domenica 16 ottobre 2022

La mia Recensione: Umberto Maria Giardini - La dieta dell'imperatrice

 

La mia Recensione:


Umberto Maria Giardini - La dieta dell’imperatrice 



Non rimpiango le persone che ho perso col tempo, ma rimpiango il tempo che ho perso con certe persone, perché le persone non mi appartenevano, gli anni sì.
(Carl Gustav Jung)


Prendi una donna nel cuore e fatti guidare verso la ricerca interiore, e con la penna piena di stile scrivi la storia di un uomo fuori da certe strutture.

Lei è Anna Calvi, colei che in qualche modo stimola Umberto a inventare un nome nuovo nella sua carriera, senza perdere tutte le caratteristiche di uno degli autori di maggior talento di questa Italia musicale sempre confusa e non capace di produrre qualità nella quantità. Se non una musa sicuramente un punto di riferimento. Infatti sarà Antonio Cooper Copertino, produttore eccelso al lavoro proprio con Anna e Pj Harvey, a sedersi in studio con lui per co-produrre il ritorno discografico del più sensibile tra i musicisti dello Stivale.

C’è da perdere peso in questa abbondante proposta di album e artisti, c’è da ritrovare l’infinita intimità che meglio li protegge dall’esibire qualità forse non del tutto centrate.

Con un sentire psichedelico, senza per forza essere musica con quelle caratteristiche, Giardini scrive dieci fiamme avvolte in un cuscino, dove il calore trova la sua comodità: sono canzoni che scaldano il cuore ma allo stesso tempo incendiano la mente, perché si rimane oltre che commossi sicuramente stimolati a capire il tempo corrente. 

Tutto graffia accarezzando, un quasi ossimoro che è inevitabile constatare quando si parla dell’autore marchigiano, bolognese di adozione, vista la propensione a mettere inchiostro dentro pensieri vellutati, ma anche con il dovere di posare una mano su pensieri che non potevano rimanere nascosti. Ecco che l’amato Post-Rock ben si presta in modo evidente in un paio di tracce, restando sempre presente con una maschera dai colori tenui.

Riuscire a collegare l’anima cantautorale ad altre miscele è la dote maggiore di Umberto, spaziando tra generi musicali che con le sue composizioni conoscono nuovo ossigeno, stimoli e direzioni diverse. Questo accade in un album che infetta i respiri di bellezza, in un mondo che ha perso la capacità di riconoscerla. La testa ogni tanto si piega verso il basso, ma senza essere afflitta da atteggiamenti vittimistici. Semplicemente questo autore sa come mostrare la realtà, i sogni, la parte di noi che disegna momenti improbabili in storie reali. Ed è la sua cultura personale a guidarlo con saggezza dentro scelte liriche e musicali che fanno l’amore lasciando a noi l’orgasmo, il piacere di ascolti prelibati, da conservare con preziosa attitudine. L’uomo Umberto vince la sua personale gara con la parte artistica, lasciando al passato la dicitura Moltheni e rimpicciolendo di molto i confini della sua dilatata e nota propensione a essere capace di scrivere bene qualsiasi cosa.

In questo album lui si raggomitola, con i suoi bisogni rivisti e liberi, per accendere una candela nel suo percorso umano e, una volta frullato, tutto si rivela con una intensità mai esibita prima.

In questa dieta Giardini nel suo menu mette fiori che aprono le porte del suo garage interiore, in una narrativa che scuote e innalza lo spirito per inebriarci di umori, pensieri, vicende che hanno addosso il respiro intellettuale del generoso artista che si spoglia e veste la nostra anima, bisognosa di essere educata nuovamente alla consapevolezza.

La lentezza ritmica consente la perdita di ogni esigenza frenetica per meglio fissare la grande quantità di concetti che sono all’interno di queste composizioni votate alla introspezione, in modo elegante sebbene esistano condizioni di paura e smarrimento innanzi a cotanta lucidità. Siamo permeati da concentriche esibizioni di talento che, grazie ad atmosfere dilatate, meglio consentono la comprensione con momenti di un progressive più mentale che musicale, sebbene non manchino episodi nei quali il sentire di quello stile si concretizza, seppur in modo misurato.

La chitarra disegna i volteggi delle parole, le bacia e si prende il giusto spazio per esibire talento e prolifica predisposizione a essere lo strumento su cui si sviluppano le trame. Le stagioni dell’esistenza in questo album paiono davanti al crepuscolo, davanti a giochi per adulti senza volontà di sprecare del tempo, in cui immacolata è la sensazione di un riposo della frenesia, conferendo alle canzoni il ruolo di un mantra interiore. Ed ecco che la sei corde risulta essere lo strumento migliore, la chiave di violino dove tutto si accorda per stabilire i fianchi di un percorso consapevole che l’agilità non sarà la prerogativa su cui tutto avrà modo di esistere. 

Il coraggio di tornare in territori che l’hanno in qualche modo non accolto adeguatamente ci svela il suo coraggio, la flemma inglese che è nel suo DNA, uomo ostinato che riesce a sbarazzarsi degli ostacoli e a vincere un’ipotesi sfida con un’industria musicale mai troppa avvezza a riconoscere il suo talento. Mettere a dieta la musica gonfia e tronfia è la vera impresa di questo lavoro, che seguendo l’etimologia sa offrire modi di vita diversi, per innaffiare lo stile di incredibile profondità, sbaragliando la concorrenza. Come un’anima che non necessita una mutazione ma il coordinarsi con i propri antichi movimenti, Umberto, con la sua voce sottile, obliqua, che il mistero ha preso sottobraccio per conservarne l’intensità, arriva lentamente ad aprire il varco delle nostre distrazioni, delle incertezze, con un fare sognante che invece di cullarci e favorirci il sonno, sveglia le nostre pulsioni, sia attraverso arpeggi, sia mediante giri armonici che si appiccicano alla nostra dipendenza, sia con chitarre lente e con schitarrate che non hanno bisogno di grandi distorsioni per immobilizzarci. La canzone viene sostenuta da un impianto rock onirico, come i suoi testi, che sono mattoni ricoperti di gladioli.

È melodia, fantasia, poesia dentro un’ampolla piena di liquidi intossicati che cercano consolazione, riguardo, considerazione e complicità: dieci incursioni dalla tonalità cupa e mite capaci di sconfiggere certe esagerazioni della luce ma, poi, in fondo, queste cellule sono in grado di restituire la giusta dose di fasci per non farci accecare.

L’equilibrio è sempre stato l’elemento che ha contraddistinto tutta la carriera di Umberto Maria Giardini: canzoni con il metronomo, il compasso, la matita sottile che penetra nei moti più surreali e complessi, il setaccio che oltre a scegliere leviga, indurisce e specifica argomenti e storie che guardano dentro il percorso folle della letteratura alla quale dà modo di prendersi cura di testi e musiche per lubrificarne il corpo.

L’artista qui adopera genio e progettualità, prendendosi la rivincita nei confronti di chi l’ha sempre sottovalutato o evitato e per vincere la sfida rimane se stesso, l’arma migliore per non vergognarsi, dimostrando la fiducia e una ostinazione meravigliosamente efficace, per approdare dove il suo impeto dalla faccia densa necessita di soggiornare.

Eccole in fila, vestite di lontananza, lampade del 1800 approdare nelle strade ancora più buie del terzo millennio, cibarsi delle proprie invenzioni, di consapevolezze che si inchiodano nei solchi per dare credibilità a un mestiere che sembra avere una data di scadenza prossima, vista l’ignoranza e la poca capacità di maneggiare l’arte della musica. 

E quella di Umberto scavalca le speranze, gonfiandoci gli occhi, concedendoci montagne da scalare e soffi da congelare per il futuro perché questo fa l’album: stimola e congela, ma non raggela, anzi scalda sempre più, come fanno le brave persone dentro un qualcosa che pare sempre non avere troppa credibilità. Lui si concede a noi, nei suoi raggi lunari, tra le sue camminate dentro le vette del suo respiro, all’interno dei suoi slanci con il gel che lucida tutto di vero, nel trionfo dei suoi occhi intensi.

Se si prende solo la musica ci si accorge della veemenza della lentezza, di acqua di lago pronta a quietare la sua indole, di non aver bisogno della parte più chiassosa del rock per generare brividi a lunga gittata. Sarà perché in queste passeggiate sonore tutto deve essere descritto perfettamente e si sa che nella velocità il rischio di perdere di vista la realtà è molto elevato. Lui non vuole, si adopera per sottolineare che in questi ritmi rallentati batte il cuore di un oceano, di un temporale in montagna con il freno a mano tirato. Musica evocativa, che gira attorno a idee illuminate di buonsenso e coperte notturne dal tessuto che si precisa, ascolto dopo ascolto, in un raso sofisticato, che lascia la nostra pelle totalmente intatta, anche se non mancano degli strattoni (Il desiderio preso per la coda), capaci di connettere il presente al passato: un elisir esaustivo e nutriente che non odora di nostalgia ma lo vedremo più tardi, nella descrizione delle canzoni.

LA DIETA DELL’IMPERATRICE è il suo album più estremo, con un raggio visivo che parte dalla natura per finire nella silenziosa esistenza di un uomo che non urla ma sussurra alla vita, usandola come una carezza dalla mano ferma e calda. Un lavoro dove la voce svetta, per intonazione, interpretazione, come una presenza che mostra la maturità, come un sottile passo sulla neve che non facendo rumore riesce a far sentire la sua poesia interiore. Le parole, molteplici e capaci di girovagare perfettamente assestate in una moltitudine di argomenti, sono il segno evidente di una centralità che non lascia dubbi su una scrittura che ha allungato la distanza rispetto a quella di tanti altri, elevandolo, elevando pure noi perché sono parte di un romanzo che sembra un trattato poetico sul chaos che Umberto ha saputo governare.

Posiamo ora i nostri passi sulle sue orme e cerchiamo di indagare in merito al motivo che fa dire al vecchio scriba che questo album è una dottrina con un mantello soffice in grado di avvilupparci con maestria…


Song by Song


L’imperatrice


Che bella l’assenza della voce, seppur miracolosa, di Umberto: il brano di apertura è la nascita di un raggio solare, tra gli scogli del vento e la brina, un tratteggio con la punta delle dita su chitarre che rimbalzano tra ritmiche e piccole note che fanno capolino, a creare suspense e ad aprire la porta a ciò che verrà. Tra Post-Rock e Vini Reilly che cercano un accordo atmosferico, tutto si dipana in mezzo a note in punta di piedi.



Anni Luce


Tra rimpianti, amarezza, desideri, tutti insieme per costruire dubbi che viaggiano solo nella verità dell’uomo e dell’artista, il brano è un riverbero del pensiero tra echi elettrici e parole di seta con una striscia nera sul cuore. La voce, un graffio degli anni settanta e che ha resistito allo scorrere  del tempo, abbraccia questo mantra psichedelico privo di luci fasulle, perché tutto è concreto e intenso nel suo essere sottile. Semplicemente perfetto.



Il trionfo dei tuoi occhi


La voce sale su per i sentieri di montagna, gli stessi che vedono due anime nel cammino di una relazione che visita sogni e velleità. Ed è fascinazione pura per la forza che rende possibile farci salire con loro, come testimoni del loro peregrinare. Chitarre avvolte tra note alte, che scivolano dentro un’anima rock dalla pelle sottile. 



Quasi Nirvana


Il pathos e l’eleganza, in questa ninnananna rock dalle vene gonfie, vincono ogni opposizione: se c’era da superare l’ostacolo di una sfida, Umberto qui esce vincitore. Un giro di chitarra iniziale, che sembra provenire dal Desert Rock, viene affiancato da un altro, scivoloso e sensuale, sul quale l’amore antibiotico affitta una residenza che si preannuncia eterna. Minimalista, piena di atmosfere senza tempo, la canzone avanza nel petto per trovare il proprio senso in un quasi solo di chitarra, su cui la voce con il suo registro alto ci consegna il titolo per renderlo definitivamente impresso in noi, con l’orchestrazione finale sublime.



Il desiderio preso per la coda


Uscito dalla scena di Canterbury, quasi nei pressi di uno Space Rock rivisitato e corretto, il brano rivela tutta la capacità di accendere un fuoco interiore, dove la voce non è necessaria, per il secondo episodio strumentale, che rimane in ogni caso dentro fascinazioni Post-Rock. Chitarre che pulsano note e giri armonici intensi, con un drumming capace di fissare il tutto nella zona di un volo dalle ali potenti.



Discographia 


Una interpretazione clamorosa ci infetta, come godimento plurimo e incontrollabile, ci fa tuffare nella struttura musicale che cambia abito, si esprime, si apre verso una leggerezza con delle pause, degli stop and go perfetti, dentro il tendone di un circo sonoro che rivela quello che rimane di una certa idea della concezione della canzone alternativa degli anni 90, con tutto il suono di un battito di ali senza sosta. Clamorosa.



Saga


Questo è l’autore che conosciamo ma con un asso nella manica: una storia emblematica e autorevole, dalla scrittura concentrica e mantrica, lava dentro il jack della chitarra, note balsamiche e l’intensità di un cantato angelico tra parole che per scelta ronzano nella mente per creare depistaggi e fantasie, per un matrimonio che fa volare dentro i pianeti che aspettano la canzone come ossigeno nuovo.




Genesi e Mail 


Rime, assonanze e incandescenti divagazioni trattenute per il colletto ci fanno vedere il fango, dentro la chitarra indie per eccellenza, per un brano che odora di magia dentro un carillon. La parte musicale visita la psichedelia come il blues, con la chitarra ritmica tra Radiohead e Cranberries, mentre il cantato è puro Giardini style.



Il sentimento del tempo


Turbinio, vortice di schegge di suono, con un drumming secco che alza la polvere: ed è solo l’inizio di questo impazzito tuono che avvolge la nostra curiosità, trascinandola senza respiro sino a quando il ritmo cede e una nuova immersione data dalle chitarre mutanti e sognanti si fa beffe di noi, perché continuiamo a essere succubi di questa estasi dal fare quasi elettronico pur essendo vincolata a chitarre plasmanti. Si batte il piede per terra per poi tuffarsi nel delirio di strumenti perfettamente compattati.



L’ultimo venerdì dell’umanità 



La follia, con Umberto, è sempre educata e gentile, pregna di allucinazioni, lividi, uncinetti notturni e attrazioni multiple. Quello che chiude l’album è un brano dai petali spezzati, una ferita in una poesia senza terzine ma che affonda le radici in una visione letteraria e psicologica, un bruciore dell’anima che lui fissa in mezzo a note che si fanno carico della responsabilità di un testo clamoroso per assurdità e stile, dove la perfezione viene raggiunta attraverso accordi corsari pieni di segreti. Più di nove minuti, che sembrano giorni e giorni di una caduta senza gravità nel grembo del tempo, tra Post-Rock e la scrittura unica di un artista che conclude il suo lavoro con una gemma senza tempo, in attesa di essere adorata…


Data uscita album: 5 Ottobre 2012



Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

16 Ottobre 2022 


https://open.spotify.com/album/3VIPoiC8AX4P35uY8C3KrY?si=EyAmh3ndT7COA9zveWHaKQ












giovedì 13 ottobre 2022

My Review: Submotile - One Final Summit Before The Fall

 Submotile - One Final Summit Before The Fall


"Tension is who you think you should be. Peace is who you are."

Chinese proverb


The beauty of being able to arrive at inner peace through listening to music is something rare, a privileged propensity, an event that smooths the accumulations of toxins that every experience of this life normally offers.

In the world of continuous and exaggerated music production, the reality that emerges, in all its seriousness, is that of the unwillingness to take the time to study, to recognize, to evaluate and weigh what we listened to.

But in doing so we should always keep in mind that this is a type of knowledge that needs method and respect.

The risk is to accumulate songs and albums in the place where awareness gets stuck and does not allow the fluidity of received impulses in order to historicize them for their real value.

In this October of the year 2022 comes a rose garden that glows with freshness and where the colours of emotion and curiosity are intact and capable of swelling our eyes in a joy that amazes and knows no addiction.

The authors of this secular miracle are Submotile, a combo of two souls devoted to rhythmic poetry, angels who develop melodies that enter our veins releasing the oxygen which fortifies the breath of enchantment.

The third album is a soft pyramid that unsettles the heart by enveloping it in rhythmic arms, devoted to melodic impact that defeats all reaction: a work that smells of untouchability, making us beings kneeling in adoration.

Listening to these new songs is a journey into astonishment that materializes in the place of unwavering embrace, in the midst of polite broadsides and brushstrokes of sonic craters that unveil the light of our beats inclined to dream. A nine-chapter story that is neither fable nor novel, but a continuous breath of episodes like sheets of paper that absorb their natural gifts of being spellbinders and soft rulers of the realm of a modern Atlantis, where the impossible travels among the notes and not on the sea.

Like a modern Poseidon and Plato, they have the life-and-death power of their souls hiding their creature's latitude from us while showing the myth of the depth.

A remarkable step forward from the previous two works: a sense of compactness and research to develop structures that are not tied to a specific genre. To be able to communicate new languages that give the two  of them a way to have more arrows in their bow, taut and capable of making music cover long and precise distances.

What reigns is the certainty that the two artists have found a balance, the maturity necessary to defeat the feeling that it is only a state of grace that rewards our lucky listening: repeating them confirms this reasoning, revealing how much of the future is already evident in this album which is the first breath of their new vitality, giving Daniela Angione and Michael Farren the outfit that will protect them later on. This album shows their artistic condition in perfect health, confirming their propensity to truly experience music as a project of growth. Here the songs are bricks, concrete and all that is needed to make their house solid.

It seems more than three years have passed since their brilliant debut with Ghosts Fade On Skylines, which had connected the scribe to the Italian/Irish duo. A work in which a feathery impetuosity won, while in the second Sonic Day Codas the melody of vocals and a more dreamy inclination made us be listeners benefited by songs that also reiterated how shoegaze was changing skin. In this third album everything is confirmed, but adding more freedom to the creation. Through it all, the second consecutive production by Simon Scott, the Cambridge drummer of Slowdive, reveals that their union is capable of raising the bar of their wills, of making their compositions a confidence-filled gaze toward an increasingly astonished and amazed sky.

The watts at their disposal are many, embedded in Daniela's tiara and Michael's diadem: these symbols of power are rightly above the heads of the artistic couple, which brings forth in us humble listeners the joy of knowing that we are ruled by songs that turn us into sovereigns of pleasure and unfettered fortune. Music and words, the beautiful cover that makes us fly over the peaks of the world: everything, in this third step of their splendid career, finds a way to be beauty without an expiration date.

Daniela's lyrics have taken care to possess the ability to transcend the belief that love, loneliness, memory, trust, redemption, awareness of the power of the mind and the experience of life are not important in these genres of music: all these topics are visited by the gentle soul of this Italian who combines her descriptive maturity with the beauty of her singing, always convincing, free of hesitation.

For his part, Michael leaves nothing to chance: his fingertips, his pedals are a pact for eternity where everything exists powerfully, the sense of rhythm resting on notes nailed by their own beauty to live and die with our listening. The sound is sullen, resolute, dynamic, steeped in moments where everything reaches the heights represented by the cover of this record. And the stratospheric Blood Loss confirms his ability not to be oblivious to semi-acoustic flavored windings before diving, lightly, into a slightly more powerful sound, but we will see all this better in the Song by Song analysis.

It overwhelms the sense of absolute ability to take their musical journey to the inner mountain of their sensibility, conspicuous and infectious, to make us wandering particles, as an obligatory stop toward a friendly destiny: music can rarely do this, it is necessary to give them credit. The style, the sense of belonging towards their roots avoid comparisons, there is no need to give them a positive evaluation because there are references in which to feel comfortable: what suffocates any musical genre is precisely this condition and their talent lies also in this aspect, because they are able to travel inside Noise, Shoegaze, Dreampop and an often disguised Alternative, with great elegance, as well as with remarkable skills, to find their own uniqueness.

These are songs that give the certainty that loneliness and social sharing can coexist, without disorientation or impossibility: personal intimacy and the desire to dance with other people live together in a love story with skin that changes like these stars, smooth and soft but also rough, inside a ring where the tiara and diadem fit perfectly, giving us magic and daydreams.

One Final Summit Before The Fall is the transiting universe of two souls who, in perfect health and union of purpose, show their curiosity and ability to observe dynamics that can still be explored and analyzed, in a continuous beam of light that allows us to see their trajectories limpidly, even when their wall of sound would theoretically seem to obscure the clarity that is instead inherent in their compositions: just listen to everything with depth and all is revealed in a golden scroll full of value…


Song by Song


From First Light Until Our Final Sleep



With the first seconds, characterized by guitars in the orbit of The Cure, the impression that the band's sound and attitude has changed is confirmed when continuing the song it takes us to the clear evolution of the rhythmic aspect, with 90's drumming, joyful but wrinkle-filled guitars, until the stop-and-go at minute three and fifty-eight seconds: everything becomes magmatic rock for a shimmer of splinters revealing a majestic presence. Thunder and noise united in the poetry of a revitalized shoegaze.


Resonica


The rhythm rises, guitars grate dust, psychedelia swaggering in for a track that drags with its ability to immediately explode, only to allow Daniela's voice to caress our hearts. Guitars like windmills until the refrain where everything becomes definitive, impetuous and cathartic. Can rhythm be given to the ethereal feeling? Certainly: Resonica is a dream with the muscles of a thoroughbred horse.



Hit This Summer


Scents of late '80s Dreampop conquer the first few seconds and then everything continues in the gentle frenzy of pulsing guitars perfectly embraced by drumming that paints impeccable trajectories to drive our legs crazy. A long pleasant sonic contortion leads us to realize that it is not a journey what we are taking with this song and album, but living in our home where we already have everything, without having to pack our bags. Hit This Summer is the duo's breeze watering our absinthe-filled veins.


Foreshadowing

The first single from this album is a petal in flight over memories, with many reminders that are anesthetized by a perfect production, precise and careful and capable of enhancing the music/vocals pair, enabling the Italian-Irish duo to write a jewel that, with incendiary guitars, removes the blanket from dreams to return the beauty of living, extinguishing the shadows.


Blood Loss


If there is a primordial cell of this album, it is Blood Loss, the Divine, the one that indicates the continuation of the band's artistic journey: the past is held under arm, the present, established by changes of rhythm and guitars that know how to play in the alternation of their dress intertwined with melodies, is a reality that transforms the desire to diversify it into a resounding fact. It is syncopated poetry that meets relief, through the academic kiss of a miraculous performance.



Hope In Sound


A celestial arpeggio immediately delivers a complex structure in which the bass engages the drumming and pushes it to wrap around the guitar. For her part, Daniela sings sinuously and everything becomes a controlled frenzy in a chorus with a pop matrix, which conquers and stimulates us to notice how the band has the ability to reach into different expressive terrains. Even without distortion one is swept away and attracted by this little siren that waters our skin with hypnotic summertime ecstasy, where fragrances are completely released.



Drop To Eternity


The most surprising song comes with its very first seconds: as if we were entering the room of their intimacy, the band unleashes a lively, tender jewel devoted to eternity because with them beauty does not age. One can stay young without being Dorian Grey, and with this new gem the devil surrenders: what we see is a clean ocean free to advance in the heart. Everything is choral, compact, incisive, in a clear demonstration that with them we can also listen to an acoustic part that, if drawn by their fingers, can comfortably enter us.



Ataraxia


Lightning, thunder, a story that becomes a cascade with twists and turns, changes of rhythm, rich but disciplined guitars, vocals in the backline but evocative, capable of dumbfounding us for miles and miles of pure sonic joy. Though devoid of copious doses of feedback and distortion, the penultimate track turns out to be powerful and magnetic.



Farewell Aquarius (And We Thank You).


The longest song of their entire career is a melancholy-tinged novel, a dutiful sieve of existence in the proximity of an epilogue shrouded in mystery. A lonely cloud drifts through the fog giving us a chance to notice  a remarkable work of the bass, which rides harmoniously on the trails of nostalgic guitars, close to Catherine Wheel, while the sidereal atmospheres allow Daniela to make her vocal chords magical, like cotton candy, and to be surrounded, in the central part of the track, by avalanches of sounds drunk with light. Then it's a long leave that makes us astonished and true to their clearly shoegaze approach, with fine strands of noise creating a perfect conclusion to a work that, without a doubt, is the Shoegaze album of 2022 for the scribe.

It is we who thank the band for this visit inside their majestic beats...


Date Release

21st October 2022


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

14th October 2022


https://submotile.com/album/one-final-summit-before-the-fall







La mia Recensione: Submotile - One Final Summit Before The Fall

 Submotile - One Final Summit Before The Fall


“Tensione è chi pensi che dovresti essere. Pace è chi sei.”

Proverbio cinese


La bellezza di poter arrivare alla pace interiore attraverso l’ascolto della musica è un qualcosa di raro, di privilegiata propensione, un evento che spiana gli accumuli di tossine che ogni esperienza di questa vita normalmente offre.

Nel mondo della produzione musicale continua ed esagerata la realtà che emerge, in tutta la sua gravità, è quella della mancanza di volontà nel prendersi del tempo per studiare, per riconoscere, per valutare e soppesare quello che abbiamo ascoltato.

Ma nel farlo dovremmo sempre tener conto del fatto che si tratta di una conoscenza che abbisogna di metodo e rispetto.

Il rischio è quello di ammassare canzoni e album nel luogo dove la  consapevolezza si ingolfa e non permette la fluidità degli impulsi ricevuti al fine di storicizzarli per il loro reale valore.

In questo ottobre dell’anno 2022 arriva un roseto che brilla di freschezza e dove i colori dell’emozione e della curiosità sono integri e capaci di gonfiarci gli occhi in una gioia che stupisce e non conosce assuefazione.

Gli autori di questo miracolo laico sono i Submotile, combo di due anime votate alla poesia ritmica, angeli sviluppatori di melodie che entrano nelle vene liberando l’ossigeno che fortifica il respiro dell’incanto.

Il terzo album è una piramide morbida che sconquassa il cuore avviluppandolo in braccia ritmate, votate all’impatto melodico che sconfigge ogni reazione: un lavoro che profuma di intoccabilità, rendendoci esseri in inchini devoti.

L’ascolto di queste nuove canzoni è un cammino nello stupore che si materializza nel luogo dell’abbraccio senza tentennamenti, tra bordate educate e pennellate di crateri sonori che svelano la luce dei nostri battiti propensi al sogno. Una storia di nove capitoli che non è né favola né romanzo, bensì un fiato continuo di episodi come fogli di carta che assorbono le loro doti naturali di essere incantatori e sovrani morbidi del regno di una Atlantide moderna, dove l’impossibile viaggia tra le note e non sul mare.

Come moderni Poseidone e Platone, hanno il potere di vita e di morte delle loro anime nascondendoci la latitudine della loro creatura, mostrandoci nel contempo il mito della profondità.

Un notevole passo in avanti rispetto ai due lavori precedenti: un senso di compattezza e di ricerca per sviluppare trame che non siano legate a un genere specifico. Per poter comunicare linguaggi nuovi che diano modo ai due di trovarsi con maggior frecce nel loro arco, teso e capace di far coprire alla musica distanze lunghe e precise.

Ciò che regna è la certezza che i due artisti abbiano trovato un equilibrio, la maturità necessaria per sconfiggere la sensazione che sia solo uno stato di grazia a premiare i nostri fortunati ascolti: ripetendoli confermano questo ragionamento, rivelando quanta parte del futuro sia già evidente in questo album che è il primo respiro della loro nuova vitalità, dando a Daniela Angione e a Michael Farren il vestito che li proteggerà in seguito. Questo album mostra la loro condizione artistica in perfetta salute, confermando la loro propensione a vivere davvero la musica come un progetto di crescita. Ecco che le canzoni sono mattoni, calcestruzzo e tutto ciò che serve per rendere la loro casa solida.

Sembrano essere passati molto più di tre anni dal loro brillante esordio con Ghosts Fade On Skylines, che aveva connesso lo scriba al duo italo/irlandese. Un lavoro in cui vinceva una piumata irruenza, mentre nel secondo Sonic Day Codas la melodia del cantato e una propensione più dreamy ci faceva essere ascoltatori beneficiati da canzoni che ribadivano anche come lo shoegaze stesse mutando pelle. In questo terzo album tutto viene confermato, ma aggiungendo una maggior libertà alla creazione. In tutto questo la seconda consecutiva produzione di Simon Scott, il batterista di Cambridge degli Slowdive, svela che la loro unione è capace di alzare l’asticella delle loro volontà, di fare delle loro composizioni uno sguardo pieno di fiducia verso un cielo sempre più stupito e meravigliato.

I watt a disposizione sono molti, inseriti nella tiara di Daniela e nel diadema di Michael: questi simboli del potere sono giustamente sopra le teste della coppia artistica che fa nascere in noi umili ascoltatori la gioia di sapere che siamo governati da canzoni che ci rendono sovrani del piacere e di una fortuna senza vincoli. Musica e parole, la bellissima copertina che ci fa sorvolare le vette del mondo: tutto, in questo terzo passo della loro splendida carriera, trova modo di essere bellezza senza data di scadenza.

I testi di Daniela si sono premurati di avere la capacità di oltrepassare la convinzione che in questi generi musicali non siano importanti l’amore, la solitudine, la memoria, la fiducia, la redita, la consapevolezza del potere della mente e l’esperienza della vita: tutti vengono visitati dall’anima gentile di questa italiana che coniuga la sua maturità descrittiva alla bellezza del suo cantato, sempre convincente, privo di esitazione.

Dal canto suo, Michael non lascia niente al caso: i suoi polpastrelli, le sue pedaliere sono un patto per l’eternità dove tutto esiste con forza, il senso del ritmo che si appoggia su note inchiodate dalla loro stessa bellezza per vivere e morire con il nostro ascolto. Il suono è arcigno, risoluto, dinamico, intriso di momenti dove tutto raggiunge le vette rappresentate dalla copertina di questo disco. E la stratosferica Blood Loss conferma la sua abilità di non essere dimentico di avvolgimenti dal sapore semi-acustico per poi tuffarsi, con leggerezza, verso un suono leggermente più potente, ma tutto questo lo vedremo meglio nell’analisi Canzone per Canzone.

Tramortisce il senso di assoluta capacità di portare il loro percorso musicale verso la montagna interiore della loro sensibilità, vistosa e contagiosa, per fare di noi particelle vaganti, come una tappa obbligatoria verso un destino amico: la musica raramente può fare questo, riconoscergliene il merito è doveroso. Lo stile, il senso di appartenenza nei confronti delle loro radici evitano paragoni, non esiste la necessità di dare loro una valutazione positiva perché esistono dei richiami, dei riferimenti in cui sentirsi comodi: ciò che soffoca ogni genere musicale è proprio questa condizione e il loro talento sta anche in questo aspetto, perché capaci di viaggiare dentro il Noise, lo Shoegaze, il Dreampop e un Alternative spesso camuffato, con grande eleganza, oltre che con notevoli capacità, per trovare la propria unicità.

Sono canzoni che danno la certezza che la solitudine e la condivisione sociale possano coesistere, senza sbandamenti o impossibilità: l’intimità personale e la voglia di danzare con altre persone vivono insieme in una storia d’amore dalla pelle che muta come queste stelle, liscia e morbida ma anche ruvida, dentro un anello dove la tiara e il diadema si incastrano perfettamente, regalandoci magia e sogni ad occhi aperti.

One Final Summit Before The Fall è l’universo in transito di due anime che, in perfetta salute e unione di intenti, mostra la propria curiosità e capacità di osservazione di dinamiche che possono ancora essere esplorate e analizzate, in un continuo fascio luminoso che ci permette di vedere le loro traiettorie in modo limpido, anche quando il loro wall of sound sembrerebbe in teoria offuscare la chiarezza che è invece insita nelle loro composizioni: basta ascoltare tutto con profondità e tutto viene svelato in una pergamena dorata e piena di valore…


Song by Song


From First Light Until Our Final Sleep



Con i primi secondi, caratterizzati da chitarre in orbita Cure, l’impressione che il suono e l’attitudine della band sia cambiato viene confermato quando proseguendo il brano ci porta alla chiara evoluzione dell’aspetto ritmico, con un drumming 90’s, chitarre gioiose ma piene di rughe, sino allo stop and go del minuto tre e cinquantotto secondi: tutto diventa roccia magmatica per un brillio di schegge rivelatrici di una maestosa presenza. Fragore e rumore uniti nella poesia di uno Shoegaze rivitalizzato.


Resonica


Il ritmo si alza, le chitarre grattugiano la polvere, la psichedelia entra spavalda per un brano che trascina con la sua capacità di esplodere subito, per poi consentire alla voce di Daniela di accarezzarci il cuore. Chitarre come mulini a vento sino al ritornello dove tutto si fa definitivo, irruente e catartico. Si può dare ritmo alla sensazione eterea? Certamente: Resonica è un sogno con i muscoli di un cavallo purosangue.



Hit This Summer


Profumi di Dreampop fine anni ’80 conquistano i primi secondi e poi tutto continua nella frenesia delicata di chitarre pulsanti perfettamente abbracciate al drumming che dipinge traiettorie impeccabili per far impazzire le gambe. Una lunga piacevole contorsione sonora ci porta a capire che non è un viaggio ciò che stiamo compiendo con questa canzone e con l’album, ma il vivere nella nostra casa dove abbiamo già tutto, senza dover preparare le valigie. Hit This Summer è la brezza del duo che innaffia le nostre vene piene di assenzio.


Foreshadowing

Il primo singolo di questo album è un petalo in volo sui ricordi, molti richiami che vengono anestetizzati da una perfetta produzione, precisa e attenta e capace di esaltare il binomio musica/cantato, mettendo in condizione la coppia italo-irlandese di scrivere un gioiello che, con chitarre incendiarie, toglie la coperta ai sogni per restituire la bellezza del vivere, spegnendo le ombre.



Blood Loss


Se esiste una cellula primordiale di questo album è proprio Blood Loss, la Divina, colei che indica la continuazione del percorso artistico della band: il passato è tenuto sotto braccio, il presente, stabilito da cambi di ritmo e da chitarre che sanno giocare nell’alternanza del loro abito intrecciato alle melodie, è una realtà che trasforma la volontà di diversificarlo in un clamoroso dato di fatto. È poesia sincopata che incontra il sollievo, attraverso il bacio accademico di una prestazione miracolosa.



Hope In Sound


Un arpeggio celestiale ci consegna immediatamente una complessa struttura nella quale il basso coinvolge il drumming e lo spinge ad attorcigliarsi alla chitarra. Dal canto suo Daniela canta sinuosamente e tutto diventa delirio controllato in un ritornello dalla matrice pop, che conquista e ci stimola a notare come la band abbia la capacità di arrivare in diversi terreni espressivi. Anche senza distorsioni si è travolti e attratti da questa piccola sirena che annaffia la nostra pelle di ipnotica estasi estiva, dove le fragranze si liberano completamente.



Drop To Eternity


La canzone più sorprendente arriva con i suoi primissimi secondi: come se entrassimo nella stanza della loro intimità, la band sfodera un gioiello vivace, tenero e votato alla eternità perché con loro la bellezza non invecchia. Si può rimanere giovani senza essere Dorian Grey e con questa nuova perla il diavolo si arrende: ciò che vediamo è un oceano pulito e libero di avanzare nel cuore. Tutto è corale, compatto, incisivo, in una chiara dimostrazione che con loro si può anche ascoltare una parte acustica che, se disegnata dalle loro dita, può entrare comodamente in noi.



Ataraxia


Lampi, tuoni, fulmini, una storia che diventa una cascata con colpi di scena, cambi di ritmo, chitarre abbondanti ma disciplinate, un cantato in retrovia ma suggestivo, in grado di ammutolirci per chilometri e chilometri di pura gioia sonica. Seppure privi di abbondanti dosi di feedback e distorsioni, la penultima traccia risulta essere potente e magnetica.



Farewell Aquarius (And We Thank You)


La canzone più lunga della loro intera carriera è un romanzo dalle tinte malinconiche, un setaccio doveroso dell’esistenza nella prossimità di un epilogo avvolto dal mistero. Una nube solitaria si getta nella nebbia dandoci la possibilità di scorgere un notevole lavoro del basso, che cavalca in modo armonioso le scie di chitarre nostalgiche, vicine ai Catherine Wheel, mentre le siderali atmosfere consentono a Daniela di rendere le sue corde vocali magiche, come uno zucchero filato, e di farsi circondare, nella parte centrale del brano, da valanghe di suoni ebbri di luce. Poi è un lungo congedo che ci ascia attoniti e fedeli al loro approccio chiaramente shoegaze, con fili sottili di noise a rendere perfetta la conclusione di un lavoro che, senza dubbi, è l’album Shoegaze del 2022 per lo scriba.

Siamo noi a ringraziare la band per questa visita dentro i loro maestosi battiti…


Data di realizzazione: 21 Ottobre 2022


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
14 Ottobre 2022




giovedì 29 settembre 2022

La mia Recensione: Marlene Kuntz - Karma Clima

 La mia Recensione:


Marlene Kuntz - Karma Clima


Non c’è più tempo per l’approfondimento, per dare spazio alle Opere che necessitano volontà, interesse, passione, coinvolgimento.

Con questi presupposti scrivere del dodicesimo lavoro dei Marlene Kuntz rende la penna pesante per uno scriba indeciso sul da farsi.

Ma è giunto alla conclusione che occorre definire le cose, pur sapendo che la pigrizia e la volontà di giudicare negativamente potrebbero annullare l’intero senso di questo lungo scritto.

Scrivere un concept album su argomenti drammatici, reali, innegabili sarà già motivo di una forte contrapposizione, a prescindere, perché la massa ormai è votata alla velocità, al disinteresse, alla scarsa partecipazione laddove, invece, necessiterebbe una presenza conscia.

Quello che si ascolta tra queste nove tracce sarà contestato, verrà conclamato il definitivo abbandono nei confronti della band da parte di molti, nessun dubbio a proposito, perché l’ignoranza, il mancato rispetto e una profonda metodica verso la conoscenza di ciò che davvero può fare l’arte per resocontare la fallibilità umana sono ormai comportamenti definitivi.

Eppure i Cuneesi hanno scritto un’opera straordinaria, densa di riflessioni, immagini, evocazioni, preghiere laiche e inviti al cambiamento di marcia.

Occorre dimenticare il fanatismo, anche l’amore per la band, e addentrarsi nel senso umano e artistico di un vero Progetto, che annette modalità di approccio e di espressione totalmente diversi rispetto al passato.

Spiazzante, crudele, intenso, votato all’analisi del momento e di futuribili proiezioni, l’album è il capolavoro della band, e aggiungerei purtroppo, viste le tematiche affrontate.

Ma la modalità suscita emozione, commozione, uno smottamento dei pensieri verso la volontà di adoperarsi a rendere l’ascolto l’inizio di un nuovo percorso.

A scanso di equivoci, per non farvi leggere tutto ciò inutilmente: non è un disco di chitarre, di schizzi elettrici dentro lo stomaco, ma lo stesso organo viene preso a calci, viene accarezzato come non si potrebbe fare con alcuna chitarra. La sua presenza fa parte di un’onda sonora che trova il territorio di sviluppo attraverso un senso collettivo dove synth, orchestrazioni, un drumming di ispirazione elettronica, sono i cardini di riferimento e dove le chitarre si adagiano per saldare il tutto, in una compattezza assoluta, gradita, di valore estremo, indiscutibile.

Le canzoni entrano nell’oscurità dei comportamenti, facendoci vibrare, terrorizzandoci, dandoci la consapevolezza che ciò che muoveva l’arte dei Marlene ora ha trovato sviluppo e maturità, uomini Veri, Responsabili, realmente Attivi.

Un concept album che ruota dentro parole gravide di lacrime, lamenti, potenziali scosse da programmare con intelligenza. 

Si viaggia con sguardi dal pianeta verso il cielo, dal cielo, dentro, nella profondità di questa Terra, esaminata e portata a una comprensione precisa, per far sì che ci appartenga una consapevolezza reale, con dinamiche poetiche e totalmente connesse alla introspezione. E allora la propensione elettronica sa stupirci, condurci alle lacrime, scaldando prima il cuore e poi la testa, consapevole che per molti occorrerà molto tempo prima di comprenderlo: la speranza è che almeno si impari ad amarlo in fretta, perché non c’è tempo da perdere, la Signora Marlene vi vuole tutti gentlemen. È un album d’amore per l’amore, dove gli sprechi, i rifiuti attitudinali verso la responsabilità di ognuno di noi debbono essere eliminati e non più prodotti.

Perché le voci e i silenzi di questa esistenza ai bordi del dirupo siano campanella d’allarme, la capacità di determinare azioni salvifiche.

Tutto è un velo, una finestra che concede comprensione e partecipazione, attraverso suoni e melodie che pur descrivendo le brutture lo fanno in modo incantevole, bellissimo, regalando aria pura e disinfettata, che è un’impresa mastodontica, soprattutto ai giorni nostri.

Dimenticare il passato di questa band per conoscerne una nuova: questo occorre fare per non perdere l’occasione di una nostra crescita perché loro, come sempre, ci hanno preceduti compiendola per primi.

Ci sono brividi in arrivo, copiosi, e vi sono anche fiaccole di stupore, l’incredulità del trovarsi dentro un fiume dove vivono sentimenti pieni di rughe, dove i sogni appartengono solo agli sciocchi.

Tutto in Karma Clima comporta la sudorazione della mente, in cui lo sconforto viene a trovarsi nella splendida situazione di essere uno stimolo. Non c’è da danzare, forse nemmeno da cantare, perché queste canzoni hanno una direzione diversa da raggiungere e solo una alleanza con loro ci farà visitare la concreta capacità che hanno avuto di trovare quella bellezza che cercavano ovunque.

Le atmosfere sviluppano la traiettoria celeste, un senso effettivamente in grado di non farci sentire il peso, perché la musica è un raggio di luce notturna su cui sono le parole a fare da contraltare, regalandoci, quasi come una poesia spaesata, chilometri di zavorre.

Il mondo viene visto dall’alto, avendo premura poi di camminarci dentro, per avere una visione globale precisa, dove il dettaglio non solo fa la differenza, ma rivela il senso di disumana indifferenza nei confronti di ciò che accade. 

Tutto è storia, geografia, dove la morale viaggia al loro interno, scuotendo l’anima che, smarrita, cerca una mano, trovandola proprio in questi canzoni disagevoli ma pregne di verità.

Davide Arneodo rivela tutte le abilità tecniche che dovevamo prima o poi veder confluire in un disco: tutti gli altri sono architetti che non prendono ordini da lui, ma sostengono con la loro classe infinita queste creazioni che hanno la modalità del suono attuale per essere più credibili. E allora giunge la compattezza della band, a definire artigli elettronici sposati con melodie barocche, dove tutto è innovativo, facendo indossare alla Signora Marlene un abito mai visto prima: solo dando agli occhi atomi di profonda osservazione li condurranno all’innamoramento, che se accadrà sarà immenso, data la capacità di questo tessuto di avvolgere e sussurrare emozioni e pensieri come un infarto necessario.

Avere bisogno di questi brani deve essere una esigenza che bisogna decidere aprioristicamente, il fiato va congelato, come ghiacciaio necessario, da aggiungere a un mondo surriscaldato che non dà più importanza al freddo.

Le canzoni però scaldano, eccome se lo fanno: sono proiettili sottili, polveri letali per accoppiarsi, in grado di bucare il superfluo che regna sovrano dentro menti assenti e che devono riscoprire il senso del dovere e non solo di quella libertà che sta distruggendo tutto.

Marlene salvifica, saggia, con quella pesantezza che non fa a meno di linee morbide e sensuali, di chiome da guardare e da accarezzare. E, come nucleo di un cuneo pesante, partono da Cuneo per coinvolgerci, per non perdere la leggerezza che si raggiungerà solo quando ogni cosa avrà ritrovato l’equilibrio che rispetta tutti.

Non servono le farfalle nello stomaco ascoltando Karma Clima: quelle devono poter vivere nella natura, come tante emozioni che non debbono essere una questione privata, bensì zone mentali contro la meschinità dell’interesse, e allora quest’opera diventerà un prodigio dentro di voi, anche nella pancia, non dubitatene, però prima deve entrare in circuiti a molti dei quali non siete abituati né interessati.

Cos’è in fondo questo lavoro? Una nuvola dallo sguardo acceso verso la clemenza, verso una necessaria pausa egoistica, una propensione melodica al futuro. Sono proprio i movimenti di accordi e le loro successioni ad essere un mistero che necessita di quel tempo di cui parlavo all’inizio: bisogna formarlo, viverlo, per non arrivare alla disperazione di quel “tutto tace,” che è il simbolo del disastro.

Ora vi porto nei sentieri che non sono sonici, schizzati, pieni di frastuono, perché dentro questo album tutto è maggiorato rispetto a questi tre elementi, tutto è elevato al quadrato con classe immensa, in un delirio che sarà vostro quando sarete voi ad andare verso i Marlene e non il contrario…



Song by song


1 - La fuga

Testo e musica compatti, determinati a fare del messaggio qualcosa di chiaro e ineccepibile, nel tempo della confusione e dello smarrimento. È arte allo stato puro questo perfetto connubio: non ci rende liberi di fuggire da un eventuale tentativo di nascondere lo sguardo e diventa un vento dalle sbarre pesanti capaci di raggiungerci dall’alto, precipitando sulla nostra meschinità. Il pianoforte rende drammatico il tutto, come lo fa il drumming, tra beat e pelli vere a rimbombare dentro le parole. Le chitarre sono nascoste, la melodia rivolge il pensiero verso il cielo e gli chiede il proprio silenzio… Imponente.


2 - Tutto tace

Il cantato sorprendente di Cristiano, sull’accoppiata piano-tastiera, è uno shock rigenerante, sino al grigio maestoso di un ritornello che conduce al pianto, intenso, e il tutto accade su una linea melodica stretta ma che accoglie potenti suggestioni. Perfetto esempio di ciò che dicevo prima: non conta se non arrivano le farfalle qui, in quanto questo brano vale di più di ogni pregiudizio, perché è un volo che appartiene alla saggezza, quella più clamorosamente dotata di classe. Quando la Luna ti entra nel cuore.  Clamorosa.


3 - Lacrima

Incalzante, vibrazioni elettroniche a rapire l’orecchio, con un ritornello che scioglie ogni resistenza, per dare la sensazione di come certe parole possano essere sostenute solo da una musica precisa, ed è un miracolo questo combo, che conduce a una lacrima “così tenera”. LACRIMA è la fotografia di un impeto desideroso di mantenere il contatto con il passato, ma con i passi dentro un presente che cerca di garantirsi un futuro.  Straziante.


4 - Bastasse

L’Olimpo Marlenico mostra il dolore e si trasforma in una ballata moderna, di ispirazione folk, con gli accessori di una perfetta miscela World ed Elettronica, il tutto con una  leggerezza che scatena commozione. Le chitarre lavorano in cantina, ma salgono le scale avendo un pianoforte come migliore amico. Come se il disco solista di Cristiano avesse trovato una proiezione umorale tra le pieghe del vestito della Signora Marlene. Intensa.


5 - Laica preghiera

Struggente, lenta, ampia come una vallata di alta montagna, dove poter sentire meglio gli Dei, questo brano contiene tutta la cura dell’intimità che viene portata agli altri. Per farlo sceglie tre fasi distinte, perfettamente collegate, con la partecipazione di Elisa, che stupisce per il perfetto mood attitudinale, per il fatto di dare alla sua voce la grandezza della musica.  Poi il finale vede lei e Cristiano fisicizzare il testo con un cantato commovente, mentre Davide Arneodo dipinge le traiettorie melodiche. Necessaria. 


6 - Acqua e fuoco

Dopo un attacco che evoca i Bad Seeds, si entra in una sezione di richiami elettronici in continuo movimento con uno splendido lavoro di archi; il basso di Luca quasi dub seduce e spiazza, con piacevolezza e incanto. E se esiste una musica che entra in un testo è proprio questa, per trasformare una melodia in una montagna russa. Intrigante.


7 - Scusami

Forse il momento più alto dell’album, dove l’emozione dell’ascolto fa tornare la canzone dentro di noi per appropriarsene, con la miscelanza di chitarre e tastiera che sono i motori di un groove che potrebbero farci danzare a testa bassa. Ed è un volo che contiene parole mature, che creano feritoie e ferite, sino al recitato finale, nello stile personale di un crooning che abbiamo imparato a conoscere in questi anni. Corrosiva.


8 - Vita su Marte

Una radura di dimensione apocalittica entra nella progressione stilistica musicale che offre il peso specifico di una band completamente dentro processi creativi studiati, e in modo perfetto. Nessuna concessione: anche il ritornello, che potrebbe subire attacchi da parte dei critichini, in realtà è la legittima conseguenza dell’impianto che lo precede. Maliziosa e sensuale.


9 - L’aria e l’anima

Ed è un racconto dalle piume piene di ricordi quello che conclude l’album, il teatro che entra nelle immagini create dalla penna accalorata di Cristiano, su una base musicale struggente, che sospende ogni pensiero obbligando all’ascolto approfondito. La tristezza diventa il giudizio conclusivo sulla crudeltà umana. La chitarra finale è il bacio di addio, dove se esiste una speranza è in quelle note… E il sorprendente coro di chiusura, oltre a intenerirci, sa anche essere uno schiaffo al mondo adulto. Uno zigzagare nel caos sensoriale.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

30 Settembre 2022


Karma Clima
https://open.spotify.com/album/23RMGstKGwXFnA5SOygDho





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