martedì 10 gennaio 2023

La mia Recensione: ⱯRINA - if u could die

 ⱯRINA - if u could die 


Estasi. Sprofondamento. Stupore. Eclissi di ragione. Estromesso. Sbattuto sul ghiaccio sospeso.

Questa è la storia vera del vecchio scriba alla fine dell’ascolto di questa canzone, raggio cosmico fuori rotta, fuori luogo, fuori tempo, indiscutibilmente veicolo di smarrimento e voglia di piangere tonnellate di liquidi. L’adolescenza muore ora, le finestre della coscienza cadono e lasciano le note qui presenti a fare danni: inutile contarli, non finiscono, continuano anche con il play in pausa. Non si può gridare quando le composizioni mettono pancia sulla mente, schiacciando il cranio giù, per terra, e poi si schiantano. La musica è una alabarda circolare, con il ritmo che avanza, si ferma, sempre percuote, allucinata e tenebrosa, spesso in grado di capire che l’ascoltatore vorrebbe fuggire da essa: il mistero può essere la morte con la sua trappola in anticipo. È una collana gotica di brillanti trip hop piena di una parure di diamanti che tintinnano sadicamente. Chitarra Darkwave bastarda, fintamente dolce, che aspetta la battaglia che verrà, e poi il grigiore di effetti elettronici e inevitabilmente la voce, la strega resuscitata che dal loculo intraprende il suo percorso  lastricato di vendetta: non poteva rimanere imprigionata. Poi accade che si finisce con il non essere più in grado di qualsiasi coscienza, si diventa chilogrammi di acido sulfureo tra le pareti di un soffocamento. Il cielo guarda questa voce disumana e scappa. Non si tratta di estensione, di modalità, bensì di quello che pulsa al suo interno, intenta a divenire una mossa strategica per il nostro destino: lei vivrà nella nostra memoria e ci dimenticherà, ci abbandonerà per andare a commettere altre stragi altrove. Sicuramente si sposta dal nostro apparato uditivo per emigrare, senza soste, nelle nostre vene che saranno contente di farle conoscere le nostre cavità. È certo che moriremo con lei: una volta che si è stregati, il soggetto in questione sarà una montagna continuamente in discesa, lo shock a cui non c’è rimedio. La musica, tuoni in marcia robotica, estende la sua chiesa sulla quale ARINA ride con il sangue nell’ugola.

Come in una ipnosi tribale, la canzone illumina i generi musicali, li ammassa, rovista tra essi e li conquista, in un turbinio emotivo che seduce. 

Qualcosa di straordinario accade in questo brano, a causa di un recital di suoni, una storia rimane piacevolmente confusa e riesce ad avvinghiare e a far gridare al miracolo: se anche questo potesse morire forse crollerebbe questo piacevole malessere….


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford 

11 Gennaio 2023

https://paynayloron.bandcamp.com/album/through-the-glass



My Review: ⱯRINA - if u could die

 ⱯRINA - if u could die 


Ecstasy. Sinking. Astonishment. Eclipse of reason. Ousted. Thrown onto suspended ice.

This is the true story of the old scribe at the end of listening to this song, a cosmic ray off its course, out of place, out of time, indisputably a vehicle of bewilderment and desire to cry tons of liquid. Adolescence dies now, the windows of consciousness fall and leave the notes present here to do damage: it is useless to count them, they do not end, they continue even with the play in pause. One cannot cry out when the compositions make the mind swell, crushing the skull down, on the ground, and then they crash. The music is a circular halberd, with rhythm that advances, pauses, always beating, hallucinated and gloomy, often able to understand that the listener would like to escape from it: the mystery may be death with its trap in advance. It is a gothic necklace of trip hop brilliance filled with a parure of sadistically clinking diamonds. A Darkwave bastard guitar, falsely sweet, waiting for the battle to come, and then the greyness of electronic effects and inevitably the voice, the resurrected witch who from the burial recess embarks on its path paved with vengeance: it could not remain imprisoned. Then it happens that one ends up no longer being capable of any consciousness, one becomes kilograms of sulphurous acid within the walls of a suffocation. The sky looks at this inhuman voice and runs away. It is not a question of extension, of mode, but rather of what pulses within it, intent on becoming a strategic move for our destiny: it will live in our memory and forget us, it will abandon us to go and commit more massacres elsewhere. It is certain that it will move from our auditory apparatus to migrate, without interruption, into our veins that will be happy to let it know our cavities. We will surely die with it: once bewitched, the subject in question will be a continually descending mountain, the shock for which there is no remedy. The music, thundering in a robotic march, extends its church over which ARINA laughs with blood in her uvula.

As in a tribal hypnosis, the song illuminates musical genres, piles them up, rummages among them and conquers them, in an emotional whirlwind that seduces us. 

Something extraordinary happens in this track, due to a recital of sounds, a story remains pleasantly confused and manages to captivate and make one hail as a miracle: if even the latter could die, perhaps this pleasant malaise would collapse....


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford 

11th January 2023


https://paynayloron.bandcamp.com/album/through-the-glass



La mia Recensione: UV POP - Sound of Silence

 UV POP - Sound of Silence


La tristezza, madre e figlia di quello che è reale e indiscutibile minimo comun denominatore degli eventi terrestri, alberga come Dea con lo scettro stretto, dentro tutti: le eccezioni sono falsità a prescindere.

In questo panorama che lascia al sorriso una ipotesi suicida, arriva un album bilingue: da una parte la modalità descrittiva, appunto, della tristezza, dall’altro quella di un volo subacqueo in cerca di luce ingannevole, utilizzando musica che non sia troppo precipitosa.

John K. White è un folletto romantico, abita i cassetti dei sogni delle anime silenziose, lo fa da quarant’anni, musicalmente parlando, ed è tornato proprio per celebrare il quarantennale della nascita della sua band con geometriche esposizioni concettuali all’insegna di un umore tendente al malinconico: il dna non mente mai. Il tempo scorre per marcare i passi stantii e i respiri incerti, ma John riesce a rendere ogni cosa visibile con le note musicali, come una magia a cielo aperto, a cui solo lui ha accesso per verificare il tutto. Ed è ironico il fatto che lui sia un essere umano che vive a luci spente nel sistema musicale, ma che sappia illuminare meglio di chiunque altro queste scoscese e impervie sollecitazioni emotive e comportamentali. Un alieno, forse, potrebbe fare lo stesso. Bravissimo però a sistemare qua e là vertigini di colori per non assembrare tutto verso il piombo che mostrerebbe poteri devastanti. Allora si possono constatare matrimoni stilistici eccelsi, per una tavolozza dove i colori si affacciano con carattere. Il Post-punk e l’elettronica diventano conviventi, stabilendo contratti e sogni per un divenire che dura per sessantuno splendidi minuti.

Scatteranno, come sempre gli è capitato, paragoni con la sua voce che sembrerebbe essere figlia di quella di David Bowie. Il vecchio scriba, tuttavia, non perde tempo con queste sciocchezze e, come un sacerdote sordo davanti ai suoi fedeli, prosegue integerrimo verso i birilli, le lastre, le lande, i sensi, i riflessi di canzoni che sono un manto spettacolare, il risultato di alchimie davanti a uno specchio: gran parte di questo lavoro potrebbe appartenere a ognuno di noi, ma alla fine lo specchio si scioglie dentro la sua anima, lasciandoci favorevolmente poveri. 

I ritmi sono quasi sempre lenti, ma molto sembra correre, in questa slavina emotiva, dove le pendenze vengono percorse solo apparentemente in salita. Le atmosfere sono spesso rarefatte attraverso i giochi di prestigio tra le chitarre e un synth a cui basta a volte un solo dito e una sola nota per fare di noi degli schiavi inebetiti, per rendere il tutto una fragorosa risultanza di benefici da intendere: nulla deve negare il mistero, padre e padrone di queste tracce sublimi. La poesia non è appannaggio solo dei poeti: appartiene soprattutto al sole e alla luna, alla volta celeste che John ridipinge con alcune varianti. Si pratica la confidenza ma non è possibile provare amicizia per queste composizioni: rimane impressa, traccia dopo traccia, una sola possibilità di manovra che si definisce in sguardi ammirati e devoti.

Quando si ascolta questo album, scattano in piedi i ricordi di un tempo nel quale la musica era raffinata esposizione del desiderio di ripetere quella esperienza, di essere circondati dall’obliquo desiderio di abbandonarsi al silenzio. A una band che ha avuto a che fare con i mastodontici In The Nursery, con la Sacerdotessa dello sbando comportamentale Nico, con i devastanti Cabaret Voltaire, nulla può impedire di attraversare generi e umori che sono elastici di una fisica estensione verso una follia non caotica ma programmata allo stile più puro. 

Soluzioni tecniche sempre verso nessun compromesso nei confronti di situazioni storiche della scena Post-punk conducono come conseguenza a nasconderlo, per favorire giochi di atmosfere con un grigio Gainsboro che seduce e riduce il desiderio di altre modalità espressive: bastano e avanzano quelle che l’uomo dello Yorkshire del sud ha deciso di rendere indelebili, valide, senza necessitare di niente altro. 

Non perdiamo tempo, passiamo a toccare questi raggi lunari, come segno di un destino che ci regalerà magnificenze ordinate e capaci di fare dell’ascolto una tavola bandita di cibo che presenta gusti e profumi per rendere l’autunno divino e perfetto…




Song by Song


1 - No Songs Tomorrow


Il brano di apertura è un fascio acustico/elettronico con un cantato decadente che supporta un piano sonoro nebuloso, che dà perfettamente spazio alle inclinazioni di John.


2 - Portrait (Extended)


Richiami Gothic Rock ma dalla pelle ricoperta di squame Darkwave, con la voce che si avvicina a schemi di cui un altro John, Fox, fu Maestro. Rimane la chitarra semiacustica a tracciare la melodia, ma le suggestioni entrano prepotentemente nella zona buia, conferendo all’atmosfera un perfetto ponte con le soluzioni Post-punk inglesi dei primi anni ’80.


3 - Some Win This


Ed è notte, artigli piegati che chinano la testa: la voce prende il comando, cori efficaci trascinano, i Death In June appaiono quasi nascosti, ma poi tracce di Adrian Borland risultano visibili e si cade nella trappola della bellezza oscena…


4 - See You


Ecco la Divina, una delle tante, che mostra la sua semplicità nell’essere liquido in espansione, per manifestare la propria nervatura colma di tensione. Si rimane connessi a due chitarre, opposte, una ritmica e una che scava nella pietra. Finendo per stabilire l’intesa con una volontà di sedurre con pochi elementi ma ripetuti, sino all’ossessione. Ed è annessione alla terra degli UV POP.


5 - I.C.


Le cose cambiano, si entra nel lato Post-punk che richiede attenzione perché impuro, assediato da un’anima Neofolk che vuole partecipare alla festa triste in atto. Un ibrido funzionante e capace di crescere con uno scatto magnifico dato dalla chitarra elettrica che lentamente sale sulla cattedra e vomita tensioni assortite.


6 - Psalm


Nulla vale se non ha capacità di attraccare all’emozione: eccoci con una perla che oscilla tra diademi elettronici e cospirazioni religiose a trasportare il tutto verso una intenzione psichedelica senza averne i connotati musicali. Straripante e dotata di seduzione lenta.


7 - Sleep Don’t Talk


Delirio, estasi, liberazione, salto verticale dentro i Cabaret Voltaire con il vestito autunnale, per questa sciabolata isterica che vi avvolgerà senza esitazione. 


8 - Commitment 


Il cerchio del dolore trova schianti elettronici e vampiri assetati di mistero: come prendere i semi malati dell’elettronica inglese della metà degli anni ’70 e renderli fedeli a un basso che tramortisce senza sconti.


9 - Arcade Fun


I Wall of Voodoo che piangono insieme ai Death in June di Heaven Street: ed è incanto trucido e perverso. La chitarra, isterica e ferita, si porta dietro la voce di John, per un insieme di piume bagnate dalla perfezione.


10 - Hafunkkiddies


Una corda si aggira tra la tastiera sanguigna: ed è rapimento, rifugio delle anime stordite, un esempio di come la chitarra che accenna a rovistare tra i sentimenti sia capace di lasciare i propri graffi. Una processione nervosa che cresce, gli strumenti si aggiungono e inondano gli altri, e si è storditi da un impianto sonoro così vicino al cabaret elettronico.


11 - Four Minute Warning


Dai ai Kraftwerk una zona mentale su cui stravolgere gli eventi, fai conoscere loro gli UV POP e sarà un grappolo tossico di incandescenti propulsioni elettroniche, dalla bava colante…


12 - Superstition (Bonus Track)


Lo scriba è contrario alle bonus track, ma qui vale la pena compiere una eccezione. Si inizia con questa bolla magnetica, con intarsi di sax su un crooning dalla grande sensualità, in un incastro che unisce decadi e attitudini di assenza della forma canzone per poter fare della sperimentazione una frustata necessaria. 


13 - Hafunkkiddies (Original Version)


Pare lontana parente della canzone numero dieci dell’album, eppure capace di rivelare le possibilità, gli squarci, le evoluzioni sonore che rendono questa band estremamente importante. E il terremoto del basso unisce la chitarra verso i Bauhaus più magnetici.


14 - Amsterdam (Bonus Track)


Si lascia sempre alla fine la chicca che inchioda l’anima. Tornano gli Ultravox di John Fox nello stile del cantato di John K. White, e questa semi-ballad è la tragedia che scende per rendere muti i pensieri e miti i satelliti evocativi. Chiosa meravigliosa, la perfezione raggiunta ci fa riprendere l’ascolto, come atto di infedeltà alla concretezza unita alla bellezza…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10 Gennaio 2023

https://uvpop.bandcamp.com/album/sound-of-silence

https://open.spotify.com/album/513qLLdVABTQMmh2S3KdY4?si=hqeULFqBQLC-BtF7l2PCQQ




La mia Recensione: Linebeck - karoshi (Over a dream)

 Linebeck - karoshi (Over a dream)


È indubbio che la musica sia un mappamondo di storie e fascinazioni che incontrano stati emotivi e complicanze che generano flussi coscienti e incoscienti di impatto.

In una zona fertile come quella dell’Ontario vive una band di portatori di spensieratezza che si chiama Linebeck, menestrelli e pittori di storie che, in questo luminescente esempio dal titolo karoshi (Over a dream), ci portano la realtà, con le sue intemperie, il peso del lavoro, il tempo che si fatica a gestire e l’inarrestabile volontà di non fermarsi mai. Per farlo scelgono una poesia leggera da trascrivere in note musicali che vola tra le pareti e ci fa danzare, con l’impressione che la band di Filadelfia A Sunny Day in Glasgow si sia mostrata tra le molte a benedire il quartetto canadese. Ma soprattutto incanta questa frenesia agrodolce, tra il testo che conduce a riflessioni importanti e il bacio di una musica davvero accattivante.

Sin dall’introduzione con chitarre pizzicanti e un bel connubio tra il basso vertiginoso e il drumming con inclinazioni Indie, e la tastiera a farci divenire ali di un sogno in volo, sorprende una piccola spruzzata Shoegaze a rendere ancora più seducente l’ascolto. Non ci resta che attendere un album: la premessa è ottima.

Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10 Gennaio 2023

https://linebeck.bandcamp.com/album/karoshi-over-a-dream





My review: Linebeck - karoshi (Over a dream)

Linebeck - karoshi (Over a dream)


There is no doubt that music is a globe of stories and feelings that meet emotional states and complications that generate conscious and unconscious streams of impact.

In a fertile area like Ontario lives a band of bearers of lightheartedness called Linebeck, minstrels and painters of stories who, in this luminescent example entitled karoshi (Over a dream), bring us reality, with its bad weather, the weight of work, the time that one struggles to manage and the unstoppable will to never stop. To do so, they choose a light poetry to transcribe into musical notes that fly through the walls and make us dance, with the impression that the band from Philadelphia A Sunny Day in Glasgow was among the many that blessed the Canadian quartet. But above all, this bittersweet frenzy enchants, between the lyrics that lead to important reflections and the kiss of truly captivating music.

Right from the introduction with tingling guitars and a nice combination of dizzying bass and drumming with Indie inclinations, and the keyboards to make us become wings of a flying dream, there is a little shoegaze sprinkle that makes the listening even more seductive. We just have to wait for the album: the premise is excellent.

Alex Dematteis

Musicshckworld

Salford

10th January 2023

https://linebeck.bandcamp.com/album/karoshi-over-a-dream




domenica 8 gennaio 2023

La mia Recensione: GRMLN - Dark Moon

GRMLN - Dark Moon


Stati Uniti e Australia, Korea e Giappone.

Tutto questo concerne un artista solo, Yoodoo Park, talento e fuoriclasse che ha appena pubblicato Dark Moon, da cui il vecchio scriba è rimasto folgorato. Sarà per via di una ricerca melodica che ben si sposa con la morbidezza di un Dreampop dal volto moderno, fresco, arrotondato da un riverbero dalla pelle Shoegaze per quanto riguarda il cantato. Arpeggi veloci su ritmi che amano lo stop and go, fanno delle chitarre sorelle gemelle che vibrano e si spostano indietro nel tempo, verso Sheffield e Londra, le due città britanniche che tra la metà degli anni ’80 hanno incominciato a spostare i confini arrivando in tutto il mondo. Yoodoo alterna pure chicche Alternative con una attitudine rock alleggerita da ogni gravità, per coniugarsi al Dreampop: miscele multiple, generose, che spiegano perfettamente la cifra stilistica di queste brevi nove composizioni. Non si supera mai i quattro minuti, perché al loro interno tra varianti varie e impianti scenici dalle molte sfumature si ha nell’ascolto un panorama già di per sé generosissimo. Atti artistici come Fevers strizzano l'occhio a echi di musica alternative degli anni ’90 facendo assentare il Dreampop. Con Phase I si entra nell’aria fresca di correnti dei mai dimenticati Blueboy della Sarah Records. Sin dalle prime note di Dark Moon, canzone che apre l’album, tutto è chiaro: saranno spazi senza tempo, che non creeranno nostalgia ma appariranno sempre giovani, attuali, efficaci. È tuttavia con Beauty che il cuore scatta in piedi e applaude: tra richiami anni ’70 e la brina sulle chitarre, il cantato conquista e si abbracciano le stelle che sembrano uscire dai polpastrelli del talento ora abitante in Australia. Sono onde schiumanti di quel bellissimo Paese che scivolano tra i secondi di un brano accattivante. Se poi volete mistero, coralità e un’emozione da stadio ecco la gigantesca New Human che pare nipote degli Smiths in certi fraseggi della chitarra, ma facendo attenzione a non essere una volgare imitazione. 

Con una produzione atta a far percepire l’album come un compatto concept musicale, dalle mille diramazioni ma con l’incontestabile merito di non cadere nella tentazione di pericolose fuoriuscite di stile, ci si ritrova a vedere aggiornati generi musicali e i loro bisogni di abbracci e di contaminazione. 

In poco più di ventitré minuti percorrerete un paesaggio sonoro che vorrete riascoltare: in fondo non è che una metafora della vita moderna che ha bisogno di cose veloci per non appesantire la capacità di attenzione. E il risultato è piacevole, raccomandato ai sognatori…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

9 Gennaio 2023

https://grmln.bandcamp.com/album/dark-moon-2

https://open.spotify.com/album/0xBUPE1W2vx1LAuDwzrhw0?si=jdY3dCh8Tx6PnLsEUPt97Q







My Review: GRMLN - Dark Moon

 GRMLN - Dark Moon


United States and Australia, Korea and Japan.

All of this is about one artist, Yoodoo Park, a talent and star who has just released Dark Moon, by which the old scribe was struck. It may be because of a melodic quest that goes well with the softness of Dreampop with a modern and fresh aspect, rounded off by a shoegaze-skinned reverb with regard to vocals. Fast arpeggios over stop-and-go rhythms make the guitars twin sisters that vibrate and move back in time, to Sheffield and London, the two British cities that began to shift borders in the mid-1980s, reaching all over the world. Yoodoo alternates pure alternative gems with a rock attitude lightened by all gravity, to combine with Dreampop: multiple and generous mixtures that perfectly explain the stylistic signature of these short nine compositions. They never exceed four minutes, because within them, amidst the diverse variants and multifaceted scenic installations, you have an already generous overview to listen to. Artistic acts such as Fevers wink at echoes of the alternative music of the 90s, making Dreampop absent. With Phase I we enter the fresh air of currents of the never forgotten Blueboys of Sarah Records. From the very first notes of Dark Moon, the song that opens the album, everything is clear: they will be timeless spaces, which will not create nostalgia but will always sound young, current, effective. It is, however, with Beauty that the heart leaps to its feet and applauds: amidst hints of the 70s and the frost on the guitars, vocals conquers and the stars that seem to come out of the fingertips of the talent now living in Australia are embraced. And they are foaming waves of that beautiful country gliding through the seconds of a catchy track. If you want mystery, chorus and a stadium emotion, here is the gigantic New Human, which sounds like a grandchild of The Smiths in certain guitar phrasings, but careful not to be a vulgar imitation. 

With a production designed to make the album feel like a compact musical concept, with a thousand ramifications but with the undeniable merit of not falling into the temptation of a dangerous lack of style, one finds oneself looking at updated musical genres and their need to embrace and contaminate. 

In just over twenty-three minutes, you will travel through a sound passage that you will want to listen to again: after all, it is nothing but a metaphor for modern life, which needs things fast so as not to burden your attention span. And the result is pleasant, recommended for dreamers...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

9th January 2023

https://grmln.bandcamp.com/album/dark-moon-

2

https://open.spotify.com/album/0xBUPE1W2vx1LAuDwzrhw0?si=jdY3dCh8Tx6PnLsEUPt97Q















My Review: The Secret French Postcards - Life Got Claws

 The Secret French Postcards - Life Got Claws


Two countries shake hands, for an artistic union that sows urban fragments and is constantly devoted to dark and radioactive dance.

The Swedes TSFP and the German label Cold Transmission Music strike  a deal to make the earthly path truthful and credible, an account of the daily spasms with elegance in the sounds, filled with Darkwave stabs and contemplating the support of that Coldwave that knows how to become as warm as a kiss from Lucifer.

What we are going to listen to is something powerful, transversal and oblique, representative of needs and propensities that have been trying to enhance consensus for decades, like a spokesman of manifest adhesions to musical fascinations born between Belgium and England, which then landed in the Slavic countries and Eastern Europe. Music that generates introspection and abandonment, dreams cloaked in essential propaedeutic attitudes. The Portuguese Pedro Code, undisputed priest of the prodigious IAMTHESHADOW, here steps into the control room as a producer and head of mixing, giving the Swedes a deserved and necessary added value.

One has deep admiration for this work that condenses messages and qualities into an expanse of rumbles and fragrances that stun, a unicum that is only considered as such if one has the intention of studying in depth what the massive musical production offers. Here we find ourselves in the presence of champions, mastiffs and thoroughbred horses that bite and run through the territories of sadness with growing capacity...

Something essentially necessary comes out of the amplifiers of these seemingly glacial souls, to contour and perturb our mental palaces: the Swedes play seriously with brushes, reducing the palette at their disposal, but perfectly outlining the areas they are interested in for a set of songs that can also be the ideal frame to look at on days when thought struggles to be precise. But the tracks are sonic and emotional investigations, conductors of thinking dances, analytical sessions that reveal truths we often wish to deny.

From The Cure to Ultravox to Echo & The Bunnymen, via Sheffield and Belgrade, everything piles up and makes visible the origin of magic that does not melt. But then these enchanters decide that it is necessary to sow their own mark and therefore all the compositions come to expand, to convince them to have a strong personality without too many debts with the past.

Feelings appear as a long list, as numerous are the stylistic fascinations, perfectly compacted, almost hidden but recognisable with careful listening. And it is a green light for a grey, conscious and constructive joy. It is music of multiple capacities, assorted identities absorbed in a momentum that leads to dance steps that show reality.

The voice is never emphasised, almost kept hidden, yet it is able to arouse emotion, aspects that join with the sound, a leaden but effective viaduct in keeping us company, in revealing itself as one of us, in the embrace between creator and host. Let us move on to kiss these songs, for a marriage that I wish you to celebrate within yourselves…


Song by Song 


1 - The Way You Move


We enter the room of moves, of life, of strategies, of the necessities of life, of observation, with Olli Ohlander's voice putting itself on the same level as the music: the volume, the mixing makes everything compact, for this guitar that moves with black-grey trajectories. The initial bass will be the basis of a Post-punk belonging that will find during the track the game of alternations which make it perfect to start the album.


2 - Parasite


We dance again, more and more bent into the early 80s, with guitar and synth as an ancient couple who know themselves well and produce oiled and working beams of sadness. Coldwave echoes, in the decadent direction of a sick and delicious seduction towards a musical language that defines validity and depth.


3 Sad Like You


A new One Hundred Years, but only in the very first few seconds and lightened up, immediately finds a way to move away from the uncomfortable comparison to find its own soul with amazing vocals. At the synth comes the wizard of IAMTHESHADOW to give the track an effective cloud full of crows and scratches on the skin. Poignant, remarkable, it produces pleasant pain. 


4 - Strain 


We find again the hypothesis of The Cure to caress suggestions that seem to be heading towards 1981, in southern England. But then Strain becomes a glacial, delicate and murky meteorite.


5 - Don't Fear Me


Here we are at the diamond point, at the eclipse, at a change of mode and stylistic perspective, at the point of contact with their past that nevertheless contemplates a leap forward: the band's future starts from this gem, from the darkness that is traversed with a singing-recitation of enchanting beauty. And the music is a walk through anxieties and tensions, with the melodic piano held together by a style that needs no comparison: it is to them that all the credit goes.


6 - Dreaming At Last


After the diamond, the masterpiece of this record: all the richness of a dreamlike compression finds accommodation in the interplay of dynamics that are perfect. Darkwave bites its teeth, Coldwave defends itself, resulting in the splendour of the only human victory: dreams. And no better dream than a musical one can travel between night and dawn.


7 - Sides


Sides is the song with the most melodic weight on this album: a ride through the streets of musical genres that embrace each other and then Olli's voice that is a melancholic chill that lightly burrows into the skin, but ultimately reaches the centre of our hearts. Almost on the verge of Gothic pop, the song has all the characteristics to light up dance floors.


8 - Complete Confusion


It's hard to believe that TSFP can be fierce and dramatic, but here we are in front of a mirror with multiple pieces of glass that make everything clear, in spite of the title: a song that produces addiction and clarity, because in the muffled sense of the instruments a radioactive power emerges, perfect and necessary. And the refrain is essential frenzy.


9 - Go Away


Haunting, like ravenous weeds, like a rock climbing towards the sky, Go Away is the lightning bolt that the old scribe recommends everyone to listen to: forty years of splendid attitudes summed up in 93 seconds. It is jubilation and we all walk away satisfied by these sounds and the muffled circle of light.


10 - A Searching Kiss


We come to the conclusion with a song that slows down the rhythms, but which is able to give tons of suggestions thanks to a rotating guitar and a drum machine that thickens the Coldwave soul of a fairy tale which kisses desires and shows the romantic side, although throughout the album the Swedes have not spared themselves, also showing love petals. But if the need to open our eyes to hostile reality was evident, here we kiss and dream ...


Alex Dematteis

Musicahockworld

Salford 

8th January 2023

https://thesecretfrenchpostcards.bandcamp.com/album/life-got-claws




La mia Recensione: The Secret French Postcards - Life Got Claws

 The Secret French Postcards - Life Got Claws


Due paesi si stringono la mano, per un connubio artistico che semina frammenti urbani e costantemente votato alla danza cupa e radioattiva.

Gli svedesi TSFP e la label tedesca Cold Transmission Music stringono un patto per rendere veritiero e credibile il percorso terreno, un resocontare gli spasmi quotidiani con eleganza nei suoni, colmi di stilettate Darkwave e contemplando il supporto di quella Coldwave che sa divenire calorosa come un bacio di Lucifero.

Quello che si va ad ascoltare è qualcosa di potente, trasversale e obliquo, rappresentativo di necessità e propensioni che stanno da decenni cercando di nutrire consensi, come portavoce di manifeste adesioni a fascinazioni musicali nate tra il Belgio e l’Inghilterra, approdate poi nei paesi slavi e dell’Europa dell’Est. Musica che genera introspezioni e abbandoni, sogni ammantati di essenziali atteggiamenti propedeutici. Il portoghese Pedro Code, sacerdote indiscusso dei prodigiosi IAMTHESHADOW, qui sale in cabina di regia come produttore e responsabile del mixaggio, conferendo agli svedesi un valore aggiunto, meritevole e necessario.

Si nutre ammirazione profonda per questo lavoro che condensa messaggi e qualità, in una distesa di rimbombi e fragranze che stordiscono, un unicum che viene ritenuto tale solo se si ha intenzione di studiare approfonditamente quello che la massiccia produzione musicale propone. Qui ci troviamo davanti a dei fuoriclasse, mastini e cavalli purosangue che mordono e corrono nei territori della tristezza con capacità in estensione…

Qualcosa di essenzialmente necessario esce dagli amplificatori di queste anime apparentemente glaciali, per contornare e conturbare i nostri palazzi mentali: gli svedesi giocano seriamente con i pennelli riducendo la tavolozza a disposizione, ma tratteggiando perfettamente le zone alle quali sono interessati per un insieme di brani che sanno essere anche la cornice ideale da guardare nei giorni in cui il pensiero fatica a precisarsi. Ma le canzoni sono indagini sonore ed emotive, dei conduttori di danze pensanti, sedute analitiche che rivelano la verità che spesso vorremmo negare.

Dai Cure agli Ultravox, agli Eco & The Bunnymen, passando per Sheffield e Belgrado, tutto si ammassa e rende visibile la provenienza di magie che non si sciolgono. Ma poi questi incantatori decidono che occorre seminare la propria impronta e allora tutte le composizioni arrivano a dilatarsi, a convincerli ad avere una forte personalità senza troppi debiti col passato.

I sentimenti appaiono come una lunga lista, come numerose sono le fascinazioni stilistiche, perfettamente compattate, quasi nascoste ma riconoscibili con un ascolto attento. Ed è via libera per una gioia grigia, consapevole e costruttiva. È musica dalle multiple capacità, identità assortite e assorbite in uno slancio che conduce a passi di danza che mostrano la realtà.

La voce non viene mai messa in risalto, quasi tenuta nascosta, eppure è in grado di suscitare commozione, aspetti che si uniscono al suono, un viadotto plumbeo ma efficace nel farci compagnia, nel rivelarsi una di noi, nell’abbraccio tra chi crea e chi ospita. Passiamo a baciare queste canzoni, per un matrimonio che vi auguro possiate celebrare dentro di voi…


Song by Song 


1 - The Way You Move


Entriamo nella stanza delle mosse, della vita, delle strategie, delle necessità della vita, dell’osservazione  con la voce di Olli Ohlander a mettersi sullo stesso livello della musica: il volume, il mixaggio rende tutto compatto, per questa chitarra che si muove con traiettorie nero-grigie. Il basso iniziale sarà la base di una appartenenza Post-punk che troverà durante il brano il gioco delle alternanze a renderlo perfetto per iniziare l’album.


2 - Parasite


Si danza ancora, sempre più curvi dentro i primi anni ’80, con la chitarra e il synth come una antica coppia che conosce bene se stessa e produce fasci di tristezza oliati e funzionanti. Echi Coldwave, nella decadente direzione di una malata e deliziosa seduzione verso un linguaggio musicale che definisce validità e spessore.


3 Sad Like You


Una nuova One Hundred Years, ma solo nei primissimi secondi e alleggerita, trova subito modo di spostarsi dallo scomodo paragone per trovare una sua anima con uno strepitoso cantato. Al synth arriva il mago degli IAMTHESHADOW per dare al pezzo una efficace nube piena di corvi e graffi sulla pelle. Struggente, notevole, produce piacevole dolore. 


4 - Strain 


Torna l’ipotesi dei Cure ad accarezzare suggestioni che sembrano dirigersi nei pressi del 1981, Inghilterra del sud. Ma poi Strain è un meteorite, glaciale, delicato e torbido. 


5 - Don’t Fear Me


Siamo alla punta di diamante, all’eclissi, a un cambio di modalità e di prospettiva stilistica, al punto di contatto con il loro passato che contempla però un balzo in avanti: il futuro della band parte da questa gemma, dalla tenebra che viene attraversata con un cantato-recitato, di incantevole bellezza. E la musica è una camminata tra ansie e tensioni, con il piano melodico tenuto insieme da uno stile che non abbisogna affatto di comparazioni: tutta farina del loro ricco sacco.


6 - Dreaming At Last


Dopo il diamante, il capolavoro di questo disco: tutta la ricchezza di una compressione onirica trova sistemazione nel gioco dei richiami di dinamiche che sono perfette. La Darkwave morde i denti, la Coldwave si difende, dando come risultato lo splendore dell’unica vittoria umana: i sogni. E nessun sogno migliore di uno musicale può viaggiare tra la notte e l’alba.


7 - Sides


Sides è la canzone con il maggior peso melodico di questo album: una cavalcata dentro le strade di generi musicali che si abbracciano e poi la voce di Olli che è un brivido malinconico che scava la pelle con leggerezza, ma arrivando alla fine al centro dei nostri cuori. Quasi nei pressi di un pop Gotico, la canzone ha tutte le caratteristiche per  illuminare le dance floor.


8 - Complete Confusion


Difficile credere che i TSFP possano essere feroci e drammatici e invece qui siamo davanti a uno specchio dai molteplici pezzi di vetro che rendono tutto chiaro, a discapito del titolo: brano che produce dipendenza e chiarezza, perché nel senso ovattato degli strumenti emerge una potenza radioattiva, perfetta e necessaria. E il ritornello è delirio essenziale.


9 - Go Away


Ossessiva, come gramigna famelica, come una roccia che si arrampica verso il cielo, Go Away è il lampo che il vecchio scriba consiglia a tutti di ascoltare: quarant’anni di attitudini splendide riassunte in 93 secondi. È tripudio e ce ne andiamo tutti via soddisfatti da questi suoni e dal circolo di luce ovattato.


10 - A Searching Kiss


Arriviamo alla conclusione con una canzone che rallenta i ritmi, ma che è in grado di regalare tonnellate di suggestioni grazie a una chitarra rotante e a una drum machine che ispessisce l’anima Coldwave di una favola che bacia i desideri e mostra il lato romantico, sebbene in tutto l’album gli svedesi non abbiano risparmiato se stessi, mostrando anche petali d’amore. Ma se era evidente il bisogno di farci aprire gli occhi davanti alla realtà ostile, qui si bacia e si sogna …


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8 Gennaio 2023

https://thesecretfrenchpostcards.bandcamp.com/album/life-got-claws




sabato 7 gennaio 2023

La mia Recensione: This Social Coil - Octatabylus

  This Social Coil - Octatabylus


Ritrovarsi bambini, estasiati, mentre si corre dentro le note di un album struggente, colmo di poesia ipnotica, inseminata di deflagrazioni trattenute, con la propensione ad arricchire il pianto umano con disarmante intensità e capacità. Il settimo lavoro è planato tra circumnavigazioni multiple, in un crescendo di descrizioni plurime delle quali non si possono trattenere l’ampiezza e la capacità di portarci nel gelido e nel calore dell’anima: un matrimonio di cui queste canzoni tratteggiano la forma, con l’intenzione di diventare eterne. Portare la loro ricerca filosofica al cospetto delle nostre inadeguate capacità di apprendimento rende i membri di questa band perfetti, distanti e unici. Da sempre desiderosi di avvicinare gli estremi stilistici del post-punk e del post-rock, come da ordine divino inseriscono anche elementi shoegaze per ampliare la gittata delle loro fascinazioni, decisamente meticolose e ben specificate, in un alveare sonoro che rimbalza tra i palpiti della nostra gioia vestita di grigio.

Non si riesce a credere a quanta continuità stilistica approdi nei fiumi del loro cratere artistico: un buco che spinge le loro attrazioni verso la lentezza, come se il suono fosse una piuma al cui interno inserire un sasso. Operazione difficilissima, ma a loro riesce, ed è un miracolo di cui necessitiamo la ripetizione, finendo per ascoltare le dodici fluorescenze musicali con stordimento.

Canzoni come dialogo interno, le bocche votate al silenzio, le mani a toccare gli strumenti con decadente attitudine per portarle alla resa ma renderli capaci di far uscire gocce di pioggia autunnale. Ed è magia dentro l’emisfero inebetito di sensi sparpagliati, consumati e afflitti da sensi di colpa, sebbene la melodia sembri far resuscitare spesso il loro martirio. Però, se l’ascolto è impegnato nella ricerca dei segreti più intimi, allora non vi è dubbio che Octatabylus sarà il primo afflato magnetico di questo 2023.

Si aprono gli inutili accostamenti stilistici solo per chi considera la musica un gioco, un blasfemo indovinello: date retta al vecchio scriba e fate assentare la stupidità, perché in questo album vi è personalità e cifra stilistica propria tanto da non dover sprecare il vostro tempo. Si consiglia la visione di un film di Luis Buñuel, di prepararsi con la lettura di un libro (perfetto sarebbe Georg Wilhelm Friedrich Hegel) e poi barricarsi con le cuffie e una bevanda calda: riti propiziatori per poter afferrare le onde che i tedeschi generano e che vi condurranno in un luogo potente. Siatene certi, non lo troverete nella carta toponomastica…

Sentirsi privilegiati dal fatto di poter ascoltare cotanta rarefatta dinamica percettiva è un evento raro: gli incroci di viali alberati tra note magiche e quelle che hanno il nero stampato sulla pelle rende tutto un insieme di fasci di luci in contemplazione, dove il risultato è un urlo con l’eco pieno di riverbero nella nostra mente.

Cosa volete che si scriva innanzi alla certezza che siamo beneficiari di una ricerca psicologica che riesce perfettamente a entrare dentro l’arte musicale? Si potrebbe dire che non è la prima volta, ma la fattura di questo lavoro è incandescente tra i blocchi ghiacciati delle nostre lande cerebrali sempre meno attratte dal voler capire. Sì, è musica per riflettere, dentro l’abbandono continuo che ci rende silenti, obbedienti, storditi e tumefatti, perché la vera bellezza fa male alla pelle dei nostri egoismi.

Le chitarre sono grappoli di anidride carbonica che attaccano la storia dello shoegaze: mutano e non vogliono essere definite, diventano nomadi viaggiando verso il post-punk insieme a tastiere semplicemente beffarde. Il basso in tutto l’album è una preghiera che si rende visibile sopra i tetti dei nostri sguardi, nel cielo che, insieme alla potente batteria, delinea la potenza che si rende ferita per tutto questo disco. È un inghippo, una sfida, una pazzia cercare di separarsi da questo ascolto che non ci rende stremati ma devoti: la prima forma di fedeltà è nata a inizio anno ed è il segno evidente che gli Dei dell’Olimpo ancora si fidano di noi umani…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

7 Gennaio 2023


https://thissocialcoil.bandcamp.com/album/octatabylus









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