giovedì 27 luglio 2023

La mia Recensione: Ohne Nomen - The S-Witch

Ohne Nomen - The S-Witch


Esistono vascelli di penombre liquide nei pensieri, un vespaio lento in cerca di una guida. L’amore, quello pulsante di spasmi incontrollabili, cerca una forza nel tempo del delirio, e si può affermare che nell’arte, specificatamente quella della musica, possiamo trovare un lampo obliquo, composto di un piano strategico che sa bene come coinvolgere il corpo nel contatto con il desiderio di seminare binari di polvere argentata, sui quali far correre la convinzione che sia l’unica cosa corretta da farsi.

Giunta al secondo disco, la coppia italiana ha investito su una trama sonora che pare essere un concept album, che in realtà non è, dimostrando piuttosto il bisogno di limitare il campo delle possibilità per convergere in un manto sul quale far scivolare inquietudini, allucinazioni, simbolismi, finendo per gravitare intorno a generi musicali che si vedono circondati dal loro potere: un lavoro come esecuzione, come trapianto di onde sonore da immettere nel cervello.

Un tragitto che comprende assenze (dalla paura, alla oscena volgarità), contemplando invece il bisogno di canalizzare la distruzione del mondo come un racconto oceanico e temporale, come diamanti che si spengono nella melma della quotidianità. Sono brividi feroci, si coglie da parte loro l’intenzione di  fare dell’essenzialità un pugno che, attraverso la melodia, la danza, sappia pungere il cuore dell’esistenza, concedendo grazia e calore che attraverso i synth non sia tanto romantico quanto piuttosto un veicolo di ossessione. I brani dimostrano l’alta capacità dei due di concordare strategie che sappiano essere ragnatele piene di miele nero, una messa agnostica nel peccato del degrado incontrollabile. Fra e Philippe Marlat creano un mappamondo di voragini per le quali è semplice attirare i sensi, i macrocosmi embrionali, per tributare il giusto riconoscimento nei confronti di una orecchiabilità ad alta presa emotiva.

Il dolore diventa un’occasione per generare progetti, con slanci peccaminosi e audaci, come abito di una sfera che coinvolga sentimenti, istinti, come una magia dalle unghie affilate. I ritmi sono i terminali di giochi melodici pieni di una radioattiva propensione alla brevità per poter essere ripetuta in riff secchi, con i synth a dominare, come alleati di sementi giunte dagli anni Ottanta. La voce di Fra è un guanto di seta imbevuto di petrolio: fa luccicare il cuore, fa stringere la mente, consegnandoci una piacevole dipendenza tossica. Leggera, come piuma che vuole essere silenziosa, accenna brevi parole dimostrando una potenza che migliaia di vocaboli non sarebbero in grado di generare. La coppia semplifica, invade la volgare attuale volontà di dare alla complicazione musicale un senso, distruggendo gli avversari con cascate di pure bollicine frizzanti, nella nebbia di un tempo che non concede spazi per il disarmo bellico. Loro sparano, sparano creature sonore rivestendole di magie antiche, con la Darkwave alla quale mettono un bavaglio di pelle nera, dando alle sinistre molecole Coldwave la possibilità di governare il nucleo dei loro cuori.  Un album che arriverà alle dancefloor per poter gettare lo sguardo nel vuoto e concedersi il lusso di avere paura di questa maturità che la coppia ha mostrato con eleganza e potenza, unendo il cielo di sogni sconfitti con il cuore morente del pianeta Terra…


Song by Song


1 - My Body is Moving


Tutto comincia con una sonda nel bel mezzo dell’universo, un synth che lancia dolci missili, poi tutto si fa greve e una nube di asteroidi diventa muscolare, come steroidi che si impossessano del nostro corpo. Un Synthpop imbevuto di una elettronica intelligente ci avvolge per nutrire la notte di una saggezza imprevista…


2 - Darkness


Un fulmine elettronico esce da un synth imbevuto di grazia, con l’occhio attento a cogliere la sfumatura di una tenebra, un incubo che attende di essere toccato ed è la voce magnetica e sensuale di Fra Marlat, con il suo contributo sonoro, insieme al lavoro del partner Philippe Marlat (Iamnoone), a incidere con le proprie unghie un segno profondo in questo nubifragio sonoro che cade dal volto celeste. I due tornano e lo fanno scrivendo una canzone che rivela un’intima propensione a coniugare le diverse anime, un patto di forza che fa compiere un sobbalzo perché sia la parte cantata che quella suonata sviluppano l'alchimia di queste creature votate alla bellezza oscura. Fra è cresciuta, moltissimo: la sua voce è una piuma di piombo che spacca il vuoto, incisiva, pragmatica, una regina delle tenebre che dipinge il suo regno. Philippe è una macchina di talento con l’intenzione di spaziare nel mare delle possibilità: quello che realizza è il connubio tra melodia e ritmo senza che nessuno degli elementi prevalga, per una maturità finale indiscutibile. Synthwave, Coldwave, gocce di Minimal Wave: non è in queste definizioni che avrete la giusta dose di dolore e fascinazione. Buttatevi tra le onde colme di ghiaccio e gli Dei del pensiero, in modo gaudente, saranno i fari della verità perché questa canzone, come torcia incredula, saprà far fiorire un piccolo raggio, quello che vi basta per vedere la profondità di questo brano struggente…


3 - Crystal World


Con iniziali petali EBM intossicati da una plumbea Coldwave, ci troviamo in rimembranze Italy Disco Dance degli anni Ottanta, con in aggiunta un umore decadente totalmente attuale, per un sentimento onirico come trappola per gli inetti, dove i due sondano il terreno dei nostri pensieri. Voluminosa esibizione di un talento che riesce a far danzare le stelle…


4 - No Fear


Una contaminazione nevrotica (l’intro è orgasmo paralizzante) semina tristezza agrodolce, un beneplacito lasciapassare per una mancanza della paura che si fa necessaria. Su una robusta pavimentazione Synthwave, il pezzo circonda i pensieri e ci si ritrova in atomi Electrowave senza poter opporre resistenza. È un volo di scintille dalla bava succulenta quella che ci sfiora…


5 - Deep Hole


La sintesi della loro narrazione musicale si palesa: un battito del desiderio sovrasta ogni fatica e ci si ritrova nel profondo buco di una danza contaminante, accenni di cantato, accenni di suonato, per manifestare il contatto tra l’essenziale e l’epidermide di un sogno capace di produrre fuochi fatui. Quando la Coldwave si sbarazza dei geni della paura diventa un palcoscenico per la parte nordica dei nostri pensieri…


6 - Missing


Senza tregua, un altro missile carico di elettrica propensione germanica inonda i nostri respiri dove, dopo una maestosa introduzione, possiamo scatenarci in danze spastiche e generose. Musicalmente il brano ci offre il confine tra il delirio e l’applicazione robotica dei nostri corpi pulsanti…


7 - Cold Sadness


La canzone Regina, la Dea che pietrifica il respiro, getta lame di ghiaccio sulle nostre gambe, dimostrando come il connubio di diversi generi musicali possa generare beneficio e crudele curiosità. Soffice, con movimenti ondulati di tastiere semplici ma devastanti, rende possibile il contatto con il passato e Fra alza il suo registro di voce, regalandoci brividi come magneti stellari.


8 - Thelema


Il mago Philippe usa l’armonia come una frusta gentile, con i suoi Iamnoone che si affacciano per accarezzarci il cuore. Poi Fra si dimostra una interprete senza sudore nei pensieri, precisando il suo talento per conferire all’impermeabile sonoro una sensualità struggente: si può danzare piangendo…


9 - No Lights


Un singolo che ha annunciato il ritorno, una metafora decadente del nostro destino, produttore di richiami tenebrosi verso un passato che ha perso la sua dignità. Loro riescono a ridargliela, facendoci intendere che non ci si può rifugiare nel futuro senza aver saputo piangere le occasioni perdute. Spengono la luce di un millennio aggravato da peccaminose tendenze, con una musica che è un temporale estivo addolcito…


10 - Black Lies


Una canzone che apparentemente sembra diversa rispetto alle altre, rivela invece il talento di voler presenziare alla possibilità di indagine nei confronti di una pratica diffusa, quella di mentire nascostamente. Ma tutto qui è sincero, capace di farci accomodare nella verità con un ensemble sonoro efficace, dove l’elettronica supporta una Synthwave sontuosa…


11 - Lonelissen 

La perla che chiude questo secondo lavoro è un collare atomico, pulsante di un Post-Punk collaudato per generare punti di contatto nei confronti di forme musicali che sono nel loro DNA. Ci conduce nella zona nevralgica del loro talento, dove tutto appare un’oasi misteriosa ma in grado di suscitare un entusiasmo gotico clamoroso. Si sorride con le lacrime che rimangono appiccicate a queste onde che, pregne di un minimalismo tribale, ci convincono ancora di più della clamorosa esibizione di classe che è questo album: si dia alla gioia una rosa nera e la si conduca nel deserto ipotermico dei nostri desideri…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

27 Luglio 2023


https://on-ohnenomen.bandcamp.com/album/the-s-witch




martedì 11 luglio 2023

La mia Recensione: Rain Tree Crow - Blackwater

Rain Tree Crow - Blackwater


Un fiume dipinto di seta scorre nell’involucro voluminoso di un genio dalla bellezza incontestabile che, una volta deciso che i Japan dovevano sostare per germogliare una nuova forza propulsiva, portò la band inglese a vivere dentro i raggi multipli di un nome nuovo, per benedire le foglie di un albero voglioso di lasciare scendere brani come cibo per la seduzione di chi avrebbe voluto seguire questa scelta. Il materiale visivo cavalca il cielo, rendendolo ancora più morbido del passato recente, per strutturare una strada in cui il pop sappia essere un vestito diversamente elegante, con annesse le radici che possono solo generare un lampione pieno di luce sottile dentro i vasi dei nostri cuori. Una canzone svetta, reclama, senza alzare la voce, avvitandosi nella calda atmosfera di note disegnate per stringerci in un abbraccio potente e lento. Un noise jazz che entra nella ethno-ambient, per silurare il rumore di una decade con i suoni saturi di idiozia ed esagerate propensioni verso l’annichilimento del puro suono. David Sylvian viveva male il rapporto con Karn: si doveva trovare un punto, nella foresta di quei due talenti, lasciando al cielo il consiglio nel suggerire melodie che guardassero al cuore dell’Europa. Via le dinamiche orientali, si torna a stabilire un approccio che mantiene viva la fiaccola della melodia che, partendo dalla Francia, sale su sino all’estremo Nord. Da questo gioiello musicale una pletora di band seguirono questo miracolo tenero per imbastire un percorso dal quale la World music potesse attingere a piene mani. Ciò che colpisce immediatamente è che, sebbene esista il meraviglioso cantato di David, il brano abbia nella musica il nucleo che sviluppa palme piene di olio tiepido, in grado di produrre luce con arrangiamenti mirati, continui, sempre in viaggio, per farci visitare la doverosa premura: cogliere la schiuma di questa produzione è alquanto faticoso ed è consigliabile munirsi di cuffie e un generoso silenzio mentale…


Sarebbe bene, e il Vecchio Scriba insiste, prestare attenzione al lavorio intenso nei confronti dei giochi degli strumenti, con la loro alternanza e la capacità di unirsi solo quando davvero è necessario farlo. La Dea vocale di Sylvian esercita un bisogno di quiete, come pacifica propensione a un deserto che lentamente si vede circondato da piume, foglie e viadotti di seducenti e amabili spinte verso il ventre. Scivola il brano nella dilatazione dei suoni, i vibrati, le scintille elettriche, i frammenti di Can e Kraftwerk che si intravedono, con una sostanziale capacità di comunicare l’impressione che il Prog qui abbia solo da imparare con l’esercito di creatività che sonda ogni possibilità per convergere in una sperimentazione che non sia mai esagerata. 

Piace in modo spudorato la frammentazione della forma canzone, nella quale il ritornello qui creerebbe solo un disagio, una perdita di tempo, un inutile eccesso di spettacolarità. Convince, quindi, la dinamica di un qualcosa di simile a una apparente monotonia, un’insistenza per trovare il petrolio che scaldi i cuori degli imbecilli. Nessun dubbio, tutto procede per essere una calamita con un polo tarato per far convergere la bellezza in questo soffio leggero che sa creare le scie di un fulmine in lento spostamento…


Concludendo: una battuta di caccia nella preda è una melodia essenziale, quasi scarna ma in grado di circondare un momento particolare, in cui chi provava disinteresse nei confronti della creazione di sacche vuote di emozioni vinceva e il premio era la gloria eterna…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

11 Luglio 2023


https://open.spotify.com/track/7niezp6Y3ArlH4yypQ6sul?si=e6362eb6b6c34008






My Review: Rain Tree Crow - Blackwater

Rain Tree Crow - Blackwater


A silk-painted river flows in the voluminous envelope of a genius of unquestionable beauty that, once it was decided that Japan had to pause to sprout a new propulsive force, led the English band to live within the multiple rays of a new name, to bless the leaves of a tree willing to let down tracks as food for the seduction of those who would follow this choice. The visual material rides the sky, making it even softer than the recent past, to structure a road in which pop knows how to be a differently elegant dress, with the roots attached that can only generate a streetlight full of subtle light inside the vessels of our hearts. A song soars, claiming, without raising its voice, screwing itself into the warm atmosphere of notes designed to hold us in a powerful and slow embrace. A noise jazz that enters the ethno-ambient, to torpedo the noise of a decade with sounds saturated with idiocy and exaggerated propensities towards the annihilation of pure sound. David Sylvian lived the relationship with Karn badly: a point had to be found, in the forest of those two talents, leaving the advice to heaven to suggest melodies that looked to the heart of Europe. Away with the eastern dynamics, we return to an approach that keeps alive the torch of melody that, starting in France, rises up to the far north. From this musical jewel, a plethora of bands followed this tender miracle to forge a path from which world music could draw heavily. What is immediately striking is that, although there is David's marvellous singing, the track has in its music the nucleus that develops palms full of warm oil, capable of producing light with targeted, continuous arrangements, always on the move, to make us visit the dutiful thoughtfulness: catching the foam of this production is rather tiring and it is advisable to equip oneself with headphones and a generous mental silence…


It would be good, and the Old Scribe insists, to pay attention to the intense workings of the instruments' interplay, with their alternation and ability to come together only when it is really necessary to do so. Sylvian's vocal Goddess exerts a need for stillness, as a peaceful propensity for a wilderness that slowly sees itself surrounded by feathers, leaves and viaducts of seductive, amiable thrusts towards the belly. It glides through the dilation of sounds, the vibratos, the electric sparks, the fragments of Can and Kraftwerk that are glimpsed, with a substantial ability to communicate the impression that Prog here has only to learn with the army of creativity that probes every possibility to converge in an experimentation that is never exaggerated. 

They unashamedly like the fragmentation of the song form, in which the refrain here would only create discomfort, a waste of time, an unnecessary excess of spectacularity. Convincing, then, is the dynamic of something akin to an apparent monotony, an insistence on finding the oil to warm the hearts of imbeciles. No doubt, everything proceeds to be a magnet with a pole calibrated to converge beauty in this light breath that can create the trails of slowly moving lightning...


In conclusion: a hunt for prey is an essential melody, almost meagre but capable of surrounding a special moment, in which the one who feels disinterest in creating empty pockets of emotion wins and the prize is eternal glory...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

11th July 2023


https://open.spotify.com/track/7niezp6Y3ArlH4yypQ6sul?si=e6362eb6b6c34008




sabato 8 luglio 2023

La mia Recensione: Talèa - Aura

Talèa - Aura


La luce entra dove il buio necessita di conoscere il proprio confine, nell’ampio gioco di un riverbero emotivo che non conosce sosta. La giovinezza negozia spesso con la maturità per generare chiarezza e utilizzare la forza, affinché tutto possa convivere in una energica esistenza. Talèa è qui a dimostrarlo, con le sue radici lombarde che, scendendo sino nelle calde Marche, combina un grosso guaio mettendoci in difficoltà: ovunque vada si porta dietro una scia di idee ossigenate da un talento inconfutabile, obbligando il nostro respiro a conoscere l’apnea oceanica, quella che dilata i polmoni sino al più profondo degli abissi. Matura, titubante, poi spavalda ma sempre rispettosa, compie un esordio a lunga distanza “senza sprecare il fiato”: le cose che ha da dire fluttuano nell’acqua trascinando il nostro ascolto in un tempio che si fa obbligatoriamente attento e profondo, in quanto ciò che vediamo argomentato non conosce il presupposto dell’effimero, del disimpegno. Anzi, è l’opposto, facendo di queste composizioni un acido che accarezza la testa, quella che sa produrre ferite e dolori, incomprensioni, necessità improvvise e disagi infiniti. Sorprendono i moti lenti, circondati da petali Trip-Pop inframezzati da liquidi elettrici che sintetizzano ma al contempo esplorano le possibilità di un piccolo team di autori e collaboratori, tutti intenti a cristallizzare le intenzioni di questa dotata artista che, annegando prima, emergendo poi nel corso di giorni in transito tra Barcellona e il Nord-Est italico, sfodera brani come frecce alchemiche, compatte, per permettere al tutto di divenire un lavoro proiettato tra le scie del cielo dei nostri incanti. Passeggia nella sua maturità, affrontando un percorso che per molti (forse anche per lei stessa) è un vero e proprio concept album. Così non è per il Vecchio Scriba, che chiede scusa in anticipo, ma esistono altre verità che non si possono mettere a tacere…


Partendo, sicuramente, da una condizione particolare come quella che lei sta vivendo (purtroppo) da ben cinque anni, in questo esercizio artistico quella situazione diventa un ventaglio sonoro e lirico che ossigena il perimetro del suo cranio che, grazie a queste canzoni, trova luce, il giusto calore, tutto messo a fuoco senza fastidi né dolori perché questa donna ha sviluppato anticorpi che durano almeno per il tempo dell’ascolto di questo brivido solare: mi pare quasi un geniale miracolo, il motivo per abbracciarla con orgoglio. Unitasi all’istrione dal fare anarchico (musicalmente parlando) Flavio Ferri, i due hanno visto i lori talenti diventare mani laboriose, unte di saggezza e coraggio, entrando nel disagio di una curva impervia, piena di tossine che  hanno disintegrato per far uscire una dolcezza che sfiora la maturità, al fine di lasciarla avanzare, felice, nei solchi di queste composizioni che conoscono la perfezione…


Sintomi, nervi balbettanti, sconnessioni, assiomi, scintille, implosioni, cadenze oblique: tutto ciò è  presente in quello stato davvero difficoltoso che è l’Aura, che ancora oggi, misteriosamente, non riesce a trovare il giusto e doveroso supporto che sia in grado di farla cadere nel vuoto e fuggire via. Cecilia, onestamente, prende il coraggio di una matita, disegna parole, si congiunge alle stelle, scrive brevi storie, immergendosi all’inizio nel mare di questa situazione ostile, nuotandoci dentro con estrema disinvoltura per, almeno nelle canzoni, separarsi da essa e vincere minuti di serena concentrazione al fine di generare un progetto artistico che circonda ogni cosa come una bolla piena di zucchero. Con Flavio la musica diviene un laboratorio sperimentale, il pop bacia l’approfondimento, come sentieri vitali in esplorazione, all’interno della natura umana e quella fisica, in un duetto di sguardi che producono emozioni e riflessioni come una brillante pioggia primaverile. Fresco, leggero, ostinato con beats post-moderni che non disdegnano di dare all’armonia e alla melodia il doveroso spazio, l’album, sapientemente, esplora per poi sviluppare un umore che possiede sapientemente la stessa caratteristica del lino: conserva l’umidità per prosciugare il troppo caldo dato dal dolore, rivelando la magia di cui è pregno, lasciando la sensazione che un ascolto simile vada portato all’eccesso; buttare via la matura convinzione di ascoltare poco ciò che si adora qui diventa una bestemmia, poiché il nutrimento è il primo antidoto contro musiche imbalsamate e prive di un'aureola che illumini e ossigeni i pensieri. I testi, scavando, scivolano via, nel luogo del mistero che lei trattiene in un’ugola benedetta dalla grazia e dallo studio. Improvvisa nella giusta misura, l’istinto è un pretesto con un piccolo spago attorno, perché l’artista, convintamente, dà alla misura una forma arcaica, come se provenisse da un respiro dell’antica Grecia, che vivendo nella modernità stabilisce un patto di coerenza umana e artistica. Malgrado alcuni argomenti trattati, si ha sempre la piacevole impressione che nessuna porta venga sbattuta, che nessun nervosismo (che peraltro sarebbe legittimo vista la sua situazione) si impossessi del suo tratteggio artistico. Dialoga continuamente nel suo tempo abbracciando il nostro, come un inchino che invita alla vicinanza, per sostenere il bisogno di un contatto. Talèa è un beneficio, un orgoglio, una gioia che dobbiamo tenere all’interno di un abbraccio perennemente aperto: per non subire l’ascolto, per renderle sempre evidente il nostro grazie, per nutrire il suo futuro perché dopo questo lavoro  il cielo le sorride, invitandola a non fermare la sua grazia. 

È tempo di lasciare da una parte i nostri egoismi e di tuffarci nel suo misterioso labirinto pieno di luccichii e grandi virtù, di visitarli tutti e gioire con il suo battito…


Song by Song


1 - Tempie


Un tempio dentro il tempo, una scopa che alza detriti e configura l’andazzo di un non sapere che sembra sgretolarsi da una mente ferita. L’album comincia con un temporale lento, a due fasi, un polo positivo e uno negativo che gravitano, in una serena alleanza, nei meandri musicali di suggestioni elettroniche che battezzano il cantato di Talèa all’interno di un fascio lunare, dove la parte semiacustica e quella elettronica stazionano in un pianeta che apre i cancelli.


2 - Vetri


L’inizio ci porta dentro i primi anni Novanta, nei momenti lucenti della colonna sonora di Trainspotting con gli Underworld e la loro Born Slippy, per poi direzionarsi, come fasci italici di grande energia, verso un cantato perfettamente equilibrato, con un mantra che scava nella nostra mente per inchiodarla dolcemente. Si trova l’acqua di un talento purissimo mentre, cercando se stesso, illumina i pochi essenziali accordi per trasformare la semplicità in una complessa forma artistica. I ritmi conoscono lo stop and go, come momenti di riflessione, un riassestare gli equilibri e generare moti benefici di energia pulsante.


3 - Stencil


Raffaella Destefano (Madreblu) e Cristina Donà guardano questa talentuosa artista manifestare la sua dimestichezza con il cantato mediante l’ottimo uso degli accenti (quasi fosse anglosassone nel dna), per produrre un generoso volo all’interno di uno più breve, composto di 163 secondi, ma tutti pieni di un nerbo che spinge il sogno a rassegnarsi innanzi alla saggezza di un testo che ci porta, con un fluido sonoro completamente avvolto a esso, nel mare di uno spirito che dona magici sentieri illuminanti. Quando le parole squarciano la mente senza essere urlate…


4 - Rovesciamenti


Il primo EP di Talèa manifestava, tra le tante cose, l’amore nei confronti della lingua inglese. In questo brano abbiamo piccoli ma decisivi accenni, che lasciano lo spazio necessario per raccontare effetti e luci che offuscano la mente. Come se i Morcheeba avessero adottato Cecilia e Flavio, tutto conosce un percorso all’interno di un imbuto nevrotico ma calmato, magnificamente, da parole che sanno chiedere, spingersi dentro le volontà per consegnarci una canzone piena di pathos. 


5 - Ombre


Respiri, riverberi, il solletico delle ombre acclimatate con la dolcezza, prendono spazio all’interno di satelliti di cemento, per un seduttivo pensiero che, grazie al registro alto della voce di Cecilia, porta le parole nello scheletro magnifico di una musica precisa nel suo minimalismo elettronico, concedendo alla melodia di ricordarci i fasti degli anni Sessanta, imbevuti di beats e fluide propensioni sonore. Un gioiello che merita la luce…


6 - Sconnessi


Ci sono dita che arrivano dopo la manifesta qualità di una modalità che frana nel petto per bagnarci i battiti. Sono quelle di Antonio Aiazzi, il Principe che si fa ancora più capace di anestetizzare il caos moderno con una melodia che profuma di antico. Si scende nelle corsie adultere del coraggio della verità che qui affronta diversi “nemici”, che rimangono ignari, probabilmente, dell’alto contenuto di un testo che spruzza fasci di luce davanti allo smarrimento e al senso della perdita. Il pianoforte viene raggiunto da un comparto di suoni, beats, ritmi sincopati, in un dolce frastuono che alla fine ammanta e consola. La voce di questa artista in questo frangente si fa adulta, con le lacrime che la lasciano libera di produrre un esercizio veritiero di abilità struggenti, lasciandoci ansimanti. Se esiste un concept album, è proprio in questi minuti che genera in noi la necessità di abbracciare la parte umana di questa donna che bacia le lacrime nostre, per fare di noi corpi in assoluta necessità di ascoltare questo brano per ore e ore…


7 - Vuota


La mano di Flavio Ferri evidenzia la sua maturità e professionalità, mentre Talèa danza con il cantato nei canali di una pioggia che porta una storia intrisa di passione e mistero. Il Pop trova la capacità di essere calmo e sinuoso, con Bristol che consegna ai musici un appoggio. La linea melodica è un volo lento nella nebbia di una domanda che si approccia alla risposta come un punto di sospensione… Letale, chirurgica, lieve, rotola dentro per dare modo alla nostra riflessione di trovare le giuste redini…


8 - Spigoli


Spesso il dolore è un urlo, un guaire, uno sbirciare nella complessità di un processo nevrotico. Talèa qui rivoluziona le cose, dà un senso geometrico al tutto, beneficiando lei stessa per prima di questa lava calda al punto giusto, che poi annette una chitarra semiacustica che disegna un giro su cui lei danza sottovoce, liberando l’armonia di parole con il faro di un porto che la ringrazia per avere “la stoffa di un vestito” che ci fa indossare l’intimità dei suoi pensieri…


9 - Caleido


Il Vecchio Scriba scivola dentro una implosione con le luci soffuse, dentro il cratere di un brano che pare in grado di abbracciare la storia musicale italiana nei confronti della quale molti sembrano mostrare disinteresse. Ci si commuove nei tagli di parole che sembrano uscite da una forbice, facendo cadere quelle inutili, mentre la musica è un palcoscenico luminoso secco ed essenziale, generoso in quanto attrae la colonna di vocaboli che suggeriscono affetto e un profondo lavoro introspettivo. Archi sintetici che sembrano reali, una voce che pare una favola sonora dalla pelle morbida, ma il risultato è quello di un ascolto che finisce all’interno di uno smottamento più che mai vitale. Si può solo ringraziare l’arte se la realtà diventa una miccia che rischiara il vero che necessita di un sostegno…


10 - Amandoti 


Sarà stravolta, come qualcuno afferma, la canzone originale dei CCCP Fedeli Alla Linea, ma forse anche per questo motivo credo che l’approccio verso questo gioiello debba essere maturo e disponibile per intendere per davvero ciò che accade con questa cover. Alla luce di quanto si è potuto ascoltare sino a qui, questa versione è una benedizione, una preghiera che trova “ragion d’essere”, in quanto rivela la necessità di amore innanzi a un essere che si trova all’improvviso all’interno di un temporale senza soste. Una mescolanza acustica, mediterranea, quasi latina prima e araba poi, per disegnare la corsia di una nave musicale dentro il mediterraneo, con la presenza di un amore che è molto di più di una consolazione. La voce si fa in grado di visitare il sud dell’Italia, con giochi di prestigio, come se fosse illuminata da una giornata di sole mentre nella mente piove il bisogno di affetto. Talèa si mette uno scialle, un ventaglio, e conduce le parole di Giovanni Lindo Ferretti verso il porto di una città che applaude il suo tentativo di ringraziare questo famoso brano che qui consente a ognuno di noi di andare oltre il conosciuto. Forse il senso sarà cambiato come afferma qualcuno, ma non è detto che sia peggiorato. Anzi. C’è un arcobaleno triste che cerca una spiaggia dentro la voce di Cecilia e basta questa emozione per godere di questo omaggio…


11 Bianco


La conclusione di questo gioiello è affidata a un respiro parlante, una visita dell’anima sapientemente paziente per poi divenire trascinante con vapori musicali che si spingono sino nei pressi di un thriller sonoro, per poi tacitare il fuoco e concedere una strofa che supporta la timidezza e l’attesa. Ne consegue un fruttuoso esercizio di frastuoni e tensioni che producono il sorriso del mare, colorando di bianca schiuma l’alito di una canzone che profuma il sole.


Un’esibizione di stile conclude l’album, chiudendo il cammino ma non la finestra del cielo dal quale abbiamo potuto vedere il disco italiano dell’anno del 2023 per il Vecchio Scriba. Perché da queste undici composizioni è nato il nostro rispetto umano e artistico per chi ha dipinto la tavolozza sperimentale di una probabile difficoltà di percorso in un geniale disegno dove l’amore, il lavoro, l’empatia, la sincerità hanno attraversato il nostro bisogno di autentica dipendenza dalla classe di questa artista. Per ringraziare la quale abbiamo in nostro possesso soltanto l’inchino…


Album Italiano dell'anno 2023 per Musicshockworld


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

8 Luglio 2023



https://open.spotify.com/album/0J0dPruzvugDSWyRpeXN30?si=rFyaMvBMRhGwX7uc2GYPsQ







La mia Recensione: Midas Fall - Cold Waves Divide Us

  Midas Fall - Cold Waves Divide Us La corsia dell’eleganza ha nei sogni uno spazio ragguardevole, un pullulare di frammenti integri che app...