Helen Jewitt - Astrolabium
Chissà se nel nome della band esiste un riferimento diretto a una ragazza che venne uccisa all’inizio del 1800. Resta comunque la sensazione, dati i temi e la modalità di espressione, che i tre musicisti abbiano una tensione nel loro dna come reazione al malessere esistenziale, sviscerando, acclamando, presentando storie in cui il romanticismo ha sempre una corona di spine nei suoi circuiti sonori. L’album di esordio è una bomba atomica, circolare, che pedina le anime in ascolto, sferrando bordate, urla, cavi elettrici direttamente nei nervi e nelle vene. Un'esplosione continua che prende il livore del post punk e la torsione emotiva dello Shoegaze, per un risultato spiazzante nel quale si avvicendano emozioni, osservazioni, spunti e una nutrita fila di paralisi in quanto queste composizioni intossicano (piacevolmente), conducendo a una impossibile reazione negativa: ci si ritrova inseminati dalla loro ricchezza.
In alcuni momenti, quelli meno nevrotici (e in modo delizioso disperati), si ha come l’impressione che il terzetto visiti la possibilità di un futuro in cui immergersi per esplorare la ricchezza di onde calme sulla pelle di un batuffolo di ansia ammaestrata. Il risultato è una sublime ipnosi, una protesi, un'invenzione che amplia il loro presente, per generare un futuro in cui la scrittura possa essere una pallottola che fa il giro del globo.
Stupisce come questa energia non sia legata alla sfrontatezza giovanile bensì a una maturità concettuale che porta queste creazioni in un avamposto ancora da capire: sono gestazioni, feti, ipotesi e bagliori in cerca di un luogo dove crescere e solo un ascolto attento può dar loro il pretesto di una culla adatta. I temi affrontati nei testi mettono in risalto lo sguardo d’insieme, il coinvolgimento totale, un senso di frustrazione e un forte legame con il passaggio del tempo, l’ostinata ricerca di far sposare la fantasia e la ricerca della verità. Pianificano anche un’ipotesi del futuro e l’impianto teatrale si rivela capace, di grandi proporzioni, unendo l’insieme alla gittata sonora che non lascia scampo. Il senso di abbandono, dato dalle note lunghe (quelle così addentro allo stile Shoegaze), si sposta verso quello della lotta e della determinazione, tipica del post punk, il tutto nelle stesse canzoni, senza dover aspettare le successive, per un binomio effervescente che rilascia scintille di agganci a un passato remoto che tendenzialmente pare essere morto per la stragrande maggioranza del pubblico. Questa formazione, invece, suscita moti di riscatto, compattando, rigenerando il tempo che fu, come un impegno doveroso e magnificamente riuscito. Astrolabium si trasforma così in un laboratorio effervescente, caldo, dai colori cupi in cerca di ossigeno, un serbatoio dell’anima dove non si espelle ma si contagia l’addormentata coscienza, alimentando il futuro con una speranza che passa attraverso nove strategie compositive che alla fine si riveleranno essere qualcosa di molto più importante. Aspetto da non denigrare risulta quello di un bacino denso di lacrime pronte a invadere i pensieri ma capaci, al contempo, di creare ruscelli nel cielo: la vitalità della scrittura, del cantato sognante (seppur malinconico) diventa una scopa su cui salire per visitare le nuvole. Gli anni Ottanta e gli anni Novanta trovano una spirale dove il succo, il nettare, il buono e il vero di quelle due decadi viene visitato e reintrodotto nella mente come una dialisi che ci permette di non perdere la memoria. Non è dunque un revival di comodo bensì una precisa tecnica per riportare la nostra attenzione in un luogo in cui si rischia la nostalgia e il giudizio. E allora questa giovane band compie un salto degno di un canguro, portando nel suo grembo i semi del futuro… Le chitarre sono lampi neri, il basso un cratere in movimento e la batteria un fuoco al centro di un bosco, per dare, come risultato, una pellicola con la quale ricoprire la nostra fragilità. Canzoni che rincuorano, devastano, riscoprono il piacere della vita senza rinunciare a erigere un muro contro la facile propensione alla stupidità. Ecco allora che sembra di ritrovarci in un'aula universitaria nella quale si studia come rendere credibile il futuro: Astrolabium è il miglior professore possibile e sarebbe un peccato perdere questa chance…
Song by Song
1 - Hearsee
Una marea plana nel cielo con le chitarre che creano spazi e poi una voce incantevole, una linea di basso semplice e ricca portano l’insieme dentro un ritornello che bacia la tristezza e rivela significati da trovare sotto la pelle di note baciate da un lampo sotterraneo…
2 - Dogma
Esplosioni calamitate nei nervi di questo brano che eccelle per fattura e densità, in quanto sono lamiere che si sgretolano lentamente trovando il palco adatto nel ritornello solo apparentemente catchy: le parole sono dinamite e prigione che soffocano, come un bene necessario da consegnare al futuro, mentre il post punk primordiale sferra l’abbraccio di un alternative rock che chiude il cerchio perfettamente…
3 - Abigäil
Il ricordo del secondo album degli Adorable si fa concreto: questo brano ha le stesse piume nere della band inglese, stando non molto lontano dai Catherine Wheel, per poi trovare un’autonomia piena di nubi nordiche in un paesaggio sonoro che crea un congedo melodico da questa esistenza…
4 - Noughts and Crosses
Rimaniamo in un’atmosfera intima, un sussurro del basso, il cinguettio baritonale del cantato e poi un volo struggente, con chitarre e drumming che ricordano i Radiohead più tristi, per un risultato che pare essere quello dell’attesa che una finestra cada nell’acqua…
5 - Miss Deverell
Il basso di Brent van Rij ci riporta alla Celebrate dei Fields of the Nephilim, ma con una struttura completamente diversa: una chitarra graziosa permea il canto di Gijs Stuivenberg, per poi accogliere una orchestrazione minimalista che salda il tutto in modo incantevole…
6 - Mother
Psichedelia in volo: dagli anni Novanta (quelli inglesi) a quelli attuali per un dialogo che sembra avvertire una elettrica propensione a schermaglie shoegaze messe leggermente da una parte. Ma esiste una vibrazione, uno scatto che porta questa canzone nello spazio di un brivido compiuto…
7 - Bauta
David Helbig (il batterista), si muove come un robot su una sedia elettrica, come figlio di un indie rock degli anni Ottanta che attende i suoi due compagni di viaggio per poter rendere nevrotico il suono e l’agitata l’atmosfera sino al caos che racchiude tutta la potenza della band…
8 - Death of Romance
Nervi sott’acqua implodono ed è una gioia triste in ascesa, in un quasi libero volo, con una lentezza che permette alle vibrazioni di trovare la perfetta locazione, con un arpeggio accompagnato da scariche elettriche brevi ma incisive…
9 - Burn it Down
Si finisce per correre, con l’ultima composizione, tra pallottole sonore e scivolate estreme, con in mente i Déjà Vega più abrasivi e una rabbia controllata tra i watt che nella fuga si compattano e diventano puma notturni…
Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
6 Aprile 2025