mercoledì 18 ottobre 2023

La mia Recensione: Gintsugi - The Elephant in the Room

 Gintsugi - The Elephant in the Room


“Non siamo mai così indifesi verso la sofferenza, come nel momento in cui amiamo.”

Sigmund Freud


Questo battito, pellegrino, stanco, voglioso, bianco, scende dal suo trono e si schianta sui piani scoscesi della mente, la centrale nucleare di ogni dolore. Storie, vicende, contorsionismi vari, ben assortiti e mal assortiti, si stringono nell’esistenza che cerca appigli. In questo contesto arriva una donna dalla lingua tagliente, dal polso di ferro, dalla disciplina che si posiziona in ogni gesto, pensiero, con la ferocia gentile, per permetterle un ampio raggio di azione. Si chiama Gintsugi, la voce che scioglie le crepe di metallo per appiccicarsi alla dolcezza, con un piano vivace volto a stregare le stelle, il creato, il tempo per unirli a un esercizio che abbaglia: portare l’oscenità del dolore a scuola, insegnarle la vita e gettarla in mezzo a note vergini ma già ferite… Le corsie immaginifiche, le espressioni mai troppo didascaliche lanciano la giovane artista italo-francese con continuità in un confine mai squadrato, dalle lunghe sponde incontrollabili. Si finisce per tremare, piangere, riflettere, con impianti di luce a visitare l’imprevisto del vivere, i suoi arti spesso poco graziosi, per entrare in una lavanda gastrica all’altezza del cuore. Ci si ritrova, sbagliando, con la presunzione che l’intera opera abbia propensioni oniriche: è la realtà, le verità e le menzogne del vivere che Gintsugi ci mostra, in un pentagramma accordato all’autenticità. Si incontrano modalità espressive che variano, ma che senza dubbio fanno dell’art rock il principale punto di riferimento. Non si possono negare altre matrici, impronte classiche e pop oliate, come garanzia di un progetto molto largo nelle intenzioni, sino a creare un clamoroso concept album, pur magari non avendone avuta intenzione. 

Già a partire dal titolo (una frase idiomatica inglese davvero esaustiva e potente) per continuare con la toccante immagine di copertina, tutto si posiziona, sin dall’inizio, sul piano dell’impresa totalizzante, paralizzante, per concludere nello stato di necessità di continui ascolti. Non è un insieme sonoro fuori dal tempo attuale, non si confonda l’assenza di frastuono come un appiglio verso espressioni  più antiche. La freschezza di questo incredibile talento sta nella maturità, per trasformare la clessidra in un doveroso esercizio di intese al fine di non sprecare nulla di ciò che sta accadendo. Quando, oltre al suo strumento principale (il pianoforte), si sentono gli archi, arrivano piccole vibrazioni nei parchi del suo sentire, posizionando perfettamente il concetto di fruibilità, continua e incessante. La sua dolcezza è una sonda che affonda, porta la schiuma alla bocca per essere sputata, con classe, sui tasti del suo pellegrinaggio emotivo, in un dinamico visitare gli animi, spostando accenti, sciogliendo torsioni e paure. Quattro singoli, due brani strumentali, una cover pazzesca, basterebbero per rendere inossidabile questo disco: difficile che possa subire graffi.

Si prenda Lilac Wine: la splendida cover di Elkie Brooks, del 1978, che parla della perdita di un amante con il conforto del vino ricavato da un albero di Lillà, rivela una portentosa attenzione ai colori della sua ugola e viene cantata come se quel dolore le appartenesse, orchestrando il tutto in una miscela di lacrime e speranze.  È proprio questo magnetico bisogno di affrontare quello che è disagevole e contrario a insegnarci molto sul piano umano. Le musiche sono il suo primo vocabolo, il suo nascente nervo, il crescere confrontandosi con suggestioni senza freni, con il fiato infinito, il suo affiancarsi a riflessioni che trovano voce nelle note, perché non si attribuisca solo alle parole il ruolo di comunicare pensieri…

L’elettronica, i timpani, i tamburi, quello  che sembra laterale alla struttura è invece un magnete quasi invisibile che compatta queste cascate espressive, emotive, razionali, che diventano spesso maree struggenti, incontrollabili. Ci si può schiantare davanti questo insieme, occorre essere preparati e molto forti.

Sono composizioni che rivelano impeti, capogiri, pianificazioni tenuti insieme da un arco equilibrato che sa scagliare frecce nel cielo di ogni imprevedibile bisogno. Gintsugi è una direttrice d’orchestra di un tutto che ci arriva addosso, adoperando momenti più accessibili ad altri nei quali ci si sente gettati violentemente a terra. Le sue peculiarità vengono, facilmente direi, riassunte da una voce e dalla modalità del canto che oscilla, come un’altalena mistica, nel tempo, per spostarsi, avendo grandi punti di riferimento, artisti che hanno fatto la storia dell’interpretazione. Doti naturali, innegabili, però si consideri anche che in questo album non possono sfuggire studi profondi, accurati e intensi: tutto doveva profumare di un odore prossimo alla perfezione. Quando i suoni dell’ugola si assentano (dopo aver procurato intensi traumi), la parte musicale fa altrettanto: non c’è competizione, bensì un acclimatarsi nell’unica direzione voluta che è quella di non essere solo performanti ma soprattutto efficaci. Si riscontrano momenti di grandi fragori (l’iniziale Mon Coeur e Hex), per poi sentire il fruscio delle nuvole accarezzare i nostri capelli, sino a penetrare il cranio e ad arrivare al cervello. In quel luogo, grazie a questi sfavillanti terremoti sonori, tutto si fa argilla, in uno stato febbrile. Si sfiorano attimi in cui la tensione pare prossima all’horror, dove le nuvole degli accadimenti umani sembrano schiantarsi e cadere sino a raggiungere il ventre del pianeta terra. Altri, invece, in cui le canzoni sembrano respiri invisibili, imprendibili, che veicolano colori pieni di vita. La sofferenza, in questo innegabile capolavoro, non è un impedimento: direi invece una occasione per imparare, trasformare il nero in un atto di vincita. Esiste lo spazio per i sogni, possono essere visti, coccolati, vissuti in queste tracce? Assolutamente no, ed è proprio in questo aspetto che si deve esaltare la grandezza di una donna che cammina a testa alta con il vento della contrarietà che l’affronta, uscendone a pezzi: Gintsugi ha una serie di armi dolci e potenti per vivere il presente come una volontà e attitudine. Il Vecchio Scriba scriverà presto una recensione sui testi: altri miracoli che rendono questo ascolto un beneficio doveroso e piacevole, soprattutto istruttivo. In un brano specifico vediamo emergere la sensazione che lei abbia imparato ad attingere da una fonte preziosa: il brano è To Grace, figlio splendido delle assurde capacità visionarie di Tori Amos. Molte sono le frequentazioni del suo potente background, ma nessuna poi così decisiva: il suo più grande merito è quello di possedere uno stile proprio, intrigante, strabordante, capace di una identità personale indiscutibile. Prodotto da lei stessa e dalla Beautiful Losers di Andrea Liuzza (anch’esso presente nell’album), questo vascello di piume risulta compatto, in uno slancio che pare portare dietro di sé scie di lacrime sorridenti in un giorno in cui tutto sembra essere sottoposto al duro giudizio di un cielo pieno di lampi. Nove esplosioni con le redini, dove tutto ciò possa andare all’interno di una pellicola per posizionare il proprio destino: un esordio così potente sarà una delle meraviglie che rimarranno nella sfera temporale per la durata dell’infinito.

Non scriverò la recensione canzone per canzone, perché non puoi entrare dentro il vento e perché per vedere una rosa sbocciare non puoi mettere le dita al suo interno…

Rimane la convinzione che questo sia il primo vero CAPOLAVORO dopo tanti anni, e per farlo rimanere tale bisogna essere discreti: lo si ami, lo si ascolti, lo si porti nel centro del nostro bisogno, ma si tenga sempre una distanza che si chiama rispetto, in quanto Gintsugi lo merita più di tanti altri…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

19 Ottobre 2023


In uscita il 20 Ottobre 2023


https://gintsugi.bandcamp.com/album/the-elephant-in-the-room-2




My Review: Gintsugi - The Elephant in the Room

 Gintsugi - The Elephant in the Room


"We are never so helpless towards suffering as in the moment when we love."

Sigmund Freud


This beat, pilgrim, tired, eager, white, descends from its throne and crashes on the craggy planes of the mind, the nuclear powerhouse of all pain. Stories, vicissitudes, various contortions, well-assorted and ill-assorted, squeeze into the existence that seeks footholds. Into this context comes a woman with a sharp tongue, an iron wrist, a discipline that positions itself in every gesture, thought, with gentle ferocity, to allow her a wide range of action. Her name is Gintsugi, the voice that melts the cracks of metal to cling to sweetness, with a lively plan aimed at bewitching the stars, creation, time to unite them in an exercise that dazzles: bringing the obscenity of pain to school, teaching it life and throwing it into virgin but already wounded notes... The imaginative lanes, the expressions that are never too didactic launch the young Italian-French artist with continuity into a border that is never squared, with long uncontrollable banks. One ends up trembling, weeping, reflecting, with implants of light visiting the unexpectedness of living, its often unpretentious limbs, to enter into a gastric lavage at heart height.

One finds oneself, mistakenly, with the presumption that the entire work has dreamlike propensities: it is reality, the truths and lies of living that Gintsugi shows us, in a pentagram tuned to authenticity. We encounter modes of expression that vary, but which undoubtedly make art rock the main reference point. One cannot deny other matrices, classical and pop imprints oiled, as a guarantee of a project very broad in its intentions, even to the point of creating a resounding concept album, even though it may not have been intended. 

Right from the title (a truly exhaustive and powerful English idiomatic phrase) to continue with the touching cover image, everything is positioned, from the start, on the level of a totalising, paralysing undertaking, concluding in the state of need for continuous listening. This is not a sonic ensemble out of step with the present time, nor should the absence of din be mistaken for a clinging to older expressions. The freshness of this incredible talent lies in maturity, to turn the hourglass into a dutiful exercise in understanding so as not to waste anything that is happening.

When, in addition to her main instrument (the piano), strings are heard, small vibrations arrive in the parks of her feeling, perfectly positioning the concept of usability, continuous and incessant. Her sweetness is a sinking probe, bringing foam to the mouth to be spat out, with class, on the keys of her emotional pilgrimage, in a dynamic visit to the souls, shifting accents, dissolving twists and fears. Four singles, two instrumental tracks, a crazy cover song, would be enough to make this record stainless: it is unlikely to be scratched.

Take Lilac Wine: the splendid cover of Elkie Brooks' 1978 song about the loss of a lover with the comfort of wine made from a lilac tree reveals a portentous attention to the colours of her uvula and is sung as if that pain belonged to her, orchestrating it in a mixture of tears and hope.  It is precisely this magnetic need to face what is uncomfortable and contrary that teaches us much on a human level. Music is her first vocabulary, her nascent nerve, her growing up confronted with unrestrained suggestions, with her infinite breath, her coming together with reflections that find their voice in the notes, so that the role of communicating thoughts is not only attributed to words.

The electronics, the timpani, the drums, what seems lateral to the structure is instead an almost invisible magnet that compacts these expressive, emotional, rational cascades, which often become poignant, uncontrollable tides. One can crash in front of this ensemble, one must be prepared and very strong.

These are compositions that reveal impulses, dizziness, planning held together by a balanced bow that knows how to shoot arrows into the sky of every unpredictable need. Gintsugi is an orchestral conductor of a whole that comes at us, employing moments that are more accessible to others in which one feels thrown violently to the ground. Her idiosyncrasies are, I would easily say, summed up by a voice and mode of singing that swings, like a mystical swing, through time, having great points of reference, artists who have made the history of interpretation. Natural talents, undeniable, but consider also that in this album deep, accurate and intense studies cannot escape: everything had to smell close to perfection.

When the sounds of the uvula are absent (after having caused intense trauma), the musical part does likewise: there is no competition, but an acclimatisation in the only desired direction, which is to be not only performing but above all effective. There are moments of great brittleness (the opening Mon Coeur and Hex), only to hear the rustle of clouds caressing our hair, penetrating the skull and reaching the brain. There, thanks to these sparkling sonic earthquakes, everything becomes clay, in a feverish state. There are moments in which the tension seems close to horror, where the clouds of human happenings seem to crash and fall until they reach the belly of planet earth. Others, however, in which the songs seem like invisible, impregnable breaths, conveying colours full of life. Suffering, in this undeniable masterpiece, is not an impediment: instead, I would say an opportunity to learn, to transform blackness into a winning act. Is there space for dreams, can they be seen, pampered, experienced in these tracks? Absolutely not, and it is precisely in this aspect that the greatness of a woman who walks head-on with the wind of contrariety facing her, coming out in pieces, must be exalted: Gintsugi has a series of sweet and powerful weapons to live the present as a will and an attitude.

The Old Scribe will soon write a review on the lyrics: other miracles that make this listening a dutiful and pleasant benefit, above all instructive. In one specific track, we see the feeling emerging that she has learned to draw from a precious source: the track is To Grace, a splendid child of Tori Amos' absurd visionary abilities. Many are the frequentations of her powerful background, but none so decisive: her greatest merit is that she possesses a style of her own, intriguing, overflowing, capable of an unquestionable personal identity. Produced by herself and Andrea Liuzza's label Beautiful Losers (also featured on the album), this feathered vessel is compact, in a momentum that seems to carry behind it trails of smiling tears on a day when everything seems to be subjected to the harsh judgement of a sky full of lightning. Nine explosions with the reins, where everything can go within a film to place its destiny: such a powerful debut will be one of the wonders that will remain in the temporal sphere for the duration of infinity.

I won't write the review song by song, because you can't get inside the wind and because to see a rose bloom you can't put your fingers inside it...

The conviction remains that this is the first true masterpiece in so many years, and to keep it that way, one must be discreet: love it, listen to it, bring it into the centre of our need, but always keep a distance that is called respect, because Gintsugi deserves it more than many others...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

19 Ottobre 2023


Out on 20 October 2023


https://gintsugi.bandcamp.com/album/the-elephant-in-the-room-2




martedì 17 ottobre 2023

La mia Recensione: Drama Emperor - Eden’s Gardens

 Drama Emperor - Eden’s Gardens


Come è gustoso l’inganno che vive segregato nella storia, quello che scivola in ogni anfratto mentale, senza liberatoria. Ci sono, nell’arte e non solo, esempi che certificano questo malaffare, questa sconcezza inaccettabile: dovrebbe essere impedito il fatto che la bellezza non abbia un trono visibile da qualsiasi latitudine.

Le Marche, musicalmente la terra che ha portato alla luce limpidi fuoriclasse come Paul Chain e i suoi Death SS, i Gang, i Soviet Soviet e tanti altri, nel suo grembo fertile e dorato ha spinto nel furibondo panorama musicale anche questa band, della quale il Vecchio Scriba celebra la nuova pubblicazione: un fascio sonoro illuminato da genialità assortite per generare emozioni ad alte quote. Non semplice, non fruibile con agilità, per favorire, da parte dell’ascoltatore, un profondo lavoro di assemblaggio, in quanto il duo composto da Michele Caserta e Cristiano Ballerini sonda continuamente, sin dall'esordio del 2009, ogni resistenza che sia contraria alla programmazione di un impegno preciso per poter decifrare le onde multimagnetiche di cui loro sembrano i generatori benedetti dalla divinità musicale. Sono vagiti elettrici, nei quali la melodia è uno scheletro privo di pelle ma funzionale alla motricità che renda i corpi all’ascolto magneti in attrazione mistica verso un luogo che sembra divenire, episodio dopo episodio, una radura radioattiva, riuscendo a bruciare il superfluo. Indicazioni ne abbiamo avute in questi anni, malgrado la produzione non sia mai stata prolifica: perfetto, perché le ambizioni dei marchigiani non devono entrare in una catena di montaggio. Seminano canzoni come granelli di sabbia nello spazio: laddove, apparentemente, sembra mancare il senso, tutto viene ribaltato da una qualità effervescente, dinamica, coinvolgente.

Due le composizioni nuove che aprono l’E.P., una coppia di assalti con modalità diverse, nello stile, nella velocità, ma entrambe pregne di meravigliosi approcci metafisici. Il nucleo è un approfondimento decisamente intenso rispetto alla provenienza delle loro “antiche” rappresaglie sonore. Se apparentemente si denota l’abbandono di una matrice Post-Punk, per favorire inserimenti di origine elettronica, è necessario però fare i conti con la teatralità, nuovo elemento che pare essere un colpo di genio definitivo. In aggiunta, si noti una orchestrazione che, partendo dalla musica classica, si spinge verso la sperimentazione tedesca della seconda metà degli anni Sessanta: non solo brani con un mantello, ma note che entrano nelle ossa. Spruzzate generose degli anni Ottanta meno ortodossi si palesano soprattutto nei due pezzi finali, con il sistema pericoloso ma in questo caso ben riuscito di due remix.

Il lavoro proposto è una incudine che divide la morbidezza dal gelo: è innegabile che i cavi che si muovono tra le composizioni siano pieni di una potente capacità di indagine, per generare una veloce selezione naturale. Risalta la poderosa propensione, che sia voluta o si tratti di uno splendido incidente poco conta, di assorbire i generi musicali, per stordirli, renderli obiettivi e non doverosamente riconoscibili. Tutto vive di pochi secondi con determinate movenze, per essere poi seguiti da altri che paiono nascondere il recentissimo passato e dileguarsi nel vuoto. Come in una bancarella rovesciata nel fango, così le canzoni arrivano al nostro ascolto: mettendo un magistrale disagevole agio, nel registro emotivo di un ossimoro che paralizza, conquistando.

Il tempo ora lo si riservi alla vicinanza di questi elettrodi pieni di ruggine viola, per assegnare a ogni momento il nostro ruolo…



Song by Song


1 - Eden’s Gardens


Una giostra temporale alla ricerca di un luogo dove seminare immagini e introspezioni, verificando la storia di ogni inganno: questo è il tempio della più grande bugia umana, un giardino che contempla solo il piacere, lasciando il passato alle spalle. La chitarra è feroce, straziante, perché si oppone, mentre la parte vocale è un pianto malinconico, nel quale il perfetto cantato in inglese posiziona gli accenti sulle vocali in modo incantevole. Il drumming cucina i fianchi e l’assolo della sei corde è un sacrificio che spacca quel giardino. La sorprendente orchestrazione classica del finale sembra dipingere un addio nei confronti di ogni illusione. I Death in June, gli Echo & The Bunnymen, e le code sonore dei Kitchens of Distinctions si posizionano nella prima parte e nel coinvolgente ritornello, in piena ammirazione. Ma è il cambio dopo la seconda strofa che rende il tutto sfuggente, sacro, definitivamente perfetto…



2 - Pulse


Nessun dubbio: sul podio delle canzoni più interessanti e atroci di questo fulgido 2023! Pulse è il talento espressivo, l’indagine sonora che parte da un loop assassino, contornata da un brillio di matrice industriale, per poi aprirsi nel momento dell’entrata del canto, che è un vero esercizio di studio, con conseguente laurea. Il tema espressivo è un circuito cacofonico con un recitativo che snerva, toglie le forze e incanta, per via della sua magrezza melodica, inducendo il pensiero a viaggiare nei confini di un labirinto mentale pulsante. Questa è la profonda ricchezza dei due artisti: la strafottenza del compiacimento nello scrivere musica dall’effetto gradevole, per proiettarsi, invece, nel caos lento di trame e spinte psichedeliche, viste da un vetro appannato, che le rendono come una sottile esplosione di un magma che rovista le resistenze. Sublime!



3 - The Ghost In You


Un petalo Darkwave che frequenta le zone calde della Coldwave più puttana e sensuale, vola dentro questo sibilo che richiama alla memoria grandi realtà degli anni Ottanta: Neon e Gaznevada, due eccellenze che amavano creare per esorcizzare la paura della sperimentazione all’interno di quei generi musicali. Sicuramente cupo, introverso, attraente, rende visibile le loro affinità e bisogni.

Ma, e so che qui si aprirà una polemica straordinaria, non riesce a tenere lo sguardo delle prime due, perché più manieristico, meno in grado di mostrare le genialità e le quote visive. Nulla, sia chiaro, che faccia venire al Vecchio Scriba il desiderio del non ascolto: avrebbe pagato di tasca sua nel 1985 per sentire una composizione del genere!



4 - Awake (Soft Rior RMX)


Fate uscire a cena gli Yello, portateli nel porno cinema dei Frankie Goes To Hollywood, e constaterete come questo remix sia un miracolo celestiale: tutto si apre, con continui inserti elettronici a rendere questo esercizio sonoro un ibrido in direzione della follia che diventa una perfetta dance hall. Vivace, il cantato disegna sogni, mentre le scariche vitaminiche dei Synth sono miracoli che fanno arrossire le luci stroboscopiche.



5 - The Final Song (Guido Möbius RMX)


Un leggero dolore frequenta lo spazio mentale: un incipit che vaga nella secchezza di una parola che sbatte su un impianto striminzito ma straordinario, con uno speciale controcanto che richiama Blixa Bargeld in stato catatonico. Una spruzzata di dub e proto-house si inserisce nel circuito della canzone: si è costantemente in nevrotica attesa…


Una dimostrazione di come il tempo possa essere messo sul tavolo di un laboratorio, per progettare un fluido che renda l’eternità superflua: il duo marchigiano ha generato lo stupore che viaggia nei paradisi incantati della perdizione, dove le passioni e i sogni sono splendidi cadaveri da conservare.

 E.P. italiano dell’anno per Musicshockworld!


P.S.

Da rilevare anche lo splendido Artwork dell’artista Francesco Pirro.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

17 Ottobre 2023


https://dramaemperor.bandcamp.com/album/edens-gardens





My Review: Drama Emperor - Eden’s Gardens



Drama Emperor - Eden’s Gardens


How tasty is the deception that lives segregated in history, that which slips into every mental recess, without release. There are, in art and beyond, examples that certify this malice, this unacceptable filthiness: it should be prevented that beauty has no throne visible from any latitude.

Le Marche, musically the land that has brought to light such limpid champions as Paul Chain and his Death SS, the Gang, Soviet Soviet and many others, in its fertile and golden womb has thrust into the furious musical panorama also this band, whose new release Old Scribe celebrates: a sound beam illuminated by assorted genius to generate emotions at high altitudes. Not simple, not usable with agility, to encourage, on the part of the listener, a profound work of assembly, as the duo composed of Michele Caserta and Cristiano Ballerini has been continually probing, ever since their 2009 debut, every resistance that is contrary to the programming of a precise commitment to be able to decipher the multi-magnetic waves of which they seem to be the generators blessed by the musical divinity.

They are electric vagabonds, in which the melody is a skeleton devoid of skin but functional to the motricity that makes the listening bodies magnets in mystical attraction towards a place that seems to become, episode after episode, a radioactive glade, managing to burn away the superfluous. We have had indications of this in recent years, despite the fact that the production has never been prolific: perfect, because the Marche's ambitions do not have to enter an assembly line. They sow songs like grains of sand in space: where, apparently, there seems to be a lack of meaning, everything is overturned by an effervescent, dynamic, engaging quality.

There are two new compositions that open the E.P., a pair of assaults with different modes, in style, in speed, but both imbued with wonderful metaphysical approaches. The core is a decidedly intense exploration of the provenance of their 'ancient' sonic reprisals. If one apparently denotes the abandonment of a Post-Punk matrix, in favour of insertions of electronic origin, one must however come to terms with the theatricality, a new element that seems to be a definitive stroke of genius.

In addition, one notes an orchestration that, starting from classical music, moves towards the German experimentation of the second half of the sixties: not just songs with a mantle, but notes that enter the bones. Generous sprinklings of the less orthodox eighties are especially evident in the final two pieces, with the dangerous but in this case successful system of two remixes.

The work on offer is an anvil that divides softness from chill: it is undeniable that the cables moving between the compositions are filled with a powerful capacity for investigation, to generate a fast natural selection. The powerful propensity, whether intentional or a splendid accident matters little, to absorb musical genres, to stun them, to make them objective and not dutifully recognisable, stands out. Everything lives for a few seconds with certain movements, only to be followed by others that seem to conceal the very recent past and vanish into the void. As in a stall tipped over in the mud, this is how the songs come to our listening: by putting a masterful uneasy ease, in the emotional register of an oxymoron that paralyses, conquering.

Time is now reserved for the proximity of these electrodes full of purple rust, to assign each moment our role...


Song by Song


1 - Eden's Gardens


A temporal carousel in search of a place to sow images and introspections, verifying the history of every deception: this is the temple of the greatest human lie, a garden that contemplates only pleasure, leaving the past behind. The guitar is fierce, heartbreaking, as it opposes, while the vocal part is a melancholic weeping, in which the perfect English singing places the accents on the vowels in an enchanting way. The drumming cooks the flanks and the six-string solo is a garden-variety sacrifice. The striking classical orchestration of the finale seems to paint a farewell to all illusions. Death in June, Echo & The Bunnymen, and the sound tails of Kitchens of Distinctions are placed in the first part and the enthralling refrain, in full admiration. But it is the change after the second verse that makes the whole thing elusive, sacred, definitively perfect...


2 - Pulse


No doubt: on the podium of the most interesting and atrocious songs of this dazzling 2023! Pulse is the expressive talent, the sonic investigation that starts with a killer loop, surrounded by an industrial shimmer, and then opens up as the song enters, which is a real exercise in study, resulting in a degree. The expressive theme is a cacophonic loop with a recitative that enervates, saps strength and enchants, due to its melodic leanness, inducing thought to travel in the confines of a pulsating mental labyrinth. This is the profound richness of the two artists: the smugness of complacency in writing music to pleasing effect, to project, instead, into the slow chaos of psychedelic textures and thrusts, seen through a tarnished glass, making them sound like a subtle explosion of a magma that ransacks resistance. Sublime!


3 - The Ghost In You


A Darkwave petal that frequents the hot spots of the sluttier and more sensual Coldwave, flies in this hiss that brings to mind great realities of the 1980s: Neon and Gaznevada, two excellences that loved to create to exorcise the fear of experimentation within those musical genres. Certainly dark, introverted, attractive, it makes their affinities and needs visible.

But, and I know that an extraordinary controversy will open up here, it fails to hold the gaze of the first two, because it is more mannered, less able to show the visual genius and quotas. Nothing, let's be clear, that would make the Old Scribe wish not to listen: he would have paid out of his own pocket in 1985 to hear such a composition!



4 - Awake (Soft Rior RMX)


Take Yello out to dinner, take them to the porn cinema of Frankie Goes To Hollywood, and you will see how this remix is a celestial miracle: everything opens up, with continuous electronic inserts making this sonic exercise a hybrid in the direction of madness that becomes a perfect dance hall. Lively, the vocals draw dreams, while the vitaminic Synth discharges are miracles that make strobe lights blush.


5 - The Final Song (Guido Möbius RMX)


A slight ache frequents the mental space: an incipit that wanders in the dryness of a word that bangs on a shrill but extraordinary system, with a special counter-song that recalls Blixa Bargeld in a catatonic state. A sprinkling of dub and proto-house enters the song's circuit: one is constantly in neurotic anticipation...


A demonstration of how time can be put on the table in a laboratory, to design a fluid that makes eternity superfluous: the duo from the Marche has generated the astonishment that travels in the enchanted paradises of perdition, where passions and dreams are splendid corpses to be preserved.

 Italian E.P. of the year for Musicshockworld!


P.S.

Also of note is the splendid artwork by artist Francesco Pirro.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

17th October 2023


https://dramaemperor.bandcamp.com/album/edens-gardens





La mia Recensione: Auge - Spazi Vettoriali

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