lunedì 17 ottobre 2022

La mia Recensione: James - All The Colours Of You


James - All the colours of you


C’era un tempo nel quale potevamo vederle nei prati, nei parchi di una Manchester sorridente, affaticata, ma mai ammutolita.

Ora volano in alto, basta alzare la testa e migliaia di margherite ci offrono i loro petali come raggi di energia necessaria per poter avere almeno un romantico motivo per non mollare. Alcune di loro sono ancora tutte insieme: si chiamano James e sono anche le stelle che illuminano la città notte e giorno.

Sono tornate per farci sentire il loro nuovo getto di bravura e melodie che diventano la nostra nuova forza.

Un ritorno clamoroso per come siano riusciti a vivere il periodo della pandemia consegnandoci canzoni che sanno essere uno stimolo verso la comoda volontà di cedere.

Hanno messo in campo 11 farfalle per giocare la partita che vinceranno nettamente: dalla loro hanno la classe, la tecnica, gli schemi, tutti indirizzati a fare goal nella porta del nostro cuore.

Jim e Mark sono i principali compositori delle canzoni ma tutte le margherite hanno giocato i loro petali nella creazione di uno stormo di farfalle che delicatamente planano per rimanerci. Non se ne andranno di certo. Tim si rivela come sempre il Dio sovrano della scrittura con testi che spaziano e approfondiscono tematiche che si presterebbero alla retorica (cosa che tra l’altro ha anche aspetti positivi), non concedendosi, come sempre, ad una scrittura semplice e soprattutto banale. No: lui è l’attaccante che sorprende, non ha bisogno di dribbling per saltare dentro alla rete dei nostri cuori pronti ad incassare goals, perché non è mai stato così bello vedere la rete gonfiarsi.

Alla fine sono 11 goals che fanno capire quanto i James siano in costante crescita.

Dopo 39 anni dalla loro nascita sono più freschi che mai.

Sedicesimo album e sicuramente questo si rivela coraggioso e determinato, concede a se stesso il piacere di una concezione che partita in modo semplice ha progressivamente saputo creare strutture articolate e complesse, senza rinunciare nel presentare l’inconfondibile stile della band.

E aver lavorato con un produttore come Jacknife Lee ha reso il loro muschio creativo ancora più fertile e profumato.

Le scelte di Tim per quanto concerne i testi si rivolgono a tematiche correnti, agli squilibri moderni, la pandemia (qui considerata in una modalità completamente diversa rispetto ad album che sono usciti e che stanno uscendo), i rapporti sempre più incapaci di sostenere alcuni valori e l’assenza di una comunicazione che veicoli messaggi positivi. 

Un album talmente ricco e sorprendente che potrebbe scioccare parecchi seguaci della band: il tempo sarà gentile e insegnerà che tra questi solchi c’è tutta l’essenza della band  che raggiunge  livelli mai toccati prima. Sono maturati talmente tanto che occorrerà pazienza, quasi sicuramente, prima che corriate il rischio di prendere una cotta micidiale.

Non mi resta che farvi sentire il profumo di queste margherite: mettetevi comodi che avrete modo di desiderarle per davvero dentro di voi...


Zero


La canzone preferita da Tim apre l’album, quella con il minutaggio piu estremo, una canzone potente come non mai per introdurci in un loro nuovo lavoro. Spiazza sin da subito, per la struttura e le varianti, stimola la curiosità nel farsi morbosa ed é spavalda, ricca, notevole nel suo mostrare quei muscoli che non stanno solamente in superficie. Il testo parte con una cruda verità per poi trovare, come sempre con Tim, la via dove far entrare il sole e lasciarci senza fiato per la bellezza di quello che abbiamo sentito. Lui per primo ci invita a lasciare alcuni impedimenti, ci aiuta a divincolarci. Semplicemente un modo pazzesco per iniziare questa avventura tra i colori.  La prima Margherita ci ha già storditi. 


All The Colours of You


George Floyd e la pessima amministrazione del Presidente Trump. Tim denuncia e lo fa con la sua inarrivabile classe.

Questa canzone ha condotto molte persone fuori strada: è storicizzata la nota  difficoltà di molti di capire poco un album, figuriamoci una carriera intera dove diverse canzoni hanno visto Tim scrivere della situazione sociale sin dal loro primo lavoro.  Molti hanno storto il naso criticandolo. Non avendo capito il margine ampio nel quale si è mossa la sua scrittura. Certo: a Trump saranno fischiate le orecchie! Una canzone che oltre ad essere quasi una invettiva contiene un messaggio positivo e nel ricordarci che i colori sono ancora fondamentali. Si muove elegantemente su un tappeto elettronico, un ritmo avvolgente, moderno, un basso che è linfa, la tastiera che semplice e moderna ci conduce tra le sue braccia, il cantato che è intriso di toni medio aspri sino a giungere alla sensualità inaspettata e la tromba di Andy a farci volare sopra tutti i colori.


Recover 


Una canzone toccante, Tim apre il suo cuore per parlare della morte del padre di sua moglie per Covid: ennesima lezione di vita di come si dovrebbe vivere un momento luttuoso.  La musica è una carezza accennata su cui il cantante, con agio e delicatezza, riesce a fare di una lacrima una piuma. Il basso circonda, la semplice tastiera affonda, come un respiro alto e finalmente libero.


Beautiful Beaches


Come trasformare una fuga causata dai soliti incendi nella zona dove vive vicino a Los Angeles in una danza gioiosa: Tim può!

La batteria elettronica e le tastiere la fanno da padroni in un brano che ha nel pre ritornello e nel ritornello stesso il punto di forza sino ad arrivare al finale, forse ostico, di un drumming che sembra circondare la zona dove si è trasferito per proteggerlo. Un brano dal successo già assicurato nei prossimi live. La band qui si giova, come per il resto dell’album a dir la verità, della produzione di  Jacknife Lee, abile nel dare potenza e compattezza in una melodia che è sublime per leggerezza.


Wherever It Takes Us


Un sogno: una ragazza impegnata nella difesa di diritti che non sono solo i suoi, rischia la morte in una corsa selvaggia. La canzone mostra come strofa e ritornello possano essere lontanissimi tra di loro. Ma il ritornello, pieno di voci e melodica propensione ad abbracciare ogni paura, diventa uno dei più belli di sempre per questa band che nel brano dimostra tutta la sua capacità di spaziare e coinvolgere in fasi distanti tra di loro.


Hush


Arriva un fantasma, in questa storia tesa ma resa morbida da un ritmo che qui trova lentezza e la melodia ci riporta parte del suono tipico dei James che molti sicuramente non faticheranno a riconoscere. Il brano, come la storia raccontata dal tenero Tim, attraversa la palude della paura per lasciarci in dono il mistero. Quando i James sono leggeri, malgrado un incubo raccontato con classe, la loro musica sa come dimostrare che è nella semplicità che le canzoni diventano eterne.


Miss America 


Pur rimanendo nella zona di una musica che ha rallentato il suo ritmo, qui la storia cambia, il sogno Americano viene distrutto dal sogno di una ragazza, modella, che mentre prova a vincere il concorso di bellezza, realizza i punti deboli di un sistema votato al collasso.  Tenera, poche note, ma che incidono, ecco la band riuscire come sempre nel non necessitare di tutti i numerosi membri che la compongono per dare il senso di coralità. Un altro brano che riuscirà a scaldare il cuore. 


Getting Myself 


Come fare di un giro di piano una hit, partire da un respiro per arrivare ad un colpo di tosse che ci renderà tutti cantanti felici. Una sicura hit che ci sorriderà di sicuro. Una canzone che spiega nettamente il clima dell’album, nella musica e nel testo. Quando la perfezione non esiste viene messa in pericolo da questi sessantenni ispirati e impavidi. Gli ultimi 20 anni di carriera riassunti in una canzone, la magia la vedrete nelle vostre orecchie affamate di bellezza.


Magic Bus


Tim sembra aver preso un acido per portarci nelle gran trame di una canzone vivace nella sua psichedelia mascherata.

Ma non l’ha preso rendendo questo testo ancora più speciale...

È un viaggio tribale, accennato, ammaliante e sensuale, che inchioda e sconfigge, come solo i grandi sanno fare, la banalità descrittiva di un percorso dove l’assunzione di droga avrebbe corso il rischio di divenire banale e simili a migliaia di altre canzoni. Un testo curioso ed una altrettanta musica sembrano perfettamente rendere i James maestri nel camuffare carte e identità. 


Isabella


Un’altra storia di mistero e violenza entra velocemente nell’album: la protagonista arriva e sconvolge, affonda la sua vendetta per poi salire in alto per trovare la distanza dal suo peccato.  La fantasia interpretativa di Tim gli concede di sfruttare pienamente dei cambi di ritmo della canzone che trova nel ritornello la sua maestosità. Poi le due coriste ci alzano lo sguardo con il loro vocalizzo semplice ma centrato. Si giunge al finale, tra chitarre e tastiere compatte, Tim trova un secondo ritornello per farci affondare di nuovo, nell’attesa dell’autopsia...


XYST 


Siamo alla fine dell’album: quando il potere politico vorrebbe tappare la bocca alla coscienza dei musicisti. Brano strepitoso che conclude l’album consegnandoci dei James nuovi, lucidi, eleganti, capaci di essere adulti con un cuore giovane. L’ultimo brano è la chiosa che mi aspettavo, una nuova sorpresa che affascina e trascina nella profondità di una nuova consapevolezza: ogni canzone di questo sedicesimo album ha la strana virtù di essere slegata ma allo stesso tempo connessa a tutte le altre, c’è sempre un mistero, una sorpresa che si affaccia dentro gli strumenti. Anche qui non vi è dubbio alcuno: le cose finiscono bene, con classe, si è giocata la possibilità di dare al mondo l’undicesima canzone di questa tavolozza di colori e di margherite, si è giocato all’attacco e si è vinto alla grande.


Senza dubbio il loro miglior album di questo millennio e tra i miei primi tre di sempre. Perché i James nel 1982, poco prima di essere la band che inaugurò l’Haçienda della mia amata Manchester, nei camerini piccoli e tremanti, ha firmato un patto con il diavolo: non sarà il tempo a piegare la loro bellezza e con il tempo saranno capaci di portare tutti i colori del mondo dentro i vostri battiti ormai grigi.

Direi che quel patto resiste magicamente, e ora contate questi petali, riavvolgete la voglia di bellezza e tornate a tuffarvi qui dentro, che intanto la tavolozza è pronta: nuovo giro di colori per i nostri sorrisi accaldati...


L’album sarà in vendita da domani, 4 giugno 2021


Alex Dematteis 

Salford

3 Giugno 2021


James:


Tim Booth

Testi, cantante, percussioni, cori


Jim Glennie

Bassista, percussioni


Saul Davies

Chitarrista, violinista, percussioni, cori


Mark Hunter

Tastiere, Piano, percussioni, programmazioni 


David Baynton-Power

Batteria, percussioni


Andy Diagram

Tromba, cori, percussioni


Adrian Oxaal

Chitarra, cori, violoncello 


Chloë Alper

Cori, percussioni 


Knox -Hewson Debbie 

Cori, percussioni


https://open.spotify.com/album/5ygHCOppc7ipeiWCB8cj9M?si=1VRBmb2QTIet3r4fQkCmgQ






La mia collezione dell'album:







domenica 16 ottobre 2022

La mia Recensione: Umberto Maria Giardini - La dieta dell'imperatrice

 

La mia Recensione:


Umberto Maria Giardini - La dieta dell’imperatrice 



Non rimpiango le persone che ho perso col tempo, ma rimpiango il tempo che ho perso con certe persone, perché le persone non mi appartenevano, gli anni sì.
(Carl Gustav Jung)


Prendi una donna nel cuore e fatti guidare verso la ricerca interiore, e con la penna piena di stile scrivi la storia di un uomo fuori da certe strutture.

Lei è Anna Calvi, colei che in qualche modo stimola Umberto a inventare un nome nuovo nella sua carriera, senza perdere tutte le caratteristiche di uno degli autori di maggior talento di questa Italia musicale sempre confusa e non capace di produrre qualità nella quantità. Se non una musa sicuramente un punto di riferimento. Infatti sarà Antonio Cooper Copertino, produttore eccelso al lavoro proprio con Anna e Pj Harvey, a sedersi in studio con lui per co-produrre il ritorno discografico del più sensibile tra i musicisti dello Stivale.

C’è da perdere peso in questa abbondante proposta di album e artisti, c’è da ritrovare l’infinita intimità che meglio li protegge dall’esibire qualità forse non del tutto centrate.

Con un sentire psichedelico, senza per forza essere musica con quelle caratteristiche, Giardini scrive dieci fiamme avvolte in un cuscino, dove il calore trova la sua comodità: sono canzoni che scaldano il cuore ma allo stesso tempo incendiano la mente, perché si rimane oltre che commossi sicuramente stimolati a capire il tempo corrente. 

Tutto graffia accarezzando, un quasi ossimoro che è inevitabile constatare quando si parla dell’autore marchigiano, bolognese di adozione, vista la propensione a mettere inchiostro dentro pensieri vellutati, ma anche con il dovere di posare una mano su pensieri che non potevano rimanere nascosti. Ecco che l’amato Post-Rock ben si presta in modo evidente in un paio di tracce, restando sempre presente con una maschera dai colori tenui.

Riuscire a collegare l’anima cantautorale ad altre miscele è la dote maggiore di Umberto, spaziando tra generi musicali che con le sue composizioni conoscono nuovo ossigeno, stimoli e direzioni diverse. Questo accade in un album che infetta i respiri di bellezza, in un mondo che ha perso la capacità di riconoscerla. La testa ogni tanto si piega verso il basso, ma senza essere afflitta da atteggiamenti vittimistici. Semplicemente questo autore sa come mostrare la realtà, i sogni, la parte di noi che disegna momenti improbabili in storie reali. Ed è la sua cultura personale a guidarlo con saggezza dentro scelte liriche e musicali che fanno l’amore lasciando a noi l’orgasmo, il piacere di ascolti prelibati, da conservare con preziosa attitudine. L’uomo Umberto vince la sua personale gara con la parte artistica, lasciando al passato la dicitura Moltheni e rimpicciolendo di molto i confini della sua dilatata e nota propensione a essere capace di scrivere bene qualsiasi cosa.

In questo album lui si raggomitola, con i suoi bisogni rivisti e liberi, per accendere una candela nel suo percorso umano e, una volta frullato, tutto si rivela con una intensità mai esibita prima.

In questa dieta Giardini nel suo menu mette fiori che aprono le porte del suo garage interiore, in una narrativa che scuote e innalza lo spirito per inebriarci di umori, pensieri, vicende che hanno addosso il respiro intellettuale del generoso artista che si spoglia e veste la nostra anima, bisognosa di essere educata nuovamente alla consapevolezza.

La lentezza ritmica consente la perdita di ogni esigenza frenetica per meglio fissare la grande quantità di concetti che sono all’interno di queste composizioni votate alla introspezione, in modo elegante sebbene esistano condizioni di paura e smarrimento innanzi a cotanta lucidità. Siamo permeati da concentriche esibizioni di talento che, grazie ad atmosfere dilatate, meglio consentono la comprensione con momenti di un progressive più mentale che musicale, sebbene non manchino episodi nei quali il sentire di quello stile si concretizza, seppur in modo misurato.

La chitarra disegna i volteggi delle parole, le bacia e si prende il giusto spazio per esibire talento e prolifica predisposizione a essere lo strumento su cui si sviluppano le trame. Le stagioni dell’esistenza in questo album paiono davanti al crepuscolo, davanti a giochi per adulti senza volontà di sprecare del tempo, in cui immacolata è la sensazione di un riposo della frenesia, conferendo alle canzoni il ruolo di un mantra interiore. Ed ecco che la sei corde risulta essere lo strumento migliore, la chiave di violino dove tutto si accorda per stabilire i fianchi di un percorso consapevole che l’agilità non sarà la prerogativa su cui tutto avrà modo di esistere. 

Il coraggio di tornare in territori che l’hanno in qualche modo non accolto adeguatamente ci svela il suo coraggio, la flemma inglese che è nel suo DNA, uomo ostinato che riesce a sbarazzarsi degli ostacoli e a vincere un’ipotesi sfida con un’industria musicale mai troppa avvezza a riconoscere il suo talento. Mettere a dieta la musica gonfia e tronfia è la vera impresa di questo lavoro, che seguendo l’etimologia sa offrire modi di vita diversi, per innaffiare lo stile di incredibile profondità, sbaragliando la concorrenza. Come un’anima che non necessita una mutazione ma il coordinarsi con i propri antichi movimenti, Umberto, con la sua voce sottile, obliqua, che il mistero ha preso sottobraccio per conservarne l’intensità, arriva lentamente ad aprire il varco delle nostre distrazioni, delle incertezze, con un fare sognante che invece di cullarci e favorirci il sonno, sveglia le nostre pulsioni, sia attraverso arpeggi, sia mediante giri armonici che si appiccicano alla nostra dipendenza, sia con chitarre lente e con schitarrate che non hanno bisogno di grandi distorsioni per immobilizzarci. La canzone viene sostenuta da un impianto rock onirico, come i suoi testi, che sono mattoni ricoperti di gladioli.

È melodia, fantasia, poesia dentro un’ampolla piena di liquidi intossicati che cercano consolazione, riguardo, considerazione e complicità: dieci incursioni dalla tonalità cupa e mite capaci di sconfiggere certe esagerazioni della luce ma, poi, in fondo, queste cellule sono in grado di restituire la giusta dose di fasci per non farci accecare.

L’equilibrio è sempre stato l’elemento che ha contraddistinto tutta la carriera di Umberto Maria Giardini: canzoni con il metronomo, il compasso, la matita sottile che penetra nei moti più surreali e complessi, il setaccio che oltre a scegliere leviga, indurisce e specifica argomenti e storie che guardano dentro il percorso folle della letteratura alla quale dà modo di prendersi cura di testi e musiche per lubrificarne il corpo.

L’artista qui adopera genio e progettualità, prendendosi la rivincita nei confronti di chi l’ha sempre sottovalutato o evitato e per vincere la sfida rimane se stesso, l’arma migliore per non vergognarsi, dimostrando la fiducia e una ostinazione meravigliosamente efficace, per approdare dove il suo impeto dalla faccia densa necessita di soggiornare.

Eccole in fila, vestite di lontananza, lampade del 1800 approdare nelle strade ancora più buie del terzo millennio, cibarsi delle proprie invenzioni, di consapevolezze che si inchiodano nei solchi per dare credibilità a un mestiere che sembra avere una data di scadenza prossima, vista l’ignoranza e la poca capacità di maneggiare l’arte della musica. 

E quella di Umberto scavalca le speranze, gonfiandoci gli occhi, concedendoci montagne da scalare e soffi da congelare per il futuro perché questo fa l’album: stimola e congela, ma non raggela, anzi scalda sempre più, come fanno le brave persone dentro un qualcosa che pare sempre non avere troppa credibilità. Lui si concede a noi, nei suoi raggi lunari, tra le sue camminate dentro le vette del suo respiro, all’interno dei suoi slanci con il gel che lucida tutto di vero, nel trionfo dei suoi occhi intensi.

Se si prende solo la musica ci si accorge della veemenza della lentezza, di acqua di lago pronta a quietare la sua indole, di non aver bisogno della parte più chiassosa del rock per generare brividi a lunga gittata. Sarà perché in queste passeggiate sonore tutto deve essere descritto perfettamente e si sa che nella velocità il rischio di perdere di vista la realtà è molto elevato. Lui non vuole, si adopera per sottolineare che in questi ritmi rallentati batte il cuore di un oceano, di un temporale in montagna con il freno a mano tirato. Musica evocativa, che gira attorno a idee illuminate di buonsenso e coperte notturne dal tessuto che si precisa, ascolto dopo ascolto, in un raso sofisticato, che lascia la nostra pelle totalmente intatta, anche se non mancano degli strattoni (Il desiderio preso per la coda), capaci di connettere il presente al passato: un elisir esaustivo e nutriente che non odora di nostalgia ma lo vedremo più tardi, nella descrizione delle canzoni.

LA DIETA DELL’IMPERATRICE è il suo album più estremo, con un raggio visivo che parte dalla natura per finire nella silenziosa esistenza di un uomo che non urla ma sussurra alla vita, usandola come una carezza dalla mano ferma e calda. Un lavoro dove la voce svetta, per intonazione, interpretazione, come una presenza che mostra la maturità, come un sottile passo sulla neve che non facendo rumore riesce a far sentire la sua poesia interiore. Le parole, molteplici e capaci di girovagare perfettamente assestate in una moltitudine di argomenti, sono il segno evidente di una centralità che non lascia dubbi su una scrittura che ha allungato la distanza rispetto a quella di tanti altri, elevandolo, elevando pure noi perché sono parte di un romanzo che sembra un trattato poetico sul chaos che Umberto ha saputo governare.

Posiamo ora i nostri passi sulle sue orme e cerchiamo di indagare in merito al motivo che fa dire al vecchio scriba che questo album è una dottrina con un mantello soffice in grado di avvilupparci con maestria…


Song by Song


L’imperatrice


Che bella l’assenza della voce, seppur miracolosa, di Umberto: il brano di apertura è la nascita di un raggio solare, tra gli scogli del vento e la brina, un tratteggio con la punta delle dita su chitarre che rimbalzano tra ritmiche e piccole note che fanno capolino, a creare suspense e ad aprire la porta a ciò che verrà. Tra Post-Rock e Vini Reilly che cercano un accordo atmosferico, tutto si dipana in mezzo a note in punta di piedi.



Anni Luce


Tra rimpianti, amarezza, desideri, tutti insieme per costruire dubbi che viaggiano solo nella verità dell’uomo e dell’artista, il brano è un riverbero del pensiero tra echi elettrici e parole di seta con una striscia nera sul cuore. La voce, un graffio degli anni settanta e che ha resistito allo scorrere  del tempo, abbraccia questo mantra psichedelico privo di luci fasulle, perché tutto è concreto e intenso nel suo essere sottile. Semplicemente perfetto.



Il trionfo dei tuoi occhi


La voce sale su per i sentieri di montagna, gli stessi che vedono due anime nel cammino di una relazione che visita sogni e velleità. Ed è fascinazione pura per la forza che rende possibile farci salire con loro, come testimoni del loro peregrinare. Chitarre avvolte tra note alte, che scivolano dentro un’anima rock dalla pelle sottile. 



Quasi Nirvana


Il pathos e l’eleganza, in questa ninnananna rock dalle vene gonfie, vincono ogni opposizione: se c’era da superare l’ostacolo di una sfida, Umberto qui esce vincitore. Un giro di chitarra iniziale, che sembra provenire dal Desert Rock, viene affiancato da un altro, scivoloso e sensuale, sul quale l’amore antibiotico affitta una residenza che si preannuncia eterna. Minimalista, piena di atmosfere senza tempo, la canzone avanza nel petto per trovare il proprio senso in un quasi solo di chitarra, su cui la voce con il suo registro alto ci consegna il titolo per renderlo definitivamente impresso in noi, con l’orchestrazione finale sublime.



Il desiderio preso per la coda


Uscito dalla scena di Canterbury, quasi nei pressi di uno Space Rock rivisitato e corretto, il brano rivela tutta la capacità di accendere un fuoco interiore, dove la voce non è necessaria, per il secondo episodio strumentale, che rimane in ogni caso dentro fascinazioni Post-Rock. Chitarre che pulsano note e giri armonici intensi, con un drumming capace di fissare il tutto nella zona di un volo dalle ali potenti.



Discographia 


Una interpretazione clamorosa ci infetta, come godimento plurimo e incontrollabile, ci fa tuffare nella struttura musicale che cambia abito, si esprime, si apre verso una leggerezza con delle pause, degli stop and go perfetti, dentro il tendone di un circo sonoro che rivela quello che rimane di una certa idea della concezione della canzone alternativa degli anni 90, con tutto il suono di un battito di ali senza sosta. Clamorosa.



Saga


Questo è l’autore che conosciamo ma con un asso nella manica: una storia emblematica e autorevole, dalla scrittura concentrica e mantrica, lava dentro il jack della chitarra, note balsamiche e l’intensità di un cantato angelico tra parole che per scelta ronzano nella mente per creare depistaggi e fantasie, per un matrimonio che fa volare dentro i pianeti che aspettano la canzone come ossigeno nuovo.




Genesi e Mail 


Rime, assonanze e incandescenti divagazioni trattenute per il colletto ci fanno vedere il fango, dentro la chitarra indie per eccellenza, per un brano che odora di magia dentro un carillon. La parte musicale visita la psichedelia come il blues, con la chitarra ritmica tra Radiohead e Cranberries, mentre il cantato è puro Giardini style.



Il sentimento del tempo


Turbinio, vortice di schegge di suono, con un drumming secco che alza la polvere: ed è solo l’inizio di questo impazzito tuono che avvolge la nostra curiosità, trascinandola senza respiro sino a quando il ritmo cede e una nuova immersione data dalle chitarre mutanti e sognanti si fa beffe di noi, perché continuiamo a essere succubi di questa estasi dal fare quasi elettronico pur essendo vincolata a chitarre plasmanti. Si batte il piede per terra per poi tuffarsi nel delirio di strumenti perfettamente compattati.



L’ultimo venerdì dell’umanità 



La follia, con Umberto, è sempre educata e gentile, pregna di allucinazioni, lividi, uncinetti notturni e attrazioni multiple. Quello che chiude l’album è un brano dai petali spezzati, una ferita in una poesia senza terzine ma che affonda le radici in una visione letteraria e psicologica, un bruciore dell’anima che lui fissa in mezzo a note che si fanno carico della responsabilità di un testo clamoroso per assurdità e stile, dove la perfezione viene raggiunta attraverso accordi corsari pieni di segreti. Più di nove minuti, che sembrano giorni e giorni di una caduta senza gravità nel grembo del tempo, tra Post-Rock e la scrittura unica di un artista che conclude il suo lavoro con una gemma senza tempo, in attesa di essere adorata…


Data uscita album: 5 Ottobre 2012



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

16 Ottobre 2022 


https://open.spotify.com/album/3VIPoiC8AX4P35uY8C3KrY?si=EyAmh3ndT7COA9zveWHaKQ












giovedì 13 ottobre 2022

My Review: Submotile - One Final Summit Before The Fall

 Submotile - One Final Summit Before The Fall


"Tension is who you think you should be. Peace is who you are."

Chinese proverb


The beauty of being able to arrive at inner peace through listening to music is something rare, a privileged propensity, an event that smooths the accumulations of toxins that every experience of this life normally offers.

In the world of continuous and exaggerated music production, the reality that emerges, in all its seriousness, is that of the unwillingness to take the time to study, to recognize, to evaluate and weigh what we listened to.

But in doing so we should always keep in mind that this is a type of knowledge that needs method and respect.

The risk is to accumulate songs and albums in the place where awareness gets stuck and does not allow the fluidity of received impulses in order to historicize them for their real value.

In this October of the year 2022 comes a rose garden that glows with freshness and where the colours of emotion and curiosity are intact and capable of swelling our eyes in a joy that amazes and knows no addiction.

The authors of this secular miracle are Submotile, a combo of two souls devoted to rhythmic poetry, angels who develop melodies that enter our veins releasing the oxygen which fortifies the breath of enchantment.

The third album is a soft pyramid that unsettles the heart by enveloping it in rhythmic arms, devoted to melodic impact that defeats all reaction: a work that smells of untouchability, making us beings kneeling in adoration.

Listening to these new songs is a journey into astonishment that materializes in the place of unwavering embrace, in the midst of polite broadsides and brushstrokes of sonic craters that unveil the light of our beats inclined to dream. A nine-chapter story that is neither fable nor novel, but a continuous breath of episodes like sheets of paper that absorb their natural gifts of being spellbinders and soft rulers of the realm of a modern Atlantis, where the impossible travels among the notes and not on the sea.

Like a modern Poseidon and Plato, they have the life-and-death power of their souls hiding their creature's latitude from us while showing the myth of the depth.

A remarkable step forward from the previous two works: a sense of compactness and research to develop structures that are not tied to a specific genre. To be able to communicate new languages that give the two  of them a way to have more arrows in their bow, taut and capable of making music cover long and precise distances.

What reigns is the certainty that the two artists have found a balance, the maturity necessary to defeat the feeling that it is only a state of grace that rewards our lucky listening: repeating them confirms this reasoning, revealing how much of the future is already evident in this album which is the first breath of their new vitality, giving Daniela Angione and Michael Farren the outfit that will protect them later on. This album shows their artistic condition in perfect health, confirming their propensity to truly experience music as a project of growth. Here the songs are bricks, concrete and all that is needed to make their house solid.

It seems more than three years have passed since their brilliant debut with Ghosts Fade On Skylines, which had connected the scribe to the Italian/Irish duo. A work in which a feathery impetuosity won, while in the second Sonic Day Codas the melody of vocals and a more dreamy inclination made us be listeners benefited by songs that also reiterated how shoegaze was changing skin. In this third album everything is confirmed, but adding more freedom to the creation. Through it all, the second consecutive production by Simon Scott, the Cambridge drummer of Slowdive, reveals that their union is capable of raising the bar of their wills, of making their compositions a confidence-filled gaze toward an increasingly astonished and amazed sky.

The watts at their disposal are many, embedded in Daniela's tiara and Michael's diadem: these symbols of power are rightly above the heads of the artistic couple, which brings forth in us humble listeners the joy of knowing that we are ruled by songs that turn us into sovereigns of pleasure and unfettered fortune. Music and words, the beautiful cover that makes us fly over the peaks of the world: everything, in this third step of their splendid career, finds a way to be beauty without an expiration date.

Daniela's lyrics have taken care to possess the ability to transcend the belief that love, loneliness, memory, trust, redemption, awareness of the power of the mind and the experience of life are not important in these genres of music: all these topics are visited by the gentle soul of this Italian who combines her descriptive maturity with the beauty of her singing, always convincing, free of hesitation.

For his part, Michael leaves nothing to chance: his fingertips, his pedals are a pact for eternity where everything exists powerfully, the sense of rhythm resting on notes nailed by their own beauty to live and die with our listening. The sound is sullen, resolute, dynamic, steeped in moments where everything reaches the heights represented by the cover of this record. And the stratospheric Blood Loss confirms his ability not to be oblivious to semi-acoustic flavored windings before diving, lightly, into a slightly more powerful sound, but we will see all this better in the Song by Song analysis.

It overwhelms the sense of absolute ability to take their musical journey to the inner mountain of their sensibility, conspicuous and infectious, to make us wandering particles, as an obligatory stop toward a friendly destiny: music can rarely do this, it is necessary to give them credit. The style, the sense of belonging towards their roots avoid comparisons, there is no need to give them a positive evaluation because there are references in which to feel comfortable: what suffocates any musical genre is precisely this condition and their talent lies also in this aspect, because they are able to travel inside Noise, Shoegaze, Dreampop and an often disguised Alternative, with great elegance, as well as with remarkable skills, to find their own uniqueness.

These are songs that give the certainty that loneliness and social sharing can coexist, without disorientation or impossibility: personal intimacy and the desire to dance with other people live together in a love story with skin that changes like these stars, smooth and soft but also rough, inside a ring where the tiara and diadem fit perfectly, giving us magic and daydreams.

One Final Summit Before The Fall is the transiting universe of two souls who, in perfect health and union of purpose, show their curiosity and ability to observe dynamics that can still be explored and analyzed, in a continuous beam of light that allows us to see their trajectories limpidly, even when their wall of sound would theoretically seem to obscure the clarity that is instead inherent in their compositions: just listen to everything with depth and all is revealed in a golden scroll full of value…


Song by Song


From First Light Until Our Final Sleep



With the first seconds, characterized by guitars in the orbit of The Cure, the impression that the band's sound and attitude has changed is confirmed when continuing the song it takes us to the clear evolution of the rhythmic aspect, with 90's drumming, joyful but wrinkle-filled guitars, until the stop-and-go at minute three and fifty-eight seconds: everything becomes magmatic rock for a shimmer of splinters revealing a majestic presence. Thunder and noise united in the poetry of a revitalized shoegaze.


Resonica


The rhythm rises, guitars grate dust, psychedelia swaggering in for a track that drags with its ability to immediately explode, only to allow Daniela's voice to caress our hearts. Guitars like windmills until the refrain where everything becomes definitive, impetuous and cathartic. Can rhythm be given to the ethereal feeling? Certainly: Resonica is a dream with the muscles of a thoroughbred horse.



Hit This Summer


Scents of late '80s Dreampop conquer the first few seconds and then everything continues in the gentle frenzy of pulsing guitars perfectly embraced by drumming that paints impeccable trajectories to drive our legs crazy. A long pleasant sonic contortion leads us to realize that it is not a journey what we are taking with this song and album, but living in our home where we already have everything, without having to pack our bags. Hit This Summer is the duo's breeze watering our absinthe-filled veins.


Foreshadowing

The first single from this album is a petal in flight over memories, with many reminders that are anesthetized by a perfect production, precise and careful and capable of enhancing the music/vocals pair, enabling the Italian-Irish duo to write a jewel that, with incendiary guitars, removes the blanket from dreams to return the beauty of living, extinguishing the shadows.


Blood Loss


If there is a primordial cell of this album, it is Blood Loss, the Divine, the one that indicates the continuation of the band's artistic journey: the past is held under arm, the present, established by changes of rhythm and guitars that know how to play in the alternation of their dress intertwined with melodies, is a reality that transforms the desire to diversify it into a resounding fact. It is syncopated poetry that meets relief, through the academic kiss of a miraculous performance.



Hope In Sound


A celestial arpeggio immediately delivers a complex structure in which the bass engages the drumming and pushes it to wrap around the guitar. For her part, Daniela sings sinuously and everything becomes a controlled frenzy in a chorus with a pop matrix, which conquers and stimulates us to notice how the band has the ability to reach into different expressive terrains. Even without distortion one is swept away and attracted by this little siren that waters our skin with hypnotic summertime ecstasy, where fragrances are completely released.



Drop To Eternity


The most surprising song comes with its very first seconds: as if we were entering the room of their intimacy, the band unleashes a lively, tender jewel devoted to eternity because with them beauty does not age. One can stay young without being Dorian Grey, and with this new gem the devil surrenders: what we see is a clean ocean free to advance in the heart. Everything is choral, compact, incisive, in a clear demonstration that with them we can also listen to an acoustic part that, if drawn by their fingers, can comfortably enter us.



Ataraxia


Lightning, thunder, a story that becomes a cascade with twists and turns, changes of rhythm, rich but disciplined guitars, vocals in the backline but evocative, capable of dumbfounding us for miles and miles of pure sonic joy. Though devoid of copious doses of feedback and distortion, the penultimate track turns out to be powerful and magnetic.



Farewell Aquarius (And We Thank You).


The longest song of their entire career is a melancholy-tinged novel, a dutiful sieve of existence in the proximity of an epilogue shrouded in mystery. A lonely cloud drifts through the fog giving us a chance to notice  a remarkable work of the bass, which rides harmoniously on the trails of nostalgic guitars, close to Catherine Wheel, while the sidereal atmospheres allow Daniela to make her vocal chords magical, like cotton candy, and to be surrounded, in the central part of the track, by avalanches of sounds drunk with light. Then it's a long leave that makes us astonished and true to their clearly shoegaze approach, with fine strands of noise creating a perfect conclusion to a work that, without a doubt, is the Shoegaze album of 2022 for the scribe.

It is we who thank the band for this visit inside their majestic beats...


Date Release

21st October 2022


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

14th October 2022


https://submotile.com/album/one-final-summit-before-the-fall







La mia Recensione: Submotile - One Final Summit Before The Fall

 Submotile - One Final Summit Before The Fall


“Tensione è chi pensi che dovresti essere. Pace è chi sei.”

Proverbio cinese


La bellezza di poter arrivare alla pace interiore attraverso l’ascolto della musica è un qualcosa di raro, di privilegiata propensione, un evento che spiana gli accumuli di tossine che ogni esperienza di questa vita normalmente offre.

Nel mondo della produzione musicale continua ed esagerata la realtà che emerge, in tutta la sua gravità, è quella della mancanza di volontà nel prendersi del tempo per studiare, per riconoscere, per valutare e soppesare quello che abbiamo ascoltato.

Ma nel farlo dovremmo sempre tener conto del fatto che si tratta di una conoscenza che abbisogna di metodo e rispetto.

Il rischio è quello di ammassare canzoni e album nel luogo dove la  consapevolezza si ingolfa e non permette la fluidità degli impulsi ricevuti al fine di storicizzarli per il loro reale valore.

In questo ottobre dell’anno 2022 arriva un roseto che brilla di freschezza e dove i colori dell’emozione e della curiosità sono integri e capaci di gonfiarci gli occhi in una gioia che stupisce e non conosce assuefazione.

Gli autori di questo miracolo laico sono i Submotile, combo di due anime votate alla poesia ritmica, angeli sviluppatori di melodie che entrano nelle vene liberando l’ossigeno che fortifica il respiro dell’incanto.

Il terzo album è una piramide morbida che sconquassa il cuore avviluppandolo in braccia ritmate, votate all’impatto melodico che sconfigge ogni reazione: un lavoro che profuma di intoccabilità, rendendoci esseri in inchini devoti.

L’ascolto di queste nuove canzoni è un cammino nello stupore che si materializza nel luogo dell’abbraccio senza tentennamenti, tra bordate educate e pennellate di crateri sonori che svelano la luce dei nostri battiti propensi al sogno. Una storia di nove capitoli che non è né favola né romanzo, bensì un fiato continuo di episodi come fogli di carta che assorbono le loro doti naturali di essere incantatori e sovrani morbidi del regno di una Atlantide moderna, dove l’impossibile viaggia tra le note e non sul mare.

Come moderni Poseidone e Platone, hanno il potere di vita e di morte delle loro anime nascondendoci la latitudine della loro creatura, mostrandoci nel contempo il mito della profondità.

Un notevole passo in avanti rispetto ai due lavori precedenti: un senso di compattezza e di ricerca per sviluppare trame che non siano legate a un genere specifico. Per poter comunicare linguaggi nuovi che diano modo ai due di trovarsi con maggior frecce nel loro arco, teso e capace di far coprire alla musica distanze lunghe e precise.

Ciò che regna è la certezza che i due artisti abbiano trovato un equilibrio, la maturità necessaria per sconfiggere la sensazione che sia solo uno stato di grazia a premiare i nostri fortunati ascolti: ripetendoli confermano questo ragionamento, rivelando quanta parte del futuro sia già evidente in questo album che è il primo respiro della loro nuova vitalità, dando a Daniela Angione e a Michael Farren il vestito che li proteggerà in seguito. Questo album mostra la loro condizione artistica in perfetta salute, confermando la loro propensione a vivere davvero la musica come un progetto di crescita. Ecco che le canzoni sono mattoni, calcestruzzo e tutto ciò che serve per rendere la loro casa solida.

Sembrano essere passati molto più di tre anni dal loro brillante esordio con Ghosts Fade On Skylines, che aveva connesso lo scriba al duo italo/irlandese. Un lavoro in cui vinceva una piumata irruenza, mentre nel secondo Sonic Day Codas la melodia del cantato e una propensione più dreamy ci faceva essere ascoltatori beneficiati da canzoni che ribadivano anche come lo shoegaze stesse mutando pelle. In questo terzo album tutto viene confermato, ma aggiungendo una maggior libertà alla creazione. In tutto questo la seconda consecutiva produzione di Simon Scott, il batterista di Cambridge degli Slowdive, svela che la loro unione è capace di alzare l’asticella delle loro volontà, di fare delle loro composizioni uno sguardo pieno di fiducia verso un cielo sempre più stupito e meravigliato.

I watt a disposizione sono molti, inseriti nella tiara di Daniela e nel diadema di Michael: questi simboli del potere sono giustamente sopra le teste della coppia artistica che fa nascere in noi umili ascoltatori la gioia di sapere che siamo governati da canzoni che ci rendono sovrani del piacere e di una fortuna senza vincoli. Musica e parole, la bellissima copertina che ci fa sorvolare le vette del mondo: tutto, in questo terzo passo della loro splendida carriera, trova modo di essere bellezza senza data di scadenza.

I testi di Daniela si sono premurati di avere la capacità di oltrepassare la convinzione che in questi generi musicali non siano importanti l’amore, la solitudine, la memoria, la fiducia, la redita, la consapevolezza del potere della mente e l’esperienza della vita: tutti vengono visitati dall’anima gentile di questa italiana che coniuga la sua maturità descrittiva alla bellezza del suo cantato, sempre convincente, privo di esitazione.

Dal canto suo, Michael non lascia niente al caso: i suoi polpastrelli, le sue pedaliere sono un patto per l’eternità dove tutto esiste con forza, il senso del ritmo che si appoggia su note inchiodate dalla loro stessa bellezza per vivere e morire con il nostro ascolto. Il suono è arcigno, risoluto, dinamico, intriso di momenti dove tutto raggiunge le vette rappresentate dalla copertina di questo disco. E la stratosferica Blood Loss conferma la sua abilità di non essere dimentico di avvolgimenti dal sapore semi-acustico per poi tuffarsi, con leggerezza, verso un suono leggermente più potente, ma tutto questo lo vedremo meglio nell’analisi Canzone per Canzone.

Tramortisce il senso di assoluta capacità di portare il loro percorso musicale verso la montagna interiore della loro sensibilità, vistosa e contagiosa, per fare di noi particelle vaganti, come una tappa obbligatoria verso un destino amico: la musica raramente può fare questo, riconoscergliene il merito è doveroso. Lo stile, il senso di appartenenza nei confronti delle loro radici evitano paragoni, non esiste la necessità di dare loro una valutazione positiva perché esistono dei richiami, dei riferimenti in cui sentirsi comodi: ciò che soffoca ogni genere musicale è proprio questa condizione e il loro talento sta anche in questo aspetto, perché capaci di viaggiare dentro il Noise, lo Shoegaze, il Dreampop e un Alternative spesso camuffato, con grande eleganza, oltre che con notevoli capacità, per trovare la propria unicità.

Sono canzoni che danno la certezza che la solitudine e la condivisione sociale possano coesistere, senza sbandamenti o impossibilità: l’intimità personale e la voglia di danzare con altre persone vivono insieme in una storia d’amore dalla pelle che muta come queste stelle, liscia e morbida ma anche ruvida, dentro un anello dove la tiara e il diadema si incastrano perfettamente, regalandoci magia e sogni ad occhi aperti.

One Final Summit Before The Fall è l’universo in transito di due anime che, in perfetta salute e unione di intenti, mostra la propria curiosità e capacità di osservazione di dinamiche che possono ancora essere esplorate e analizzate, in un continuo fascio luminoso che ci permette di vedere le loro traiettorie in modo limpido, anche quando il loro wall of sound sembrerebbe in teoria offuscare la chiarezza che è invece insita nelle loro composizioni: basta ascoltare tutto con profondità e tutto viene svelato in una pergamena dorata e piena di valore…


Song by Song


From First Light Until Our Final Sleep



Con i primi secondi, caratterizzati da chitarre in orbita Cure, l’impressione che il suono e l’attitudine della band sia cambiato viene confermato quando proseguendo il brano ci porta alla chiara evoluzione dell’aspetto ritmico, con un drumming 90’s, chitarre gioiose ma piene di rughe, sino allo stop and go del minuto tre e cinquantotto secondi: tutto diventa roccia magmatica per un brillio di schegge rivelatrici di una maestosa presenza. Fragore e rumore uniti nella poesia di uno Shoegaze rivitalizzato.


Resonica


Il ritmo si alza, le chitarre grattugiano la polvere, la psichedelia entra spavalda per un brano che trascina con la sua capacità di esplodere subito, per poi consentire alla voce di Daniela di accarezzarci il cuore. Chitarre come mulini a vento sino al ritornello dove tutto si fa definitivo, irruente e catartico. Si può dare ritmo alla sensazione eterea? Certamente: Resonica è un sogno con i muscoli di un cavallo purosangue.



Hit This Summer


Profumi di Dreampop fine anni ’80 conquistano i primi secondi e poi tutto continua nella frenesia delicata di chitarre pulsanti perfettamente abbracciate al drumming che dipinge traiettorie impeccabili per far impazzire le gambe. Una lunga piacevole contorsione sonora ci porta a capire che non è un viaggio ciò che stiamo compiendo con questa canzone e con l’album, ma il vivere nella nostra casa dove abbiamo già tutto, senza dover preparare le valigie. Hit This Summer è la brezza del duo che innaffia le nostre vene piene di assenzio.


Foreshadowing

Il primo singolo di questo album è un petalo in volo sui ricordi, molti richiami che vengono anestetizzati da una perfetta produzione, precisa e attenta e capace di esaltare il binomio musica/cantato, mettendo in condizione la coppia italo-irlandese di scrivere un gioiello che, con chitarre incendiarie, toglie la coperta ai sogni per restituire la bellezza del vivere, spegnendo le ombre.



Blood Loss


Se esiste una cellula primordiale di questo album è proprio Blood Loss, la Divina, colei che indica la continuazione del percorso artistico della band: il passato è tenuto sotto braccio, il presente, stabilito da cambi di ritmo e da chitarre che sanno giocare nell’alternanza del loro abito intrecciato alle melodie, è una realtà che trasforma la volontà di diversificarlo in un clamoroso dato di fatto. È poesia sincopata che incontra il sollievo, attraverso il bacio accademico di una prestazione miracolosa.



Hope In Sound


Un arpeggio celestiale ci consegna immediatamente una complessa struttura nella quale il basso coinvolge il drumming e lo spinge ad attorcigliarsi alla chitarra. Dal canto suo Daniela canta sinuosamente e tutto diventa delirio controllato in un ritornello dalla matrice pop, che conquista e ci stimola a notare come la band abbia la capacità di arrivare in diversi terreni espressivi. Anche senza distorsioni si è travolti e attratti da questa piccola sirena che annaffia la nostra pelle di ipnotica estasi estiva, dove le fragranze si liberano completamente.



Drop To Eternity


La canzone più sorprendente arriva con i suoi primissimi secondi: come se entrassimo nella stanza della loro intimità, la band sfodera un gioiello vivace, tenero e votato alla eternità perché con loro la bellezza non invecchia. Si può rimanere giovani senza essere Dorian Grey e con questa nuova perla il diavolo si arrende: ciò che vediamo è un oceano pulito e libero di avanzare nel cuore. Tutto è corale, compatto, incisivo, in una chiara dimostrazione che con loro si può anche ascoltare una parte acustica che, se disegnata dalle loro dita, può entrare comodamente in noi.



Ataraxia


Lampi, tuoni, fulmini, una storia che diventa una cascata con colpi di scena, cambi di ritmo, chitarre abbondanti ma disciplinate, un cantato in retrovia ma suggestivo, in grado di ammutolirci per chilometri e chilometri di pura gioia sonica. Seppure privi di abbondanti dosi di feedback e distorsioni, la penultima traccia risulta essere potente e magnetica.



Farewell Aquarius (And We Thank You)


La canzone più lunga della loro intera carriera è un romanzo dalle tinte malinconiche, un setaccio doveroso dell’esistenza nella prossimità di un epilogo avvolto dal mistero. Una nube solitaria si getta nella nebbia dandoci la possibilità di scorgere un notevole lavoro del basso, che cavalca in modo armonioso le scie di chitarre nostalgiche, vicine ai Catherine Wheel, mentre le siderali atmosfere consentono a Daniela di rendere le sue corde vocali magiche, come uno zucchero filato, e di farsi circondare, nella parte centrale del brano, da valanghe di suoni ebbri di luce. Poi è un lungo congedo che ci ascia attoniti e fedeli al loro approccio chiaramente shoegaze, con fili sottili di noise a rendere perfetta la conclusione di un lavoro che, senza dubbi, è l’album Shoegaze del 2022 per lo scriba.

Siamo noi a ringraziare la band per questa visita dentro i loro maestosi battiti…


Data di realizzazione: 21 Ottobre 2022


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
14 Ottobre 2022




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