lunedì 21 novembre 2022

La mia Recensione: Phomea - Me and my army

 Phomea - Me and my army


Come è bello avere modo di accedere alla profondità di un’anima dotata di classe e stile.

Stiamo perdendo la vista, non ho dubbi, guardiamo nei luoghi e nelle cose sbagliate e, purtroppo, lo facciamo anche per la musica.

Non dobbiamo però disperare o cedere ascoltando brutta musica (sì, esiste), perché un nuovo album è pronto per essere accolto.

Quello riguardo il quale voglio scrivere è un lavoro profondo, onesto, con gemme che vanno approcciate con garbo e riconoscenza: Phomea ha dato alla luce canzoni illuminanti, calde, di sana e robusta costituzione, dove la dolcezza e modi gentili si affacciano per lubrificare la nostra sete di calore. Ed è un mondo che proviene dal folk, dall’alternative, da una spiccata sequenza di melodie che si conficcano nella testa e, grazie a una voce che accarezza l’ascolto, con una sensibilità che coinvolge e sorprende.

La scelta della lingua del cantato è perfetta: l’inglese si adagia con armonia e genera un’attrazione molto piacevole e profonda. 

Spero (sarebbe un segnale di grande intelligenza e di una lezione veramente appresa a fondo) che questo lavoro non risulti come una somma di riferimenti, di artisti e canzoni, miscelati tutti insieme perché la sensibilità e la raffinatezza presenti marcano un’unicità che merita riconoscimento e sostegno. Come un amo che pesca dall’acqua musicale più pura, c’è un approccio successivo di purificazione e valutazione nel quale l’aspetto primario è l’inserimento di uno stile creato e sviluppato all’insegna di una variabilità che si sganci da quei semi che quell’acqua sa lasciare.

Il Pistoiese Fabio Pocci è una carezza sulla mente, con la maturità di eccellere grazie alla sua scrittura epidermica, sottile, in grado di far germogliare le radici di un approccio anni ’90 verso questa attualità, finendo per risultare un angelo con il respiro protettivo nei confronti delle nostre anime.

C’è odore di una forte progettualità: un'acuta osservazione dell’umanità vista da un satellite immaginario nel quale provare a scindere il reale dalla sua proiezione, un libro scrivente sui movimenti di una realtà che non arresta la sua volontà di essere sfuggente e di assentarsi per curarsi su un piano finto, vuoto, virtuale. Arriva lo stratagemma, immagini e algoritmi connessi per condurre lo sguardo alla verità. Per fare questo Phoema sposa la duttilità di generi musicali che siano cerchi di grano, passeggiate solitarie con il taccuino in mano. Non fotografo del reale, ma scrittore di immagini che consentano all’autenticità di rimanere salva, di non emettere giudizi negativi. Ci si sposta nella musica folk (figlia del sistema cantastorie), per immergerla in una elettronica ragionata, che compare a spruzzi perfettamente razionalizzati, in quell’alternative rock che lascia la pelle dei pensieri sempre morbida. Conquista l’assenza di distorsioni, di rumori inutili, per semplificare il tutto. Non vi sono tragedie da raccontare, bensì l’impressione che l’artista toscano sappia trovare bellezza nel disastro comportamentale. 

Un disco ematico: porta proprio, e molto bene, il sangue al cervello per poter ragionare meglio, mettendolo in condizione di soffiare via la solitudine, dicendole di spostarsi, di assentarsi, di rimanere fuori dai nostri già numerosi sfaceli. Tutto ciò rivela quanto Me And My Army sia salutare, solare e profondo: finalmente si torna a fare cultura attraverso la musica e anche solo per questo motivo merita un supporto caloroso e un abbraccio fraterno. I brani sono capitani dell’intelligenza con un cappello saldo sul capo, senza esitazioni, per pilotare il viaggio cosciente con grande maestria e attenzioni. I ritmi presenti sviluppano, nell’ascolto, un’onda leggera, dove il coinvolgimento è più mentale che fisico, conferendole unicità, con il bisogno di linee melodiche che accolgono quelle incursioni vibranti fatte di chitarre sagge, con il basso che visita generi musicali senza vincoli e dove la batteria è un termometro degli istinti umani. Disco che più che sommare canzoni è una corsa di violino che si allunga trovando la nota corretta per un’analisi che si precisa perfettamente. Accenni psichedelici connettono l’elasticità musicale alla perfezione. Esiste la perfezione? Sì: nell’abilità di scrivere la verità di un disastro umano senza urlare, dove non c’è la poesia ma una sensibilità forse addirittura superiore.

Un album come compagno di identità, come professore, come studente, nel quale non è la confidenza che ci può legare ma la convinzione che nella solitudine esista una possibilità di crescita infinita…


Song by Song


1 Take Control

La prima immagine è una scintilla di consapevolezza che parte dolcemente: la voce e la chitarra compagne di cielo e poi un crescendo minimalista per un brano che libera i respiri, avendo lasciato la gabbia del controllo.


2 Me and My Army


Ed è stupore perché le rive che si intravedono sono gemme malinconiche, tra chitarra semiacustica e il pianoforte a iniziare lo scatto di un nuovo luogo, soprattutto mentale. La voce sale delicatamente su un registro che ammanta e ci porta la colpa negli occhi, in passaggio…


3 Unplease Me


I limiti umani sbocciano dentro la chitarra gothic-folk, con rimandi che affascinano, ma poi la tendenza è quella di rendere la canzone la pace di un respiro elettrico che la definisce, con le sue pause, mentre la batteria è intraprendente, il risultato ci offre un ritornello pieno di acqua al bordo degli occhi.


4 Lover


Si esce fuori, a bruciare il mondo, e lo si fa con un richiamo a Nick Drake, ed è un gran bel modo per partire. Ci si ritrova nel ritmo che abbandona la morbidezza e scivola via felice prendendoci con sé. Un bell’assolo, nel confine di una melodia seduttiva, ci convince: andiamo pure noi a sorridere al fuoco, facendo attenzione alla ferita che probabilmente è in arrivo.


5 Ruins of Gold


La solitudine appartiene a tutti e questo brano ce ne mostra il lato che ci interroga, dal testo a una musica capace di abbracciare il folk e l’elettronica in modo delizioso. La voce tremante, tra echi e chitarre che sembrano mandolini con la febbre, riesce a essere il centro di controllo del nostro percepire. Si viaggia negli anni ’90 che, sentendosi emarginati, chiedono a Phomea un abbraccio.


6 J.B. 


Arriva un interludio musicale, con uno spoken word che ci tempesta di domande, dentro oscillazioni cacofoniche che paiono il lamento di un’anima tesa.


7 What About Us


Si entra nella natura, nei frutti della terra, nella forzata coesistenza, e il canto si fa mistero, sussurri invadono le note ed è un calore naturale, che attraversa le maschere, i comportamenti che si fanno dubbiosi. E un tappeto elettronico concede spazio a schitarrate gonfie di veleno.


8 Run


Echi Nordici (Saybia, la fantastica band Danese su tutti) assorbono il pathos di un brano che sa grattare la polvere e per farlo passa da una lentezza accennata a una forma alternative rock vogliosa di offrire grandi spazi visivi. Ed è un gioco di melodie che pare provenire dagli anni ’70, sino a elevare il bisogno di dimenticare e correre via…


9 The Swarm


Pizzicare la pelle di una gabbia e farla accoppiare con una chitarra dallo sguardo malinconico, attendere la voce e un cantato che fa sedere e addormentare la stanchezza. Un brano che sale nel cielo dei nostri sogni malgrado le parole abbiano quintali di piombo addosso, ma è proprio qui che si capisce il valore di un miracolo. A completare il tutto ci pensa il senso estetico sonoro di un grandioso Flavio Ferri, che appiccica alla canzone il senso di infinito.


10 Perfect Stone


Phomea fotografa il tempo e le sue creature, con la voce che cerca di mettere le impronte in una vocalità baritonale. Ma poi fugge piacevolmente da sé e la porta dolcemente in un libero volo, tra romanticismo e dolore. La melodia cresce, si svincola, spinge verso un alternative dalla veste dorata, con una attenzione meticolosa nel non far cadere la tensione emotiva.


11 Dark 


Una cena con Joseph Arthur non si rifiuta, come con Tom McRae: si dia voce all’intimità, tra giochi di libellule in volo dentro parole sottili come respiri. Phomea rivela le stigmate del fuoriclasse che si beve il buio per completare la sua identità. La chitarra sembra picchiare l’insicurezza sino a consentire agli archi e all’organo di saldare il sogno e l’eternità. Struggente dimostrazione di classe fertile. 


12 Look At You


Neil Young si affaccia, con Tim Buckley e Michael Stipe a suggerire immagini da sistemare ai bordi dell’acqua. La voce come rabdomante: deve trovarla per lavare gli sguardi e la trova con una canzone che chiude il cerchio, dove la chitarra è un carillon della luce che si fa preda in fase di cedimento. Il pizzichio delle corde è già calore, poi gli accordi fanno il resto, e la voce è il francobollo che ci fa partire per una nuova cella senza catene…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

21 Novembre 2022


https://phomea.bandcamp.com/album/me-and-my-army


https://open.spotify.com/album/0x4t3nPGOzND6GMom1RmPr?si=qmTMOFjwRRi1pdt2jMtwWA

















domenica 20 novembre 2022

My Review: The Slow Readers Club - Cavalcade

The Slow Readers Club - Cavalcade

There is nothing to do: in front of what is vital we cant’t escape, we are trapped, sometimes even gently. And it is an event that has a cyclical nature, it feeds on itself to flood the senses in a blissful multitude. We seldom have an appointment with all this, perhaps with music the percentage of this probability grows.

In 2015 the second album of the band born in Salford was released: The Slow Readers Club, who with Cavalcade opened the doors of notoriety and began to be understood and consequently adored. The self-titled debut record had already shown their worth, although the band was not satisfied with the production. Magically sad tracks that made people dance with eyes ablaze with tears. Then this work made hearts burst supported by attention-grabbing singles and putting them on the lips of many. The musical mix shifted slightly while still retaining clear signs that the electro-dark genre fit the needs of the four guys in search of perfect songs. This required more dynamics and a turn toward greater integration among the instruments. It happened, thus giving the green light to Aaron, who injected the trail of every cry into his voice to sow power into a uvula devoted to unchained immensity. And the whole band took a remarkable step forward, with maturity as a consequence of a desire to make music a reason for total existence: it happened shortly afterwards, when the four  guys left their jobs to live totally on this passion.

Cavalcade was and always will be their breakthrough album, with the legacy of songs steeped in charm and capable of engaging the listener in a path of emotional lights and thorns that scratch the skin of the heart, with the senses surrounding thoughts often short of breath as they are able to show the true suffocating face of our existence. Here is life appearing with its crosses, a faith increasingly weighed down by mysticism, relationships made of depression, precipices and dizziness that make our wrists shake. The past, the present, and the future, united by chains that, through Aaron Starkie's extraordinary verses, find a way for all their fragility to be felt and exposed, find adjustment with the music that finds itself clinging to their expectations. The twelve tracks highlight skills and convictions, are credible and inject us into the subcutaneous life reflections and dances, connected and sealed for the future, with the certainty that they will not suffer aging. We are always moved, we feel cuddled by their sad-smiling tenderness, we are pierced by a wisdom that hurts, ending up succumbing to odorous atmospheres, through redundant guitars, keyboards with catchy loops and a rhythm section which creates a shiver on the trembling air, to make our life much more than a soundtrack. The Mancunians, with their gloomy electro-Dark, do not deny themselves trips into the 80s, but feel the need to remain anchored in modern sounds and create a perspective in which everything should be projected into the future, without nostalgia to weigh it down. You can feel all the energy, the exuberance that becomes a merit, melancholy as a duty, to make songs pilots of dreams and findings that also reveal the need to create new boundaries, thoughts and musical styles. Everything is solemn, heavy, frustrating in a pleasing way, deductive and devastating at the same time, as if the fun part of The Human League, of Soft Cell, could embrace the dark dynamics of Joy Division, in an artistic marriage that leaves no doubt about the talent and skills that will surely grow. Songs like vessels, like fresh grains in the earth eager for continuous and powerful seedings. We always have the certainty that life and death in the songs will find an embrace that can shock, because they are immersed in that melancholy that no one can deny is the common denominator of all existence. Compositions that give the impression of finding a way, in the live dimension, to have no constraints of development in the sounds, to leave room for small upheavals, and this will happen punctually. Some of them outclass the others: it would seem to be a negative judgment, in reality it confirms a very high level, making it possible to become attached to those that are able to immediately capture us. Therein lies the value of the album: what seems like its most devastating inferiority is realized in those songs that, apparently, seem inferior, less incisive. Those will be the ones that will attract you completely. Preceded by four singles (Forever In Your Debt, I Saw A Ghost, Start Again, Don't Mind) and with a fifth after the release (Plant The Seed), the other seven compositions are also potentially capable of being hypothetical singles, showing themselves to be easy prey to listening, with a willingness to write songs that know how to get to the heart without hesitation. 

Jim Glennie, bassist in James, realized their potential and invited the band to support them, eventually giving the four boys the visibility they needed, which led them to inevitable success.

It is the album that changed destiny, showing that their charts had the strength to enter the reception with eyes turned toward the future, the signature of the realization that their beauty would create new followers. 


Something morbid and soft penetrates our souls, which is inevitable, since the songs are psychedelic organisms, as they transport us from the subconscious to the earthly dimension: there is always the impression of a journey to the mystery that is only partially revealed. The interplays of the melodies have conspicuous brushstrokes of grey, the rhythms awaken the body's impulses to throw it into the most sublime and engaging emphasis, with the lyrics soaring because of their desire to make us question, while the tears live on effective, prehensile runs and slowdowns, destined to stick in our mind, which becomes generous in hosting them, albeit they are capable of often killing faith in man. And it is this sincerity that makes them irresistible.

The guitars are hooks, tremors, vibrations with many echoes, big brothers of our dreams. The bass, fat thorn on our breaths, continually wraps itself around our thoughts, to slam them to the ground, with seduction and skill. The drumming is precise, without ambitions of megalomania, and not because of technical defect: it is simply perfect so as not to deprive us of necessary dances. Keyboards are mermaids with  sly and thin nails, yet capable of entering the lower planes of our mood, to make it weep with majestic scratches.

The voice? A book would need to be written in this regard: and it would not be enough. Aaron is the master of tone, of modes of expression that make the soul vibrate, immersing it in the darkness of every breath, making his every note sacred. Addiction becomes ecstasy and one cannot help but have wet eyes, at least be moved, because that sensory bell is the vibration of an emotion that wants to be experienced.

You know, yes, and very well, that it is time to get to know these twelve flashes closely, with the hope that nothing will stand in the way of your total falling in love.


Song by Song 


1 Start Again


Never forget to pay attention to the lyrics of each song.

The magnetic fluid of the opening track is entrusted to a pressing bass that doesn't let go. Followed by two guitars that weld it all together with a fluid propensity to dream and fluorescent synthesizers.


2 I Saw A Ghost


Bang! We enter the story of a person unable to get out of depression with a perfect track: it moves across a continuous vortex in the head with verses in which Aaron's poignant vocals devastate us. In addition, the guitar is a melancholic wave that makes the senses square, with the bass warming the skin at the same time. The chorus becomes the black forest of every mental prison. 


3 Forever In Your Debt


Accompanied by a video which has the power to make us melancholy, the song demonstrates the class of the Mancunian guys who need no changes to explode in our rapacious willingness to be seduced by such sinful sadness. Bass and kick drum open the dance and then Aaron takes our hearts until Kurtis becomes the wizard of rhythmic-melodic solicitation, which will find in the refrain all the dust surrounding the loneliness of the protagonist of the track. 


4 Plant The Seed


You fly, you fall, you float in the 80's but with the curiosity of the current years for a song that sees in the refrain placed right at the beginning the two brothers on vocals. With an elegant synth almost segregated by the guitars and voluptuous bass, one manages to become a dreamy body in flight, with four decades blessing the splendour of this creation.


5 Days Like This Will Break Your Heart


Vibrant emotion is felt with these vocals that slaughter all resistance, in the dark and intriguing demonstration that the four are hurricanes of noble sentiments, as they are meant to scratch our every wound, even more. Irresistible show of fallen fantasies and photographs that establish loneliness.


6 Don't Mind


And it's love that wins: a song dedicated to the singer's bride and which sees the atmospheres take on light in a dreamy, pop viaticum dominated by Aaron's voice and the combination of keyboards and guitar as they lead us to a moment of serenity. With a delightful falsetto that wraps us poetically.


7 Cavalcade


A guitar riding through elegant echoes frames lyrics that paralyze with intensity and see the song grow even more so as the entire rhythm section manifests its powerful seriousness. Tears walk over the heart eventually touching everything inside as it rolls into a bombastic dance. And this voice should be given an award for enchantment.


8 Fool For Your Philosophy.


A song that has been present in their live sets for years, it is another rhythmic avalanche, a rush of the senses toward escape from this existence. It begins with an electro-dark base to enchant from the start. Then Kurtis pushes the sound of his guitar to a power that however restrained pollutes our little strength. And then the refrain brings us dancing darkness, leading to a part where everything becomes a clap of hands and hearts go up into the clouds to seek consolation. 


9 Grace Of God


Do you want the eternal enchantment that can make us lose control? Here it is! The atmosphere is rarefied in the verse, a drumming that shifts from syncopation to a four on the floor launches the song into the moment of the chorus where everything becomes sublime with the whirlwind of thoughts, making us lose our senses as we tremble. Keyboards are a subtle wound followed by guitars as polite splinters.


10 Here In The Hollow


The darkest jewel on the album, that purest diamond that overwhelms for its polite propensity to be almost pop while instead the words are hot blades, unbearable but resoundingly endowed with truth. The circular guitar is a tornado, the bass is sensual, drums are determined. But if we are careful we find ourselves in the dustbin of the universe, out of strength....


11 Secrets


Striking, resounding example of Aaron's love of the piano. And it is intimacy that advances in the making of our existences, with escapes and secrets forced to coexist. In the refrain drums become a hypnotic march and keyboards the grey in which to hide our mediocrity.


12 Know The Day Will Come


If the scribe wanted to die from the heartbreak of an unbearable present he would choose this track as his soundtrack. Devastatingly, by SRC's musical standards, the song is a farewell to any sort of connection with breath: for the melody, the intersections of guitars, the synths imbued with the rottenest sadness, and Aaron's vocals-lyrics-interpretation trinomial are a bottle of black blood that will finally explode in the evocative refrain. 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20th November 2022


https://open.spotify.com/album/0cb2jkeQT4GSoD8cddlTOF?si=Pr7d7q6rSOqBTRlUr6X-Uw








La mia Recensione: The Slow Readers Club - Cavalcade

The Slow Readers Club - Cavalcade

Non c’è niente da fare: davanti a ciò che è vitale non si sfugge, si rimane intrappolati, a volte anche dolcemente. Ed è un evento che conosce ciclicità, si ciba di sé per inondare i sensi in beata moltitudine. Abbiamo appuntamento raramente con tutto questo, forse con la musica cresce la percentuale di questa probabilità.

Nel 2015 fu pubblicato il secondo album della band nata a Salford: The Slow Readers Club che con Cavalcade aprirono le porte della notorietà e incominciarono a essere compresi e conseguentemente adorati. Il disco di esordio, omonimo, aveva già mostrato il loro valore, sebbene la band non fosse soddisfatta della produzione. Tracce magicamente tristi che facevano ballare con gli occhi incendiati di lacrime. Poi questo lavoro fece scoppiare il cuore supportato da singoli in grado di attirare l’attenzione e mettendoli sulla bocca di molti. La miscela musicale si spostò leggermente pur conservando segni evidenti che il genere elettro-dark calzava a pennello con le esigenze dei quattro ragazzi in cerca di canzoni perfette. Per farlo occorreva più dinamicità e una virata verso una maggiore integrazione tra gli strumenti. Accadde, dando così il via libera ad Aaron, che iniettava nella sua voce la coda di ogni pianto, per seminare la potenza in un’ugola votata alla immensità senza catene. E tutta la band fece un notevole passo avanti, con la maturità come conseguenza di un desiderio di fare della musica un motivo di esistenza totale: avvenne poco dopo, quando i quattro lasciarono le loro attività lavorative per vivere totalmente di questa passione.

Cavalcade è stato e sarà sempre il loro album della svolta, con il lascito di canzoni pregne di fascino e capaci di coinvolgere l’ascoltatore in un sentiero di luci e spine emotive che grattano la pelle del cuore, con i sensi a circondare i pensieri spesso con poco fiato, perché in grado di mostrare il vero volto soffocante della nostra esistenza. Ecco apparire la vita con le sue croci, una fede sempre più appesantita dal misticismo, i rapporti fatti di depressione, precipizi e vertigini che fanno tremare i polsi. Il passato, il presente e il futuro, uniti da catene che, attraverso i versi straordinari di Aaron Starkie, trovano modo di far sentire e di mettere in luce tutta la loro fragilità, trovano adeguamento con la musica che si ritrova ad essere appiccicata alle loro aspettative. Le dodici tracce evidenziano abilità e convinzioni, sono credibili e ci iniettano nella vita sottocutanea riflessioni e danze, connesse e sigillate per il futuro, con la certezza che non subiranno l’invecchiamento. Ci si commuove sempre, ci si sente coccolati dalla loro tenerezza dal triste sorriso, ci si sente attraversati da una saggezza che fa male, finendo per diventare succubi di atmosfere odoranti, attraverso chitarre ridondanti, tastiere dai loop accattivanti e una sezione ritmica dai brividi sull’aria tremante, per fare della nostra vita molto più che una colonna sonora. I Mancuniani, con il loro elettro-Dark oscuro, non si negano viaggi dentro gli anni 80, ma sentono il bisogno di rimanere ancorati alle sonorità moderne e creano una prospettiva nella quale tutto vada proiettato nel futuro, senza nostalgie ad appesantire l’insieme. Si avverte tutta l’energia, l’esuberanza che diventa un pregio, la malinconia come un dovere, per fare delle canzoni piloti di sogni e constatazioni che rivelano anche il bisogno di creare nuovi confini, pensieri e stili musicali. Tutto è solenne, greve, frustrante in modo piacevole, deduttivo e devastante al contempo, come se la parte divertente degli Human League, dei Soft Cell, potesse abbracciare la cupa dinamica dei Joy Division, in un matrimonio artistico che non lascia dubbi riguardo il talento e le abilità che cresceranno sicuramente. Canzoni come recipienti, come granelli freschi nella terra vogliosa di inseminazioni continue e potenti. Abbiamo sempre la certezza che la vita e la morte nelle canzoni troveranno un abbraccio che potrà sconvolgere, perché immerse in quella malinconia che nessuno potrà negare essere il comune denominatore di ogni esistenza. Composizioni che danno l’impressione di trovare modo, nella dimensione dal vivo, di non avere vincoli di sviluppo nei suoni, di lasciare spazio a piccoli sconvolgimenti, e avverrà puntualmente. Alcune di loro surclassano le altre: parrebbe un giudizio negativo, in realtà conferma un livello molto alto, rendendo possibile affezionarsi a quelle che hanno una presa immediata. Sta qui il valore dell’album: quella che sembra la sua inferiorità più devastante si concretizza in quelle canzoni che, apparentemente, paiono inferiori, meno incisive. Saranno proprio quelle a catturarvi del tutto. Preceduto da quattro singoli (Forever In Your Debt, I Saw A Ghost, Start Again, Don’t Mind) e con un quinto dopo l’uscita (Plant The Seed), le altre sette composizioni sono anch’esse potenzialmente capaci di essere ipotetici singoli, mostrando di essere di facile preda dell’ascolto, con la volontà di scrivere brani che sanno arrivare al cuore senza esitazioni. 

Jim Glennie, bassista dei James, capì il loro potenziale e invitò la band a far loro da supporto, finendo per dare ai quattro ragazzi la giusta visibilità, che li portò a un successo inevitabile.

È l’album che cambiò il destino, mostrando che le loro carte avevano la forza per entrare nell’accoglienza con gli occhi verso il futuro, la firma della constatazione che la loro bellezza avrebbe creato nuovi seguaci. 


Qualcosa di morboso e morbido penetra la nostra anima, inevitabile, visto che i brani sono organismi di natura psichedelica, perché ci trasportano dalla dimensione subconscia a quella terrestre: si ha sempre l’impressione di un viaggio verso il mistero che viene svelato solo in parte. I giochi delle melodie hanno pennellate vistose di grigio, i ritmi svegliano gli slanci del corpo per gettarlo nell’enfasi più sublime e coinvolgente, con i testi che svettano per il desiderio di farci interrogare, mentre le lacrime vivono di corse e rallentamenti efficaci, prensili, destinati a incollarsi nella mente, che si fa generosa nell’ospitarli, seppur capaci di ammazzare spesso la fiducia nell’uomo. Ed è questa sincerità che li rende irresistibili.

Le chitarre sono ganci, tremori, vibrazioni dai molti echi, fratelli maggiori dei nostri sogni. Il basso, spina grassa sui nostri respiri, si avviluppa continuamente ai nostri pensieri, per sbatterli per terra, con seduzione e abilità. Il drumming è preciso, senza velleità di megalomania, e non per difetto tecnico: è semplicemente perfetto per non privarci di danze necessarie. Le tastiere sono sirene dalle unghie sornione, sottili, capaci però di entrare nei piani bassi del nostro umore, per farlo piangere con graffi maestosi.

La voce? Occorrerebbe scrivere un libro: non basterebbe. Aaron è il maestro di tonalità, di modalità espressive che fanno vibrare l’anima, immergendola nel buio di ogni respiro, rendendo sacra ogni sua nota. La dipendenza diventa estasi e non si può che lacrimare, perlomeno commuoversi, perché quella campana sensoriale è la vibrazione di un’emozione che vuole essere vissuta.

Sapete, sì, e benissimo, che è tempo di conoscere da vicino questi dodici lampi, con la speranza che nulla si opponga al vostro innamoramento totale.


Song by Song 


1 Start Again


Non dimenticate mai di stare attenti ai testi di ogni canzone.

Il fluido magnetico della opening track è affidato a un basso che pressa, non molla la presa. Seguito da due chitarre che saldano il tutto con fluida propensione al sogno e a sintetizzatori fluorescenti.


2 I Saw A Ghost


Bang! Si entra nella storia di una persona incapace di uscire dalla depressione con un brano perfetto: spazia in un vortice continuo nella testa con strofe in cui il cantato struggente di Aaron devasta. In più la chitarra è un’onda malinconica che rende quadrati i sensi, con il basso che scalda la pelle al contempo. Il ritornello diventa la foresta nera di ogni prigione mentale. 


3 Forever In Your Debt


Accompagnato da un video che immalinconisce, la canzone dimostra la classe dei Mancuniani che non abbisognano di cambi per esplodere nella nostra rapace volontà di essere sedotti da cotanta peccaminosa tristezza. Il basso e la grancassa aprono le danze e poi Aaron si prende i nostri cuori sino a quando Kurtis non diventa il mago della sollecitazione ritmica-melodica che troverà nel ritornello tutta la polvere che circonda la solitudine del protagonista del brano. 


4 Plant The Seed


Si vola, si cade, si fluttua negli 80’s ma con la curiosità degli anni attuali per una canzone che vede nel ritornello piazzato subito all’inizio i due fratelli al canto. Con un synth elegante e quasi segregato dalle chitarre e dal basso voluttuoso, si riesce a divenire un corpo sognante in volo, con quattro decadi a benedire lo splendore di questa creazione.


5 Days Like This Will Break Your Heart


Si prova un’emozione vibrante con questa voce che massacra ogni resistenza, nella cupa e intrigante dimostrazione che i quattro sono uragani di sentimenti nobili, in quanto sono destinati a graffiare ogni nostra ferita, ulteriormente. Irresistibile show di fantasie caduche e fotografie che stabiliscono la solitudine.


6 Don’t Mind


Ed è l’amore che vince: brano dedicato alla sposa del cantante e che vede le atmosfere prendere luce in un viatico pop e sognante dominato dalla voce di Aaron e dal binomio tastiera e chitarra, perché ci conducono a un attimo di serenità. Con un delizioso falsetto che ci avvolge poeticamente.


7 Cavalcade


Una chitarra che cavalca tra echi eleganti fa da cornice a un testo che paralizza per intensità e che vede il brano crescere ancora di più quando tutta la sezione ritmica manifesta la sua potente drammaticità. Le lacrime camminano sul cuore finendo per toccare tutto dentro, perché si rotola in una danza roboante. E a questa voce occorrerebbe conferire un premio all’incanto.


8 Fool For Your Philosophy


Canzone presente da anni nei loro Live set, è un’altra valanga ritmica, una corsa dei sensi verso la fuga da questa esistenza. Inizia con una base elettro dark per incantare sin da subito. Poi Kurtis spinge il suono della sua chitarra verso una potenza che per quanto contenuta inquina le nostre poche forze. E poi il ritornello ci porta il buio danzante, per giungere a una parte in cui tutto si fa battito di mani e i cuori salgono tra le nuvole a cercare consolazione. 


9 Grace Of God


Volete l’incanto eterno che sappia farci perdere il controllo? Eccolo! L’atmosfera è rarefatta nella strofa, un drumming che passa dal sincopato al quattro quarti lancia la canzone nel momento del ritornello in cui tutto si fa sublime con il turbinio dei pensieri, facendoci perdere i sensi mentre si trema. La tastiera è una ferita sottile che viene seguita da chitarre come schegge educate.


10 Here In The Hollow


Il gioiello più buio dell’album, quel diamante più puro che travolge per la sua educata propensione a essere quasi pop mentre invece le parole sono lame calde, insostenibili ma clamorosamente dotate di verità. È un tornado la chitarra circolare, è sensuale il basso, è determinata la batteria. Ma se si è attenti ci ritroviamo nel cestino dell’universo, senza più forze…



11 Secrets


Spiazzante, clamoroso esempio dell’amore di Aaron per il pianoforte. Ed è l’intimità che avanza nel fare delle nostre esistenze, con fughe e segreti costretti alla convivenza. Nel ritornello la batteria diventa una marcia ipnotica e la tastiera il grigio in cui nascondere le nostre mediocrità.


12 Know The Day Will Come


Se lo scriba volesse morire per lo struggimento di un presente insostenibile sceglierebbe questo brano come colonna sonora. Devastante, per i canoni musicali degli SRC, il brano è un addio a ogni sorta di legame con il respiro: per la melodia, gli incroci delle chitarre, i synth pregni della tristezza più marcia e il trinomio voce-testo-interpretazione di Aaron sono una bottiglia di sangue nero che esploderanno definitivamente nel ritornello evocativo. 


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Novembre 2022


https://open.spotify.com/album/0cb2jkeQT4GSoD8cddlTOF?si=Pr7d7q6rSOqBTRlUr6X-Uw






venerdì 11 novembre 2022

La mia recensione: Black Swan Lane - Blind

Black Swan Lane - Blind



La religione è per le persone che hanno paura di andare all’inferno. La spiritualità è per coloro che ci sono già stati.
(Neil Gaiman)


Nel percorso artistico di ogni stella gli anni scivolano via, con l’impressione di un’enorme palla di fuoco che non perde luce, bensì ne guadagna perché questa è la sua unicità, peculiarità che rimane a testimonianza del tutto di fianco al tempo.

Jack Richard Sobel ha nelle sue mani il segreto di avvampi continui, l’abilità di consegnare i suoi trasporti interiori dentro canzoni come un colpo di fioretto che non fa danni ma che crea dipendenza: un’incantevole ferita.

Continua in perfetta solitudine il suo scrivere comete come miracoli, appiccicarli nell’universo dei nostri bisogni, rendere tutte le sue nuove creature specchi spirituali con, questa volta, un concept album che battezza la spiritualità e la religiosità, con figure colme di profondità e segnali di questo tempo assuefatto alla voglia di vivere.

Per fare tutto questo Jack ha preso figure reali, immagini retoriche, poesie e storie con appiccicato il desiderio di descrivere l’immobilità umana davanti allo scorrere del tempo, le scusanti, le aggravanti, i vizi morbosi restii al cambiamento, la fatica nel conservare la fiducia nei confronti del prossimo malgrado un’attitudine che non vorrebbe cessare di essere tale.

Decisa che l’anima rock sia la perfetta colonna sonora per i suoi progetti musicali, l’uomo di Atlanta si è gettato con caparbietà nelle creazioni che incorporano lo spirito dei BSL ma con la volontà di disegnare nuovi quadri, nuove sfumature, un senso di unione tra l’approccio antico e un fare moderno, con idee strabilianti e per lui sicuramente atipiche. 

Non sono lamenti, sono pozzanghere di vita che riflettono questi ultimi due anni, con la capacità di fare un salto nella Storia, per mostrare l’apatia davanti all’occasione di uno scatto in avanti che, con un peso sul cuore, ancora una volta non è accaduto. Prese le parti deboli umane, quelle storicizzate, incapaci di evolversi, Jack le ha inserite dentro un’ampolla, fatte stagnare, disinfettate e immesse dentro una centrifuga per poter estrarre un succo perlomeno intenso e purtroppo bellissimo: è destino dei geni rendere splendide le cose che faticano a essere considerate utili.

Ci sono luoghi mentali che urlano il bisogno di fuga, la necessità di trovare un rifugio dentro ali accoglienti, di desideri che non perdano voce né intensità, per conservare un minimo di dignità: lui li ha trovati e testimoniati all’interno di canzoni che creano una pellicola sognante nei  nostri tremori, non come atti di gioia bensì di consapevolezza.

Tutte le composizioni hanno un alta carica emotiva, fiume lavico con rughe e rantolii che sveglia il torpore di cervelli ammutoliti: tutto diventa la frusta che fa uscire dal pericoloso coma che il tempo ha reso solido.

Canzoni che oscillano, come le nuvole estive, tra l’estasi dei colori e la paura dei suoni che fuoriescono senza cedere innanzi al tempo.

Ma tutto si pone su un piano visivo appannato, inedito, una cecità che per opposizione mostra una realtà determinata a sconfiggere il progresso di una civiltà sempre più ai confini della follia. E così, come unica risorsa per poter far fronte al delirio, Jack disegna trattati di malinconia, con sostanziali mutamenti rispetto al passato con canzoni ricche di arrangiamenti, trovate brillanti come trucchi di necessità, per arrivare come non mai a un canto ricco di pathos, con testi che viaggiano dentro personaggi e miraggi, storie dove i rapporti interpersonali vengono messi alla luce con una benda sugli occhi…

Vediamo la progettualità dei BSL divenire concept album, per portarci consapevolezze, lastre di vuoto che nella voce baritonale dell’artista di Atlanta possono giungere alle urla, a brividi connessi alla razionalità. Bruciano gli occhi, l’anima fa altrettanto senza divenire un insieme apocalittico grazie alla dolcezza innata di questo angelo che non nega mai a se stesso per primo lumi di positività. In queste ferite e fasci di affanno, le composizioni sanno diventare la colonna perfetta non solo del nostro tempo ma un’accurata enciclopedia della zoppia umana, incapace di avanzare con dignità nel progresso così tanto voluto.

Jack si rivolge alla nostra anima, la scruta, la riconosce e la circonda di poetica, spronandola, previo un necessario testamento delle condizioni. Ci sono però i presupposti di una fretta assolutamente necessaria per non consumare del tutto antichi averi, provenienti da quell’eden che ormai sembra caduto in un abisso. La fede è nell’uomo, come la critica, un esercizio cosciente che fa sì che BLIND sia un album necessario per individuare lo stato di malattia, più che di salute, dell’uomo.

Le peculiarità che rendono la band dello stato della Georgia assolutamente unica rimangono, ma dove viene smorzata la parte robusta del ritmo e delle chitarre, vediamo le stesse divenire bisturi melodici, carezze, insieme a un percorso di rivisitazione di ciò che veniva prodotto decadi fa, il tutto come un atteggiamento moderno, dove la tecnologia ha aiutato Jack a sviluppare nuove diramazioni sonore. Tutto ciò lo ha portato definitivamente a sganciarsi da paragoni con la band Mancuniana The Chameleons, mostrando finalmente al mondo lo spessore della propria indipendenza e capacità. Chi lo ha seguito solo per quel motivo avrà modo di constatare come almeno lui sia cresciuto. È affascinante come questo ultimo lavoro sia in grado di spaziare dentro generi musicali in modo più specifico, che sia il Post-Punk, il Dreampop, l’Alternative sempre così capace di dargli stimoli e di precisare il suo infinito talento. Le canzoni lente non sono propriamente delle ballad ma dei nascondigli emotivi che spalancano un pò la finestra, per far entrare luce che scalda quella benda sugli occhi. 

Intimo, ombratile, seducente, vistoso nel suo mostrarci la potenza evocativa di testi mai come in questa occasione capaci di circondare la nostra realtà, questo decimo album segna una svolta: il cambiamento della concezione nei confronti della modalità, prevedendo sin da subito strumenti e strutture che Jack non aveva mai avuto bisogno di portare verso queste dimensioni. Regna la convinzione di pulsioni dominanti, di una corsa verso spazi mai visti, un piano di curiosità che ha segnato in modo vistoso il corpo delle canzoni.  Il tutto sotto una benda nera, simbolo della cecità moderna, capace di creare mostruosità per poi nasconderle e disconoscerle. L’impatto del Covid-19 è evidente ma senza piaggeria, solo un bisogno potente di mettere in luce le miserie che sono entrate anche dentro i meccanismi sempre più contorti delle relazioni interpersonali. La fragilità fa parte della cecità, una felicità alla quale non è permesso accedere, dove i destini si ritrovano uniti nel soccombere nel buio. Rimane la fuga, il distacco, la volontà di liberarsi dal nodo scorsoio di dinamiche che il cantore di Atlanta ha individuato e mostrato dentro queste .

Il dolore va lavato, ma anche sostituito da una umanità che sappia imparare per non far ripetere le cause e forse sono gli angeli gli unici che hanno il potere di farlo. Il senso della mancanza del respiro (uno degli effetti devastanti del Covid) penetra ma lascia luce, la voglia intatta di non cedere a questo disastro. L’album rivela come la melodia del pensiero sia l’unica arma efficace e l’uso evidentemente aumentato delle tastiere produce questo senso di trasporto, di un volo che si può ancora compiere per non dover affogare. In mancanza della gioia, l’entità umana cambia pelle e attitudine e in queste canzoni siamo in grado di conoscerne gli effetti e di trovare una nostra modalità. Brani come sogni di fronte a un oceano di incubi pronti ad avvolgerci: un dialogo quasi impossibile che l’arte dei Black Swan Lane ha reso invece possibile, facendo di noi testimoni di questo duello. 


Come un lungo dialogo dove le richieste non mancano, siamo in presenza di canzoni come bilance, setacci, mappamondi della geografia di un mondo razionale che ha reso i confini diversi, per dare voce ai nostri pensieri e per farli divenire a loro volta canti come specchi indispensabili.

Della band degli esordi è rimasta la capacità di farci sentire dentro fiumi unici, con l’intenzione di non dimenticare la storia di una decade con ormai quarant’anni sulle spalle. Ma nessuna tendenza a ripetersi, a trovarsi dentro paragoni che minano l’effettiva capacità di avere una propria spina dorsale, una indipendenza che ora è davvero completa. Questo fa sentire l’album snello, ampio, senza bavagli artistici e pesi, denso di uno stile proprio che Jack ha perfezionato dopo aver iniziato questo percorso con Vita Eterna e il successivo e penultimo Hide In View in piena autonomia: nessuna dipendenza o nostalgia per una carriera sotto la dicitura Black Swan Lane iniziata nel 2007.

 Ecco quindi spazio per tutto ciò che un tempo non era immaginabile: composizioni che sono libere di immettere strumenti e campionamenti per precisare la vastità di idee senza dover resocontare a nessuno; un approccio a volte quasi pop ma mai banalmente allegro, dove la melodia non è mai indice di approssimazioni per catturare il gradimento. Piuttosto il bisogno di non calcare troppo la mano, data la grande matrice spirituale, per lasciare un raggio di sole nei nostri ascolti. 

Le chitarre, le sovrane sin dall’esordio di A Long Way From Home, presidiano ma non dominano, concedendo spazio al drumming potente e dinamico, al basso che rivela strategiche esibizioni, intuizioni, con un approccio più rock. Che dire delle tastiere e del pianoforte? I veri Principi, più presenti rispetto al passato e strutturati con il compito di liberare tutta la potenza di canzoni che in questo modo sembrano rivelare uno stile diverso e molto coinvolgente. 

Su tutto la voce e il cantato di Jack: la sorpresa più grande, vuoi per una capacità enorme di interpretare le liriche come non mai, con pregevoli giochi di effetti, vuoi per una potenza devastante senza aver bisogno di urla o registri alti. Il tutto collegato a testi che mostrano un talento sopraffino nel trovare frasi che inchiodano, che creano un circuito che si tatua nella mente. 

Il miracolo di questo album è attribuire alla cecità la facoltà di rendere visibile ciò che non si deve vedere, unita all’intenzione di guardare la vita con la coscienza degli occhi. Il risultato è la miglior espressione artistica che i Black Swan Lane abbiano mai esibito, superando l’ostacolo di un concept album che poteva uccidere l’intenzione. Invece tutto scorre limpidamente con la gioia di rimanere piacevolmente da soli, nella propria intimità, a beneficiare di aurore boreali dentro scintille sonore indispensabili per meglio conoscere se stessi…


Song by Song


Wishful


Come accoppiare la melodia dal sapore di musica classica che ha resistito a quella moderna, alla aggressività addomesticata da una voce che spalanca il cuore, nel contesto di una critica velata e in prossimità del perdono. La prima traccia ci consegna uno spettacolare scenario che, non dimentico del precedente Hide in View, trova una zona tra la luce e la pioggia per poter far esprimere un drumming potente e le chitarre piene di sabbia.


As Soon As You Can


Quella che a primo acchito sembra una classica ballata in stile BSL in realtà si rivela per quello che è: un oceano equilibrato tra il desiderio d’amore e una religiosità che non può salvare le nostre anime. Ecco che la chitarra semiacustica e la voce preparano il contatto tra l’umanità e il cielo quando entrano anche la chitarra elettrica che gioca con note dolci, il basso lento e sornione, la batteria e un piano che sorprende circondando di piacevolezza il nostro ascolto con poche note. Giunge poi un synth ad avvolgerci in un finale che come un raggio continuo ci scalda in un giorno di inverno.


Blind


Dirompente, fragorosa, toccante, una fabbrica di sale che allarga le ferite in un rock dall’aspetto moderno. La permanenza terreste che non si vede e che rivela che la vista è andata persa, forse per sempre. Il volto dei BSL si fa limpido, già alla terza traccia, con giochi armonici con cori, una sede elettronica che danza nella mente e la certezza che questa ferita sonica possa accecare chi cerca il superfluo.


In The Garden With Eve 


La canzone più incredibile della carriera della band di Atlanta è qui: testo secco, crudo, una mitragliata che tra crudeltà, realtà e incubo viene sostenuta da una musica mai uscita prima dal Maestro Sobel. E il cantato che offre nuove modalità e prospettive. L’elettronica si sposa con la melodia, un impasto che trascina la storia dentro un paradiso pieno di fiamme pronte al congelamento. 


The Fool


Con un inizio che miscela tre strumenti classici (donando un incantevole shock), la canzone prosegue con la solita e meravigliosa capacità di Jack di dare alla melodia il ruolo di trascinatore per portare parole dure dentro la morbidezza, al fine di non farle morire. Ecco che cambia ancora una volta la visione di un contesto relazionale dove la musica sa lenire i malesseri e i dolori. E la capacità di scrivere composizioni con una seducente nuova modalità continua, felicemente, a bordo della pazzia…



Can’t Keep Me Quiet


Il brano che più rappresenta l’amore di Jack per gli anni 80 si palesa con una voce effettata, la parte melodica trascinata da chitarre con abiti Post-Punk e la drum solida. Ed è una invettiva verso una società che cambia le identità e la storia umana, dove ora è il testo che non vuole rischiare il mutismo. Parole trascinanti, come vorticosa è la musica, per una dimostrazione che diventa il perfetto cuscinetto tra il passato e il presente.


Case My Mind


Una invocazione che procurerà lacrime dalla lunga scia, con una atmosfera invernale che penetra il buio di un uomo davanti a un precipizio. Tutto si fa vertigine, con una ballad che circonda i pensieri, la sensazione di una doverosa autodisciplina necessaria nei confronti di un mondo che sperpera le proprie qualità. Chitarre abbondanti, una tastiera che incolla la bellezza davanti alla tristezza.


Fragile


Il nuovo vestito dei BSL si rende ancora più evidente in questa composizione: musica e cantato visitano nuovi territori, mentre il testo certifica perfettamente la situazione attuale. Una religiosità che fa capolino ricevendo piccoli ma doverosi pugni, in una atmosfera dalla spiccata vivacità ma densa di fratture morali, quasi nei pressi di una tristezza senza possibilità di consolazione. Dove tutti crediamo di sapere chi siano gli altri, Jack ci mette sull’attenti per un brano che educa la nostra presunzione.


Drown


Giunge il Santo Natale, musicalmente parlando, con questa canzone che è una stufa che scalda ogni battito del cuore. Ma il testo riflette un particolare momento di sofferenza, frutto di quello che è stato il recente passato che ha sconvolto il mondo, dove l’assenza del respiro è stato il terrore di molti. Nella marea di elementi che surfano in questa delicata composizione sonora, la complessità degli strumenti regala una emozione semplicemente fascinosa.


Angels 


Pare di essere tornati, in parte, a certe atmosfere presenti in Under My Fallen Sky, il loro settimo album. In realtà esistono quote di poesie decadenti che fanno volare la canzone sopra il cielo per renderla immortale. Il pianoforte e le chitarre sono sintomi di una contagiosa complicità per un brano che ci porta angeli sognanti davanti ai nostri bisogni.


The Calling


Nuovo delirante esempio di bellezza assoluta: lo smarrimento, la cecità mentale che come un cancro conduce le persone verso la perdizione, su una struttura musicale perfetta e coinvolgente. Il brano sintesi della loro evoluzione artistica: pieno zeppo di tutto ciò che è stata la carriera dei Black Swan Lane, perché si sviluppa dentro chitarre balsamiche e profumate di deliri accesi dal ritmo e dal cantato che fluttuano nelle nostre menti. Felicità e smarrimento si affrontano dentro questa nevicata di note, di pause, di un quasi ritornello che abbaglia, per poi rilanciare la corsa per la chiamata a cui la nostra mente deve essere pronta a rispondere. Uno tsunami che spoglia la vita della sporcizia. 


Escape


Tra romanticismo e la perfetta miscela di malinconia, smarrimento, tristezza, il penultimo brano di questo capolavoro ci conduce verso la luce di cui non sappiamo se saremo in grado di godere l’entità, perché in ogni fuga esistono quote di cecità. Le chitarre sono gocce di vento supportate da una tastiera che fa sgorgare lacrime senza arresto, capaci di portarci nella volta celeste per sfumare davanti agli occhi di chi è testimone del nostro allontanamento.

Jack ha trovato il modo di dare alla musica il ruolo di messaggero, con una storia che spezza le gambe mentre tutto rimane nella zona della bellezza, perché questo è il suo “limite”: essere un portatore sano di questa doverosa necessità…


Nothing Here To See


Siamo all’ultima: il cerchio si chiude in modo inevitabile perché alla fine di questo percorso non ci è rimasto più nulla da vedere. E il vuoto innanzi a tutto questo viene rappresentato da una coccola sonora che stabilisce il confine della morbidezza, con voce sognante, per l’ultimo messaggio dell’album che viene pronunciato e messo su questa carrozza che attraversa la neve. Le chitarre, graffianti quelle elettriche e sinuose quelle semiacustiche, sanno che devono andare a prendere la tastiera per un risultato di assoluta melodia. Finiamo l’ascolto in piena cecità avendo però sentito un disco clamoroso, che vedremo per sempre nel giardino dell’eternità…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

11 Novembre 2022


L'album sarà in tutte le piattaforme a partire dal 6 Dicembre 2022

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