sabato 18 novembre 2023

La mia Recensione: Born Days - My Little Dark


Born Days - My Little Dark

L’oscurità è la compagna preferita del viaggio del tempo, dall’inizio di ogni forma vivente, perché la sua essenza non necessita dello sforzo della luce e riesce ad assorbire più facilmente ogni forza contraria. Quando è l’arte della musica ad approcciarsi a questo contesto, ecco che è possibile nutrirsi di veementi stupori appiccicati, nel frastuono delle oscillazioni sensoriali che non negano la loro soggezione nei confronti dell’argomento. Incontriamo un’artista americana, Melissa Harris, in grado di sondare, di mischiare le elucubrazioni, di trasferire il conosciuto sulla pelle sguaiata dell’inconscio, per attivare circuiti mentali e sonori nel connubio che esporta la bellezza dal piano ipotizzato a quello reale. My Little Dark è un gioiello all’interno di lenti viaggi nello spazio, partendo dai tratti onirici per finire a quelli somatici, avendo in dote l’indiscutibile capacità di fisicizzare il tutto. Focalizza il progetto e si arma di dilatazioni, sperimentazioni, costruendo cornici e dipinti perfettamente oliati nella sua prodigiosa orchestrazione elettronica, vero traduttore delle sue necessità. Si è sgomenti, impauriti, inteneriti, mai perplessi, sempre desiderosi di questa dolcezza che bacia il buio, attraversando lo scorrere del bisogno che conduce a una metamorfosi senza fine. Non sono canzoni, ma strutture di acciaio prive di stridori all’interno delle nostre tempie, nelle quali abita una forma di gentilezza non prevista ma di cui diventa obbligatorio cibarsi. Melissa disegna le traiettorie del suono per erudirli, attinge da oceani di imprevisti per educarli, plasmando e seducendo per quella continuità del lato espressivo che conduce l’ascoltatore a stabilire una verità ineccepibile: se esiste il concept album, questo ne è la dimostrazione perfetta, precisa, avvinghiando il corpo e la mente in una morsa che non lascia graffi. Netta è la sensazione di entrare in un sogno, all’interno di una navicella spaziale, con il silenzio che spinge a rendere muti i nostri pensieri, affidando l’unico nostro spazio libero al compito di sentire questa voce sintetizzare miliardi di assioni, nel gioco di molecole in cerca di una guida. Allora siano i sintetizzatori, i beats, le trame come lame piene di suspense a determinare uno sconvolgimento che sia eterno. La morte pare un appuntamento galante e interessante, non meno dell’esistere: questi brani tolgono travi, schegge, affanni, e regalano pace senza squilli, trasportando l’esistenza sopra il cielo.
Innegabile l’abilità di far nuotare la musica in una coperta elettrica piena di spugna, con i tintinnii che coccolano e ammantano. Naviga questa incredibile creatura nella storia dell’elettronica, da quella puramente giocosa a quella gioiosa, da quella pragmatica a quella sperimentale, per essere poi determinata nell’esporre il risultato al fine di rendere piacevole la paralisi consequenziale.
Si è sicuramente nutrita di studi, di approcci, i maestri del possibile lei sicuramente li conosce, ma, da alunna impenitente, li ha superati, con questo album che dimostra come la matassa sconosciuta, se scoperta, riesce ad abbattere tutte le gioie precedentemente vissute. Sconvolge, per la sua sapiente dose di sale nelle onde magnetiche dei suoi computer, dei suoi synth, per lo zucchero depositato nella sua modalità del cantato, mentre, quando meno te l’aspetti, lei ti ha già reso dipendente dal suo intento…
Quintali di misticismo, chilometri di lenti a contatto per mettere a fuoco l’invisibile, giochi continui tra l’ingenuità e la saggezza, la conducono ad attraversare diversi generi musicali senza redini né controllo, finendo per farci diventare disarticolati ma perfettamenti consoni al suo obiettivo, che pare quello di smembrare le sicurezze e la noia che possono provenire da quello in cui invece noi troviamo risorsa e affinità. Mette la psichedelia, il Dream-Pop, la Coldwave, la Darkwave nel suo imbuto raffinato per farli deperire, con intelligenza e la giusta dose di cattiveria.
Prende i passaggi immaginifici e li francobolla a quelli reali, nella danza distorta di una confusione spettacolare, sempre con il ritmo che non vuole raggiungere la massima velocità: anche per questo motivo il suo è il coraggio di un’anima forte e consapevole, perché non cerca il successo bensì un’espressione educativa, che sappia, forse, anche essere spiazzante.
Il buio copre ogni speranza, ogni sorriso, lasciando che sia il sommerso della mente a guidare le risorse che la sua musica espone con generosità, spaziando e seminando canzoni come rapine in banca senza proiettili o maschere sul volto: lei precipita nel furto consegnando alla paura una risata, lenta, anestetizzandola. Scrive un miracolo per complessivi cinquantuno minuti: la misura, iniziale, della sua infinita classe…

Song by Song

1 - Enemy

Ed è carillon umorale, nella lentezza che accoglie atmosfere sia dolci che tetre, in un loop su cui la voce vola con il suo nemico, per una tristezza che riceve un clamoroso sostegno: applausi!

2 - My Little Dark

Il volo cresce, in altezza e velocità, sempre però senza affanni né sudori: tutto viene calibrato perfettamente per una torcia elettrica che rende il cielo il figlio di questa carezza che abbraccia, per avanzare una proposta alla morte che qui vive una sfida all’insegna dell'incanto.

3 - Bird Song

Il desiderio di vita Melissa lo mette nelle parole del testo come nella musica: partendo dal cinguettio di una natura ancora vogliosa di presenza, si arriva a una tastiera che tratteggia il cielo, con le corde vocali che si riempiono di tensione elettrica, mentre la melodia è talmente umana da commuovere…

4 - Over Again

“Burn myself over again”: un temporale di intenti trova sede nella spettrale Over Again, una litania laica che invita alla danza ma avendo tutti i sensi all’erta. Una sapiente miscela Darkwave nell’aspetto ma non nel genere musicale specifico, si inoltra nel bacino di una essenziale dreamwave con pennellate di electrowave a definire un brano immenso, sospeso e liturgico…

5 - Dreams

Una passeggiata nel parco rivela particelle di pensieri importanti: viene costruito un cavo elettrico dalla grande tensione, in uno spettacolare setaccio di note versatili e inclini a muoversi nei contorni di un trip-hop che corteggia la neopsichedelia.

6 - How To Disappear

Piovono nuvole nel cuore, con l’impressione che Melissa sappia utilizzare parte della saggezza della musica classica per poi smembrarla e lasciarci un tappeto sonoro quasi semplice, ma che in realtà rivela l’immensa capacità di donare equilibrio tra le varie fasi della canzone.

7 - Ganymede

Forse il momento più solenne dell’album, il sunto delle sue volontà e la manifesta capacità di essere un ago sottile che penetra i sensi. Dopo la parte iniziale onirica arriva l’evoluzione elettronica che offre una drammaticità perfettamente controllata.

8 - Deep Empty (DMT Feelings)

Forse la depressione invade la corsia di questo album: lo fa con parole e musiche giustamente grevi, che paiono figlie di antiche tristezze sfiorate e vissute dai Cure e dai Sound, seppur con differenti attitudini musicali. Ma qui manca, piacevolmente, il fiato…

9 - Destroyer

Il teatro dell’orrore si getta in un testo che scombina i vestiti dei pensieri. Le successioni di un loop energetico e i synth che recitano progressioni pesanti rendono il brano un effervescente inchino in cui la paura sogghigna felice. Clamorosa!

10 - Conscious Conscience

Certi pensieri hanno voci che rivelano verità che sembrano lontane: per concludere l’album l’artista di Chicago percorre minuti come se il lettino di uno psicologo accogliesse la sua più profonda intimità. Si è come avvolti in uno schiaffo lento, ossessivo, con i palmi delle mani che schiacciano lentamente il nostro collo. Mentre la voce sembra liberarsi di tutto e salire tra le braccia delle nuvole…

Un’opera clamorosa che il Vecchio Scriba definisce come il secondo miglior album di questo 2023…

Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
19th November 2023

https://borndays.bandcamp.com/album/my-little-dark


My Review: Born Days - My Little Dark


 

                                                                          Born Days - My Little Dark


Darkness is the favourite companion on the journey of time, from the beginning of every living form, because its essence does not require the effort of light and can more easily absorb any opposing force. When it is the art of music that approaches this context, it is possible to feed on the vehement amazement of the sensory oscillations that do not deny their awe of the subject matter. Let us meet an American artist, Melissa Harris, capable of probing, of mixing lucubrations, of transferring the known onto the fuzzy skin of the unconscious, to activate mental and sound circuits in the union that exports beauty from the hypothesised to the real plane. My Little Dark is a jewel within slow space travels, starting with dreamlike traits and ending with somatic ones, having in its dowry the unquestionable ability to physicalise everything. She focuses the project and arms herself with dilations, experimentations, building frames and paintings perfectly oiled in his prodigious electronic orchestration, the true translator of her needs. One is dismayed, frightened, tenderised, never perplexed, always eager for this sweetness that kisses the darkness, crossing the flow of need that leads to endless metamorphosis. These are not songs, but steel structures free of screeching inside our temples, in which dwells a form of gentleness not foreseen but on which it becomes compulsory to feed. Melissa designs the trajectories of sound to erudite them, she draws from oceans of the unexpected to educate them, shaping and seducing by that continuity of the expressive side that leads the listener to establish an unimpeachable truth: if there is such a thing as a concept album, this is the perfect, precise demonstration of it, gripping body and mind in a grip that leaves no scratches. There is a clear sensation of entering a dream, inside a spaceship, with the silence pushing our thoughts to mute, entrusting our only free space to the task of hearing this voice synthesising billions of hypothetical elementary particle, in the interplay of molecules seeking guidance. Then it is the synthesisers, the beats, the plots like suspenseful blades that determine an upheaval that is eternal. Death seems to be a gallant and interesting date, no less than existence: these tracks remove beams, splinters, and frets, and give peace without ringing, transporting existence above the sky. There is no denying the ability to make music swim in an electric blanket full of sponge, with the tinkles cuddling and cloaking. She navigates this incredible creature through the history of electronics, from the purely playful to the joyful, from the pragmatic to the experimental, and then is determined to expose the result in order to make the consequential paralysis pleasant.

She has certainly nourished herself with studies, with approaches, the masters of the possible she surely knows, but, as an unrepentant pupil, she has surpassed them, with this album that demonstrates how the unknown skein, if discovered, can break down all previously experienced joys. It shocks, for its wise dose of salt in the magnetic waves of her computers, her synths, for the sugar deposited in her singing mode, while, when you least expect it, she has already made you addicted to her intent... Quintals of mysticism, kilometres of contact lenses to focus on the invisible, continuous games between naivety and wisdom, lead her to cross different musical genres without reins or control, ending up making us disjointed but perfectly in tune with her objective, which seems to be to dismember the certainties and boredom that can come from that in which we instead find resource and affinity. She puts psychedelia, Dream-Pop, Coldwave, Darkwave into her refined funnel to perish them, with intelligence and just the right amount of nastiness.
She takes the imaginative passages and stamps them to the real ones, in the distorted dance of a spectacular confusion, always with a rhythm that does not want to reach maximum speed: for this reason, too, her is the courage of a strong and aware soul, because she does not seek success but an educational expression, one that can, perhaps, also be disorienting. Darkness covers every hope, every smile, leaving it to the submerged of the mind to guide the resources that her music generously exposes, ranging and sowing songs like bank robberies without bullets or masks on the face: she plunges into the robbery, delivering a slow, anaesthetising laugh to fear. She writes a miracle for a total of fifty-one minutes: the initial measure of her infinite class...  


Song by Song

1 - Enemy

And it is moody carillon, in the slowness that welcomes atmospheres both sweet and gloomy, in a loop on which the voice flies with its enemy, for a sadness that receives resounding support: applause!

2 - My Little Dark

The flight grows, in height and speed, but always without pain or sweat: everything is calibrated perfectly for a torch that makes the sky the child of this caress that embraces, to make a proposal to death that here lives a challenge under the banner of enchantment.

3 - Bird Song

Melissa's desire for life is as much in the words of the lyrics as in the music: starting with the chirping of a nature that still wants to be present, we arrive at a keyboard that sketches the sky, with vocal chords that are filled with electric tension, while the melody is so human that it moves us... 4 - Over Again

"Burn myself over again": a thunderstorm of intentions finds a home in the spectral Over Again, a secular litany that invites one to dance but with all senses alert. A skilful darkwave blend in appearance but not in the specific musical genre, it drifts into the basin of an essential dreamwave with electrowave brushstrokes to define an immense, suspended and liturgical track

5 - Dreams

A walk in the park reveals particles of important thoughts: an electric cable of great tension is constructed, in a spectacular sieve of versatile notes prone to move in the contours of a trip-hop that courts neo-psychedelia.

6 - How To Disappear

It rains clouds in your heart, with the impression that Melissa knows how to use some of the wisdom of classical music and then dismember it to leave us with a sound carpet that is almost simple, but in reality reveals an immense ability to give balance between the various phases of the song. 7 - Ganymede

Perhaps the album's most solemn moment, the summary of its will and manifest ability to be a subtle needle that penetrates the senses. After the initial dreamy part comes the electronic evolution that offers a perfectly controlled drama.

8 - Deep Empty (DMT Feelings)

Perhaps depression invades the lane of this album: it does so with words and music that are justifiably grievous, that seem to be the daughters of ancient sadnesses brushed over and experienced by the Cure and the Sound, albeit with different musical attitudes. But here there is a pleasant lack of breath...


 9 - Destroyer

The theatre of horror throws itself into a lyric that messes up the clothes of thoughts. Energetic loop successions and synth reciting heavy progressions make the track an effervescent bow in which fear grins happily. Clamorous!

10 - Conscious Conscience

Certain thoughts have voices that reveal truths that seem far away: to conclude the album, the Chicago artist spends minutes as if a psychologist's couch were welcoming her deepest intimacy. One is as if enveloped in a slow, obsessive slap, with the palms of the hands slowly crushing our necks. While the voice seems to free itself of everything and ascend into the arms of the clouds...

A resounding work that the Old Scribe describes as the second best album of this 2023...

Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
19th November 2023

https://borndays.bandcamp.com/album/my-little-dark

mercoledì 15 novembre 2023

My Review: The Beatles - Now and Then





The Beatles - Now and Then

There are magics that require no explanation, no disturbance, no further gravity to sink in. They wander, they skim, they specify, remaining free to be untouchable. Continuing in time an untiring, precise, straightforward race to enter Olympus, where perfection reigns supreme. You can argue all you want about everything, not about this event, because the song released under the acronym The Beatles is such and should be proportioned to a global significance that surpasses time as the four are, without a doubt, the most influential band, and not only, of all time. They are the earthly rulers of a beauty already recognised by the vault of heaven. Rather than a comeback here we speak of an assemblage operation, in order to make eternal and infinite the need for the idea that this tank of precious fuel knows no end. Whether it was technology that favoured it matters little. It really does. The song is a poignant testimony to how simplicity has been the spark of their every production, to touch the most accessible, strongest emotions, in an unquestionable gathering. One cries, one cringes at the knowledge that the text, in its fluidity, guarantees access to understanding. The fact that it does not please us, does not touch the heart does not matter: it exists as a vehicle for encounters, for messages to be verbalised, for unbridled races within. And because death does not belong to the gods.

As is often the case with the four from Liverpool, the music is an ambassador of delicacy, of a poignant, perceptible inclination towards that which brings pain, with John Lennon's voice that seems to pierce the clouds and fall in a slow flight towards our ears that become an embrace. There are certainties that need the right mode to be expressed, and in this soft jewel everything comes out without friction, in an earthly wander that gathers beats and thoughts, steeped in grey worries and doubts, and the emblematic truth that distance has always been an unsolved problem. And nothing certifies this more than love. A text that addresses, specifically, the relationship with time in the field of love, where everything can tarnish strength and convictions. Two hundred and forty-eight seconds of an hourglass that stirs, shakes, opens wide its entirety within our fragility, distributing, with its soft gait, within our mental exercise, petals that seem to know immortality. The style of the world's most famous cockroaches is intact, it does not seem true that they have crossed the decades of absence reappearing as if nothing had changed. Instead... We were talking about magic, and it is all true. Harmony reigns supreme, the arrangements, minimalist, and the unexaggerated production allow the song to have a notable place in their journey. In what period would you place this song? Sixties? Seventies? Now? No: there is no answer because of this ability, always incredible, that makes their artistic work able to escape time, preceding it, to settle, like a flower on a rock, in the place of perfection. And then: being able to make the impossible real, and do it in the perfect way, could only happen to The Beatles. The verse, the refrain, embracing and convincing, testify to how in just a few minutes one can be part of an enchantment, irresistible. Compact and poignant, it transfers what was nothing more than a Lennon demo to Planet Beatles: whether it is right, wrong, reasonable, it is of little use because that musical line-up is beyond reason, due to the fact that certain appointments are unfailing, dutiful, and nothing should find room to question that. 

A perfect Pop Song that makes its placement in a valley full of people listening imaginable, to make the embrace with heaven possible. Slow, quick to touch an inevitable addiction, the song sums up and expands the capabilities of those four phenomenons, proving that, however much technology has facilitated this creative process, it all comes from a humanity, from an infinite, unquestionable class. That it is then a text that deals with distance that brings people closer together again demonstrates their absolute power. There is nothing nostalgic about this song, given its depth. Rather, and this is inevitable, time will be wasted accusing the two living Beatles of wanting to take advantage of this new production. But they always did, all four of them together, flooding our hearts with perfectly connected quantity and quality. Nothing has changed. Because a Beatles composition can make a day something special: NOW AND THEN...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

16th November 2023


https://www.youtube.com/watch?v=AW55J2zE3N4

La mia Recensione: The Beatles - Now and Then





The Beatles - Now and Then

Esistono magie che non richiedono spiegazioni, disturbi, nessuna gravità ulteriore ad affondare il senso. Vagano, sfiorano, specificano, rimanendo libere di essere intoccabili. Proseguendo nel tempo una corsa instancabile, precisa, diritta, diretta a farle entrare nell’Olimpo, dove la perfezione regna sovrana. Si può discutere quanto volete su tutto, non su questo evento, perché la canzone pubblicata sotto la sigla The Beatles è tale e va proporzionata a un significato globale che sorpassa il tempo in quanto i quattro sono, senza dubbio, la band più influente, e non solo, di sempre. Sono i regnanti terreni di una bellezza riconosciuta già dalla volta celeste. Più che di un ritorno qui si parla di una operazione di assemblaggi, per poter rendere eterna e infinita la necessità di avere continuamente l’esigenza dell’idea che quel serbatoio dal combustibile prezioso non conosca fine. Che sia stata la tecnologia a favorirne l’ascolto poco conta. Davvero. Il brano è una struggente testimonianza di quanto la semplicità sia stata la scintilla di ogni loro produzione, per arrivare a toccare le emozioni più accessibili, forti, in una adunata indiscutibile. Si piange, ci si stringe alla consapevolezza che il testo, nella sua fluidità, garantisce l’accesso alla comprensione. Che poi non piaccia, non sfiori il cuore non ha importanza: esiste in quanto veicolo di incontri, di messaggi da verbalizzare, di sfrenate corse al suo interno. E perché la morte non appartiene agli Dei.


Come spesso accade con i quattro di Liverpool, la musica è ambasciatrice di delicatezza, di una struggente, percepibile inclinazione nei confronti di ciò che reca dolore, con la voce di John Lennon che sembra bucare le nuvole e cadere in un volo lento verso le nostre orecchie che diventano un abbraccio. Ci sono certezze che abbisognano della giusta modalità per essere espresse e in questo gioiello morbido tutto fuoriesce senza attriti, in un vagabondaggio terreno che raccoglie battiti e pensieri, intrisi di preoccupazioni e dubbi grigi, e dell'emblematica verità che la distanza sia da sempre un problema irrisolto. E niente più dell’amore lo certifica. Un testo che affronta, nello specifico, la relazione con il tempo nel campo amoroso, dove tutto può appannare le forze e le convinzioni. Duecentoquarantotto secondi di una clessidra che smuove, agita, spalanca la sua interezza dentro la nostra fragilità, distribuendo, con il suo incedere morbido, all’interno del nostro esercizio mentale, petali che sembrano conoscere l’immortalità: per farlo, basta considerare che l’ascolto potrebbe essere prolungato, senza tentennamenti. Lo stile degli scarafaggi più famosi al mondo è intatto, non pare vero che abbiano attraversato i decenni di assenza riapparendo come se nulla fosse cambiato. Invece… Dicevamo della magia, ed è tutto vero. L’armonia regna sovrana, gli arrangiamenti, minimalisti, e la produzione non esagerata consentono al brano di avere un posto notevole nel loro percorso. In quale periodo la si potrebbe collocare questa canzone? Anni Sessanta? Settanta? Ora? No: non esiste una risposta per via di questa abilità, sempre incredibile, che rende il loro operato artistico in grado di sfuggire al tempo, precedendolo, per sistemarsi, come un fiore su una roccia, nel luogo della perfezione. E poi: riuscire a rendere reale l’impossibile, e farlo nel modo perfetto, poteva accadere solo ai Beatles. La strofa, il ritornello, abbracciati e convincenti, testimoniano come in pochi minuti si possa essere partecipi di un incanto, irresistibile, di cui abbiamo il compito di beneficiare. Compatta e struggente, trasferisce ciò che non era altro che un demo di Lennon sul pianeta Beatles: che sia giusto, sbagliato, ragionevole, poco serve perché quella formazione musicale va oltre la ragionevolezza, per via del fatto che certi appuntamenti sono immancabili, doverosi, e nulla dovrebbe trovare spazio per mettere ciò in discussione. 

Una perfetta Pop Song che rende immaginabile la sua collocazione all’interno di una valle colma di gente all’ascolto, per rendere possibile l’abbraccio con il cielo. Lenta, veloce a toccare una inevitabile dipendenza, la canzone riassume ed espande le capacità di quei quattro fenomeni, dimostrando che, per quanto la tecnologia abbia agevolato questo processo creativo, tutto proviene da una umanità, da una classe infinita, indiscutibile. Che poi sia un testo che affronta la distanza ad avvicinare e riavvicinare le persone dimostra ancora una volta il loro potere assoluto. Non c’è nulla di nostalgico in questo brano, dato lo spessore. Piuttosto, ed è inevitabile, si sprecherà tempo ad accusare i due Beatles in vita di voler approfittare di questa nuova produzione. Ma l’hanno sempre fatto, tutti e quattro insieme, inondando il nostro cuore con quantità e qualità perfettamente connesse. Non è cambiato nulla. Perché una composizione dei Beatles può rendere una giornata qualcosa di speciale: NOW AND THEN…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

16 Novembre 2023

https://www.youtube.com/watch?v=AW55J2zE3N4

martedì 14 novembre 2023

My Review: Sun's Spectrum - The Silence After The Fall


Sun's Spectrum - The Silence After All


Imagine the sky, full of pains, tensions, bitterness, spasms, discontent, enter inside a disco, visit the mad dance inclination of disheveled souls, perfectly gathered by ten songs, and witness a delightful delirium, in which everything is shown compact, oxygenated, inclined to suspend time. The creators of this musical spasm are two nocturnal creatures from Udine, Italy, supported magnificently by the indefatigable Cold Transmission Music, who elevate the cultural aspect of dance, not just the physical. These are well-structured thunderstorms, lapilli of light that educate thought even before the bodily boundary, teaching the senses dilation. One witnesses a spectacle of threads, governed by the electric gait, within musical genres that acclaim listening as they are aware that they can generate amazement and inexhaustible energy. 

An avalanche of multiple crossovers near effervescent slopes affixed to keyboards and computers unleash the desire to float on the smooth track of a night meant to embrace this lineup, a duo devoted to the study of the history of what is mistakenly called synthetic music: they disrupt the plane of conviction and, as a new liturgy, strike the blow to demonstrate how much humanity resides in these ten tracks. Brave, extreme, dark on the surface but clear in the head, they write an album that must find residence in the mental apartment of human beings eager for knowledge, ready to measure the limit of dance and thought, mixed with skill and extreme precision. Electroclash hyacinths are vehemently structured into ebm flows, which in turn take the hand of the most cultured virtue to deposit pseudo-violent dives into intelligent synth pop. A tide of interpenetrating looks immobilize the fears well represented in the grooves of this work to reach ecstasy. The industrial breath does not escape: it is seduced and inserted into the powerful and high dreamlike beats, neighbours of trained nightmares. It is easy to sense how the fun for Livio Caenazzo and Daniele Iannacone is to be able to experiment with daring formulas, while also employing the comfort of highly simple plots and thus approached by the difficulty of inserting fruitful forays that verge on the metaphysical. Alienating, neurotic, wheezing, this album is a specter in the mirror, under that sky mentioned earlier. It travels starting from a German base, with Belgian and Yugoslavian fantasy, to finally glide into northern Italy: a small globe capable, however, of being generous and astounding, to lead the vault of heaven to dream of permanence in the dance hall. The singing follows the directions of the various musical genres on which it navigates with elasticity, strength and conviction. The guitars have a darkwave outfit, they are almost perfectly hidden, but when they are most noticeable they seem to rave spectacularly, having on the other side a programming and synth base that makes the amalgam flow. 


In this full-bodied unleashed mantle the slow Epic gives a different and moving emotion, spectacular because its slowness is a stage on which to catch one's breath with the kiss of sympathetic tears. The celestially enchanting aspect concerns the fact that the band is perfectly integrated into the gloomy but full of life world of their new record label, giving Cold Transmission Music a chance to further shake up the whole dance movement, with sweat, frothing at the mouth and tension drawing a mephistophelean expression in the listener. The three singles that preceded the release (God Is a Machine, Paint is Just a Noise, and All I Want) have lavishly created curiosity and desire, which, with great skill, have been confirmed by the other seven, for a result that makes this album a favourite for Old Scribe to dance to this 2023!


Album out on 17th November 2023


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

15th November 2023 2023


the-silence-after-the-fall

La mia Recensione: Sun's Spectrum - The Silence After The Fall


Sun’s Spectrum - The Silence After All

Immaginate il cielo, pieno di dolori, tensioni, acredini, spasmi, malumori, entrare all’interno di una discoteca, visitare la folle inclinazione alla danza di anime spettinate, perfettamente raccolte da dieci canzoni, e assistere a un delizioso delirio, nel quale tutto si mostra compatto, ossigenato, propenso a sospendere il tempo. Gli artefici di questo spasmo musicale sono due creature notturne di Udine, Italia, supportate magnificamente dalla instancabile Cold Transmission Music, che elevano l’aspetto culturale della danza, non solo quello fisico. Sono temporali ben strutturati, lapilli di luce che educano il pensiero ancora prima del confine corporale, insegnando ai sensi la dilatazione. Si assiste a uno spettacolo di fili, governati dall’incedere elettrico, all’interno di generi musicali che acclamano l’ascolto in quanto consapevoli di poter generare stupore e inesauribile energia. Una valanga di crossover plurimi nei pressi di effervescenti pendii appiccicati a tastiere e computer scatenano il desiderio di fluttuare sulla pista liscia di una notte che intende abbracciare questa formazione, un duo devoto allo studio della storia di quella che erroneamente viene definita musica sintetica: loro sconvolgono il piano della convinzione e, come nuova liturgia, assestano il colpo per dimostrare quanta umanità risieda in queste dieci tracce. Coraggiosi, estremi, oscuri in superficie ma limpidi nella testa, scrivono un album che deve trovare residenza nell’appartamento mentale di esseri umani vogliosi di conoscenza, pronti a misurare il limite della danza e del pensiero, miscelati con capacità ed estrema precisione. Giacenze electroclash si strutturano veementi in colate ebm, che a loro volta prendono la mano della virtù più colta per depositare immersioni pseudo violente nel synth pop intelligente. Una marea di sguardi compenetranti immobilizzano le paure ben rappresentate nei solchi di questo lavoro per giungere all’estasi. Non sfugge il respiro industrial: viene sedotto e inserito nei beats potenti e altamenti onirici, vicini di casa di incubi ammaestrati. Facile avvertire come il divertimento per Livio Caenazzo e Daniele Iannacone sia poter sperimentare formule ardite, adoperando anche la comodità di trame altamente semplici e quindi approcciabili dalla difficoltà di inserimento di proficue incursioni che sfiorano il metafisico. Alienante, nevrotico, ansimante, questo album è uno spettro allo specchio, sotto quel cielo di cui prima. Si viaggia partendo da una base tedesca, con la fantasia belga e jugoslava, per planare infine nel nord dell’Italia: un piccolo mappamondo in grado però di essere generoso e stupefacente, per condurre la volta celeste a sognare la permanenza nella dance hall. Il cantato segue gli indirizzi dei vari generi musicali su cui naviga con elasticità, forza e convinzione. Le chitarre hanno un vestito darkwave, sono quasi perfettamente nascoste, ma quando si avvertono maggiormente sembrano delirare in modo spettacolare, avendo dall’altra parte un programming e una base di synth che rende l’amalgama fluente.
In questo corposo manto scatenato la lenta Epic regala un'emozione diversa e commovente, spettacolare perché la sua lentezza è un palcoscenico sul quale poter riprendere fiato con il bacio di lacrime comprensive.
L’aspetto che incanta in modo celestiale riguarda il fatto che la band sia perfettamente integrata nel mondo tenebroso ma pieno di vita della loro nuova casa discografica, dando alla Cold Transmission Music la possibilità di assestare un’ulteriore scossa al movimento danzereccio tutto, con il sudore, la bava alla bocca e la tensione che disegnano una mefistofelica espressione in chi ascolta. I tre singoli che hanno preceduto l’uscita (God Is a Machine, Paint is Just a Noise e All I Want) hanno doviziosamente creato curiosità e desiderio che, con grandi capacità, sono stati confermati dalle altre sette, per un risultato che fa di questo album quello preferito da ballare per il Vecchio Scriba di questo 2023!


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
15th November 2023

Album in uscita il 17 di Novembre 2023







lunedì 13 novembre 2023

My Review: One Little Atlas - Wayfarer




One Little Atlas - Wayfarer


A sonic scarf rises up from Manchester to take a stroll through the heart of male sensibilities, restoring light that has been lacking for too long in the northern English city. The delicacy, the horizons traversed and the mode make this work a romantic sunflower well equipped to withstand wear and tear. Two creators who, ten years on, return to unsettle with an enchanting treatise of beauty, whispers, rumbles taken by the hand and made to surrender. Kevan Hardman (owner of a stratospheric, bombastic timbre and possessing a vibrant propensity for caressing the pentagram on which his vocal chords rest) and Dean Jones (electronic wizard and messenger of complicated melodic textures made comprehensible and consequently absolutely capable of seizing the senses), are the main contributors to this album, assisted, perfectly, by the Up North Orchestra and Heather Macleod, Helena Francesca, Rosie Brownhill, Tim Davies and the backing vocals of Rose Feaver, Lynn Shuttleworth, Siobhan Donnelly and Obie & Kitt. With an impetus that approaches the mode of classical music, but using the modern means of the gentlest and most rarefied electronics, the tracks bring out with continuous vibration the certainty that an artistic expression can exist in our time that gathers moonbeams, peace, contemplation and discipline in bringing chaos to transform itself into a dew that refreshes the listener. 


And there appear whispers and changes in the textures that take it beyond the song form, with expansions and experimentation so similar to progressive, but without having the style. Here we visit the depth of the sound and its gathering of slow, kaleidoscopic pinwheels in the musical rainbow that uses all the notes to lighten the breath and the eyes. With Post-Rock attitudes but in moderate parry and the use of stratagems in keeping with the New-Age, the two take the responsibility of being whispers and catapult themselves into the subtlest orchestration, almost as if they did not want to disturb and intended to give us the opportunity of a cognitive experience capable of underlining the distance between the world they created and our own. Therefore, a deep falling in love becomes inevitable and not a lightning strike: no artificial seduction to attract the stupid, but a depth that is born and develops with the master hand of slowness. They scour folk territories with gracefulness, they penetrate dream pop with deep respect (without copying, but presenting remarkable novelties), they enter the British tradition with excellent revisiting quality, streamlining the ambient matrix that generously shows its boundaries and branches. The ethereal aspect is lightened by the constant sacredness that one finds when listening to it from other composers: here is a new aspect that rides on the structure of the two Mancunian outliers, who decide to discard the possibility of an exaggerated moral and philosophical commitment, building instead a garden always prone to freshness, with flowers that shine without ceasing. These compositions are nothing more than bubbles of hope that cling to the dream, while also releasing a real capacity for innovation, sowing light but powerful bricks to keep our minds wrapped up and protected. The keyboards, when they paint the confetti of notes, manage to make us smile, and then touch our emotional chords in a resounding alternation, destabilising, combing disbelief. 


The voice is a miracle educated in the atonement of sins, a kangaroo leap beyond the universe, a soft calamity, perfectly blunted and able to make the eyes and thoughts dreamy. Remarkable is the work of the rhythmic aspect, which, although in the hands of a drum machine, manages to make us perceive humanity, talent and power, without ever overpowering the delicate harmonisations. When you hear the light touches of the piano, you sense how classical music is present to whisper, inspire, point the way, without taking over, in a marriage of sighs and alchemy that is truly remarkable.
They have courage, these two angels with golden feathers: they put on the market a work heedless of fashions, of the habit of packaging something convenient and hasty, demonstrating what art should be, namely a generous exercise without the desire for reception, eliminating usufruct, nourishing instead continuous emotions...


Eleven episodes that flow impeccably. 


The opening Ascend (a synthetic pill in the odour of orchestral sanctity and with hidden trip-hop petals), opens the amazement, then the duo enters a meadow with the seductive LynDevotion arrives and we understand how everything is rising, like a spirit in the act of its formation.
 Between post-rock and dream pop the emblematic 
Roads throws us into a track full of flowers and the emotion sticks to bodies and minds.

When Holo arrives you are clouds in the wind, Kevan and Helena Francesca's voices are dancing ecstasy on a sound film whispering smiles and the shimmer of stars.

Of Love reminds us of the importance of Vini Reilly (The Durutti Column), adding an essential and spectacular electronic mood to the splendidly scratchy guitar.


The album's title song (Wayfarer) is the aurora borealis narrated through celestial notes, in a peal of both sound and emotion: when dreams become matter they have this liturgical mode...
The surprises and novelties continue: 
Realise is a journey into the waves, as if anaesthetised only to be reinvigorated by a mysterious energy that Kevan's vocal expression manages to translate. New-age finds a perfect contact with world-music and trip-hop and everything becomes a golden cloak. Ceremony is a sudden jolt: the rhythm, the base, its development, the metrics of the singing are embraced poems, perfectly able to give confidence to the modernity that the electronic part offers.

Classical music was mentioned, and with Twilight its charm is transported to the present day, like a feather flying like a turtle: from its slowness, the vocals manage to accelerate, in a feeling that this combination is a new miracle...
The concluding 
Autonomous is a crazy farewell: the kisses of time and the exploration of souls meet in song, as in a marriage of the stars. John Grant would be happy to see how Kevan is aligned with his ability to express feelings with breaths of sound that gravitate in the low register, but give the feeling of elevation to the edges of the sky. Spectacular!


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

14th November 2023


https://onelittleatlas.bandcamp.com/album/wayfarer?search_item_id=643428781&search_item_type=a&search_match_part=%3F&search_page_id=2963665930&search_page_no=0&search_rank=3&logged_in_mobile_menubar=true




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La mia Recensione: One Little Atlas - Wayfarer

One Little Atlas - Wayfarer

Un foulard sonoro si alza da Manchester per portarla a fare due passi nel cuore della sensibilità maschile, restituendo luce che da troppo tempo latita nella città del centro nord inglese. La delicatezza, gli orizzonti attraversati e la modalità fanno di quest’opera un girasole romantico e ben attrezzato per resistere al logorio. Due gli artefici che, a distanza di dieci anni, tornano per sconvolgere con un trattato incantevole di bellezza, sussurri, frastuoni presi per mano e fatti arrendere. Kevan Hardman (titolare di un timbro stratosferico, roboante e in possesso di una vibrante propensione alla carezza del pentagramma su cui poggia le sue corde vocali) e Dean Jones (mago dell’elettronica e messaggero di complicate trame melodiche rese comprensibili e di conseguenza assolutamente capaci di sequestrare i sensi), sono i principali autori di questo album, coadiuvati, perfettamente, dalla Up North Orchestra e Heather Macleod, Helena Francesca, Rosie Brownhill, Tim Davies e dai cori di Rose Feaver, Lynn Shuttleworth, Siobhan Donnelly e Obie & Kitt.
Con un impeto che si affaccia alla modalità della musica classica, utilizzando però i mezzi moderni dell’elettronica più dolce e rarefatta, i brani fanno emergere con vibrazione continua la certezza che può esistere ai giorni nostri un’espressione artistica che raccoglie i raggi lunari, la pace, la contemplazione e la disciplina nel portare il caos a trasformarsi in una rugiada che rinfresca gli ascolti. Ed ecco che appaiono sussurri e cambiamenti nelle trame che portano il tutto oltre la forma canzone, con dilatazioni e sperimentazioni così simili al progressive, ma senza averne lo stile. Qui si visita la profondità del suono e il suo accorpare girandole lente e caleidoscopiche, nell’arcobaleno musicale che utilizza tutte le note per poter alleggerire il respiro e gli occhi. Con attitudini Post-Rock ma in moderata parata e l’utilizzo di stratagemmi consoni alla New-Age, i due si prendono la responsabilità di essere sussurri e si catapultano nella orchestrazione più sottile, quasi come se non volessero disturbare e intendessero regalarci l’occasione di una esperienza conoscitiva in grado di sottolineare la distanza tra il mondo da loro creato e il nostro. Diventa inevitabile, quindi, un innamoramento profondo e non un colpo di fulmine: nessuna seduzione artificiale per attirare gli stupidi, bensì una profondità che nasce e si sviluppa con la mano maestra della lentezza.
Perlustrano i territori folk con leggiadria, si inoltrano con profondo rispetto nel dream pop (senza scopiazzare, ma presentando notevoli novità), entrano nella tradizione britannica con ottima qualità di rivisitazione, snellendo la matrice ambient che generosamente mostra i suoi confini e le sue diramazioni. L’aspetto etereo viene alleggerito dalla costante sacralità che si trova quando la si ascolta da altri autori: ecco un nuovo aspetto che cavalca la struttura dei due fuoriclasse mancuniani, che decidono di scartare la possibilità di un impegno morale e filosofico esagerato, costruendo invece un giardino sempre incline alla freschezza, con fiori che risplendono senza sosta. Queste composizioni non sono altro che bolle di speranza che si aggrappano al sogno, sapendo però anche rilasciare una reale capacità innovativa, seminando mattoni leggeri ma potenti, per tenere la nostra mente avvolta e protetta. Le tastiere, quando dipingono i coriandoli delle note, riescono a farci sorridere, per poi toccare le corde emotive in una alternanza clamorosa, destabilizzando, pettinando l’incredulità. La voce è un miracolo educato all’espiazione dei peccati, un salto del canguro oltre l’universo, una calamità morbida, smussata perfettamente e in grado di rendere sognanti gli occhi e i pensieri. Notevole il lavoro dell’aspetto ritmico, che, seppure nelle mani di una drum-machine, riesce a farci percepire l’umanità, il talento e la possenza, senza mai arrivare a sovrastare le delicate armonizzazioni. Quando si sentono i leggeri tocchi del piano, si intuisce come la musica classica sia presente per sussurrare, ispirare, indicare la strada, senza prendere il sopravvento, in un matrimonio di sospiri e alchemie davvero notevoli.
Hanno coraggio questi due angeli dalle piume dorate: mettono sul mercato un lavoro incurante delle mode, dell’abitudine di confezionare qualcosa di comodo e sbrigativo, dimostrando quello che dovrebbe essere l’arte e cioè un esercizio generoso senza il desiderio dell’accoglienza, eliminando l’usufrutto, alimentando invece emozioni continue…
Undici episodi che scorrono in modo impeccabile.
L’iniziale Ascend (pillola sintetica in odore di santità orchestrale e con petali trip-hop nascosti), apre lo stupore, poi il duo entra in un prato con la seducente Lyn, giunge Devotion e si capisce come tutto si stia elevando, come uno spirito nell’atto della sua formazione.
Tra post-rock e dream pop l’emblematica Roads ci butta in una pista piena di fiori e l’emozione si appiccica ai corpi e alla mente.
Quando Holo arriva si è nuvole nel vento, le voci di Kevan e di Helena Francesca sono l’estasi danzante su una pellicola sonora sussurrante sorrisi e il luccichio delle stelle.
Of Love ci ricorda l’importanza di Vini Reilly (The Durutti Column), aggiungendo alla splendida chitarra graffiante con delicatezza un umore elettronico essenziale e spettacolare.
La canzone che dà il titolo all’album (Wayfarer) è l’aurora boreale raccontata attraverso note celesti, in uno scampanellio sia sonoro che emotivo: quando i sogni diventano materia hanno questa liturgica modalità…
Continuano le sorprese e le novità: Realise è un viaggio dentro le onde, come se fossero anestetizzate per poi essere rinvigorite da un'energia misteriosa che l’espressione vocale di Kevan riesce a tradurre. La new-age trova un contatto perfetto con la world-music e il trip-hop e tutto si fa mantello dorato.
Ceremony è una scossa improvvisa: il ritmo, la base, il suo sviluppo, la metrica del cantato sono poesie abbracciate, perfettamente in grado di dare fiducia alla modernità che la parte elettronica offre.
Si accennava alla musica classica, ed ecco che con Twilight il suo fascino viene trasportato nei giorni nostri, come una piuma che vola come una tartaruga: dalla sua lentezza le voci riescono nell’impresa di accelerare, in una sensazione che questo binomio sia un nuovo miracolo…
La conclusiva Autonomous è un congedo pazzesco: i baci del tempo e l’esplorazione delle anime si incontrano nel canto, come in un matrimonio delle stelle. John Grant sarebbe felice di vedere come Kevan sia allineato alla sua capacità di esprimere sentimenti con respiri di suoni che gravitano nel registro basso, ma dando la sensazione di una elevazione sino ai bordi del cielo. Spettacolare!


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
14 Novembre 2023






giovedì 9 novembre 2023

My Review: Neraneve - Neraneve

Neraneve - Neraneve


There are high altitude breaths among the sound beams of which the songs are composed, capable of making gravity a molecule full of wind. It happens in this debut EP by a band coming from Ciociaria, from the city of Frosinone always eager to carve out a slice of consideration. Five delicate intentions aimed at probing melancholy and sadness, removing from them the lead that is usually generously offered by precise musical genres. Instead, the three musicians/artists lean toward brightening it up by opting for shoegaze, interspersed with dreampop beats, for a result that is truly surprising.
The range of smells coming out of the compositions seems to come from different places, from a temporal range that includes the last three decades: great is the vibration they know how to place in every single episode, for a scrupulous and powerful fabric, worthy of being put in front of more lofty names. Bold, meticulous, with a great care for sound, everything flows, like a pleasant seizure of the soul, with the eyes looking at the void to fill it with the wake of these songs, twins of the moon's rays and cousins of the sun's. One passes between light and shadow lightly, piloting the mood towards understanding a sensory state filled with sensitivity.It is music that makes clear the absence of a lazy attitude because of the fantasy and rhythmic attitude that leads to a dreamy dance, intent on pausing on a cloud that oscillates between gray and yellow spots.
It all begins with Vento, an emotional probe that, through hinted electronics, opens the lungs in an embrace reminiscent of Slowdive’s Souvlaki, to deliver memories a foothold in the mantra that governs the entire piece. It overpowers the pain and arrives at an awareness of the choices to be made. Dreamy and vibrant, it is an assured smash hit, in which sadness smiles between these sublime seconds...
With Quasi niente the pace picks up, the guitars prove extremely capable of taking the melody and bringing the soft part of existence to the sides of a sombre play, but generous at the same time in giving the impression that one hears it all on the back of the clouds. Magliocchetti's voice is a talkative, genuine caress, with tears adopting joy, almost hidden (as is customary in shoegaze), but extremely gifted in knowing how to intrigue the auditory apparatus.

Atmosfera is a slow plunge, a letting loose of sweet sparkling tears, into the field where the reverberation grows in tone, dresses up, and descends into the valley. As curled up, on a sleet-filled day, it succeeds in a sweetest miracle: bringing an American attitude to the centre of the ciociara city, with shoegaze triumphing without needing to generate walls of chaos and distortion.
From the hieratic Grandine we receive a solemn embrace: we ascend to the Garden of the Gods in less than four minutes, but there is no doubt that, starting with the brief, oceanic introduction, we arrive well poised in the zone where drumming, vocals and guitars establish contact with the grandeur of a truly remarkable composition. Reading and London, as well as Boston and Chicago, look on enviously...Concluding this sampler of beauty is Ologramma, which, after the very first few seconds that seem to bring Visage to mind, mixes certain heavy attitudes of The Cure’s Disintegration with the more subtle ones of Churchhill Garden, to knock on the doors of a dreamlike trend that makes our breathing thin. Interweaving wandering, sensual guitars over a syncopated rhythm stick the need for a quick listen again, and another...
The guitars of Giacomo Tiberia and Marcello Iannotta are a gift from heaven: enchanting textures and sounds to visit and keep in the heart. A truly well-structured work, with the beauty of the feeling that we have discovered outliers: let the intelligence be given to embrace this trio...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

9th November 2023


https://neraneve.bandcamp.com/album/neraneve-ep?search_item_id=1146832973&search_item_type=a&search_match_part=%3F&search_page_id=2954368309&search_page_no=0&search_rank=1&logged_in_mobile_menubar=true






La mia Recensione: Neraneve - Neraneve

Neraneve - Neraneve

Ci sono respiri ad alta quota, tra i fasci sonori di cui sono composte le canzoni, capaci di rendere la gravità una molecola piena di vento. Accade in questo EP di esordio di una band che arriva dalla Ciociaria, da quella Frosinone sempre desiderosa di ritagliarsi uno spicchio di considerazione. Cinque delicate intenzioni volte a sondare la malinconia e la tristezza, togliendo loro il piombo che solitamente viene generosamente offerto da precisi generi musicali. I tre musicisti/artisti propendono, invece, a rischiarare il tutto optando per lo shoegaze, inframezzato da battiti dreampop, per un risultato che è davvero sorprendente. 
Il ventaglio di odori che esce dalle composizioni sembra provenire da diversi luoghi, da un range temporale che include gli ultimi tre decenni: grande è la vibrazione che sanno collocare in ogni singolo episodio, per un tessuto forbito e potente, degno di essere messo di fronte a nomi più altisonanti. Audaci, meticolosi, con una gran cura del suono, tutto scorre, come un piacevole sequestro dell’anima, con gli occhi a guardare il vuoto per riempirlo della scia di questi brani, gemelli dei raggi lunari e cugini di quelli solari. Si passa tra la luce e l’ombra con leggerezza, pilotando l’umore verso la comprensione di uno stato sensoriale colmo di sensibilità. È musica che rende evidente l’assenza di un atteggiamento neghittoso per via della fantasia e dell'attitudine ritmica che conduce a una danza sognante, intenzionata a sostare su una nuvola che oscilla tra macchie grigie e gialle.
Tutto comincia da Vento, sonda emotiva che, attraverso una elettronica accennata, apre il polmone in un abbraccio che ricorda gli Slowdive di Souvlaki, per consegnare ai ricordi un appiglio nel mantra che governa l’intero pezzo. Si soverchia il dolore e si giunge alla consapevolezza delle scelte da fare. Sognante e vibrante, è un colpo di fulmine assicurato, in cui la tristezza sorride tra questi sublimi secondi…
Con Quasi niente il ritmo si alza, le chitarre risultano estremamente capaci di prendere la melodia e di portare la parte soffice dell’esistenza dalle parti di un gioco cupo, ma generoso al contempo nel donare l’impressione che si ascolti il tutto sulla schiena delle nuvole. La voce di Magliocchetti è una carezza loquace, genuina, con lacrime che adottano la gioia, quasi nascosta (come consuetudine dello shoegaze), ma estremamente dotata nel saper incuriosire l’apparato uditivo.
Atmosfera è un tuffo lento, un far libare dolci lacrime frizzanti, nel campo dove il riverbero cresce di tono, si veste e scende a valle. Come raggomitolato, in una giornata piena di nevischio, riesce in un miracolo dolcissimo: portare un atteggiamento americano nel centro della città ciociara, con lo shoegaze che trionfa senza aver bisogno di generare muri di caos e di distorsioni.
Dalla ieratica Grandine riceviamo un abbraccio solenne: si sale verso il giardino degli Dei in meno di quattro minuti, ma non vi è dubbio che, partendo dalla breve e oceanica introduzione, si arrivi bene in equilibrio nella zona dove il drumming, le voci e le chitarre stabiliscono il contatto con la grandezza di una composizione davvero notevole. Reading e Londra, così come Boston e Chicago, guardano invidiose…
A concludere questo campionario di bellezza ci pensa Ologramma che, dopo i primissimi secondi che sembrano portare alla memoria i Visage, mischiano certe attitudini pesanti dei Cure di Disintegration con quelle più sottili dei Churchhill Garden, per bussare alle porte di un andamento onirico che rende sottile il nostro respiro. Intrecci di chitarre vagabonde e sensuali, su un ritmo sincopato, appiccicano il bisogno di un rapido riascolto, e un altro ancora…

Le chitarre di Giacomo Tiberia e di Marcello Iannotta sono un regalo del cielo: trame e suoni incantevoli, da visitare e mantenere nel cuore. Un lavoro davvero ben strutturato, con la bellezza della sensazione che abbiamo scoperto dei fuoriclasse: si dia all’intelligenza il compito di abbracciare questo trio…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

9 Novembre 2023


https://neraneve.bandcamp.com/album/neraneve-ep?search_item_id=1146832973&search_item_type=a&search_match_part=%3F&search_page_id=2954368309&search_page_no=0&search_rank=1&logged_in_mobile_menubar=true





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