La mia Recensione;
Ataraxia - "Pomegranate - The Chant of the Elementals"
Immersi in un mondo che ci ospita da millenni, abbiamo perso il rispetto, la curiosità, lo stupore, la propensione allo studio delle sue immense e mai del tutto conosciute qualità. La Natura sta morendo e con lei la nostra intelligenza che l’ha condannata, ferendola prima e attaccandola senza pietà poi.
Ci sono sogni che albergano in quelle poche anime che invece continuano quel percorso di vicinanza piena di amore e comprensione e gettano milioni di chilometri di dolcezza dentro note che ti avvolgono in un abbraccio carico di poesia. Provengono dagli Ataraxia che con il loro ventottesimo album deliziano come non mai i nostri ascolti portandoci in una fiaba che sembra anacronistica, tanto è immensa la carica romantica e sottile di un approccio che, intimo e pieno di suggestioni, ci delizia.
Più che un viaggio è un sostare nella circonferenza del tempo, facendosi sedurre da personaggi e luoghi per poter contemplare un piacere a portata di sguardo, un invito a separarci dalla sordità e dalla cecità.
Si entra nell’arte dell’incanto che sopravvive, boccheggia ma resiste, per darci ancora in dono i suoi gioielli e la band di Modena non fa altro che mostrarceli con infinita grazia, nel suo circumnavigare dentro luoghi della mente ancora prima che fisici.
La miscela musicale sembra avere le stesse impronte di sempre, quelle che l’hanno messa sul podio da decenni, senza cadere mai.
Ma hanno saputo alzare l’asticella e viaggiare dentro le oscillazioni ancestrali con magneti carichi di magia mai vista prima: si entra nel giardino precedente al medioevo con efficaci balzi temporali, miscelando quel viaggio sereno con la loro consueta capacità di atti eterei affini al barocco, al classico e a un confine gotico che rimane, come dna che non si può disconoscere.
La bellezza è qualcosa che si incontra per caso perché pilotata dagli Dèi conservatori: gli Ataraxia l’hanno incontrata dentro splendidi inciampi e l’hanno messa in queste tracce, consci che la scelta di condividerla con tutti noi poteva essere un giro di giostra solitario senza occhi e orecchi ad osservare e a sentire la sfera ipnotica che hanno veicolato.
Abbiamo allora inchini, genuflessioni, preghiere, odi, in un approccio sensuale che gravita dentro la volontà di conservare l’idillio di un incontro che è non solo catartico ma soprattutto benefico, con canzoni come semi di luna che innaffiano il mistero sulla bollente e ansimante Terra.
Come lampade ad olio che illuminano il tempo senza tener conto del presente, lo stesso fanno questi sussurri celesti che chiamare canzoni o composizioni sarebbe una offesa: si esibiscono consce che anche l’ascolto dovrebbe avere in sé elementi antichi, privi di quelle deflagrazioni sonore odierne che di musicale hanno ben poco. Ma più che ascoltare sembra di leggere una mastodontica enciclopedia dove tutto viene dettagliato, insegnando a noi la fortuna del sogno e dei suoi canali trasmettitori che vorrebbero ispessire conoscenza e maturità. Viene bandita la noia e allacciato invece un cordone ombelicale con forme multiple di espressione, per meglio definire questa fiaba che non vuole connettersi al moderno, proteggendo Sua Maestà il Tempo partendo da molto lontano: ascoltare è divenire angeli senza fatica che vedendo le bellezze del mondo diventano eterni. Sia possesso, allora, di strumenti dimenticati per poter comprendere e rendere fluidi gli incontri che si fanno: dall’acqua, al fuoco, ai simboli che rendono sacra la nostra permanenza, agli approcci di spiriti benevoli che tendono la mano, tutto è una pellicola che vuole preservare la naturale scadenza della vita e dei suoi percorsi. Gli Ataraxia sembrano drughi, sentinelle della conoscenza dando fuoco alla cenere che diventa il pentagramma del momento onirico in perenne stato di movimento, di cui loro si cibano. Tutto è un canto, nella sua accezione originale, scevra di confusione, capace di rimanere elevata e piena di potere, dalla suggestione alla poesia che non si scrive ma che esce dall’ugola e dalle mani su strumenti che benedicono la luce con divina attitudine.
Vittorio e Giovanni entrano nella tana del suono, in apnea solitaria, per condensare nelle loro vene tutti i benefici, le gemme, le scintille che Francesca traduce in preghiere melodiche, in vocalizzi come scie di anguille che sfuggono alla cattura: è solo elevandosi che ci si conserva e loro tre lo fanno magnificamente.
Tutto è versatile: non potrebbe essere diversamente perché quando si esplora l’infinito non ci si può legare a una attitudine, a delle preferenze, ed eccoci innanzi a crateri e cieli, eruzioni e vie di contemplazioni che connettono stili e bisogni all’insegna del buon gusto.
Perdere la bussola non significa indebolirsi: è esattamente il contrario e il trio ce ne mostra la valenza, la forza, prendendoci per mano dove l’unico riferimento è la tavolozza magica su cui camminare, come l’incontro mistico con un odore senza vederne la provenienza, perché questo album è da annusare ad occhi chiusi.
Vi era un tempo nel quale si voleva definire la loro musica con diversi stili e modalità, ma ora è giunto il momento di separarci dall’inutilità e di prendere coscienza che è soprattutto una esperienza sensoriale e visiva, l’Arte che snobba il vocabolario della mediocrità per volare tra i suoi movimenti come un bisogno culturale che ristora e conforta.
Ascoltare Pomegranate - The Chant of the Elementals è l’esperienza che ci fa sorvolare gli abissi incontrando l’ebbrezza dei raggi solari che procedono nel loro percorso, dimentichi di sovrastrutture e cliché banali. Sono riusciti nell’ardua impresa di continuare il loro nomadismo senza perdere un grammo della loro classe, anzi, pare davvero che una ventata di aria fresca dal nord del Tempo li abbia condotti a nuove energie e forme contemplative: questa band è composta da alunni dell’esistenza con le domande perennemente attaccate ai loro respiri, senza possibilità di annoiarsi.
Più ascolti l’album e maggiore è la convinzione che loro siano protetti dall’invecchiamento e dallo sperpero dei propri incantevoli averi.
Suadente, erotica, energica, contemplativa: la loro volta celeste è un involucro senza chiave dove poter accedere se si hanno in dote le volontà di essere dimentichi del tutto che ci storpia il cammino.
Finito l’album ci si alza da una nuvola con la pancia piena e il sorriso di una giovane anima ebbra e serena: se questo non è ciò che ci aspettiamo dall’arte, allora arrendiamoci al buio perché gli Ataraxia sono esenti dalla mediocrità.
Un incredibile mantra collettivo sta per entrare nelle vostre menti: siate curiosi perché gli incantesimi qui sono il nucleo del tutto che vi attende…
Song by Song
Hlara Aralh
Il cuore mostra subito il suo coraggio con il brano di apertura: un respiro lento che fa acquisire forze aprendo il cielo con un arpeggio e un canto che ci porta tra i raggi del sole.
Oruphal
Ed è invocazione, un riconoscere il senso del viaggio e la natura che beve la sua bellezza. Atmosfera delicata, trasportata dal vento che sorride, dove la voce di Francesca si fa pregna di diademi e scintille, con un falsetto che inchioda, tra i fulmini di Totem Bara e l’accurato lavoro di Vittorio, per una trascinante ninnananna che fa viaggiare rilassati.
Ozoonhas
Il tessuto musicale si dirada, entrano le mani dentro il petto per una composizione che unisce evocazione alla metamorfosi di suoni beati, votati all’incanto. Un motivo di base lo suggella e poi via, lentamente, si raccolgono intarsi lucenti.
Nevenhir
Il canto puro che lubrifica le vene, il sottile impianto di Vittorio è un Dio dalla mano leggera. In ascesa emozionale, regna sicura l’insieme di note programmate per ammorbidire i pensieri. E intanto la band continua a rendere visibile la bellezza con note di chitarra che sembrano ragnatele di seta e con la tastiera di Giovanni che piange come atto d’amore. Tutto poi viene reso perfetto dal gioco delle voci che si incrociano e ci rendono schiavi di gioia scura.
Ode ad Afrodite
Se alla Dea della bellezza viene riservato il giusto tributo, si potrebbe temere il fallimento. Impossibile: gli Ataraxia prendono il pentagramma della dolcezza e della visione scrivendo immagini depositate su papiri di incanto celestiale. E non solo tutto si fa etereo, ma soprattutto diventa un coro di rose che si schiudono liberando il profumo di Afrodite.
Ed è il rinascimento dei sensi che galleggiano sui nostri ascolti beati.
Ode a Dioniso
La Grecia entra nel brano dedicato a una divinità che ha sancito il legame indissolubile tra la Natura e l’uomo, e in questi tempi di assoluta distruzione di questo rapporto gli Ataraxia ci mostrano un brano teso, carico di rabbia e di potente riflessione. Si scende nel grembo della tensione per sistemare almeno un po’ i nostri sbagli.
Aura Magi
Nel campionario delle possibilità artistiche e stilistiche degli Ataraxia vi è anche quella di fare della musica un vocabolario di lingue e conoscenze, metodiche che si ampliano come in questo brano sidereo, magnetico, ipnotico, con l’elettronica che con fare minimale attraversa le possibilità di questo combo che arriva sino ai piedi dell’altare sacro dei sensi.
Hummingbirds
Tutto l’album suggerisce l’ascolto della natura, dove gli animali non sono il contorno della nostra paura bensì parte di un disegno divino. Con un incantevole crooning Francesca fa vibrare il suo racconto visionario con note musicali che galleggiano nell’aria come schizzi di verità da tenere in mano.
Amethyst
Nel paese del bel canto Francesca insegna quanto ancora sia depositato nel dna nazionale italiano, ormai distratto, il modo di fare di questa attività un disegno di legge divino. La tastiera diventa una nuvola del tempo per farci allontanare dalla bruttezza e si è angeli per trecentotrenta secondi. La chitarra tratteggia colpi minimi di echi che permeano gli anni 80, suggerendo vibrazioni celesti.
L’album termina come era iniziato: quando si ascolta si è muti, per far passare dentro di noi la bellezza.
Data di uscita: 21 settembre 2022
The Circle Music
Alex Dematteis
Musicshockworld
Torino
4 Agosto 2022
Francesca Nicoli - vocals
Vittorio Vandelli - classical and electric guitars, programming, back vocals
Giovanni Pagliari - keyboards, piano, back vocals
Guest musician: Totem Bara - cello, timpani