giovedì 2 marzo 2023

La mia Recensione: Cult Strange - Conjuring Feral Angels

 

Cult Strange - Conjuring Feral Angels


Le lame più taglienti dell’anima sono tornate per infettare, stordire, condannare, separare, infliggere punizioni, con il loro suono che è il castigo degli Dèi del male che si sono stancati di tutta questa ipocrisia.

I Cult Strange esordirono nel 2020 con un EP di quattro lucide rappresaglie sonore che si intitolava Rites of Passage, una discarica tiepida i cui vapori ancora oggi fuoriescono dalle cantine delle nostre paure.

Il quartetto capitanato da Aleph Omega compie un percorso bellico, tra la pelle conosciuta del Deathrock, massima espressione di contatto con le cellule morte dei nostri capricci vitali, e le scintille del Gothic Rock sapientemente tenute sotto controllo, per non interferire con i messaggi, perché ad ogni genere musicale tocca un lavoro e un rispetto delle regole. L’album è aggressivo, corale, una massa di acciaio che ci butta nella dancefloor umida, grondante di sale e peccati. Le chitarre sono le schiave del dolore, portatrici malefiche del dubbio che muore in fretta, che non cerca ascolto ma ottiene riverenza e lo fa giocoforza, visto che la penna di Aleph è giustamente votata a portare le volgarità e le ingiustizie dentro le nostre vene. 

Non sono però solo legate all’impianto del Deathrock: sono chitarre che, malgrado le tonnellate di liquidi languidi, si muovono con destrezza, tra effetti e modalità che spaziano e che hanno la peculiarità di generare una attitudine totalmente americana all’interno del polmone del mondo. Le ritmiche sono pesanti, boomerang di veleno che fendono l’aria per colpirci, tramortirci, finirci. 

Il basso è il Re dell’amianto, uscito da Oakland, per andare a urtare duramente le anime così troppo legate agli anni ’80: qui nulla è banale e quelle dita sanno essere diamanti sanguigni che sporcano non solo il manico dello strumento ma soprattutto i nostri ascolti. Come rabdomante, trova la poesia cattiva, da educare al peggioramento, come vendetta, come soddisfazione pulsante senza intenzione di fermarsi.

Con il miglior batterista a disposizione di cosa volete parli il vecchio scriba? Il gioco, il connubio dei quattro musicisti tende a fare del ritmo la sorella gemella di melodie strazianti e il drumming è ciò che risalta di più perché è proprio la complessità della modalità con cui si esprime che fa emergere, oltre a doti tecniche ineccepibili, un mare nero inquinante, avendo il movimento di quelle onde cupe, piene di grazia maligna. A volte entra nell’Hardcore, nel Metal, in un crossover continuo che ammalia, spiazza, incuriosisce, di certo stordisce. Come se una pulsione interiore si impadronisse di quelle braccia e di quei piedi per creare una tribalità a cui non ci si può opporre.

Le illusioni, le velleità e i capricci vengono elencati per essere congedati con veemenza, e i desideri sono messi sotto la lente di ingrandimento per poter essere derisi e uccisi, amen.

La produzione è in grado di sintetizzare la passione, lo studio di brani complessi ma dalla abilità anche di generare una spavalda immediatezza, corrosiva e spesso disarmante, finendo per produrre incanto e timore, in un range stilistico in cui il suono è il governatore dello spazio e le parole fedeli sudditi capaci di materializzare concetti e propensioni con la bava alla bocca.

C’è una intenzione evidente di disintegrare, di colpire il vuoto culturale, di essere semi radioattivi in opposizione, di dare sprangate alla terra per eliminare l’equilibrio del nostro sterile cammino, di raccontare sì delle storie, ma all’interno di precise elucubrazioni che vogliono asserire, dividere, espletare il percorso della individuazione di una realtà incapace e votata alla più becera decadenza.

Un album che non rappresenta una città, un genere musicale, ma la meticolosa intenzione di prendere delle posizioni, di creare decisioni comportamentali, dove il buio della notte è quello di un mondo che ha perso la bussola, l’identità e la predisposizione a essere gioia. Ma, vi sembrerà strano in questo contesto, questo lavoro ne produce in quanto esistono piani di consapevolezza, ci sono distacchi che sono stati decisi e il vero benessere che comporta è quello di indossare l’intelligenza e di essere anime che escono dalla cripta del vizio per dare un senso più maturo all’esistenza.

Canzoni come un crepitio ineludibile, l’appuntamento con l’impianto magmatico di un processo che non concede favoritismi, ma alza l’indice per sparare giudizi precisi, tra le ombre dei vapori di musiche collegate direttamente al fallimento umano.

Ci ritroviamo così, inevitabilmente, con un rosario, una testimonianza dello sfacelo che i Cult Strange rappresentano come figli designati di Sua Maestà Rozz Williams. Con lui esistono sicuramente delle differenze, ma in comune hanno il potere di regalare smarrimento e una ragionevole preoccupazione per la nostra esistenza. 

Sul piano della scrittura, l’analisi dei testi induce a credere che ogni fascinazione nei confronti della paura e dei desideri abbia trovato il perfetto luogo di appartenenza, regalando agilità e convinzione, per un risultato che è all’interno del nostro ascolto: parole come lapidi, lapidi come parole mute.

Alla fine siamo anime piene di terra, sfocate, come la splendida copertina, che descrive perfettamente come le nostre identità siano appannate, sfumate, dai contorni incerti, con il corpo infangato e destinato all'essiccamento, come l’appuntamento con la perdita di ogni ragione. Non rimane davvero che invocare, senza tentennamenti, gli angeli feroci perché loro per primi non sono riusciti a sfuggire al destino, il figlio maledetto dal ghigno diabolico…

La band ha compiuto un notevole lavoro di amalgama e di continuità per stabilire e determinare una posizione di forza, magicamente intrisa di esplosioni sonore, drammi quotidiani musicati, visioni che contorcono le budella e rendono il cervello un groviglio graffiante di pensieri. Concludendo: se niente è indispensabile è bene saperlo, conoscerlo, e questo disco aiuta a visualizzare le discariche mentali che conserviamo inconsapevolmente, perché schiavi del vizio e del mercato, di attitudini che i Cult Strange ci sputano saggiamente sul volto. Non vi resta che strozzare la stupidità con Conjuring Feral Angels: sarete ripuliti, disinfettati e leggeri, con le piume di petrolio libere di alzarsi in volo.

Deathrock album del 2023 per il vecchio scriba: penso possa bastarvi…


Song by Song


1 Prologue


Spetta a una donna dal crooning diabolico dare il benvenuto e avvisarci che stiamo per incontrare degli angeli feroci, con echi e riverberi e uno scenario che evoca spiriti in combutta.


2 Slave To The Algorithm 


L’inizio del brano è micidiale: chitarra tesa a cacciare le ombre in un brutto guaio perché lei non ha paura di sicuro. 

Esiste una quota di malvagità che sconvolge, con il cantato che è una processione, supportata dagli altri tre musicisti: prendi i New York Dolls dal lato senza sole e gettali nel basso rotolante e nelle chitarre sontuose e perverse e tutto sarà chiaro.

Alla batteria resta solo il compito di frustare quelle povere ombre che muoiono senza aver creduto possibile tutto questo. Come opener track è perfetta: se l’inizio può essere di derivazione glam rock, ti rendi presto conto che tutto dilaga in splendide divagazioni dissonanti.


3 A rose Of Chaos


Un drumming spavaldo, uscito da una cantina piena di polvere degli anni 70, apre la danza sbilenca e accattivante.

Poi la voce e la chitarra sposano un’idea di rito grondante Deathrock di purissima classe.

Puoi udire echi di Germs e Consumers a dare ispirazione involontaria a questa corsa a pestare le rose nel chaos: aleggia continuamente l’idea che anche i Virgin Prunes soffino qui tutta la loro follia, specialmente nella modalità del cantato. E che un fare macabro - esoterico sia il sovrano di questa chicca assoluta.


4 De Auro Rubeo


Uno schiaffo Gothic Rock iniziale, quindi si entra nella zona Deathrock con un ritornello dalla voce baritonale/sepolcrale di grande suggestione, con la sensuale accelerazione del ritmo. Poi è nebbia, lenta, e il recitativo di Aleph, la chitarra maligna di Rodney Horihata, il basso atomico di Buz Deadwax e il drumming sanguigno di Andrej Pavarotten stravolgono l’atmosfera per rendere gelida la città degli angeli. Il ritmo ritorna ad accelerare e il delirio è completo. 



5 Hungry Skin


Lo sciamano sobilla i coraggiosi nei primi secondi del brano, il basso e la chitarra guardano ai maligni semi dei Black Sabbath e tutto si fa concentrico, una melodia tenebrosa si affaccia nel ritornello tra fiammate siderurgiche delle chitarre, che con note tremanti soffocano l’ascolto. Che la sensualità abbia il vestito della Dea Eris e punisca le violazioni di domicilio dei pensieri più puri. Il cantato verso il finale, ripetuto, dona piacevolezza ai nervi vibranti.


6 New World Ordeal


Buz si allea agli angeli feroci con un basso micidiale ad aprire il brano, una cavalcata gotica che annette il drumming tribale di Andrej. Le chitarre vibrano dentro cerimoniali Deathrock e sono sciabolate metalliche nel tempio della dispersione, il mondo svela il suo calvario e si torna, felicemente, nella Los Angeles degli anni ’80 con l'eyeliner nei pensieri. Il chaos si mette il vestito più bello, correndo dentro questi minuti di tenaglie arrugginite.


7 Blood Seed Sister


La chitarra sparge veleno, contorce l’aria e lascia al cantato il modus operandi che è un recitativo che concede spazio alla musica, tra altalene di registri vocali che arrivano al gutturale. Come per tutto l’album, anche qui assistiamo a cambiamenti ritmici, di scenari, a ferite continue. I desideri diventano reclami, invocazioni, riti da completare.


8 Restraints


Il ritmo torna veloce, ma una insospettabile linea melodica morbida ospita il torbido del testo che viene cantato come una cometa in cerca di una carezza. Il basso e la chitarra danzano però con ferocia, mentre le chitarre si incrociano come serpenti dalla testa doppia. Tra Gothic e Darkwave che fanno capolino, la canzone mostra un lato nuovo ed interessante dei Cult Strange.


9 Sages Of Djiin 


Abbiamo nel nono brano l’impressione che il basso e la chitarra siano i semi lanciati in aria dai Red Lorry Yellow Lorry, elaborati e sacrificati ma comunque presenti. 

Ma è solo una piccola frazione: esistono quote di purezza e unicità nel fare di questa canzone un manifesto di un genere musicale in evoluzione. È un feticcio di estremo valore che è a disposizione di chi non trema innanzi alle idee di dissotterrare spoglie mortali.


10 Torn Desire


Il tempo del delirio totale è giunto, il momento del desiderio più grottesco che spinge le menti verso le porte dell’inferno è qui, in queste voluminose varianti, dove tutto è ossigeno che brucia nel basso che ricorda i Virgin Prunes.

 Le rullate della batteria devono tanto al Post-Punk, e poi c’è lei, la maligna forma Deathrock a rendere epocale il brano.


11 Hex/Pox/Vex


Un basso melodico più che mai è pronto ad ingannarci: tutto diventa stridore, lame a scendere nei polmoni, le voci raddoppiate e i Sex Gang Children a benedire il tutto.

E Aleph a rendere Peter Murphy un sacerdote malvagio.

Lo shock è dato da un brutale atteggiamento nel creare una cavalcata spavalda e menefreghista per uccidere ogni bagliore di luce.

Maestosa, offre elementi di eleganza nella sua attitudine a divenire l’apoteosi che esalta i residenti delle tenebre.


12 Epilogue


Questa volta tocca a voci maschili a concludere l’album, tra liquami elettronici e voci imbalsamate e spettrali. Sono vapori di addio, il saluto senza replica che chiude un disco di esordio semplicemente perfetto.


13 New World Ordeal (Smoke And Mirror Remix)


Questa versione offre ai Cult Strange la possibilità di tornare alle dinamiche dei Remix degli anni ’80, per giocare con l'alternanza degli strumenti,  per rendere il brano una piacevole lunga agonia.


14 Sages Of Djinn (War Engine Remix)


Il remix di Sages Of Djinn è un sudario, un calvario, un gioco mefistofelico di voci piene di echi, il drumming e il basso che lavorano duro e le chitarre che quando arrivano danno un senso diverso rispetto all’originale. I Killing Joke possono essere felici: dall'altra parte dell’oceano c’è chi, come loro, sa tagliare in due il cielo.


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
3 Marzo 2023





My Review: Cult Strange - Conjuring Feral Angels

 

Cult Strange - Conjuring Feral Angels


The sharpest blades of the soul are back to infect, stun, condemn, separate, inflict punishment, with their sound which is the punishment of the gods of evil who have grown tired of all this hypocrisy.

Cult Strange made their debut in 2020 with an EP of four lucid sonic reprisals entitled Rites of Passage, a lukewarm dump whose vapours still rise from the cellars of our fears.

The quartet led by Aleph Omega take a warlike path, among the known skin of Deathrock, the ultimate expression of contact with the dead cells of our vital whims, and the sparks of Gothic Rock wisely kept under control, so as not to interfere with the messages, because every musical genre has its work and respect for the rules. The album is aggressive, choral, a mass of steel that throws us on the wet dancefloor, dripping with salt and sin. The guitars are the slaves of pain, evil bearers of the doubt that dies fast, that does not seek to be heard but obtains reverence, and it does so inevitably, given that Aleph's pen is rightly devoted to bringing vulgarity and injustice into our veins.

However, they are not only related to the Deathrock system: they are guitars that, despite the tons of languid liquids, move with dexterity, amongst effects and modes which range and have the peculiarity of generating a totally American attitude within the lungs of the world. The rhythms are heavy, boomerangs of venom that cleave the air to hit us, knock us down, finish us off. 

The bass is the king of asbestos, coming out of Oakland to irritate all souls who are way too attached to the 80s: here nothing is trivial and those fingers know how to be blood diamonds which dirty not only the handle of the instrument but above all our listening. As a diviner, he finds the bad poetry, that has to be educated to deterioration, as revenge, as pulsating satisfaction with no intention of stopping.

With the best available drummer, what do you want the old scribe to talk about? The game, the union of the four musicians tends to make rhythm the twin sister of harrowing melodies, and the drumming is what stands out the most because it is precisely the complexity of the way he expresses himself that brings out, in addition to impeccable technical skills, a polluting black sea, having the movement of those dark waves, full of malignant grace. At times he enters Hardcore, Metal, in a continuous crossover that bewitches, displaces, intrigues, certainly stuns. As if an inner drive takes over those arms and feet to create a tribality you cannot oppose.

Illusions, velleities and whims are listed to be vehemently dismissed, and desires are put under the magnifying glass to be mocked and killed, amen.

The production is able to summarise passion, the study of complex tracks but also the ability to generate a swaggering, corrosive and often disarming immediacy, ending up producing enchantment and awe, in a stylistic range where sound is the governor of space and words faithful subjects capable of materialising concepts and propensities with froth at the mouth.

There is an evident intention to disintegrate, to hit the cultural void, to be radioactive seeds in opposition, to beat up the earth to eliminate the balance of our sterile path, to tell stories, yes, but within precise lucubrations that want to assert, to divide, to carry out the process of the identification of a reality incapable and devoted to the most boorish decadence.

An album that does not represent a city, a genre of music, but the meticulous intention to take positions, to create behavioural decisions, where the darkness of the night is that of a world that has lost its compass, its identity and its predisposition to be joy. But, it may seem strange to you in this context, this work produces happiness since there are planes of awareness, there are detachments that have been decided, and the true well-being involved is that of putting on intelligence and being souls that come out of the crypt of vice to give a more mature meaning to existence.

Songs like an inescapable crackling, the appointment with the magmatic implant of a process that does not concede favouritism, but raises the level to make precise judgments, amidst the shadows of the vapours of music directly connected to human failure.

We thus find ourselves, inevitably, with a rosary, a testimony to the debacle that Cult Strange represent as the designated sons of His Majesty Rozz Williams. There are certainly differences with him, but in common they have the power to offer bewilderment and reasonable concern for our existence. 

In terms of writing, the analysis of the lyrics leads us to believe that any fascination with fear and desires has found the perfect home, giving agility and conviction, for a result that is within our listening: words as tombstones, tombstones as mute words.

In the end, we are souls filled with earth, blurred, like the splendid cover, which perfectly describes how our identities are tarnished, faded, with uncertain contours, our bodies muddy and destined to dry up, like the appointment with the loss of all reason. There is really nothing left but to invoke, without hesitation, the fierce angels because they themselves have failed to escape destiny, the cursed son with a devilish grin…

The band has done a remarkable job of amalgamation and continuity to establish and determine a position of strength, magically imbued with sonic explosions, daily dramas set to music, visions that twist the guts and make the brain a scratchy tangle of thoughts. In conclusion: if nothing is indispensable, it is good to know it, and this record helps visualise the mental dumps we keep unconsciously, because we are slaves to vice and the market, to attitudes that Cult Strange wisely launch against our faces. All you have to do is suffocate stupidity with Conjuring Feral Angels: you will be cleansed, disinfected and light, with your oil-stained feathers free to take flight.

Deathrock album of 2023 for the old scribe: I think that might be enough for you....


Song by Song


1 Prologue


It is up to a devilishly crooning woman to welcome and warn us that we are about to encounter fierce angels, with echoes and reverberations and a scenario evoking spirits in cahoots.


2 Slave To The Algorithm 


The beginning of the song is deadly: with a guitar intended to get the shadows in big trouble because it is not afraid for sure. 

There's a share of wickedness that shocks, with vocals which are a procession, supported by the other three musicians: take the New York Dolls from the sunless side and throw them in the rolling bass and in the sumptuous, perverse guitars and all will be clear.

All that's left for the drums to do is to whip those poor shadows that die without having believed any of this was possible. As an opener track it's perfect: if the beginning can be of glam rock derivation, you soon realize that everything spreads in wonderful dissonant digressions.



3 A Rose Of Chaos


A swaggering drumming, straight out of a dusty 70s cellar, opens the lopsided and catchy dance.

Then the voice and the guitar marry an idea of ritual dripping with Deathrock of pure class.

You can hear echoes of Germs and Consumers giving unintentional inspiration to this race to step on roses in chaos: the idea that Virgin Prunes also blow all their madness here, especially in the way of singing, constantly hovers. And that a macabre-esoteric attitude is the sovereign of this absolute gem.


4 De Auro Rubeo


An opening Gothic Rock slap, then we enter the Deathrock zone with a chorus of very suggestive baritone/sepulchral vocals, with the sensual acceleration of the rhythm. Then it is a slow fog, and Aleph's recitative, Rodney Horihata's malignant guitar, Buz Deadwax's atomic bass and Andrej Pavarotten's sanguine drumming turn the atmosphere upside down to make the city of angels icy. The pace speeds up again and the delirium is complete. 


5 Hungry Skin


The shaman incites the brave in the first seconds of the song, the bass and guitar look to the malignant seeds of Black Sabbath and everything becomes concentric, a gloomy melody appears in the refrain among the steel flames of the guitars, which with trembling notes suffocate our listening. Let sensuality have the dress of the Goddess Eris and punish the violations of the purest thoughts. Vocals towards the end, repeated, give pleasantness to the vibrating nerves.


6 New World Ordeal


Buz allies himself to the fierce angels with a killer bass to open the track, a gothic ride that annexes Andrej's tribal drumming. The guitars vibrate within deathrock ceremonials and are metal sabres in the temple of dispersion, the world unveils its ordeal and we return, happily, to 1980s Los Angeles with eyeliner in our thoughts. Chaos puts on its best suit, running into these minutes of rusty tongs.


7 Blood Seed Sister


The guitar spreads venom, twisting the air and leaving the singing a modus operandi that is a recitative which allows space to music, among swings of vocal registers that reach the guttural. As throughout the album, here too we see changes of rhythm, of scenery, continuous wounds. Desires become complaints, invocations, rituals to be completed.


8 Restraints


The rhythm becomes fast again, but an unsuspected soft melodic line accommodates the murkiness of the lyrics, which are sung like a comet in search of a caress. The bass and guitar dance ferociously  as the guitars cross like double-headed snakes. Between Gothic and Darkwave peeping through, the song shows a new and interesting side of Cult Strange.


9 Sages Of Djinn


We have in the ninth track the impression that bass and guitar are the seeds thrown in the air by Red Lorry Yellow Lorry, elaborated and sacrificed but still present. 

It's, however, only a small portion: there are parts of purity and uniqueness in making this song a manifesto of an evolving musical genre. It is an extremely valuable fetish that is available to those who do not tremble at the idea of digging up mortal remains.

​​​​

10 Torn Desire


The time for total delirium has come, the moment of the most grotesque desire that drives minds to the gates of hell is here, in these voluminous variants, where everything is oxygen burning in the bass reminiscent of Virgin Prunes.

 The drum rolls owe so much to Post-Punk, and then there is the malignant Deathrock form that makes the track epochal.


11 Hex/Pox/Vex


A melodic bass more than ever is ready to deceive us: everything becomes screeching, blades that go down into the lungs, doubled voices, and Sex Gang Children who bless it all.

And Aleph who makes Peter Murphy an evil priest.

The shock is given by a brutal attitude in creating a swaggering, mindless ride to kill any glimmer of light.

Majestic, it offers elements of elegance in its attitude to become the apotheosis that exalts the residents of darkness.


12 Epilogue


This time it is the turn of male vocals to conclude the record, amidst electronic sewage and ghostly, embalmed voices. These are farewell vapours, the farewell without reply that closes a simply perfect debut album.


13 New World Ordeal (Smoke And Mirror Remix)


This version offers Cult Strange the chance to return to the dynamics of the 80s Remixes, to play with the alternation of instruments, to make the track a pleasant long agony.


14 Sages Of Djinn (War Engine Remix)


The remix of Sages Of Djinn is a shroud, an ordeal, a mephistophelian play of vocals full of echoes, the drumming and bass working hard and the guitars making a different sense when they come in compared with the original one. Killing Joke can be happy: on the other side of the ocean there are those who, like them, can cut in two the sky.


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
3rd March 2023





My Review: Long Gone - Drowned

 Long Gone - Drowned


"Love lasts as long as memory endures, no matter if it is sweet or bitter, if it is punctuated with deeds that have happened or only imagined." Manuela Stefani


Water: the Goddess, the Magnificent, the Violent, the Precious, the Infinite, the Rebellious that plays with Calm, the Resource that should be priceless, the Purifier that washes and soils, the Selfish that becomes Generosity. The specific list of what that is could last for the length of a novel, it is not the case, the old scribe knows that. But, believe me, in the minutes of listening to this album you will feel her surrounding you, bathing you, making you float in a sea of emotions that will amaze you and launch you into a generous plunge halfway between the clear and the mysterious chiaroscuro. Songs like diviners, like poets of the desire to make memory the first accomplice of water, which can drown everything, one must be very careful.

The creators are four navigators of the sublime motions of a city devoid of the sea, but which has tons of that chemical compound flowing through it with its canals (Navigli), and that is Milan, covered with these souls, with their fluid, dense, sticky, moonlike drops full of salt and flour.


They come to the appointment of their debut work with a well-articulated artistic concept, developed in such a way that these compositions become the blankets of waves rising into the air with power and elegance. One is surprised, amazed, stupefied by these architectures that embellish thoughts, where the initial intention was to make an imaginary journey of almost drowning. But the record gives life, strength, courage, and with its compositions one becomes a navigator on the rivers of memory, the real protagonist of the album. Using patterns very close to Post-Rock, with guitars, bass and drums careful not to remain confined to that one stylistic possibility, here we see them rowing with an almost sombre Alternative, songwriting for certain moments, with Indie Rock keeping the situation under control and putting a little of its own into it. But there's really no point in mentioning any bands that might remind us of something or someone: the scribe invites an experience free of the boorish need for comparison. There is so much of the boys' own water that it would seem an insult to aprioristically direct one's listening with a list, totally unnecessary.

When a set of liquid beams (twelve on this LP) arouse curiosity, addiction, fascination, then one becomes an accomplice to a sound poem etched on the skin, which turns into memory and sustenance. The Milanese band has generated a shake-up, probably in their intentions, but I think also with a certain amount of doubt as to whether they have succeeded or not, in their musical panorama, demonstrating class, the immense capacity to be Italian in the world, with certain characteristics of the country of the boot perfectly mixed with those of other nations and continents, resulting in a record socially capable of speaking a single language that is valid in all places. And it is that of beauty embraced with meaning and depth, to make everything a port within ports of our thoughts.

Everything breathes of continuous discoveries, of evaluations in the making that take up residence among the notes as they come out of the amplifiers, with sounds, songs and a very high production to make this musical exercise a melancholic act of joy to be repeated in the photographic listening of the necessity it proposes not to abandon it. Time, in this artistic debut, is a wound that is closely watched and the four of them make us feel it in our beats imbued with astonishment and necessity, because in the end this debut record becomes a sudden, lightning-fast, visceral marriage. And now the old scribe takes you to each of these twelve liquid bundles, the new home of this unimaginable idyll, but one that was born with the Drowned experience...


Song by Song


1 Losing One 


The entrance, the opening, the guys' approach to begin this adventure is psychedelic in the opening bars, with the guitar helping to break out of that minimal setting to move everything towards a tepid, enveloping slow-core, through a rhythmic carpet that keeps the atmosphere perfectly blended.


2 Throw Stones


We immediately dive into what will be the guiding line of the work: contact with time, in a cloud of notes like unhurried rain, which circulates in the sky with elegance and sadness at its side, amid masterfully restrained guitar rumbles, with the voice that seems to try to reach into the contemporary, arousing remarkable suggestions. And then it's brilliants of heartbreaking notes towards the end of the track...


3 Last Thing I Want


The album moves decisively into its intimate dimension, but ready to open itself up with a refrain that seems to come out of a 1960s London cellar. Between slow but full of pathos suggestions, the chords follow each other to become an embrace. The melody, so explanatory for the band from Milan, here shows its face perfectly.


4 Lost In Confusion


And it is Post-Rock at the highest level, mixed with Slow-Core, to generate applause from the heart: the talent is undeniable, the song is a mental palace, everything perfectly constructed to induce the listener to dream, but also to a sense of loss of the senses, which turns out to be pleasant despite the fact that one can feel the pain between the notes and the words. The waves of the guitar seem to stretch the nerves and it is enchantment, a poignant display of class.


5 No Better


Everything grows, and grows, with this Post-Rock / Alternative swim, we are in the waves of the sky: we cry, the heart feels the danger of reality, everything seems to be a projection of human complexity and in the refrain we are convinced that Long Gone are the painters of credibility, through a poignant melody, then comes the guitar solo to take us around to adult thoughts.


6 Slow Decay


Not giving an inch, on the contrary, the four have decided to nail us down in front of the quality of slowness, the mother of all intelligence. And there, once again, the charm of a decadence is released that is acceptable, not suffocating, and brings us a melancholy that sounds like something out of a 1920s silent film. The voice, at one point, sings over the drum rolls, creating spectacular tension and then 

the track

 opens up towards the slightest distortion of the guitars, generating a perfect harmony.


7 How Long


Time for the old scribe to be completely moved, as everything becomes haunting but elegant, the sensual guitar playing takes us back to the US of the 90s, and the feeling of diving into the void is precise, thanks to a perfect evolution of the melody.


8 Read Loud This Letter


It seems as if Catherine Wheel lived in Milan, then they say goodbye and leave the Milanese band to its talents, the feeling becomes sombre, with a delay that enchants, and the result is an astonishing demonstration of how the sound here is mature at the highest level, all framed towards the magnificence of a palpable tension, which is dissolved by the clusters of notes from the guitar that towards the finale knows how to bewitch us, without fear. And then away, towards the last minute, with tears welling up.


9 Reap Me Back


A guitar arpeggio shows up at the beginning of the track and loops like an installation you can no longer give up. Art finds its sublimation within the dust of this song, a meek lament, a cradling of memory to kill an unconscious part of oneself. Mysterious, delicate, hypnotic: we are at stratospheric levels of a tension that has a splendid gag in its mouth...


10 Getting Cold


Towards the end of the album we are confronted with an episode that reveals, if it had not yet been realised, the zone where the band lives: that of a buffer state between the madness of beauty and the normality of fear, in a game of footholds in which everything seems to be collapsing towards a listening addiction. It is impossible to turn your back on these guys, you just have to listen to the intensity, nervous and magnetic, that comes out of their propensity to make music an act of faith towards storytelling...


11 Blind Mind


The penultimate track is a parade of notes, on a catwalk that, starting with the Velvet Underground, passing through Athens, Georgia, where the old R.E.M. thank you, arrives in Oxford, the time for a salute to Radiohead, and then away, back to Milan, to show the world that this record is a magic that must find a place in your hearts, on your shelves and in your rainy days, where the latter are emotions...


12 Blues Procession


And it is a magnet that closes the path of beauty, to define and specify completely what we have experienced: Blues Procession is the summary, the fist that opens and caresses and invites you to stand within its boundaries, between the voice that finds yet another perfect vocal melody and the din of guitars that greet, with the bass and drums that once again, almost silently, have allowed perfection to perform...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

2nd March 2023



The album will be published on 3rd March 2023




La mia Recensione: Long Gone - Drowned

 Long Gone - Drowned


“L'amore dura finché resiste la memoria, non importa se dolce o amara, se è punteggiata di gesti avvenuti o solamente immaginati.” Manuela Stefani


L’acqua: la Dea, la Magnifica, la Violenta, la Preziosa, l’Infinita, la Ribelle che gioca con la Calma, la Risorsa che non dovrebbe avere prezzo, la Purificatrice che lava e sporca, l'Egoista che diventa Generosità. L'elenco specifico di ciò che è potrebbe durare per la lunghezza di un romanzo, non è il caso, il vecchio scriba lo sa già bene. Ma, credetemi, nei minuti dell’ascolto di questo album la sentirete circondarvi, bagnarvi, facendovi fluttuare in un mare di emozioni che sapranno stupirvi e lanciarvi in un generoso tuffo a metà strada tra il limpido e il misterioso chiaroscuro. Canzoni come rabdomanti, come poetesse del desiderio di fare della memoria la prima complice dell’acqua, che può far affogare tutto, occorre prestare molta attenzione.

Gli artefici sono quattro navigatori dei moti sublimi di una città priva del mare, ma che ha tonnellate di quel composto chimico che le scorre dentro con i suoi canali (Navigli), ed è Milano, ricoperta di queste anime, con le loro gocce fluide, dense, appiccicose, lunari e piene di sale e farina.

Si presentano all’appuntamento del lavoro di esordio con un concept artistico ben articolato, sviluppato in un modo tale che queste composizioni diventano le coperte delle onde che si alzano in volo con potenza ed eleganza. Si rimane sorpresi, sbalorditi, stupefatti di queste architetture che abbelliscono i pensieri, laddove l’intenzione di partenza era quella di fare un viaggio immaginario di quasi annegamento. Ma il disco dà vita, forza, coraggio e con le sue composizioni si diventa naviganti sparsi per i fiumi della memoria, la vera protagonista dell’album. Utilizzando schemi molto prossimi al Post-Rock, con chitarre, basso e batteria attenti a non rimanere confinati in quella sola possibilità stilistica, ecco vederli remare con un Alternative quasi cupo, cantautorale per certi momenti, con l’Indie Rock a tenere sotto controllo la situazione e a metterci un pò del suo. Ma non è proprio il caso di citare eventuali gruppi che potrebbero farci ricordare qualcosa e qualcuno: lo scriba invita a fare un’esperienza priva della becera necessità di comparazione. C’è così tanta acqua propria dei ragazzi che parrebbe un insulto indirizzare aprioristicamente l’ascolto con un elenco, totalmente inutile.

Quando un insieme di fasci liquidi (dodici in questo LP) suscitano curiosità, dipendenza, fascinazione, allora si diventa complici di una poesia sonora incisa sulla pelle, che si trasforma in memoria e sostentamento. La band milanese ha generato uno scossone, probabilmente nelle intenzioni, ma credo anche con una certa dose di dubbio circa il fatto di sapere se ci sono riusciti o meno, nel proprio panorama musicale, dimostrando classe, la capacità immensa di essere italiani nel mondo, con alcune caratteristiche del paese dello stivale perfettamente miscelate con quelle di altre nazioni e continenti, determinando un disco socialmente in grado di parlare un’unica lingua che vale in tutti i luoghi. Ed è quella della bellezza abbracciata al senso e alla profondità, per rendere il tutto un porto all’interno di porti del nostro pensiero.

Tutto respira di scoperte continue, di valutazioni in divenire che prendono residenza tra le note mentre escono dagli amplificatori, con suoni, canzoni e una produzione elevatissima a fare di questo esercizio musicale un malinconico atto di gioia da ripetere negli ascolti fotografici della necessità che propone di non abbandonarlo. Il tempo, in questo esordio artistico, è una ferita che si guarda da vicino e i quattro ce lo fanno sentire nei nostri battiti imbevuti di stupore e necessità, perché alla fine questo esordio discografico diventa un matrimonio improvviso, fulmineo, viscerale. E ora il vecchio scriba vi porta in ognuno di questi dodici fasci liquidi, la nuova casa di questo idillio inimmaginabile ma che è nato proprio con l’esperienza di Drowned…


Song by Song


1 Losing One 


L’ingresso, l’apertura, l’approccio dei ragazzi per cominciare questa avventura è psichedelico nelle battute iniziali, con la chitarra che aiuta a uscire da quella minima ambientazione per spostare il tutto verso uno Slow-Core tiepido, che avvolge, attraverso un tappeto ritmico che tiene amalgamata l’atmosfera in modo perfetto.


2 Throw Stones


Ci si tuffa subito in quella che sarà la linea guida del lavoro: il contatto con il tempo, in una nuvola di note come pioggia senza fretta, che circola nel cielo con eleganza e la tristezza al suo fianco, tra fragori di chitarre magistralmente trattenuti, con la voce che pare cercare di arrivare nella contemporaneità, suscitando notevoli suggestioni. E poi sono brillii di note strazianti verso la fine del brano…


3 Last Thing I Want


L’album si indirizza decisamente nella sua dimensione intima, ma pronta ad aprire se stessa con un ritornello che pare uscire da una cantina Londinese degli anni ’60. Tra suggerimenti lenti ma pieni di pathos, gli accordi si susseguono per divenire un abbraccio. La melodia, così esplicativa per la band di Milano, qui mostra il suo volto in modo perfetto.


4 Lost In Confusion


Ed è Post-Rock ai massimi livelli, miscelato allo Slow-Core, per generare un applauso del cuore: il talento è innegabile, la canzone è un palazzo mentale, tutto perfettamente costruito per indurre l’ascolto al sogno, ma anche a un senso di perdita dei sensi, che si rivela essere piacevole malgrado si avverta una sofferenza tra le note e le parole. Le onde della chitarra sembrano stirare i nervi ed è incanto, struggente esibizione di classe.


5 No Better


Tutto cresce, cresce e, con questa nuotata Post-Rock / Alternative, siamo tra le onde del cielo: si piange, il cuore avverte il pericolo della realtà, tutto sembra una proiezione della complessità umana e nel ritornello siamo convinti che i Long Gone siano i pittori della credibilità, attraverso una melodia struggente, poi arriva l’assolo di chitarra a portarci in giro verso pensieri adulti…


6 Slow Decay


Non cedono di un millimetro, anzi, i quattro hanno deciso di inchiodarci davanti alla qualità della lentezza, la madre di ogni intelligenza. E in quella zona ancora una volta si sprigiona il fascino di una decadenza che è accettabile, non soffoca, e ci porta una malinconia che pare uscita da un film muto degli anni ’20 del secolo scorso. La voce, a un certo punto, canta sulle rullate della batteria, creando tensione spettacolare e poi il brano si apre verso la minima distorsione delle chitarre, generando un perfetto clima di armonia.


7 How Long


Tempo per il vecchio scriba di commuoversi completamente, perché ogni cosa si fa ossessiva ma elegante, i giochi sensuali della chitarra ci portano negli Stati Uniti degli anni ’90, e la sensazione che ci si stia tuffando nel vuoto è precisa, grazie a un perfetta evoluzione della melodia.


8 Read Loud This Letter


Sembra che i Catherine Wheel abbiano abitato a Milano, poi salutano e lasciano la band Milanese al suo talento, il sentire diventa cupo, con un delay che incanta, e il risultato è una stupefacente dimostrazione di come il suono qui sia maturo ai massimi livelli, tutto incastrato verso la  magnificenza di una tensione palpabile, che viene sciolta dai grappoli di note della chitarra che verso il finale sa come ammaliarci, senza paura. E poi via, verso l’ultimo minuto, con le lacrime belle in vista.


9 Reap Me Back


Un arpeggio di chitarra si presenta a inizio brano ed è un loop come una installazione a cui non si può più rinunciare. L’arte trova la sua sublimazione dentro la polvere di questa canzone, un lamento docile, un cullare il ricordo per uccidere una parte inconscia di sé. Misteriosa, delicata, ipnotica: siamo a livelli stratosferici di una tensione che ha uno splendido bavaglio alla bocca…


10 Getting Cold


Verso la fine dell’album ci troviamo davanti a un episodio che svela, se ancora non si era capito, la zona dove vive la band: quella di uno Stato cuscinetto tra la follia della bellezza e la normalità della paura, in un gioco di appigli in cui tutto sembra franare verso una dipendenza dell’ascolto. A questi ragazzi è impossibile volgere le spalle, basta ascoltare l’intensità, nervosa e magnetica, che esce dalle loro propensioni a fare della musica un atto di fede verso il racconto…


11 Blind Mind


Il penultimo brano è una sfilata di note, in una passerella che, partendo dai Velvet Underground, passando per Athens, Georgia, dove i vecchi R.E.M. commossi ringraziano, arriva a Oxford, il tempo per un saluto ai Radiohead, e poi via, torna a Milano, per dimostrare al mondo che questo disco è una magia che deve trovare posto nei vostri cuori, negli scaffali e nelle vostre giornate piene di pioggia, dove quest’ultima sono le emozioni…


12 Blues Procession


Ed è un magnete a chiudere il cammino di bellezza, a definire e a specificare completamente cosa abbiamo vissuto: Blues Procession è il riassunto, il pugno che si apre e accarezza e invita a stazionare dentro i suoi confini, tra la voce che trova l’ennesima melodia vocale perfetta e il frastuono di chitarre che salutano, con il basso e la batteria che ancora una volta, quasi silenziosamente, hanno permesso alla perfezione di esibirsi…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

2 Marzo 2023


L'album sarà pubblicato il 3 di Marzo 2023







martedì 28 febbraio 2023

My Review: Some Ember - Held a Fragment of the Moon

 Some Ember - Held a Fragment of the Moon


Take an American from Oakland and bring him to Berlin: something intriguing is bound to happen, come on, let's not kid ourselves, two great acts cohabiting is good news.

Two singles and two Ep's later we find ourselves talking about the third Ep, Held a Fragment of the Moon, which is a satanic Synthwave monolith, biting and not fleeing, residing in its electronic programs, hurling itself into the Darkwave with delightful lightness, while the rhythms pulsate and you are transported into the stiletto heels of the dancing night. Refined, generous, romantic, but always rhythmic, the songs on the Ep are an imaginative portal to what has happened and is happening in those musical territories. Just as a book of poetry placed in the sand remains so, so does this work: however much you deny it, it will emerge...


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
28th February 2023




La mia Recensione: Midas Fall - Cold Waves Divide Us

  Midas Fall - Cold Waves Divide Us La corsia dell’eleganza ha nei sogni uno spazio ragguardevole, un pullulare di frammenti integri che app...