mercoledì 4 dicembre 2024

La mia Recensione: Are You Real - Unicorn

 


Are You Real? Unicorn


“Nel reale si rischia di soffocare, nell'irreale di perdersi” - Mario Andrea Rigoni


Partiamo da un poeta, scrittore, saggista e abitante delle stelle, dei sogni, dei contatti con l’intimo: un modo perfetto per iniziare ad avvicinarci a questo stupore sonoro che conduce a una apertura alare nel territorio della confidenza che diviene coraggio.

Ed è uno spettacolo commovente vedere che il protagonista è un animale fantastico e fantasioso, il miglior alleato dei sogni di color bianco, che accolgono la fuga e la realtà per enfatizzarne i movimenti nei quali la libertà e l’ingegno viaggiano affiancati.

Ci ritroviamo così a scrivere del ritorno discografico di Andrea Liuzza, aka Are You Real, dopo cinque anni di voluta e capace distanza dal mettersi in gioco. Lo fa con la lentezza, l’atmosfera dolce di un movimento prossimo al sonno, alle attività cerebrali, alla passione per un incontro illuminante come, nella sua verità specifica, è quella dell’unicorno, emblema che resiste a ogni cambiamento.

La struttura del brano rivela una dote quasi scomparsa che è quella di dare voce alla semplicità, contornandola di quella modernità tecnologica che la fortifica e la mette in grado di connettere l’antichità dell’essere umano e la modalità odierna. Qui si svela la magia di questa composizione che, non solo porta a passeggio nel tempo l’aspetto onirico, ma ne traduce i simboli, gli impeti, i movimenti che adoperano la strategia di una forma canzone ridotta al lumicino: la strofa è anche il ritornello, ci troviamo davanti a un non dichiarato apparato strutturale che vede la parte strumentale fare da connettore a slanci emotivi che sono poi saldati dalla voce e dal cantato di Gintsugi, artista che cala il suo asso nella manica. Che è quello di non sovrastare il sentito che precede la sua presenza bensì di divenire un ulteriore processo di accompagnamento, nella stratosfera, tra semafori e scie di luci che ampliano la già maestosa figura dell’unicorno.

Tocca, fa riflettere, trasporta in un luogo rarefatto e appartato la mancanza di una ritmica assordante, facendo del suono l’amico dell’intelligenza: nulla è esagerato, scomposto o maleducato, in quanto Andrea Liuzza, nella sua regia artistica, scrive un brano che si dilata con i suoi accenni, le sue movenze e la sua aritmetica precisa, per poi lasciare, nelle scie delle sue parole, atomi leggeri che diventano impronte dell’anima.

Malgrado il background citato dallo stesso Andrea, il Vecchio Scriba sente una scrittura matura e libera da condizionamenti. Lo si deduce dall’utilizzo delle voci, dalle sospensioni, dalla dolce tensione, che non hanno chiaramente il timbro e l’aspetto di quegli artisti da lui stesso nominati.

Qui vive tutto lo spessore, l’intensità, la libertà di cui lo stesso animale è simbolo, profeta e compagno da millenni: Unicorn vive di suo, senza davvero essere frutto di ascolti musicali perché capace e conscio di una sua direzione, di una istintività educata che accarezza l’ascolto.

L’indole del sognatore è quella di avere alleati (l’armonia spirituale per prima), ed è ciò che si vive durante questi minuti di ascolto. 

Ci sono ideali che viaggiano e attraversano il sonno, per essere storia, sentiero e luce, creando stupore ed eccitazione, al rallenty, che è il vero prodigio di questa composizione. Le difficoltà, i dubbi, lo scetticismo, l’indisposizione, sono fattori che l’unicorno conosce, sciogliendoli con la sua morbida naturalezza.

Are You Real traduce, spiega, fa divenire reale questa leggenda e la indirizza verso il nostro impianto uditivo per poi creare immagini che, parallelamente, siano in grado di mantenere il contatto con la realtà.

Un luccichio psichedelico, in un quadro sonoro che pare partire da una scheggia degli anni Sessanta, data l’enfasi che il cantato sa far scaturire. E poi le note, i pochi ma ben strutturati accordi riescono a creare una clessidra emotiva, un cantato che si fa piuma e mattone nel suo breve circuito.

Un episodio musicale che crea compromessi, slanci ma soprattutto induce all'introspezione, come offerta e non come richiesta: una cortesia, una gentilezza, una stretta di mano morbida che si trasforma in abbraccio, grazie a una levitazione tenuta tra la sospensione e lo slancio.

Quando si crede che vi sarà uno scarto ritmico, Unicorn diventa un raggio di sole, ingovernabile, che non scappa via ma conferma, e conferma, e afferma la sua criniera di note che si fissano in un innamoramento inevitabile.

Teatrale, ipnotica, esaustiva, questa gemma contiene spruzzi di New World Music e Ambient, senza cadere nella tentazione di una sterile imitazione: è solo uno degli ingressi, delle modalità che ha per erudirsi per prima. Sembra che non finisca, che sia spavalda ma, come una goccia nel vento, sale sull’Unicorno per fare esperienza. Nuova magia, credete al Vecchio Scriba…


C’è poi una quota sonora degli anni Novanta, quelli che hanno generato ramificazioni dell'elettronica sono sicuramente più evidenti, ma Andrea sfugge, corre, si rintana nel suo sogno e disegna una disobbedienza che, se colta, rende liberi di ascoltare il brano in morbida autonomia, senza condizionamenti.

I giorni nostri vengono rappresentati da una produzione che fissa lo scorrere degli anni e lo colora. Non poteva quindi mancare un video e un libro di 50 tavole che chiudessero il cerchio, la coesione di questo gemellaggio davvero autorevole: il tempo e la magia…


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

5 Dicembre 2024


https://open.spotify.com/track/1mr5FxOURGz2v32rVULGoE?si=ib12mxVGSy270daHy7jGzQ





My Review: Are You Real? - Unicorn


 Are You Real? Unicorn


‘In the real you risk suffocating, in the unreal you risk losing yourself’ - Mario Andrea Rigoni


We start with a poet, writer, essayist and inhabitant of the stars, of dreams, of contact with the intimate: a perfect way to start approaching this aural astonishment that leads to a wingspan into the territory of confidence that becomes courage.

And it is a moving spectacle to see that the protagonist is a fantastic and imaginative animal, the best ally of white-coloured dreams, which welcome flight and reality to emphasise the movements in which freedom and ingenuity travel side by side.

This is how we find ourselves writing about the discographic comeback of Andrea Liuzza, aka Are You Real, after five years of willing and able distance from putting himself out there. He does so with the slowness, the gentle atmosphere of a movement close to sleep, to cerebral activity, to passion for an illuminating encounter such as, in its specific truth, is that of the unicorn, an emblem that resists all change.



The structure of the piece reveals an almost vanished talent, which is that of giving voice to simplicity, surrounding it with that technological modernity that fortifies it and enables it to connect the antiquity of the human being and the mode of today. This is where the magic of this composition is revealed: not only does it take the oneiric aspect on a stroll through time, but it also translates the symbols, the impetuses, the movements that employ the strategy of a song form reduced to a minimum: the verse is also the refrain, we find ourselves before an undeclared structural apparatus in which the instrumental part acts as a connector to emotional impulses that are then welded together by the voice and singing of Gintsugi, an artist who plays her trump card. Which is not to overpower the heard that precedes her presence but to become a further accompanying process, in the stratosphere, amidst traffic lights and trails of lights that expand the already majestic figure of the unicorn.

It touches, it makes us reflect, it transports to a rarefied and secluded place the lack of a deafening rhythm, making sound the friend of intelligence: nothing is exaggerated, decomposed or rude, as Andrea Liuzza, in his artistic direction, writes a piece that expands with its hints, its movements and its precise arithmetic, only to leave, in the trails of its words, light atoms that become imprints of the soul.


In spite of the background mentioned by Andrea himself, the Old Scribe feels his writing is mature and free from conditioning. This can be deduced from the use of voices, from the suspensions, from the gentle tension, which clearly do not have the timbre and appearance of those artists he himself named.

Here lives all the depth, intensity, freedom of which the animal itself has been a symbol, prophet and companion for millennia: Unicorn lives on its own, without really being the product of musical listening because it is capable and aware of its own direction, of a polite instinctiveness that caresses listening.

The nature of the dreamer is to have allies (spiritual harmony first), and this is what is experienced during these minutes of listening. 

There are ideals that travel and pass through sleep, to be history, path and light, creating wonder and excitement, in slow motion, which is the true wonder of this composition. Difficulties, doubts, scepticism, indisposition, are factors that the unicorn knows, dissolving them with its soft naturalness.

Are You Real translates, explains, makes this legend become real and directs it towards our auditory system to then create images that, in parallel, are able to maintain contact with reality.




A psychedelic shimmer, in a soundscape that seems to start from a splinter from the sixties, given the emphasis that the singing can unleash. And then the notes, the few but well-structured chords manage to create an emotional hourglass, a singing that becomes feather and brick in its brief circuit.

A musical episode that creates compromises, impulses, but above all induces introspection, as an offer and not as a request: a courtesy, a kindness, a soft handshake that turns into an embrace, thanks to a levitation held between suspension and momentum.

When one believes there will be a rhythmic deviation, Unicorn becomes a ray of sunshine, ungovernable, that does not run away but confirms, and confirms, and affirms its mane of notes that become fixed in an inevitable falling in love.

Theatrical, hypnotic, exhaustive, this gem contains splashes of New World Music and Ambient, without falling into the temptation of a sterile imitation: it is just one of the entrances, of the ways it has to erudite itself first. It seems to have no end, to be swaggering but, like a drop in the wind, it climbs the Unicorn to experience. New magic, believe the Old Scribe....



There is then a sonic quota of the 1990s, those that generated electronic ramifications are certainly more evident, but Andrea escapes, runs, holes up in his dream and draws a disobedience that, if grasped, makes one free to listen to the track in soft autonomy, without conditioning.

The present day is represented by a production that fixes the passing of the years and colours it. Therefore, a video and a book of 50 plates could not be missing to close the circle, the cohesion of this truly authoritative twinning: time and magic...


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

5th December 2024


https://open.spotify.com/track/1mr5FxOURGz2v32rVULGoE?si=ib12mxVGSy270daHy7jGzQ

sabato 30 novembre 2024

La mia Recensione: At Swim Two Birds - Quigley’s Point


At Swim Two Birds - Quigley’s Point


Vini Reilly è un mago che affitta scene celesti, Johnny Marr le trasforma in vento, Roger Quigley mette entrambi sui suoi polpastrelli dorati e affitta camere piccole in cui rendere solidi i sogni. 

Potrebbe bastare questo incipit per dire dove alberga la cifra stilistica di un pittore che ha scritto un album sulla sua relazione di coppia con una ragazza dolcissima: la musica riproduce i suoi lineamenti, la sua risata accomodante, le polveri di fumo di pipe perennemente accese e la voglia di adoperare la sei corde come un tam tam amoroso sempre a disposizione dei suoi fulmini.

Non esiste il passato al momento della scrittura di queste lettere che cercano nella memoria una sospensione dal dolore, un urlo reso ubbidiente alla natura di una mente votata all’abbraccio.

Nutrire le lacrime di anestesie continue è una gran fatica. Lui lo sa e decide di pubblicare la sua delusione affiancandole granelli di gioia, con un cantautorato più sottile rispetto ai The Montgolfier Brothers che, con Mark Tranmer, avevano fatto scoprire come Nick Drake e Tim Buckley, con meno enfasi e maggior predisposizione al racconto, potevano sembrare dei bravi ragazzi, oltre che belli.

Poi la fine (Roger ne ha conosciute molte…) ha determinato il ritorno a Salford, lui che ci era nato, lasciando a Manchester solo alcune puntate mensili.

In una stanza annoiata e in attesa di un terremoto, il biondo autore riempie i posaceneri e gli spartiti, con arpeggi che passano dal folk americano al fado portoghese, al dream pop più intimo, per poi scrivere parole capaci di accarezzare i capelli dei suoi ricordi.

Il suo cantato è rispettoso, senza acredini, lasciando ai lunghi assoli arpeggiati la modalità della disintegrazione del dialogo.

Utilizza, per il suo primo vero episodio solista, registrazioni di strada, le sue camminate nei parchi, gli uccelli, i lavori in corso, sequestrando la nebbia di Weaste e Langworthy per poi circondarli di elettronica e primordiali software al fine di raggelare il suo respiro triste.

Sussurra al microfono, prende fiato tra nuvole di fumo e poi si getta nella scrittura di atmosfere che sembrano nate per un film in cui i volti e le storie sono intrisi di incertezza e desolazione ma, credete al Vecchio Scriba, sono state molte le risate sul pentagramma e la certezza che un disco non sia una collezione, bensì una semina importante e decisiva.

Anticipando parte del New Acoustic Movement, che utilizzava pattern, midi, elettronica tenera e mai invasiva, il buon Roger stabiliva un nuovo confine tra la divulgazione e il mistero.

Per capirlo basta prestare attenzione alle lunghe suite musicali dove un fraseggio viene ripetuto ma mai con l’intenzione di divenire un loop, dati gli inserti tipicizzanti degli arrangiatori degli anni Sessanta.

In quel preciso momento tutto si fa buio, scompaiono le storie e la musica diventa una bocca muta in grado di far oscillare le emozioni.

Sul manico della sua Takamine scivolano dita nervose, lucide, con il diploma della beatificazione, vista la perfetta tecnica e l’abilità di raddoppiare spesso la sei corde con compiti precisi di lavoro, come gemelle che parlano lingue diverse, senza far mancare l’intesa.

Il suo background qui non trova posizione: i suoi ascolti erano rivolti alla musica della città, mentre in questo esordio solista siamo in giro per il globo terrestre e nel tempo, come se la libertà vera fosse il distanziamento dalla realtà.

E infatti i testi sono inganni, torture, come le musiche: pare un collettivo magico che cerca di addentrarsi nel creato per abbracciare gli ascoltatori.

Invece Dante e il suo Inferno sono proprio in questi solchi, in passeggiate con abiti finti e tanto vero dolore a setacciare la speranza.

Il Brasile, il Portogallo, la Swinging London, Parigi e lo scrittore da cui ha preso il nome il suo progetto con un romanzo favoloso sono i protagonisti principali, seguiti da una pletora di sogni ingarbugliati.

La Sarah Records riconobbe a Quigley il fatto di conoscere a memoria la modalità di incespicare con pura sanezza nei contorti esercizi chitarristici di cui Reilly e Marr sono stati maestri assoluti.

Gli archi, i ritmi spesso volutamente dispari e la produzione che ha cercato di anestetizzare l’abbondanza dei suoni sono i momenti di maggior intensità di questo vascello Salfordiano che si ricorda bene del porto e delle lotte con Liverpool.

A quest’ultima città Roger dà molto spazio: nelle introduzioni di diverse canzoni la magica atmosfera del Merseyside del 1975 e 1976 sembrano spuntare fuori come raggi lunari in libera uscita.

Credo, però, che l’aspetto più difficile da sostenere sia l’inclinazione del defunto talento a congedare il tutto, tra goodbye e farewell che si abbracciano facendo sì che l’ascolto diventi una ferita, esattamente come la scrittura di questi versi ipnotici, ma capaci di essere anche deliziose ostinazioni piene di sorrisi e charme.

Colpiscono alcune assenze, certe decisioni che hanno portato alla scelta di rendere poco gonfio lo strato interpretativo se non nell’episodio I Need Him, nel quale la sua devastazione viene trasformata in una accomodante forma gentile nei confronti di parole rubate a una realtà che stabiliva la fine di una relazione.

Due lati diversi, con strutture e dinamiche che ruotano dentro una progettualità che prevede un cammino longitudinale, in grado, cioè, di trasmettere la muta della pelle della sua anima, come un forcone che affitta baci dal fieno. 

La prima parte è un resoconto fedele di antiche felicità, la seconda un’amara constatazione del precipizio e infatti gli scenari stilistici cambiano.

Notevolissima è la tinteggiatura nell’ultimo brano fatto di coriandoli dream pop, da cui poi Tom McRae e i Radiohead hanno rubato a piene mani.

Sistematica modalità di una libertà pagata a caro prezzo, l’evoluzione del suo stile lo riporterà tra le braccia di Tranmer, anche se solo per un attimo. Ma questo album è un esercizio senza paragoni, vuoi per il romanticismo col cappotto nero e gli occhi che ancora cercano una bocca da sfiorare, che per canzoni che fanno riflettere su come la felicità sia solo l’avamposto della bomba atomica…

Un disco che ha generato orgasmi mentali e applausi da parte della critica: non si erano mai udite frammentazioni creare connessioni con la morbidezza, con l’educata propensione a grattugiare il lato meno duro di una decade che sembrava preferire i frastuoni ai sussurri.

Infatti certe esperienze toccano maggiormente quando si deve acuire l’ascolto.

E dopo più di vent’anni sembra che i segreti di questo gioiello continuino a emergere, facendo del volto delle sue composizioni uno splendido anfiteatro greco dove la poesia è un’arte inferiore: i versi di Roger sono immediati e riflessivi, non cercano la memoria, bensì il modo di dare a ogni attimo una rapida fuoriuscita… 


Alex Demattteis

Musicshockworld

Salford

1 Dicembre 2024


https://open.spotify.com/album/4r8D9GORVR1xg7sMUS7hjl?si=eLO0-msNTnWai3rhVB-aEA


 






My Review: At Swim Two Birds - Quigley’s Point


 At Swim Two Birds - Quigley's Point


Vini Reilly is a magician who rents heavenly scenes, Johnny Marr turns them into wind, Roger Quigley puts both on his golden fingertips and rents small rooms in which to make dreams solid. 

This incipit might be enough to say where the stylistic figure of a painter who has written an album about his relationship with a very sweet girl dwells: the music reproduces her features, her accommodating laugh, the smoke dust of perpetually lit pipes and the desire to use the six-string as a loving tam tam always at the disposal of his lightning bolts.

There is no past at the time of writing these letters, which seek in memory a suspension from pain, a scream made obedient to the nature of a mind devoted to embrace.

Nourishing the tears of continuous anaesthesia is a great effort. He knows this and decides to publish his disappointment side by side with grains of joy, with a more subtle songwriting than that of The Montgolfier Brothers who, with Mark Tranmer, had made us discover how Nick Drake and Tim Buckley, with less emphasis and more flair for storytelling, could sound like good guys, as well as beautiful.


Then the end (Roger has known many...) brought about a return to Salford, he who had been born there, leaving Manchester with only a few monthly episodes.

In a bored room waiting for an earthquake, the blond songwriter fills his ashtrays and sheet music, with arpeggios that move from American folk to Portuguese fado, to the most intimate dream pop, and then writes words capable of caressing the hair of his memories.

His singing is respectful, without bitterness, leaving the disintegration of dialogue to the long arpeggiated solos.

He uses, for his first real solo episode, street recordings, his walks in the parks, birds, work in progress, sequestering the fog of Weaste and Langworthy and then surrounding them with electronics and primordial software to chill his sad breathing.

He whispers into the microphone, catches his breath amidst clouds of smoke and then throws himself into writing atmospheres that seem to have been born for a film in which faces and stories are imbued with uncertainty and desolation but, believe the Old Scribe, there have been many laughs on the stave and the certainty that a record is not a collection, but an important and decisive seeding.

Anticipating part of the New Acoustic Movement, which used patterns, midi, soft and never invasive electronics, the good Roger established a new boundary between disclosure and mystery.


To understand this, one only has to pay attention to the long musical suites where a phrasing is repeated but never with the intention of becoming a loop, given the typical inserts of the 1960s arrangers.

At that precise moment, everything goes dark, the stories disappear and the music becomes a mute mouth capable of swinging emotions.

Nervous, polished fingers glide over the neck of his Takamine, with the diploma of beatification, given the perfect technique and the ability to often double the six-string with precise work assignments, like twins speaking different languages, without lacking in understanding.

His background has no place here: his listenings were aimed at the music of the city, whereas in this solo debut we are wandering around the globe and through time, as if true freedom were the distancing from reality.

And indeed the lyrics are deceptions, torture, like the music: it sounds like a magical collective trying to reach into creation to embrace listeners.

Instead Dante and his Inferno are right in these grooves, in walks with fake clothes and so much real pain to sift through hope.


Brazil, Portugal, Swinging London, Paris and the writer after whom his project was named with a fabulous novel are the main protagonists, followed by a plethora of tangled dreams.

Sarah Records credited Quigley with knowing by heart how to stumble with pure sanity through the convoluted guitar exercises of which Reilly and Marr were absolute masters.

The strings, the often deliberately odd rhythms and the production that tried to anaesthetise the abundance of sounds are the most intense moments of this Salfordian vessel that remembers well the harbour and the struggles with Liverpool.

To the latter city Roger gives a lot of space: in the introductions of several songs the magical atmosphere of Merseyside in 1975 and 1976 seem to pop up like free-flowing moonbeams.

I think, however, that the most difficult aspect to sustain is the inclination of the late talent to say goodbye, between goodbyes and farewells that embrace each other, making listening a wound, just like the writing of these hypnotic verses, but also capable of being delightful obstinacies full of smiles and charm.                                 Certain absences are striking, certain decisions that have led to the choice of making the interpretative layer uninflated except in the episode I Need Him, in which his devastation is transformed into an accommodating gentle form of words stolen from a reality that established the end of a relationship.

Two different sides, with structures and dynamics that revolve within a projectuality that provides a longitudinal path, capable, that is to say, of transmitting the moulting of the skin of his soul, like a pitchfork renting kisses from hay. 

The first part is a faithful account of ancient happiness, the second a bitter realisation of the precipice, and indeed the stylistic scenarios change.

Remarkable is the hue in the last track made of dream pop confetti, from which Tom McRae and Radiohead then stole profusely.

A systematic mode of freedom paid dearly, the evolution of his style will bring him back into the arms of Tranmer, if only for a moment.                                 But this album is an unparalleled exercise, whether in romance with the black coat and the eyes still searching for a mouth to touch, or in songs that make you reflect on how happiness is only the outpost of the atomic bomb...

A record that generated mental orgasms and applause from critics: never before had fragmentations been heard to create connections with softness, with the polite propensity to grate the less hard side of a decade that seemed to prefer noises to whispers.

Indeed, certain experiences touch more when one has to sharpen one's listening.

And after more than twenty years it seems that the secrets of this jewel continue to emerge, making the face of his compositions a splendid Greek amphitheatre where poetry is an inferior art: Roger's verses are immediate and reflective, not seeking memory, but rather a way of giving each moment a quick escape…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

1st December 2024


https://open.spotify.com/album/4r8D9GORVR1xg7sMUS7hjl?si=QSgE7qCjRmaOU7nBRsQBvA

La mia Recensione: Midas Fall - Cold Waves Divide Us

  Midas Fall - Cold Waves Divide Us La corsia dell’eleganza ha nei sogni uno spazio ragguardevole, un pullulare di frammenti integri che app...