martedì 17 ottobre 2023

La mia Recensione: Drama Emperor - Eden’s Gardens

 Drama Emperor - Eden’s Gardens


Come è gustoso l’inganno che vive segregato nella storia, quello che scivola in ogni anfratto mentale, senza liberatoria. Ci sono, nell’arte e non solo, esempi che certificano questo malaffare, questa sconcezza inaccettabile: dovrebbe essere impedito il fatto che la bellezza non abbia un trono visibile da qualsiasi latitudine.

Le Marche, musicalmente la terra che ha portato alla luce limpidi fuoriclasse come Paul Chain e i suoi Death SS, i Gang, i Soviet Soviet e tanti altri, nel suo grembo fertile e dorato ha spinto nel furibondo panorama musicale anche questa band, della quale il Vecchio Scriba celebra la nuova pubblicazione: un fascio sonoro illuminato da genialità assortite per generare emozioni ad alte quote. Non semplice, non fruibile con agilità, per favorire, da parte dell’ascoltatore, un profondo lavoro di assemblaggio, in quanto il duo composto da Michele Caserta e Cristiano Ballerini sonda continuamente, sin dall'esordio del 2009, ogni resistenza che sia contraria alla programmazione di un impegno preciso per poter decifrare le onde multimagnetiche di cui loro sembrano i generatori benedetti dalla divinità musicale. Sono vagiti elettrici, nei quali la melodia è uno scheletro privo di pelle ma funzionale alla motricità che renda i corpi all’ascolto magneti in attrazione mistica verso un luogo che sembra divenire, episodio dopo episodio, una radura radioattiva, riuscendo a bruciare il superfluo. Indicazioni ne abbiamo avute in questi anni, malgrado la produzione non sia mai stata prolifica: perfetto, perché le ambizioni dei marchigiani non devono entrare in una catena di montaggio. Seminano canzoni come granelli di sabbia nello spazio: laddove, apparentemente, sembra mancare il senso, tutto viene ribaltato da una qualità effervescente, dinamica, coinvolgente.

Due le composizioni nuove che aprono l’E.P., una coppia di assalti con modalità diverse, nello stile, nella velocità, ma entrambe pregne di meravigliosi approcci metafisici. Il nucleo è un approfondimento decisamente intenso rispetto alla provenienza delle loro “antiche” rappresaglie sonore. Se apparentemente si denota l’abbandono di una matrice Post-Punk, per favorire inserimenti di origine elettronica, è necessario però fare i conti con la teatralità, nuovo elemento che pare essere un colpo di genio definitivo. In aggiunta, si noti una orchestrazione che, partendo dalla musica classica, si spinge verso la sperimentazione tedesca della seconda metà degli anni Sessanta: non solo brani con un mantello, ma note che entrano nelle ossa. Spruzzate generose degli anni Ottanta meno ortodossi si palesano soprattutto nei due pezzi finali, con il sistema pericoloso ma in questo caso ben riuscito di due remix.

Il lavoro proposto è una incudine che divide la morbidezza dal gelo: è innegabile che i cavi che si muovono tra le composizioni siano pieni di una potente capacità di indagine, per generare una veloce selezione naturale. Risalta la poderosa propensione, che sia voluta o si tratti di uno splendido incidente poco conta, di assorbire i generi musicali, per stordirli, renderli obiettivi e non doverosamente riconoscibili. Tutto vive di pochi secondi con determinate movenze, per essere poi seguiti da altri che paiono nascondere il recentissimo passato e dileguarsi nel vuoto. Come in una bancarella rovesciata nel fango, così le canzoni arrivano al nostro ascolto: mettendo un magistrale disagevole agio, nel registro emotivo di un ossimoro che paralizza, conquistando.

Il tempo ora lo si riservi alla vicinanza di questi elettrodi pieni di ruggine viola, per assegnare a ogni momento il nostro ruolo…



Song by Song


1 - Eden’s Gardens


Una giostra temporale alla ricerca di un luogo dove seminare immagini e introspezioni, verificando la storia di ogni inganno: questo è il tempio della più grande bugia umana, un giardino che contempla solo il piacere, lasciando il passato alle spalle. La chitarra è feroce, straziante, perché si oppone, mentre la parte vocale è un pianto malinconico, nel quale il perfetto cantato in inglese posiziona gli accenti sulle vocali in modo incantevole. Il drumming cucina i fianchi e l’assolo della sei corde è un sacrificio che spacca quel giardino. La sorprendente orchestrazione classica del finale sembra dipingere un addio nei confronti di ogni illusione. I Death in June, gli Echo & The Bunnymen, e le code sonore dei Kitchens of Distinctions si posizionano nella prima parte e nel coinvolgente ritornello, in piena ammirazione. Ma è il cambio dopo la seconda strofa che rende il tutto sfuggente, sacro, definitivamente perfetto…



2 - Pulse


Nessun dubbio: sul podio delle canzoni più interessanti e atroci di questo fulgido 2023! Pulse è il talento espressivo, l’indagine sonora che parte da un loop assassino, contornata da un brillio di matrice industriale, per poi aprirsi nel momento dell’entrata del canto, che è un vero esercizio di studio, con conseguente laurea. Il tema espressivo è un circuito cacofonico con un recitativo che snerva, toglie le forze e incanta, per via della sua magrezza melodica, inducendo il pensiero a viaggiare nei confini di un labirinto mentale pulsante. Questa è la profonda ricchezza dei due artisti: la strafottenza del compiacimento nello scrivere musica dall’effetto gradevole, per proiettarsi, invece, nel caos lento di trame e spinte psichedeliche, viste da un vetro appannato, che le rendono come una sottile esplosione di un magma che rovista le resistenze. Sublime!



3 - The Ghost In You


Un petalo Darkwave che frequenta le zone calde della Coldwave più puttana e sensuale, vola dentro questo sibilo che richiama alla memoria grandi realtà degli anni Ottanta: Neon e Gaznevada, due eccellenze che amavano creare per esorcizzare la paura della sperimentazione all’interno di quei generi musicali. Sicuramente cupo, introverso, attraente, rende visibile le loro affinità e bisogni.

Ma, e so che qui si aprirà una polemica straordinaria, non riesce a tenere lo sguardo delle prime due, perché più manieristico, meno in grado di mostrare le genialità e le quote visive. Nulla, sia chiaro, che faccia venire al Vecchio Scriba il desiderio del non ascolto: avrebbe pagato di tasca sua nel 1985 per sentire una composizione del genere!



4 - Awake (Soft Rior RMX)


Fate uscire a cena gli Yello, portateli nel porno cinema dei Frankie Goes To Hollywood, e constaterete come questo remix sia un miracolo celestiale: tutto si apre, con continui inserti elettronici a rendere questo esercizio sonoro un ibrido in direzione della follia che diventa una perfetta dance hall. Vivace, il cantato disegna sogni, mentre le scariche vitaminiche dei Synth sono miracoli che fanno arrossire le luci stroboscopiche.



5 - The Final Song (Guido Möbius RMX)


Un leggero dolore frequenta lo spazio mentale: un incipit che vaga nella secchezza di una parola che sbatte su un impianto striminzito ma straordinario, con uno speciale controcanto che richiama Blixa Bargeld in stato catatonico. Una spruzzata di dub e proto-house si inserisce nel circuito della canzone: si è costantemente in nevrotica attesa…


Una dimostrazione di come il tempo possa essere messo sul tavolo di un laboratorio, per progettare un fluido che renda l’eternità superflua: il duo marchigiano ha generato lo stupore che viaggia nei paradisi incantati della perdizione, dove le passioni e i sogni sono splendidi cadaveri da conservare.

 E.P. italiano dell’anno per Musicshockworld!


P.S.

Da rilevare anche lo splendido Artwork dell’artista Francesco Pirro.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

17 Ottobre 2023


https://dramaemperor.bandcamp.com/album/edens-gardens





My Review: Drama Emperor - Eden’s Gardens



Drama Emperor - Eden’s Gardens


How tasty is the deception that lives segregated in history, that which slips into every mental recess, without release. There are, in art and beyond, examples that certify this malice, this unacceptable filthiness: it should be prevented that beauty has no throne visible from any latitude.

Le Marche, musically the land that has brought to light such limpid champions as Paul Chain and his Death SS, the Gang, Soviet Soviet and many others, in its fertile and golden womb has thrust into the furious musical panorama also this band, whose new release Old Scribe celebrates: a sound beam illuminated by assorted genius to generate emotions at high altitudes. Not simple, not usable with agility, to encourage, on the part of the listener, a profound work of assembly, as the duo composed of Michele Caserta and Cristiano Ballerini has been continually probing, ever since their 2009 debut, every resistance that is contrary to the programming of a precise commitment to be able to decipher the multi-magnetic waves of which they seem to be the generators blessed by the musical divinity.

They are electric vagabonds, in which the melody is a skeleton devoid of skin but functional to the motricity that makes the listening bodies magnets in mystical attraction towards a place that seems to become, episode after episode, a radioactive glade, managing to burn away the superfluous. We have had indications of this in recent years, despite the fact that the production has never been prolific: perfect, because the Marche's ambitions do not have to enter an assembly line. They sow songs like grains of sand in space: where, apparently, there seems to be a lack of meaning, everything is overturned by an effervescent, dynamic, engaging quality.

There are two new compositions that open the E.P., a pair of assaults with different modes, in style, in speed, but both imbued with wonderful metaphysical approaches. The core is a decidedly intense exploration of the provenance of their 'ancient' sonic reprisals. If one apparently denotes the abandonment of a Post-Punk matrix, in favour of insertions of electronic origin, one must however come to terms with the theatricality, a new element that seems to be a definitive stroke of genius.

In addition, one notes an orchestration that, starting from classical music, moves towards the German experimentation of the second half of the sixties: not just songs with a mantle, but notes that enter the bones. Generous sprinklings of the less orthodox eighties are especially evident in the final two pieces, with the dangerous but in this case successful system of two remixes.

The work on offer is an anvil that divides softness from chill: it is undeniable that the cables moving between the compositions are filled with a powerful capacity for investigation, to generate a fast natural selection. The powerful propensity, whether intentional or a splendid accident matters little, to absorb musical genres, to stun them, to make them objective and not dutifully recognisable, stands out. Everything lives for a few seconds with certain movements, only to be followed by others that seem to conceal the very recent past and vanish into the void. As in a stall tipped over in the mud, this is how the songs come to our listening: by putting a masterful uneasy ease, in the emotional register of an oxymoron that paralyses, conquering.

Time is now reserved for the proximity of these electrodes full of purple rust, to assign each moment our role...


Song by Song


1 - Eden's Gardens


A temporal carousel in search of a place to sow images and introspections, verifying the history of every deception: this is the temple of the greatest human lie, a garden that contemplates only pleasure, leaving the past behind. The guitar is fierce, heartbreaking, as it opposes, while the vocal part is a melancholic weeping, in which the perfect English singing places the accents on the vowels in an enchanting way. The drumming cooks the flanks and the six-string solo is a garden-variety sacrifice. The striking classical orchestration of the finale seems to paint a farewell to all illusions. Death in June, Echo & The Bunnymen, and the sound tails of Kitchens of Distinctions are placed in the first part and the enthralling refrain, in full admiration. But it is the change after the second verse that makes the whole thing elusive, sacred, definitively perfect...


2 - Pulse


No doubt: on the podium of the most interesting and atrocious songs of this dazzling 2023! Pulse is the expressive talent, the sonic investigation that starts with a killer loop, surrounded by an industrial shimmer, and then opens up as the song enters, which is a real exercise in study, resulting in a degree. The expressive theme is a cacophonic loop with a recitative that enervates, saps strength and enchants, due to its melodic leanness, inducing thought to travel in the confines of a pulsating mental labyrinth. This is the profound richness of the two artists: the smugness of complacency in writing music to pleasing effect, to project, instead, into the slow chaos of psychedelic textures and thrusts, seen through a tarnished glass, making them sound like a subtle explosion of a magma that ransacks resistance. Sublime!


3 - The Ghost In You


A Darkwave petal that frequents the hot spots of the sluttier and more sensual Coldwave, flies in this hiss that brings to mind great realities of the 1980s: Neon and Gaznevada, two excellences that loved to create to exorcise the fear of experimentation within those musical genres. Certainly dark, introverted, attractive, it makes their affinities and needs visible.

But, and I know that an extraordinary controversy will open up here, it fails to hold the gaze of the first two, because it is more mannered, less able to show the visual genius and quotas. Nothing, let's be clear, that would make the Old Scribe wish not to listen: he would have paid out of his own pocket in 1985 to hear such a composition!



4 - Awake (Soft Rior RMX)


Take Yello out to dinner, take them to the porn cinema of Frankie Goes To Hollywood, and you will see how this remix is a celestial miracle: everything opens up, with continuous electronic inserts making this sonic exercise a hybrid in the direction of madness that becomes a perfect dance hall. Lively, the vocals draw dreams, while the vitaminic Synth discharges are miracles that make strobe lights blush.


5 - The Final Song (Guido Möbius RMX)


A slight ache frequents the mental space: an incipit that wanders in the dryness of a word that bangs on a shrill but extraordinary system, with a special counter-song that recalls Blixa Bargeld in a catatonic state. A sprinkling of dub and proto-house enters the song's circuit: one is constantly in neurotic anticipation...


A demonstration of how time can be put on the table in a laboratory, to design a fluid that makes eternity superfluous: the duo from the Marche has generated the astonishment that travels in the enchanted paradises of perdition, where passions and dreams are splendid corpses to be preserved.

 Italian E.P. of the year for Musicshockworld!


P.S.

Also of note is the splendid artwork by artist Francesco Pirro.


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

17th October 2023


https://dramaemperor.bandcamp.com/album/edens-gardens





domenica 15 ottobre 2023

La mia Recensione: White Rose Transmission - 700 Miles of Desert

White Rose Transmission - 700 Miles of Desert


Foglie, sterpaglie, avvisaglie, schermaglie.

La radura è folta, un fascio ombroso illumina l’emisfero del pensiero.

La musica permette di annullare la morte, di lasciare in vita le persone, con quello che hanno fatto. 

Il secondo album del duo Adrian Borland e Carlo van Putten allarga i confini, accoglie musicisti in grado di aumentare le possibilità artistiche di questi illuminati pensatori e creatori di nuove stelle da ascoltare e ammirare. Un lavoro che fa male a posteriori, se si valuta cosa è accaduto al regista dei Sound, ma, se adoperiamo ciò che si è letto nelle righe precedenti, anche un benessere, un senso di quiete e di pace ci avvolge, attraverso la dolcezza di un apparato creativo in grado di seminare novità, modalità e grandi battiti pieni di luce.

Quattordici momenti colmi di fascino, in una sfera sad pop che non deprime bensì regala un viaggio all’interno di un testamento scritto con un sorriso e una pacca sulla spalla da parte di Adrian: Carlo raccoglie (ignaro, al tempo) quella confidenza che affermava che nel terzo disco i testi li avrebbe scritti l’ex leader dei Convent. Nel fitto progetto di ciò che ascoltiamo ci rendiamo conto che ascoltiamo musica e non canzoni: nulla è lasciato con l’intenzione di raccogliere consensi, in un piano di ruffianeria estrema, ma incontriamo piuttosto un allargare l’amore, la necessità e la progettualità per tastare il polso ai propri nervi, nella foresta di misteri avvolti e protetti dallo stile, dalla curiosità e dalla volontà di rendere infinito il piacere di veder colorare il tutto con una tinta lucida. Il fatto che si rende maggiormente evidente è quello di essere storditi, confusi, mai certi di quale sia stato il carico di sofferenza di Borland: si teme che sia stato un lascito come un testamento, e in questo caso le lacrime scendono senza arresto. Se invece si immagina questo secondo appuntamento discografico a nome White Rose Transmission come la maniera di trovare conforto, leggerezza, sfogo, distrazione o quant’altro, allora ci potrebbe scappare un sorriso e un abbraccio di ringraziamento.

Certamente, per tutti i sessantaquattro minuti rimane fissa nella mente che la direzione dei generi sia più ampia ma con la volontà di far rimanere il tutto come un profondo respiro, quasi silenzioso. 

Il contributo di Rolf Kirschbaum, quello di Mark Burgess, come quello di David Maria Grams e la voce di Claudia Uman regalano la gioia di sentire una band di amici in una sala prove, mentre tutto scivola dentro il pentagramma. Compatto, dilatato, aperto, lasciando  l’ingresso aperto ad alcuni timori, 700 Miles of Desert è un gioiello che non usa maniere forti per mostrarsi, perché pare entrare quasi di nascosto nell’impianto stereo con l’intenzione di rimanerci a lungo. 

Getti psichedelici mascherati, schegge di Post-Punk ammaestrate, il brivido dato da un intenso palazzo acustico celato dalle orchestrazioni, confluiscono nella gloria e nella magnificenza di note senza bavagli, in una giornata nella quale la pioggia bacia la nebbia. 

I testi (dodici su quattordici) di Adrian, sono apparentemente i più malinconici di sempre, come se quelle parole avessero abbandonato la bombola dell’ossigeno, in un lungo commiato. Non esistono congedi, moti di rabbia, forme esplosive che possono paralizzare, ma un soffio dolce-amaro per renderci tutti più consapevoli e in grado, con l’ascolto, di non fargli mancare il nostro amore. Profondo, intenso, l’album spazia dentro sorprese continue e il violino di David Maria Grams è un distributore di singhiozzi, nell’assoluta capacità di affiancare l’approccio della musica classica a quella pop.

In Wild Rain il duetto con Claudia Uman è uno schiaffo al rallentatore, un addio della natura nei confronti dell’uomo. Tutto schizza nella direzione del cielo dove i suoni perdono peso.

Pare di vedere la vita entrare nelle trame espressive per tatuarsi nell’indifferenza di chi non ha saputo riconoscere il valore di un percorso artistico iniziato nella seconda metà degli anni settanta: non seminando rancori e tantomeno accuse. Una penna sia limpida che misteriosa, con la solita incredibile voce a suscitare immense suggestioni. Carlo, per tutto l’album, sembra il miglior amico che sa ascoltare, consigliare, ma facendolo sottovoce, senza smanie di protagonismo. Canzoni come garze di velluto che si inchiodano sui tessuti della nostra riflessione, per riparare il dolore da altri disperati atti osceni: tutta la discografia di Adrian e di Carlo ha subito indifferenza da parte della massa, discografica, di critica e del pubblico. 

E poi lei: InBetween Dreams, che da sola riesce ad andare oltre i suoi sette minuti perché il suo mantra è una sinusite, un colpo di tosse che ci tiene costantemente avvinghiati alla sua brutale bellezza. Pare proprio che i pezzi precedenti e quelli successivi siano l’anticipo e il posticipo di un clamoroso miracolo, umano ancor prima che artistico…

Vive per tutta la durata dell’ascolto il battito di una chitarra che sembra morire con l’ultimo brano, ma non è così. 

Non si può negare che il concetto iniziale di queste composizioni fosse quello di un dipinto sulle superfici dei contrasti, dei dolori, ma con il tentativo, l’ultimo, di non negare chilometri di gioia che sono presenti, eccome se lo sono…

La produzione è un altro attestato di classe, in quanto avvolge gli stili e i generi musicali all’interno di un suono, di accordi, di propulsioni perfettamente assemblati, come un coro d’anime che con un’unica vocale ci inchiodano all’ascolto e alla devozione.

Gli scheletri dell’anima, perfettamente messi davanti al nostro sentire, durante Desert Bones, sembrano uscire da un viaggio psichedelico dei Doors con il supporto di Ennio Morricone, per un brano che scalcia via ogni gioia.

Con The Swimmer, testo di Carlo e musica di Florian Bratmann, siamo nei pressi di una danza elettronica che si intinge nella musica classica, con echi dei Church e dei Psychedelic Furs: un’ulteriore chicca che si stampa dentro il nostro stupore.

La canzone preferita del Vecchio Scriba, di cui è già stata descritta la grandezza, si presenta qui non in versione acustica ma in quella elettrica: Walking In The Opposite Direction è semplicemente la summa di tutto il pulsare emotivo e intellettuale dell’artista nativo di Hampstead, uno strappo carnale tra le ali di angeli che proteggono la sua aura vitale. Un capolavoro che bagna tutte le piume del mondo con il suo respiro lacrimevole…

Stando attenti ci si accorge che c’è un molto che si palesa, un poco che si nasconde, un mix perfetto di equilibri e squilibri che nella strada dell’estate di questo gruppo riesce a camminare nella direzione giusta: consentire a ciò che è contrario alla vita di essere dentro, di partecipare a quella che oggi è la celebrazione dell’ultimo lavoro in vita di Adrian.

Lasciate ogni modalità per poter ascoltare musica su questo album e date all’infinito la possibilità e il dovere di rimanere su queste quattordici ali: il volo perfetto abbisogna della perfetta colonna sonora ed è proprio qui…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

15 Ottobre 2023


https://spotify.link/AnW7u9U3UDb




 

My Review: White Rose Transmission - 700 Miles of Desert

White Rose Transmission - 700 Miles of Desert


Leaves, brushwood, sightings, skirmishes.

The clearing is thick, a shadowy beam illuminates the hemisphere of thought.

Music makes it possible to undo death, to leave people alive with what they have done. 

The second album by the duo Adrian Borland and Carlo van Putten expands boundaries, welcomes musicians who can increase the artistic possibilities of these enlightened thinkers and creators of new stars to listen to and admire. A work that hurts in retrospect, if we evaluate what happened to the director of the Sound, but, if we adopt what has been read in the previous lines, also a well-being, a sense of quiet and peace envelops us, through the sweetness of a creative apparatus capable of sowing novelties, modes and great light-filled beats.

Fourteen moments filled with charm, in a sad pop sphere that does not depress but rather gives a journey inside a will written with a smile and a pat on the back by Adrian: Carlo picks up (unaware, at the time) that confidence that stated that in the third disc the lyrics would be written by the former Convent leader.

In the dense design of what we listen to, we realize that we are listening to music and not songs: nothing is left with the intention of garnering acclaim, in a plan of extreme pandering, but rather we encounter a broadening of love, necessity and planning to test the pulse of one's nerves, in the forest of mysteries shrouded and protected by style, curiosity and the will to make infinite pleasure of seeing everything coloured with a glossy hue. The fact that becomes most apparent is that of being stunned, confused, never sure what Borland's burden of suffering was: one fears that it was a bequest like a will, and in this case the tears flow without stopping. If, on the other hand, one imagines this second discographic appointment in the name of White Rose Transmission as the way to find solace, lightness, venting, distraction or whatever, then there might escape a smile and a hug of thanks.

Certainly, for the entire sixty-four minutes it remains fixed in the mind that the direction of genres is broader but with a willingness to make the whole thing remain as a deep, almost silent breath. 

Rolf Kirschbaum's contribution, Mark Burgess's, as well as David Maria Grams's and Claudia Uman's vocals give the joy of hearing a band of friends in a rehearsal room as everything slides into the stave. Compact, dilated, open-ended, leaving the entrance open to some apprehension, 700 Miles of Desert is a gem that uses no strong manners to show itself, as it seems to almost sneak into the stereo system with the intention of staying there for a long time. 

Masked psychedelic jets, splinters of trained Post-Punk, the thrill given by an intense acoustic palace concealed by orchestrations, converge in the glory and magnificence of gagless notes, on a day in which rain kisses fog.

Adrian's lyrics (twelve out of fourteen), are apparently the most melancholy ever, as if those words had left the oxygen tank, in a long farewell. There are no leave-behinds, no angry outbursts, no explosive forms that can paralyse, but a bittersweet breath to make us all more aware and able, with listening, not to let them miss our love. Deep, intense, the album ranges within continuous surprises, and David Maria Grams' violin is a distributor of sobs, in the absolute ability to place side by side the approach of classical and pop music.

In Wild Rain the duet with Claudia Uman is a slow-motion slap in the face, a farewell of nature to man. Everything splashes in the direction of the sky where sounds lose weight.

It seems to see life enter the expressive textures to tattoo itself in the indifference of those who have failed to recognize the value of an artistic journey that began in the second half of the 1970s: not sowing grudges, much less accusations. A pen both limpid and mysterious, with the usual incredible voice to arouse immense suggestions.

Carlo, throughout the album, seems like the best friend who knows how to listen, how to advise, but doing it in a whisper, without any craving for the limelight. Songs like velvet gauzes that nail themselves to the tissues of our reflection, to mend the pain from other desperate acts of obscenity: all of Adrian's and Carlo's discography has suffered indifference from the masses, record, critics and the public. 

And then her: InBetween Dreams, which alone manages to go beyond its seven minutes because its mantra is a sinusitis, a coughing fit that keeps us constantly clinging to its brutal beauty. It really seems that the preceding and following pieces are the anticipation and postponement of a resounding miracle, human even before it is artistic....

It lives for the duration of listening the beat of a guitar that seems to die with the last track, but it does not.

There is no denying that the initial concept of these compositions was that of a painting on the surfaces of contrasts, of sorrows, but with an attempt, the last one, not to deny miles of joy that are present, and how very present they are...

The production is another attestation of class, as it wraps musical styles and genres within a perfectly assembled sound, chords, propulsions, like a chorus of souls that with a single voice nail us to listening and devotion.

The skeletons of the soul, perfectly placed before our hearing, during Desert Bones, seem to come out of a Doors psychedelic trip with Ennio Morricone backing, for a song that kicks away all joy.

With The Swimmer, lyrics by Carlo and music by Florian Bratmann, we are in the vicinity of an electronic dance that dips into classical music, with echoes of Church and the Psychedelic Furs: yet another gem that prints itself inside our awe.

The Old Scribe's favorite song, whose greatness has already been described, is presented here not in an acoustic version but in an electric one: Walking In The Opposite Direction is simply the summa of all the Hampstead artist's emotional and intellectual pulse, a carnal tear between the wings of angels protecting his vital aura. A masterpiece that wets all the feathers of the world with its tearful breath...

Being careful one realises that there is a lot that is apparent, a little that is hidden, a perfect mix of balances and imbalances that in this group's summer road manages to walk in the right direction: to allow what is contrary to life to be inside, to participate in what is now the celebration of Adrian's last living work.

Leave every mode to be able to listen to music on this album and give infinity the chance and the duty to stay on these fourteen wings: perfect flight needs the perfect soundtrack and it is right here...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

15th October 2023


https://spotify.link/YVWa19Q3UDb










La mia Recensione: Auge - Spazi Vettoriali

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