mercoledì 19 ottobre 2022

La mia Recensione: Roller Derby * Starry- Eyed



Roller Derby * Starry-Eyed


Amburgo è una bolla sanguigna: sparge liquidi con l’appoggio di venti muti, cercando di tornare a incidere nella Germania perfezionista e seriosa.

Se pensiamo al suo passato basterebbe citare Xmal-Deutschland per sorridere e ringraziare per quel momento unico, in cui bellezza e qualità abitavano nello stesso respiro.

Se ci aggiorniamo, se rimaniamo curiosi, ecco allora tre ragazzi con i sogni ancora da aprire nei confronti di un mondo indaffarato a riempire ogni spazio possibile.

Loro però entreranno nel cuore perché hanno la grazia di un’unicità di cui quell’organo abbisogna.

Nel loro gravitare tra armonie spensierate e l’attitudine a rendere il grigio un colore interessante, ecco giungere il loro settimo singolo, fiamma Indie Pop dalla pelle Dreampop, che farà breccia nei vostri pomeriggi in cerca di stelle con il desiderio di abbracciarvi.

Sono canzoni come queste che dimensionano i confini, gli stili, mettendoci nella centrifuga la necessità di un play continuo.

Sarà la voce di Philine Meyer che pare giunga da una cometa alla ricerca di  battiti capaci di darle spazio, o le chitarre dai giri concentrici, rapaci ma sinuosi, di celestiale propensione, e molto altro ancora, a suscitare questa bellezza nell’ascolto.

Canzone assolutamente in grado di mettervi in contatto con la voglia di un dolce, di un caffè, e di una danza tra pareti piene di sogni da accendere…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

19 Ottobre 2022





My Review: Roller Derby * Starry- Eyed


Roller Derby * Starry-Eyed

Hamburg is a sanguine bubble: spilling liquid with the support of silent winds, looking to make a comeback in perfectionist and serious Germany.

If we think of its past, it would be enough to mention Xmal-Deutschland to smile and give thanks for that unique moment when beauty and quality lived in the same breath.

If we stay up-to-date, if we remain curious, then here come three guys with dreams yet to be opened up to a world busy filling every possible space.

They will, however, enter our heart because they have the grace of uniqueness that organ needs.

In their gravitating between carefree harmonies and an aptitude for making grey an interesting colour, here comes their seventh single, a Indie Pop flame with an Dreampop skin, which will make its way into your afternoons in pursuit of stars with the desire to embrace you.

It's songs like these that size up boundaries, styles, putting the need for a constant play in the centrifuge.

It will be Philine Meyer's voice, which seems to come from a comet in search of beats capable of giving it space, or the guitars with their concentric, rapacious yet sinuous riffs with a celestial propensity, and much more, that will arouse this beauty in your listening.

A composition absolutely capable of putting you in touch with the desire for a dessert, a coffee, and a dance amongst walls full of dreams to be lit...


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

19th October 2022







martedì 18 ottobre 2022

La mia Recensione: Rowland S. Howard - Pop Crimes

 Se il Pop commette un crimine è quello di lasciare andare via per l’eternità un mago dalle unghie nere che si è preso la licenza di congedarsi con un album che ha proprio nel suo cuore un piglio Pop.

Ma non l’ha mai conquistato veramente e lui l’ha guardato storto, quasi incurante, certamente poco affascinato.

E il suo epitaffio è un grido a bassa voce, tra tormenti e moti angelici che fanno a pugni, con ramificazioni urticanti e rasserenanti per uno scontro che come risultato dà un disco meraviglioso, tra lacrime tenute in volo fisso davanti agli occhi, con la sensazione che ti cadano tra le pupille.

Con l’antico compagno di scorribande ed eccessi Mick Harvey, Rowland ha fissato per l’eternità la malinconia dei suoi battiti, esposto le sue vene a colpi di ombre continue senza mai sprofondare nell’oblio, come se fosse ancora in grado di governare le fiammate del cancro che di lì a poco l’avrebbe portato in un’altra dimensione. Ascoltando le otto tracce, sette originali e una incredibile cover dei Talk Talk, si entra nei suoi spasmi educati ma capaci di arrivare dentro di noi come folgori, perché la sua unicità, eleganza, raffinatezza e l’infinita classe mostrano tutte quante questo impianto scenico generoso e che lo qualifica, a detta dello scriba, come il miglior autore di canzoni del suolo australiano. Il disco è infarcito di blues nero, tagliente, lento, appoggiato sulla colonna vertebrale di un’America capace ancora di stimolarlo. La cura del dettaglio ubriaca, la finalizzazione che lo rende denso di atmosfere delicate ma vibranti (dove spicca la sua voce impastata con la grazia in un ballo cupo) accompagna le composizioni verso una spiaggia adornata di luci soffuse, sino a inebetire del tutto l’ascolto. Un rallenty continuo che fa esplodere il cuore dentro un lavoro celestiale di acute visioni sonore che ne espandono la bellezza al cielo. Il canto del cigno è cupo, intenso ma mai votato alla disperazione: tutto è cosciente, pieno zeppo di sofisticata propensione a creare brani che mutano a seconda del nostro umore. Ecco allora che si presta a un uso diverso, elemento che lo contraddistingue e lo consegna all’Olimpo di ciò che si deve conoscere, come un obbligo severo ma gentile.

I testi, cantati con una modalità che sembra essere il frutto di fiori che fuoriescono da vasi di lava con il mantello, sono efficaci escursioni di un pianeta psicologico che cerca ascolto, tra trame amorose con la polvere da sparo, e graffi decadenti mentre si espongono al sole. Una scrittura capace di vibrare da sola, per una emulsione che schiaccia il vapore acqueo, sempre pronto a uccidere, quando si tratta di contesti amorosi, per una mancata capacità di ascolto e confronto, un je t’accuse raffinato ma sempre evidente, per necessità e per via di un delirio che non conosce resistenze. La finestra del suo petto è rotta, caduta tra le braccia di una preghiera che non sembra possibile che venga ascoltata dalla madre di Cristo, come invece è il bisogno di qualcuno nella canzone che ci mostra pienamente come le sue storie siano a un passo dall’assurdo ma dannatamente umane. Sempre attenta a non esagerare con l’uso delle rime, la sua scrittura tratteggia profili psicologici, sospetti, grida che scendono dalle mani alle corde della sua chitarra che, ubbidiente, la segue nel vortice di trame dalla scorza dura, quasi impenetrabile. Sentire questa sua comunicativa così fulgida, nel contesto di note spesso d’acciaio, ruvide, grevi, crea non uno iato bensì una fascinazione incontrollabile.

La musica? Una sinfonia in perfetta sincronia con il deserto, dove tutto è secco, preciso nell’individuare ciò che è indispensabile, sopra un disincanto che muove le note in caduta libera senza però togliere il respiro, che la rende una prerogativa di chi sa come fare un patto con l’impossibile…

Ballads color velcro, in attitudine di protezione, con melodie dalle spine pettinate che inducono all’accoglienza, superando la paura di essere sedotti da tsunami sonori senza volontà di fare sconti. E quando il ritmo si alza un pò non è la danza che ci aspetta ma un volteggio, per poter baciare le ombre che lo compone. Si precisa la sua capacità di coinvolgimento con gli altri artisti dando la certezza che non siano session men bensì veri e propri membri di una band dal percorso millenario, sicuri, audaci e capaci di depositare ai piedi del cielo un tappeto su cui far volare i nostri ascolti estasiati e beneficiati di questa propensione univoca. Sempre come se fosse un arco pronto a lanciare le sue frecce, il genio australiano veste le canzoni come scie di vento, specialmente quando gli accordi sono quasi semplici, nessuna ostentazione da mostrare, piuttosto il bisogno di coricarsi sopra le trame di dense melodie per creare un unicum che non possa avere crepe sulla pelle. Si vola tra l’Australia degli anni 80 e la poesia ipnotica degli chansonnier francesi degli anni 60, senza perdere di vista quanta poesia, macchiata di una vena nera e calda, avesse lui stesso creato con The Birthday Party, il cilindro impazzito che alzò la polvere su un’Australia dormiente e non attenta ad alcune sensibilità che stavano creando rifiuti pieni di malcontento. Le chitarre sarcastiche e arcigne lanciano sibili romantici dentro un involucro in cui il basso e la batteria sembrano spose perennemente attente a lavare le macchie di così tanta radioattività. Perché queste canzoni, apparentemente di facile fruizione, in realtà corrodono e sanno sgretolare quel senso di bellezza che ci fa masticare tutto avendo lo stesso gusto in bocca. Invece…

Invece ciò che ascoltiamo è un complesso edificio di striminziti riferimenti (comunque da cogliere) e la valanga ipnotica di musicisti che si sono dati appuntamento davanti alla porta del mistero. La voce benedice e stordisce, perché nella sua apparente pacatezza esiste la stessa quota di furore del suo vecchio inquilino di quella Sydney che è stata la fionda che ha unito lui e il tenebroso Nick Cave verso una cittadinanza artistica e umana europea.

La stoffa però è la medesima: Rowland sa come ipnotizzare e farci rimpiangere la nostra minima dose di tranquillità. Sono episodi fumanti, tesi verso la conquista di una zona dove il soffocamento è elettrico, contorto, dove ciò che serve non è la forma canzone perfetta ma porti di accoglienza per una pioggia di lacrime quasi ammutolite dalla sua bravura. Sa esprimere ma al contempo contenere inchiostri di battiti slegati dalla futilità di milioni di anime indaffarate con il disimpegno, giostrando il tutto con scelte oculate, al di là della perfezione, perché questo accade a chi va oltre la propria strabordante genialità.

In questa narcolessia evidente, compaiono però episodi di poetica propensione verso le illusioni, lo spostare le attenzioni verso il prossimo, come portatore sano di miracoli improbabili, dentro relazioni torbide, in  addii che gonfiano il dolore e aumentano la mancanza di un’oasi di tranquillità.

Non vi è bisogno di caos, i testi strappano le tende degli ascolti portando alla preoccupazione, come se l’artista fosse un amico reale: Shut me Down raccoglie tutta questa intensità.

Non un testamento ma lo specchio della sua profonda difficoltà nel vivere: canzoni come autopsie che ci rendono gli occhi piccoli e già pieni di frequenze nevrotiche, quasi epilettiche, perché in questo flusso ogni secondo è un lutto tra la gioia e la morte che si sfidano in baci asfissianti.

E si dia spazio al silenzio, tra un episodio e l’altro, sia data via libera alla riflessione, i testi tra le mani e la curiosità, e la voglia di trovare il modo per sconfiggere la paura: dentro il suo distorto sistema artistico e umano vivono fascine di rugiada pronte a snellire la noia e le abitudini di brutti e confusi ascolti. In questa torbida collezione di esagerazioni c’è più equilibrio che in molte canzoni pop, dannatamente capaci di commettere crimini senza la nostra consapevolezza. Ora è il tempo di pescare nel suo maremoto, di farsi trascinare dalla sua bellezza a contatto con il diavolo per un’esperienza dove anche l’ascolto sarà fradicio di emozione…


Song by Song


(I know) A Girl Called Johnny


Il primo botto, quello che scoperchia il cielo, proviene da questa storia cantata a due, con Rowland che duetta con Jonnine Standish: è una piccola camminata psichedelica nella mente del prolifico artista australiano che apre subito il forziere del suo talento con una canzone che sprigiona emozione, con le voci che esaltano l’organo di Mick Harvey, e svetta per delicatezza e un malato romanticismo.



Shut me down


Il blues si tinge le dita di nero e con il profumo di whiskey che gli visita l’anima e le corde vocali, in una trascinante, epica dimostrazione di ciò a cui cosa possa condurre la mancanza della persona amata, ci fa giungere all’estasi. Anche da questo brano si capisce come lui e Nick Cave siano fratelli nell’anima, nessuno copia nulla dall’altro, ma sono invece uniti da attitudini simili che finiscono dentro un’orgia lenta. I rintocchi di organo creano poesia nel cuore mentre tutto va a sparpagliarsi nel cielo.



Life’s What You Make It


Non una cover ma un delirio soffocante condiviso con Mark Hollis, dove le chitarre sprigionano tensione e rendono dissacrante ogni tentativo di approcciarsi al brano dei Talk Talk: Rowland è l’unico che potesse davvero rivelarne gli scoppiettii con le ali distorte, in un viaggio dentro gli Usa rurali, malati e stanchi. Una corda che contiene una voce pronta a precipitare, trasportata da un’atmosfera blues-folk in cerca di uno schianto.



Pop Crimes 


Il male esiste, è un basso satanico che non concede repliche, perché conquista coinvolgendo per prima una chitarra sulle soglie dell’inferno. Il testo, una spada piena di tagli, consente a Howard di sprigionare violenza con la voce quasi mimetizzata dentro strali e graffi, per un risultato che è sconvolgente e stratificante. Una follia che si alza dal lettino e cade dentro amplificatori che sanno equilibrare il tutto con schitarrate ed il mare ipnotico dello strumento di J.P. Shilo che ci rende prede esangui.



Nothin


Oltre il capolavoro: Nothin è una pietra piena di fumi contaminanti che stroncano l’apparato uditivo per entrare dentro le mancanze che si sciolgono con il vento. Ed è Country/Gothic Americana & Folk Noir di purissima fattura, che conquista e appiattisce tutto con la sua linea melodica breve ma davvero capace di assestare un pugno nello stomaco.



Wayward Man


Il diamante più puro dell’album, feroce, con il basso di Brian Hooper che porta le chitarre a sventagliate acide, amplessi di nera attitudine, mentre Rowland diventa un quasi Crooner spiritato e immenso. Tutto stride e ferisce, chitarre come sirene con la voce sul punto di rompersi, e il vuoto che lascia spazio a un bridge aperto verso la fine del mondo.



Ave Maria


Nico è sempre viva, dove non esiste la sua voce vive la sua anima che qui sfodera un sorriso nero all’interno di un matrimonio con i proiettili dentro la memoria che torna ferendo, lasciando il cuore in uno sparo avvolto da musiche quasi paradisiache, ma è solo una comoda illusione.



The Golden Are of Blooshed


Fermi tutti: il sangue diventa tenebra, la storia raccontata è perversa e allucinata, la voce un lupo in cerca del giusto spazio per esibire i suoi artigli, dove la sfiducia nel partner porta la musica ad esserlo altrettanto, per magiche connessioni nel ventre del male. Un incubo che ha radici nella letteratura, che passa attraversa Jim Morrison alleggerito di acidi ma gonfio di alcol, per depositarsi dentro un’atmosfera sinistra ma vellutata, quasi capace di attirare le anime innocenti in un teatro degli orrori dalla pelle truccata. Ed è la vita che muore in una grotta con la chitarra che spranga il respiro, chiudendo questo gioiello senza tempo in un abbraccio soffocante…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

18 Ottobre 2022


https://open.spotify.com/album/0rpPmk289NRqguHC8XQ0LV?si=PH7_FDBxTNurEPB_NrOtnA






lunedì 17 ottobre 2022

My Review: James - All The Colours Of You

James - All the colours of you


There was a time when we could see them in the meadows, in the parks of a smiling, tired but never speechless Manchester.

Now they fly overhead, all we have to do is raise our heads and thousands of daisies offer us their petals as rays of much-needed energy so we can have at least one romantic reason not to give up. Some of them are still all together: their name is James and they are also the stars that light up the city night and day.

They are back to let us hear their new flow of skill and melodies that become our new strength.

A resounding comeback for how they managed to live through the pandemic period, giving us songs that can be an incentive towards the comfortable willingness to give in.

They have put in place eleven butterflies to play the game that they will clearly win: on their side they have the class, the technique, the strategy, all aimed at scoring goals in our heart.

Jim and Mark are the main songwriters, but all the daisies have played their petals in creating a flock of butterflies that gently glide to stay. They certainly won't leave. Tim proves himself, as always, to be the sovereign God of writing with lyrics that range and delve into themes that would be suitable for rhetoric (which, by the way, also has positive aspects), not indulging, as always, in simple and above all banal composition. No: he is the striker who is able to surprise, he does not need dribbling to jump into the net of our hearts ready to take goals, because it has never been so wonderful to see the net swell.

In the end they are eleven goals that make you realise just how much James are constantly growing.

After 39 years since their formation they are as fresh as ever.

Sixteenth album and certainly this one proves to be courageous and determined, granting itself the pleasure of a conception that started in a simple way and was gradually able to create articulated and complex structures, without giving up showing the band's unmistakable style.

And having worked with a producer like Jacknife Lee has made their creative musk even more fertile and fragrant.

Tim's lyrical choices address current issues, modern imbalances, the pandemic (here considered in a completely different way than on albums that have been and are being released), relationships increasingly unable to uphold certain values and the absence of communication able to convey positive messages. 

An album so rich and surprising that it might shock a lot of their followers: time will be kind and teach them that among these grooves there is the whole essence of the band reaching levels never touched before. They have matured so much that patience will almost certainly be required before you run the risk of  getting a terrific crush.

It only remains for me to let you smell the scent of these daisies: make yourselves comfortable so that you can long for them to dwell inside you…


Zero


Tim's favourite song opens the album, the one with the most extreme length, a track as powerful as ever to introduce us to their new work. It surprises from the beginning with its structure and variations, stimulates curiosity as it becomes morbid and it is swaggering, rich, remarkable in its showing those muscles that do not just lie on the surface. The lyrics start with a brutal truth and then find, as always with Tim, the way to let the sunshine in and leave us breathless with the beauty of what we have listened to. He first invites us to leave some impediments behind, helps us to break free. Simply a crazy way to start this adventure among the colours.  The first Daisy has already stunned us. 


All The Colours of You


George Floyd and President Trump's disastrous administration. Tim denounces and does so with his unmatched class.

This song has led many people astray: it is historicised that it is difficult for many to understand much of an album, let alone an entire career where several compositions have seen Tim writing about the social situation since their first work. Many have turned up their nose, criticizing him. Not understanding the wide margin in which his writing has moved. Undoubtedly Trump's ears must be ringing! A song that in addition to being almost an invective contains a positive message in reminding us that colours are still fundamental. It moves elegantly over an electronic carpet, an enveloping, modern rhythm, a bass that is lymph, keyboards that simple and modern lead us into their arms, vocals that are steeped in medium harsh tones to the point of unexpected sensuality and Andy's trumpet which makes us fly over all the colours.


Recover 


A touching song, Tim opens his heart to talk about the death of Covid of his wife's father: yet another life lesson in how one should live through a mournful moment.  The music is a hinted caress on which the singer, with ease and delicacy, manages to transform a tear into a feather. The bass surrounds, the simple keyboards sink in, like a high and finally free breath.


Beautiful Beaches


How to turn an escape caused by the usual fires in the area where he lives near Los Angeles into a joyful dance: Tim can do it!

Electronic drums and keyboards dominate in a track that has its strong point in the pre-chorus and in the chorus itself, until the final, perhaps difficult, drumming that seems to surround the area where he has moved to protect it. A track with success already assured in the next live shows. The band here benefits, as for the rest of the album to tell the truth, from Jacknife Lee's production, skillful in giving power and compactness to a melody that is sublime in its lightness.


Wherever It Takes Us


A dream: a girl committed to defending rights that are not just her own risks death in a wild ride. The song shows how verse and refrain can be so far apart. But the refrain, full of voices and melodic propensity to embrace all fears, becomes one of the most beautiful ever for this band, which in the song demonstrates all its ability to range and captivate in phases distant from each other.


Hush


Here comes a ghost, in this tense story, softened however by a rhythm that here finds slowness, while the melody brings back some of the typical James sound that many will surely not struggle to recognise. The track, like the story told by tender Tim, crosses the swamp of fear to leave us with the gift of mystery. When James are light, despite a nightmare told with class, their music knows how to prove that it is in simplicity that songs become eternal.


Miss America 


While remaining in the zone of a music that has slowed its pace, here the story changes, the American dream is destroyed by the dream of a girl, a model, who, while trying to win the beauty contest, realises the weaknesses of a system doomed to collapse. Tender, a few notes, but incisive, here the band succeeds as always in not needing all its many members to convey the sense of chorus. Another track that will manage to warm the heart. 


Getting Myself 


How to turn a piano riff into a hit, starting with a breath and ending with a cough that will make us all happy singers. A sure hit that will put a smile on our faces. A song that clearly explains the mood of the album, in music and lyrics. When perfection does not exist it is put at risk by these inspired and fearless 60-year-olds. The last 20 years of their career summed up in one track, you will see the magic in your ears hungry for beauty.


Magic Bus


Tim seems to have taken some acid to bring us into the great textures of a lively song in its disguised psychedelia.

But he didn't take it, making this lyrics even more special....

It is a tribal, haunting and sensual journey that nails and defeats us, as only the great artists know how to do, the descriptive banality of a path where drug-taking would have made it run the risk of becoming banal and similar to thousands of other songs. Curious lyrics and an equally curious music seem to perfectly make James masters in disguising papers and identities. 


Isabella


Another story of mystery and violence quickly enters the album: the protagonist arrives and shocks, throws her revenge and then rises up to find distance from her sin. Tim's interpretative imagination allows him to take full advantage of the song's changes of rhythm, which finds its majesty in the refrain. Then the two female backing vocalists lift us up with their simple but centred singing. We reach the end, between guitars and compact keyboards, Tim finds a second refrain to sink us again, waiting for the autopsy...


XYST 


We are at the end of the album: when political power would like to shut the mouths of musicians' consciences. A stunning track that concludes this work by giving us new, lucid, elegant James, capable of being adults with a young heart. The last composition is the ending I was expecting, a new surprise that fascinates and drags us into the depths of a new awareness: every song on this sixteenth album has the strange virtue of being untied but at the same time connected to all the others, there is always a mystery, a surprise that appears within the instruments. Here, too, there is no doubt whatsoever: things end well, with class, the chance has been taken to give the world the eleventh song on this palette of colours and daisies, they played  offense and won big.


Undoubtedly their best album of this millennium and among my top three of all time. Because James in 1982, just before they were the band that opened the Haçienda in my beloved Manchester, in their small, trembling dressing rooms, signed a pact with the devil: time will not bend their beauty and in time they will be able to bring all the colours of the world into your now grey beats.

I'd say that pact magically endures, and now please count these petals, rewind the craving for beauty and dive back in here, since in the meantime the palette is ready: a new round of colours for our flushed smiles...


The album will be on sale from tomorrow, 4 June 2021


Alex Dematteis 

Salford

3 June 2021


James:


Tim Booth

Lyrics, vocals, percussion, backing vocals


Jim Glennie

Bassist, percussion


Saul Davies

Guitarist, violinist, percussion, backing vocals


Mark Hunter

Keyboards, Piano, Percussion, Programming 


David Baynton-Power

Drums, percussion


Andy Diagram

Trumpet, backing vocals, percussion


Adrian Oxaal

Guitar, choirs, cello 


Chloë Alper

Choirs, percussion 


Knox-Hewson Debbie 

Choirs, percussion


https://open.spotify.com/album/5ygHCOppc7ipeiWCB8cj9M?si=1VRBmb2QTIet3r4fQkCmgQ



My collection of the album:







La mia Recensione: James - All The Colours Of You


James - All the colours of you


C’era un tempo nel quale potevamo vederle nei prati, nei parchi di una Manchester sorridente, affaticata, ma mai ammutolita.

Ora volano in alto, basta alzare la testa e migliaia di margherite ci offrono i loro petali come raggi di energia necessaria per poter avere almeno un romantico motivo per non mollare. Alcune di loro sono ancora tutte insieme: si chiamano James e sono anche le stelle che illuminano la città notte e giorno.

Sono tornate per farci sentire il loro nuovo getto di bravura e melodie che diventano la nostra nuova forza.

Un ritorno clamoroso per come siano riusciti a vivere il periodo della pandemia consegnandoci canzoni che sanno essere uno stimolo verso la comoda volontà di cedere.

Hanno messo in campo 11 farfalle per giocare la partita che vinceranno nettamente: dalla loro hanno la classe, la tecnica, gli schemi, tutti indirizzati a fare goal nella porta del nostro cuore.

Jim e Mark sono i principali compositori delle canzoni ma tutte le margherite hanno giocato i loro petali nella creazione di uno stormo di farfalle che delicatamente planano per rimanerci. Non se ne andranno di certo. Tim si rivela come sempre il Dio sovrano della scrittura con testi che spaziano e approfondiscono tematiche che si presterebbero alla retorica (cosa che tra l’altro ha anche aspetti positivi), non concedendosi, come sempre, ad una scrittura semplice e soprattutto banale. No: lui è l’attaccante che sorprende, non ha bisogno di dribbling per saltare dentro alla rete dei nostri cuori pronti ad incassare goals, perché non è mai stato così bello vedere la rete gonfiarsi.

Alla fine sono 11 goals che fanno capire quanto i James siano in costante crescita.

Dopo 39 anni dalla loro nascita sono più freschi che mai.

Sedicesimo album e sicuramente questo si rivela coraggioso e determinato, concede a se stesso il piacere di una concezione che partita in modo semplice ha progressivamente saputo creare strutture articolate e complesse, senza rinunciare nel presentare l’inconfondibile stile della band.

E aver lavorato con un produttore come Jacknife Lee ha reso il loro muschio creativo ancora più fertile e profumato.

Le scelte di Tim per quanto concerne i testi si rivolgono a tematiche correnti, agli squilibri moderni, la pandemia (qui considerata in una modalità completamente diversa rispetto ad album che sono usciti e che stanno uscendo), i rapporti sempre più incapaci di sostenere alcuni valori e l’assenza di una comunicazione che veicoli messaggi positivi. 

Un album talmente ricco e sorprendente che potrebbe scioccare parecchi seguaci della band: il tempo sarà gentile e insegnerà che tra questi solchi c’è tutta l’essenza della band  che raggiunge  livelli mai toccati prima. Sono maturati talmente tanto che occorrerà pazienza, quasi sicuramente, prima che corriate il rischio di prendere una cotta micidiale.

Non mi resta che farvi sentire il profumo di queste margherite: mettetevi comodi che avrete modo di desiderarle per davvero dentro di voi...


Zero


La canzone preferita da Tim apre l’album, quella con il minutaggio piu estremo, una canzone potente come non mai per introdurci in un loro nuovo lavoro. Spiazza sin da subito, per la struttura e le varianti, stimola la curiosità nel farsi morbosa ed é spavalda, ricca, notevole nel suo mostrare quei muscoli che non stanno solamente in superficie. Il testo parte con una cruda verità per poi trovare, come sempre con Tim, la via dove far entrare il sole e lasciarci senza fiato per la bellezza di quello che abbiamo sentito. Lui per primo ci invita a lasciare alcuni impedimenti, ci aiuta a divincolarci. Semplicemente un modo pazzesco per iniziare questa avventura tra i colori.  La prima Margherita ci ha già storditi. 


All The Colours of You


George Floyd e la pessima amministrazione del Presidente Trump. Tim denuncia e lo fa con la sua inarrivabile classe.

Questa canzone ha condotto molte persone fuori strada: è storicizzata la nota  difficoltà di molti di capire poco un album, figuriamoci una carriera intera dove diverse canzoni hanno visto Tim scrivere della situazione sociale sin dal loro primo lavoro.  Molti hanno storto il naso criticandolo. Non avendo capito il margine ampio nel quale si è mossa la sua scrittura. Certo: a Trump saranno fischiate le orecchie! Una canzone che oltre ad essere quasi una invettiva contiene un messaggio positivo e nel ricordarci che i colori sono ancora fondamentali. Si muove elegantemente su un tappeto elettronico, un ritmo avvolgente, moderno, un basso che è linfa, la tastiera che semplice e moderna ci conduce tra le sue braccia, il cantato che è intriso di toni medio aspri sino a giungere alla sensualità inaspettata e la tromba di Andy a farci volare sopra tutti i colori.


Recover 


Una canzone toccante, Tim apre il suo cuore per parlare della morte del padre di sua moglie per Covid: ennesima lezione di vita di come si dovrebbe vivere un momento luttuoso.  La musica è una carezza accennata su cui il cantante, con agio e delicatezza, riesce a fare di una lacrima una piuma. Il basso circonda, la semplice tastiera affonda, come un respiro alto e finalmente libero.


Beautiful Beaches


Come trasformare una fuga causata dai soliti incendi nella zona dove vive vicino a Los Angeles in una danza gioiosa: Tim può!

La batteria elettronica e le tastiere la fanno da padroni in un brano che ha nel pre ritornello e nel ritornello stesso il punto di forza sino ad arrivare al finale, forse ostico, di un drumming che sembra circondare la zona dove si è trasferito per proteggerlo. Un brano dal successo già assicurato nei prossimi live. La band qui si giova, come per il resto dell’album a dir la verità, della produzione di  Jacknife Lee, abile nel dare potenza e compattezza in una melodia che è sublime per leggerezza.


Wherever It Takes Us


Un sogno: una ragazza impegnata nella difesa di diritti che non sono solo i suoi, rischia la morte in una corsa selvaggia. La canzone mostra come strofa e ritornello possano essere lontanissimi tra di loro. Ma il ritornello, pieno di voci e melodica propensione ad abbracciare ogni paura, diventa uno dei più belli di sempre per questa band che nel brano dimostra tutta la sua capacità di spaziare e coinvolgere in fasi distanti tra di loro.


Hush


Arriva un fantasma, in questa storia tesa ma resa morbida da un ritmo che qui trova lentezza e la melodia ci riporta parte del suono tipico dei James che molti sicuramente non faticheranno a riconoscere. Il brano, come la storia raccontata dal tenero Tim, attraversa la palude della paura per lasciarci in dono il mistero. Quando i James sono leggeri, malgrado un incubo raccontato con classe, la loro musica sa come dimostrare che è nella semplicità che le canzoni diventano eterne.


Miss America 


Pur rimanendo nella zona di una musica che ha rallentato il suo ritmo, qui la storia cambia, il sogno Americano viene distrutto dal sogno di una ragazza, modella, che mentre prova a vincere il concorso di bellezza, realizza i punti deboli di un sistema votato al collasso.  Tenera, poche note, ma che incidono, ecco la band riuscire come sempre nel non necessitare di tutti i numerosi membri che la compongono per dare il senso di coralità. Un altro brano che riuscirà a scaldare il cuore. 


Getting Myself 


Come fare di un giro di piano una hit, partire da un respiro per arrivare ad un colpo di tosse che ci renderà tutti cantanti felici. Una sicura hit che ci sorriderà di sicuro. Una canzone che spiega nettamente il clima dell’album, nella musica e nel testo. Quando la perfezione non esiste viene messa in pericolo da questi sessantenni ispirati e impavidi. Gli ultimi 20 anni di carriera riassunti in una canzone, la magia la vedrete nelle vostre orecchie affamate di bellezza.


Magic Bus


Tim sembra aver preso un acido per portarci nelle gran trame di una canzone vivace nella sua psichedelia mascherata.

Ma non l’ha preso rendendo questo testo ancora più speciale...

È un viaggio tribale, accennato, ammaliante e sensuale, che inchioda e sconfigge, come solo i grandi sanno fare, la banalità descrittiva di un percorso dove l’assunzione di droga avrebbe corso il rischio di divenire banale e simili a migliaia di altre canzoni. Un testo curioso ed una altrettanta musica sembrano perfettamente rendere i James maestri nel camuffare carte e identità. 


Isabella


Un’altra storia di mistero e violenza entra velocemente nell’album: la protagonista arriva e sconvolge, affonda la sua vendetta per poi salire in alto per trovare la distanza dal suo peccato.  La fantasia interpretativa di Tim gli concede di sfruttare pienamente dei cambi di ritmo della canzone che trova nel ritornello la sua maestosità. Poi le due coriste ci alzano lo sguardo con il loro vocalizzo semplice ma centrato. Si giunge al finale, tra chitarre e tastiere compatte, Tim trova un secondo ritornello per farci affondare di nuovo, nell’attesa dell’autopsia...


XYST 


Siamo alla fine dell’album: quando il potere politico vorrebbe tappare la bocca alla coscienza dei musicisti. Brano strepitoso che conclude l’album consegnandoci dei James nuovi, lucidi, eleganti, capaci di essere adulti con un cuore giovane. L’ultimo brano è la chiosa che mi aspettavo, una nuova sorpresa che affascina e trascina nella profondità di una nuova consapevolezza: ogni canzone di questo sedicesimo album ha la strana virtù di essere slegata ma allo stesso tempo connessa a tutte le altre, c’è sempre un mistero, una sorpresa che si affaccia dentro gli strumenti. Anche qui non vi è dubbio alcuno: le cose finiscono bene, con classe, si è giocata la possibilità di dare al mondo l’undicesima canzone di questa tavolozza di colori e di margherite, si è giocato all’attacco e si è vinto alla grande.


Senza dubbio il loro miglior album di questo millennio e tra i miei primi tre di sempre. Perché i James nel 1982, poco prima di essere la band che inaugurò l’Haçienda della mia amata Manchester, nei camerini piccoli e tremanti, ha firmato un patto con il diavolo: non sarà il tempo a piegare la loro bellezza e con il tempo saranno capaci di portare tutti i colori del mondo dentro i vostri battiti ormai grigi.

Direi che quel patto resiste magicamente, e ora contate questi petali, riavvolgete la voglia di bellezza e tornate a tuffarvi qui dentro, che intanto la tavolozza è pronta: nuovo giro di colori per i nostri sorrisi accaldati...


L’album sarà in vendita da domani, 4 giugno 2021


Alex Dematteis 

Salford

3 Giugno 2021


James:


Tim Booth

Testi, cantante, percussioni, cori


Jim Glennie

Bassista, percussioni


Saul Davies

Chitarrista, violinista, percussioni, cori


Mark Hunter

Tastiere, Piano, percussioni, programmazioni 


David Baynton-Power

Batteria, percussioni


Andy Diagram

Tromba, cori, percussioni


Adrian Oxaal

Chitarra, cori, violoncello 


Chloë Alper

Cori, percussioni 


Knox -Hewson Debbie 

Cori, percussioni


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La mia collezione dell'album:







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