita è stata un sacrificio, una luce esplosa dentro di lui e arrivata all’ascoltatore, quasi ignaro, quasi claudicante perché privo della verità assoluta. Si parte da tale aspetto per capire la portata di questo album, un fiume che danza lento dentro un lago, con il respiro affannato e gli occhi appannati. I ricordi, le proiezioni, i ponti sospesi nella sua mente dalle ciglia abbassate, si ammassano, imprimono una scelta e un ritmo e più che altro una necessità: lasciare i Bad Seeds quasi totalmente disoccupati e giustamente infelici. Servivano come può servire un bastoncino sulle gobbe dell’onda di un ruscello: quasi a  niente, se non a rendere felici gli occhi di un bambino…

Qui, però, nasce il capolavoro della band: fare da assistenti e non più da manovali, conduttori e condottieri del silenzio di cui Nick aveva bisogno. Ci vuole coraggio a suonare poco.

E Cave cosa ha fatto di così geniale in The Boatman’s Call? Quello che mai si poteva pensare, che mai si era udito prima: ha incominciato a scrivere il cuore nelle notti, non furtivamente, non nascostamente, ma con tutta la sua cosciente e disturbata struttura mentale, per farla cadere sulle gambe del suo fratello gemello. Storie spettinate, roventi e senza bilancia, dove il ritmo si alza solo in un paio di brani, in quanto l’involucro era composto da raggi di tuono con la febbre alta, ma senza arrivare al caos, di cui i Bad Seeds hanno sempre sperato di cibarsi. Gli Stati Uniti vengono presi d’assalto, lentamente, come un ossimoro sbandato in cerca di se stesso, riuscendo a consegnare al cantante una ipotesi strutturale nella quale l’armonica, il violino, il basso, la fisarmonica potessero conoscere la danza dell’alternanza, visitando il Dark Folk Noir, quello meno tribale e più dotato di dolcezza. Un album votato a quest’ultima, perché sono i bambini a insegnarci che dopo un temporale la paura cessa di esistere e occorre aprirsi in un sorriso. Ascoltato ancora oggi, questo lavoro è un sospiro dopo un infarto: apprezzato, desiderato e proprio per questo non strutturato per essere inteso. È un valzer con il freno a mano, un camminare sulla schiena di un asino sulle montagne Peruviane, circondato dai grandi panorami dove la solitudine tiene sempre la luce accesa. Un esempio di come la tristezza possa concedere ballads senza colpe, un girovagare continuo di accordi minori con il basso che sembra essere una batteria pigra ma decisa e le spazzole che agiscono per rendere il ritmo una carezza grigia. La chitarra acustica e quella elettrica si sono imbottite di sonniferi, esalando ultimi respiri pieni di pathos, seppure brevi, ma è così che si fa quando le cose vanno male: si deve essere prudenti. Mari e oceani e monti di accortezza sono il baricentro di questa opera straordinaria, che, se ai più sembra soporifera, è perché quelle persone non conoscono il disarmo, la confusione più profonda. Nick ha esaltato invece questo aspetto e l’ha gettato verso il centro di un cielo dove, esattamente come nel suo, un cuore aperto aspettava un suo abbraccio…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

9 Aprile 2023


https://open.spotify.com/album/4Gp9Ls1UqkrQRrTTxhvs6A?si=wYcMovwiQm6be3FFoizNHQ





La mia Recensione: Julian Cope - Peggy Suicide

Julian Cope - Peggy Suicide


Leggende e miracoli prendono corpo all’interno di una raccolta agitata e folta, nel laboratorio mentale di un’anima in contatto con spiriti che aleggiano sulla città resa nota dai Beatles. Il protagonista di questo lavoro è un luogo magico dove tutto accade, all’interno di una nube acida, un quantitativo notevole di droghe ingerite per portare i pensieri verso atmosfere in attesa, dal fare folk nello stile, estremamente Hardcore per quanto concerne la durezza di testi che non guardano in faccia a nessuno. La penna di Julian diventa poetica nell’intenzione, per scrivere sbilenche storie d’amore, nelle quali tutto capitola verso la disperazione e la confusione. Un album nel quale il ritmo e la ricerca melodica si spostano, rispetto ai logori e finiti Teardrop Explodes, verso un piano nel quale la psichedelia e il rock più educato trovano un bacino espressivo che possa contenere quella dolcezza che mai prima poteva essere attribuita a questo cervello dalle piume piene di raggi stralunati. Julian, attraverso parole scritte sulla pietra riscaldata da un generoso sole nordico, riesce a vestire i panni del druido disonesto e confuso, lasciando nelle canzoni tracce del suo malessere, insieme alla sensazione che tutto viva di uno stato febbrile, spossando il compositore, ma mettendolo in condizione di scavare nel suo intimo.

Le soluzioni sono molte: si spazia per necessità, in quanto nulla di questo album assomiglia a un progetto, bensì a una collezione di impeti educati dal suo stile unico, riconoscibile per il modo in cui la voce recita, interpreta i testi come se il palco del teatro su cui mostra il corpo fosse improvvisamente illuminato da note molto distanti tra loro. 

Sceglie accuratamente le erbe da mettere nel pentolone, fa cuocere tutto per il tempo necessario per poterle sbucciare e ciò che incide e ci concede di ascoltare è il frutto di un percorso che rifiuta di essere catartico bensì un continuo segreto, per poter essere  un geroglifico di antica provenienza. Gioca con il tempo, per una profonda allucinazione, ed è proprio il folk inglese degli anni Cinquanta che gli consente di avvicinarsi al genio consumato dagli acidi che aveva creato i Pink Floyd… 

È proprio Syd Barret che pare il suggeritore di Promise Land, il punto di non ritorno dell’album: da quel momento le canzoni successive si vestiranno di un processo metabolico incomprensibile, ma in grado di illuminare il cielo delle nostre fantasie. Avanzano strati di polvere sulle chitarre, le melodie si fanno più vicine alla West Coast Americana degli anni Settanta, gli assoli arrivano, come arrivano melodie che fanno sudare gli occhi di emozioni senza freni. Si piange, si contano battiti illuminati da assoli, da richiami della foresta, si assiste all’uccisione della canzone Pop che spesso, invece, aveva attirato Cope già in passato. Gli strumenti sembrano trovare una linea, un confine che si ingrassa di un rock lento, elevando la capacità dell’autore di concedersi a un crooning quasi trascinato.

Numerose le tappe, i cambi, per riuscire a rendere il tutto verosimilmente come il suo monte spirituale: non è un caso che è proprio dall’album successivo che Julian smarrirà la capacità di creare opere piene di rivisitazioni, di riferimenti, di traversie continue alla ricerca di un niente di cui cantare…

A morire non è Peggy ma il desiderio contorto, l’eccesso di dolore che annulla la quotidianità. Cope è tremendo: incendia e ferisce con stile tutto ciò che funziona, per ricomporre dalle ceneri brandelli di lucidità, per portare allo schianto una città che non ama la periferia. Ma è lì che ambienta queste storie, per accendere falò pieni di brividi, spegnere la luce della gioia e dipingere allegrie con la faccia liscia: non illudetevi, è solo un inganno, perché a lui piace dare alla sua chitarra il ruolo di condottiero, tutto sale su quel manico e il circostante diventa lo schiavo di turno per regalare una effimera gioia. 

Questo lavoro è un trattato di follia che si scioglie all’ascolto: lui ci sfida all'innamoramento, alla esaltazione, ma ogni singolo lato dei vinili è una guerra andata a male, in cui l’entusiasmo apparente in realtà è una scusa per poter affogare il suo delirio. Si può collocare questo album tra quelli che non è facile maneggiare, vuoi per le condizioni precarie di trame che non riescono a svilupparsi garantendo la continuità, vuoi per l’eccessivo ermetismo dei testi. È però questa la ragione per la quale può essere portato serenamente su un’isola deserta: pieno di imprevisti, di scosse elettriche, di brezze primaverili, non si assume la responsabilità di essere credibile generando una libertà pazzesca e incontenibile. Senza tempo, senza precise definizioni sullo stile, ci pare evidente che siamo per la prima volta dentro il luna park inquieto di un recipiente che cammina, sa far vedere, ma non trattiene nessun desiderio, come se fosse un poderoso vomito artistico senza alcun senso. 

Individuato il suo nonsense, la sua sfuggevolezza, il suo disincanto, non ci resta che trovare una ragione all’interno di questa matrioska sotto i colpi del vento: ogni personaggio di Peggy Suicide ha la vita breve ed è piena di pendii. Non è difficile immaginare che diverse parti di noi potrebbero trovarsi direttamente a contatto con la disumana abbondanza di menti barcollanti, ma se questo lavoro sta conoscendo la vita eterna è proprio per questo motivo. 

Lampi di Art-Folk, di Art-Rock, di magnetica psichedelia col combustibile tiepido giungono all’interno di questi solchi che hanno decretato il suo genio, compreso dai folli ed evitato da coloro che si tirano fuori, per generare, alla fine dell’ascolto, una percezione estrema: il druido è riuscito a drogarci e ora quelle erbe aromatizzate rimarranno per molto all’interno del nostro stupore… 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

9 Aprile 2023


https://open.spotify.com/album/556FTYkC3q0gRnMa2fXQsO?si=z9cvzFg9QmW8qKBDrYBb0Q








 

My Review: HEIMBERG - Endless Lies

HEIMBERG - Endless Lies


Third release for the Strasbourg band, increasingly interested in dilating light and encompassing it in a desolate, mysterious place of enchanting inclination towards a semi-urban decadence. This time, a solo track, but majestic, excruciating, with the guitar thanking the Cure, delivering a Post-Punk of British origin, but capable of preserving that nature that the French country defends to the sword. Coldwave presents itself as a subtle chill on the skin, leaving its neighbour Darkwave to close a heart-warming gothic circle. A circle of melancholy tightens the breath, it may be the guitars glued to long and magnetic notes, it may be the bass that knocks at death's door, but this song knows how to become a nail in the head, where the loneliness that will burn inside us will bleed...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8th April 2023


https://heimberg.bandcamp.com/track/endless-lies







La mia Recensione: Midas Fall - Cold Waves Divide Us

  Midas Fall - Cold Waves Divide Us La corsia dell’eleganza ha nei sogni uno spazio ragguardevole, un pullulare di frammenti integri che app...