domenica 28 agosto 2022

La mia Recensione: Atmos Bloom - Flora



Londra, la capitale di effervescenze e fluorescenze, mette al mondo creature per poi vederle spesso prendere la via del trasferimento: non sempre può trattenere anime desiderose di curiosità verso situazioni diverse e così, come una trama che sa di fuga per la vittoria, alcune di loro migrano per trovare se stesse, sprigionando nei nuovi luoghi il talento e la serenità.

È accaduto anche a Tilda Gratton e a Curtis Paterson, coppia nella vita quotidiana e in quella artistica, che si sono trasferiti nella città musicale inglese per eccellenza: Manchester.

E di questo luogo magico hanno assorbito molte cose: dall’entusiasmo, allo studio, all’approccio tecnico preciso, alla libertà di sperimentazione, per concludere nella gioia di canzoni che concedono l’espressione del proprio talento conscio che la consapevolezza di poter crescere ancora supera la qualità di un già ottimo risultato. Un album di esordio notevole che, nell’intenzione del duo, non voleva impegnare troppo l’ascoltatore sotto l’aspetto del minutaggio: sette inchini sonori per poco più di ventisette minuti, ma la qualità dei brani scritti non sminuisce quello che per molti potrebbe essere considerato un mini Lp.

Attivi da due anni, sono riusciti a trasformare la difficoltà del lockdown in una possibile ondata creativa: dove c’è costrizione possono esistere elementi di bellezza, senso e validità che permettono attraverso la delicatezza del loro approccio di generare petali morbidi e intense atmosfere oniriche che stimolano sorrisi, danze e gioie intense. 

Nel loro mondo le fate e gli gnomi abitano il tempo dentro melodie colme di sensualità e attività ludiche come volo di canzoni che miscelano coscienza e abilità, donando all’ascolto l’intima convinzione che i due ragazzi sappiano scrivere gioielli di luce.

Chitarre e tastiere che odorano di poesia e freschezza, unite al cantato che cattura deliziosamente, sono i principali elementi che danno a Flora (magnifico titolo che ben spiega cosa si muove all’interno di questo album), tutta la libertà per poter incantare l’ascolto. Che velocemente ci consegna disegni come schizzi di azzurro nel cielo dei nostri respiri, portandoci con generosa capacità, nel circuito della memoria, dentro le trame che furono un tempo approcciate dai Mazzy Star, dai The Durutti Column, sniffando lentamente alcuni edifici sonori dei Cocteau Twins, e buttandoci, con incanto, a osservare alcune delle magie dei DIIV. Ma non troverete plagi bensì ispirazioni, furti legalizzati che conducono alla conoscenza di se stessi. Partiti da lì, i due hanno costruito la loro identità per poter inserire elementi propri che alla fine sono quelli che ci fanno affermare di aver trovato qualcosa di nuovo e di estremamente valido.

La delicatezza e la giovinezza sembrano dimostrare che esiste ancora la possibilità di sentirsi contaminati, di creare fasci di ammirazione notevoli e di trovare nell’ascolto amici con cui vivere il tempo liberandosi pienamente dalle molte negatività dell’esistenza: Flora è un regalo prezioso, un fiume pulito, un volo nell’aria pura, una coccola diurna per arrivare alla notte leggeri e pieni di entusiasmo.

Dal punto di vista dei generi musicali ci troviamo di fronte al dosaggio perfettamente equilibrato tra dreampop e Shoegaze, il tweet pop e minimi accenni a un inconscio e minimalista post-punk. Si respira la convinzione che il lavoro di creazione sia perfettamente equilibrato e che ognuno dei due abbia luoghi di competenza che ispirano l’altro per far crescere e perfezionare le tracce musicali, portandole a fissarsi per sempre dentro la bellezza che incide così tanto per farle divenire capaci di resistere nel tempo: ameremo questo debutto anche tra molto tempo.

Con convinzione estrema affermo che finalmente si ascolta un album che disinfetta, pulisce e lascia brillante il macrocosmo delle nostre esistenze, restituendo a noi il diritto di vedere il presente e il futuro come luogo di accesso alla serenità.

E ci si sente amati, rispettati, liberati da musiche che troppe volte sono colme di dolore e tremore: Tilda e Curtis sono angeli che come chirurghi sanno estromettere la negatività per condurci a sentirci leggeri e votati all’ottimismo, come missionari che sanno cos’è il vero amore, per dare agli altri la possibilità di vedere l’esistenza come un camminamento equilibrato e seducente.

Che sia allora benvenuto il momento nel quale si entra in questi sette petali per poter annusare meglio flagranze intense e morbide…



Song by Song 



When We Met


L’album inizia con il desiderio di un ritorno al passato, alla magica dimostrazione del valore di un incontro. Tutto questo viene rappresentato con un’atmosfera delicata e lucente, tra chitarre e tastiere che si alternano e trovano modo di creare un grande gemellaggio. Ed è un desiderio che entra nella eterea dimensione di un sogno che danza dentro le pennellate sonore di Curtis e la voce da fata dell’800 di Tilda, per stabilire sin da subito l’effervescente propensione verso tappeti sonori ricoperti di petali. Vini Really e Robert Smith stringono la mano, compiaciuti, a quelli che potrebbero essere nipoti baciati da un generoso talento.



Daisy


C’erano volta i The Sundays, macchina da guerra di sogni fluenti e accattivanti. In Daisy il duo Mancuniano prende il lato positivo del Pop, iniettando alcune di quelle cellule della band di Bristol dentro il proprio scrigno fatto di trame vocali piene di ossigeno e chitarre che fluttuano dalla grigia Manchester all’azzurro cielo degli incanti più belli. Trascinante, gioiosa, la canzone mostra come si possa architettare la bellezza e depositarla dentro le note.



Something Other Than You


Già il titolo incuriosisce e dice molto: è una partenza che fa ben sperare. Infatti: qui troviamo la poesia degli Slowdive unita alla capacità dei due ragazzi di oscillare tra gli anni 90 e i giorni nostri, per permettere alle melodie di trovare il baricentro dove depositare incanto e poesia. Ed è il lato morbido dello Shoegaze che crea fragori delicati, petali di rose e batuffoli di cotone che si abbracciano stupendamente. Tutta la loro potenzialità trova modo di essere reale nel brano più suggestivo dell'album, qualcosa di speciale che è meglio non definire, perché sarebbe come mettere le catene ai sogni…



Picnic In The Rain


Curtis e Tilda costruiscono un castello colorato nel cielo, tra i palazzi vittoriani di Manchester e i suoi edifici moderni, con la capacità di fissare con precisione vortici di sinuosa bellezza dando modo al ritmo di trascinarci in una danza dove siamo bendati ma liberi di sognare. Ci ritroviamo dentro i percorsi di chitarre votate all’incanto e al dreampop che diventa il Maestro di sorrisi come diamanti destinati all’eternità. Il basso, con matrice post-punk, dà lo slancio a chitarre luminescenti e la voce sembra tratteggiare nelle nuvole disegni di una bimba che trova la propria fuga nel cielo.



Time


Il ritmo qui rallenta, la chitarra crea un loop sensazionale, il basso è il suo custode per un groove magico e sensuale e la voce una Dèa che cammina nel tempo per mostrare la sua indiscutibile inclinazione a rendere eterna la dolcezza. 

Come una stella che vagabonda galleggia nel blu così fa questa piuma: i due sono maghi che conferiscono alle note il ruolo di essere incanti inevitabili.



Almost Natural


Tutta la stratosfera scende su Manchester per sussurrare ai due di respirarne l’intensità: accade che la voce tenuta saggiamente più lontana si possa allineare perfettamente con le note che sembrano arrivare dai delicati polpastrelli di Vini Reilly, e si notano accenni alla valanga di suggestioni della Sarah Records, su tutti i Blueboy. Della band di Reading si ascolta la loro propensione ad allineare al basso corpulento chitarre attorcigliate ma leggere. I due tuttavia trovano modo di essere originali ed è affidata allo splendido cantato di Tilda il ruolo e la capacità di mostrare che la band non è affatto soggiogata dal potere del passato di quelle sue realtà. Si sogna per fermare gli incubi con questa splendida creatura.



Morning Sun


Ed è in clamorosa attitudine allo stupore che la band Mancuniana decide di terminare l’album di esordio: Morning Sun compatta il basso e la chitarra dentro un suono saldo e leggero al contempo, con il cantato che sembra sussurrare la necessità di un controcanto che si rivela magico ed essenziale. Le chitarre sembrano un rapimento continuo e si ha la netta sensazione che questo sia stato un brano studiato, ma che ha trovato il suo spazio gravitazionale per essere un abbraccio, un congedo temporaneo, perché non ho dubbi che sentiremo altre gemme da questa coppia artistica baciata da abilità e sedicenti propensioni nel fissare sulle note tutta la loro dolcezza…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

28 Agosto 2022


https://open.spotify.com/album/5MOsdLQs3Rx5ed7cnrH5Ku?si=G3kKk4oOR0CYQu4EUlY_qw


https://atmosbloom.bandcamp.com/album/flora







My Review: Atmos Bloom - Flora



London, the capital of effervescence and fluorescence, gives birth to creatures only to see them often take the path of relocation: it cannot always hold souls eager for curiosity towards different situations and so, like a structure that smacks of escape to victory, some of them migrate to rediscover themselves, releasing their talent and serenity in new places.

This also happened to Tilda Gratton and Curtis Paterson, a couple in their daily and artistic lives, who moved to the English music city par excellence: Manchester.

And of this magical place they have absorbed many things: from enthusiasm, to study, to a precise technical approach, to the freedom of experimentation, concluding the whole lot in the joy of songs that allow the expression of their talent in the knowledge that the awareness of being able to grow further surpasses the quality of an already excellent result. A remarkable debut album that, in the duo's intentions, did not want to commit the listener too much in terms of length: seven sonic bows for little more than twenty-seven minutes, but the quality of the tracks written does not diminish what for many could be considered a mini LP.

Active for two years, they have managed to turn the difficulty of lockdown into a possible creative wave: where there is constraint, there can be elements of beauty, meaning and validity that allow, through the delicacy of their approach, to generate soft petals and intense dreamlike atmospheres that stimulate smiles, dances and intense joy. 

In their world, fairies and gnomes inhabit time within melodies filled with sensuality and playful activities as a flight of songs that mix consciousness and skill, giving the listener the intimate conviction that this couple knows how to write jewels of light.

Guitars and keyboards that smell of poetry and freshness, combined with the delightfully captivating vocals, are the main elements that give Flora (a magnificent title that well explains what moves within this album), all the freedom to enchant our listening. Which quickly conveys us drawings like splashes of blue in the sky of our breaths, taking us with generous capacity, in the circuit of memory, into the structures that were once approached by Mazzy Star, by The Durutti Column, slowly sensing some sound buildings of Cocteau Twins, and throwing us, with enchantment, to observe some of the magic of DIIV. However, you will not find plagiarism but inspiration, legalised thievery leading to self-knowledge. Starting from there, the two have built their identity in order to be able to insert elements of their own, which in the end are what make us claim to have found something new and extremely valid.

Delicacy and youthfulness seem to prove that there is still the possibility of being contaminated, of creating remarkable beams of admiration and of finding in our listening friends with whom to spend time, freeing oneself fully from the many negativities of existence: Flora is a precious gift, a clean river, a flight through the pure air, a daytime cuddle to reach the night feeling light and full of enthusiasm.

In terms of musical genres, we are faced with the perfectly balanced dosage of dreampop and shoegaze, pop tweets and slightest hints of unconscious, minimalist post-punk. One breathes the conviction that the work of creation is perfectly balanced and that each one has places of expertise that inspire the other to make the musical tracks grow and perfect, leading them to become fixed forever within the beauty which  affects them so much that they become capable of enduring: we will love this debut long afterwards too.

With extreme conviction, I say that at last we are listening to an album that disinfects, cleanses and makes the macrocosm of our existences shining, restoring to us the right to see the present and the future as a place of access to serenity.

And we feel loved, respected, freed from music that is too often filled with pain and trembling: Tilda and Curtis are angels who, like surgeons, are able to oust negativity to lead us to feel light and dedicated to optimism, like missionaries who know what true love is, to give others the chance to see existence as a balanced and seductive path.

So welcome the moment when we enter these seven petals to better smell intense and soft flagrances...



Song by Song 


When We Met


The album begins with a longing for a return to the past, to the magical demonstration of the value of an encounter. All this is portrayed with a delicate and lucid atmosphere, between guitars and keyboards that alternate and find a way to create a great twinning. And it is a desire that enters into the ethereal dimension of a dream which dances within Curtis's sonic brushstrokes and Tilda's 19th-century fairy voice, to establish from the outset the effervescent propensity for petal-covered sound carpets. Vini Really and Robert Smith shake hands, smugly, with those who could be grandchildren kissed by generous talent.



Daisy


Once upon a time there was The Sundays, a war machine of flowing, captivating dreams. In Daisy, the Mancunian duo takes the positive side of pop, injecting some of those Bristol band cells into their own treasure chest of oxygen-filled vocal textures and guitars that float from grey Manchester to the blue skies of beautiful enchantments. Dripping, joyful, the song shows how beauty can be architected and deposited within the notes.


Something Other Than You


Already the title intrigues and says a lot: it is a hopeful departure. Here we find the poetry of Slowdive combined with the ability of the couple to oscillate between the 90s and the present day, to allow the melodies to find the centre of gravity where they can deposit enchantment and poetry. And it is the soft side of shoegaze which creates delicate fragrances, rose petals and cotton balls that embrace each other beautifully. All their potential finds a way of being real in the most evocative track on the album, something special that it is better not to define, because that would be like chaining dreams…


Picnic In The Rain


Curtis and Tilda build a colourful castle in the sky, between Manchester's Victorian palaces and its modern buildings, with the ability to precisely fix swirls of sinuous beauty, allowing the rhythm to pull us into a dance where we are blindfolded but free to dream. We find ourselves within the paths of guitars devoted to fascination and dreampop that becomes the Master of smiles like diamonds destined to eternity. The bass, with a post-punk matrix, gives impetus to luminescent guitars and the voice seems to sketch in the clouds drawings of a little girl who finds her escape in the sky.


Time


The rhythm slows down here, the guitar creates a sensational loop, the bass is its guardian for a magical, sensual groove and the voice a goddess walking through time to show its unquestionable inclination to make sweetness eternal. 

As a wandering star which floats in the blue, this feather does the same thing: the two are magicians who give notes the role of being unavoidable enchantments.



Almost Natural


The whole stratosphere descends on Manchester to whisper the two of them to breathe its intensity: it happens that the voice wisely kept further away can be perfectly aligned with the notes that seem to come from the delicate fingertips of Vini Reilly, and hints of the avalanche of suggestions from Sarah Records, above all Blueboy, can be noted. Of the band from Reading one hears its penchant for matching twisted but light guitars with the big bass. The two, however, find a way to be original, and it is Tilda's splendid singing that shows that the band is not at all subjugated by the power of the past. One dreams to stop the nightmares with this splendid creature.



Morning Sun


And it is with a resounding attitude to amaze that the Mancunian band decides to end their debut album: Morning Sun compacts the bass and guitar within a sound that is both solid and light at the same time, with vocals that seem to whisper the need for a counter melody which proves to be magical and essential. The guitars sound like a continuous rapture and one has the distinct feeling that this was a studied track, but that it has found its gravitational space to be an embrace, a temporary farewell, because I have no doubt that we will hear more gems from this artistic couple kissed by skills and self-styled propensities to fix all their sweetness on the notes…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

28th August 2022


https://atmosbloom.bandcamp.com/album/flora


https://open.spotify.com/album/5MOsdLQs3Rx5ed7cnrH5Ku?si=G3kKk4oOR0CYQu4EUlY_qw















venerdì 26 agosto 2022

My Review: Diamanda Galas - Broken Gargoyles

 My Review:


Diamanda Galas - Broken Gargoyles


Unique.

A word that must be studied, in these terrible times in which every term becomes an opinion and a bad comfort. In which everything is broken and defrauded of its origin.

Diamanda Galas sets things right: like it or not, she is unique and her new work is a slab on our breaths, a guillotine that decides to lead us to slow suffocation, because she is the only one able to do it. Broken Gargoyles is a continuous tremor, a ship rocking in the zone where comfort is a useless, primitive dream. So we meet tears, vomit, discomfort, fear, the sense of unbearableness that enchants and removes any attempt to escape.

We are in Germany for what was the basis of a 2021 installation created as the unnatural birth of Covid 19, inspired and sustained by the poems of Georg Heym, in which leprosy and plague are the dominators of all despair, heavy splinters with an evil grin that play at knocking down any idea of survival. And everything that is delirium and entails forced isolation enters Diamanda's uvula and the hypnotising, terrifying music that freezes all resistance: listening to her compositions is like being in an electric chair, without dying. Her voice descends into the abysses to be seen from Everest and then from every nebula seduced and fascinated by this artist, who smashes every interpretative code and mocks all those who need instruments and effects to try to get to the place where she is able to go. Instead, they fail.


hit by bullets and it is to those images that the album cover refers.

Then the plague and cholera come as thorny topics to make what Covid has generated in the minds of millions almost banal.

Diamanda disembodies, strips away the blackness of blood and puts it in our ears, generating terror and paralysis as a dutiful subliminal dance.

The instruments she has chosen are few but effective: keyboards, violin, piano, guitar and her voice, an enduring and inexplicable moment that connects the others and condemns them to a perfectly successful gregarious work. 

Germany, as always, capitalises every event for evolution, which becomes the drug for every manifest human aberration. Diamanda puts the nails of her intelligence at the disposal of her artistic project and concentrates on the history of suffering by placing herself at its side, studying it.

Everything ugly and frightening passes through her microscope and harmonizes to show the world the seeds of unbearable tragedies, and her music and vocals do exactly the same. 

A work about human limitations and its splinters that make life impossible: she produces an album that presents her to us in splendid form as she has not been for a long time, but this does not surprise the scribe. Because Diamanda, in order to rise, has to study, evaluate, approach her sensibility where human defeat displays its black feathers, where thought is fertilised by wickedness and hatred. With her, it is once again possible to use the term 'masterpiece', which in this groove is unbearable, a crazed artery from which the gushing blood can only lead to gravitate into the mystery of death. 

The first heretical cut, Mutilatus, was composed between 2012 and 2013: revised and corrected, it includes two poems by Georg Heym, Das Fieberspital and Die Dämonen der Stad, in which the demons of fear are led through frightening and liturgical sound textures, where the dramatic nature of topics finds in Diamanda's voice a satanic whip able to exhaust and annihilate. With her musical partner Kris Townes, the Goddess establishes a vast summation of unequivocal, cultured and perfect exaggerations to accompany the listener towards a visceral path of continuous avant-garde.

Twenty-three minutes and forty seconds in which the German nation is covered in dripping lava, the atmosphere is putrid and bloody, and time becomes the worst enemy of every breath. 

All seen from a hospital, a place for mutilated bodies deprived of meaning, except that of fully manifesting the power of evil.

The second malignant friction is called Abiectio, born from three poems by the German poet: Der Blind, Der Hunger and Das Fieberspital.

War, hunger, loneliness, despair and the chronic propensity to become screaming and wrenching throats are the essential pivots of these seventeen minutes and twenty-one seconds, in which the voice of the American singer returns to the splendour of her debut and nails us on crosses full of spikes and claws, where every inch of our skin is lifted up and thrown into the sky.  

Everything that is inclined to be visionary and intellectual is located in this lugubrious composition, a theatre of unbearableness and one of the most impactful moments of her career. Death as a traumatic fact in the eyes of soldiers and poor people, united by the same destiny, finds its idyll and power in these cadenced and muddy verses, ointments that do not heal but seem to make pain a sustainable event. Failing.

Because Diamanda does not see death as an enemy, but certainly the manner in which it occurs is studied by her in order to affirm the absence of an acceptable way.

And here, too, the hospital serves as a collector of pettiness, of diseases that exhaust all strength and take away the supposed joy of living.

So her project seems to be the single, essential plan of a doctor who notes, with paralysed eyes, what is happening on the skin and in the souls of bodies martyred by bullets with the effects of two diseases that are explainable but not bearable atrocities.

The horrible state of decay and fracture of the human body is made clear by the poet Heym, and Diamanda and her collaborator Daniel Neumann do nothing more than visualise it with the incredible result of making it all Art, with the possibility of ignoring this gratuitous and perpetual violence, out of convenience and fear. But they tell of realities experienced by human, real lives, which cannot always be escaped: she does not fail to make us aware of this, generating doubts and then the certainty that no one is exempt from this possibility.

The claustrophobic, existential and excruciating poetry of the History of Evil and the territories of human disaster find precise trajectories in this sensory fight called Broken Gargoyles: Diamanda reports it all with a firm and precise morality, draws infinite voids and shows her talent, which, starting from real events, finds its throne through an artistic attitude of unbearable importance. As always, more than ever, to find oneself listening to her flashes is to be purified on the one hand and devastated on the other. Hearing her sing and speak in the German language terrifies, she delves precisely into the territory of two atrocious moments in the history of that nation, capable of not succumbing but always having open wounds.

The Greek-born singer continues to explore what is troublesome, what we guiltily refuse to observe and study: erecting herself inside the volcano of all madness, with her ladle she tries to make the violent movement of life even denser in order to deliver us encyclopaedias of forced wisdom, like a tentacular and heavy fist.

In the presentation of the album, Diamanda wore a balaclava with the inscription Mutilatus, using descriptive words that convinced the scribe of the enormous journey of an artist devoted to human sacrifice, because noting how history is unable to change but only to repeat itself must necessarily represent a form of duty for her, heavy and difficult but with the awareness of having put on the table a merciless and exhaustive analysis that will not fail to wound and make us all a bubble of mud and blood inside the Theatre of Horrors and Pain.

In the meantime, let's take History, go to Germany and begin to feel in every beat, in every thought, the misery of our earthly sojourn.

I am convinced that Diamanda will one day be the one to open the gates of purgatory, not failing to let us hear the verses of this album, which becomes the rebellious sentinel of every mental reluctance.

A Masterpiece that will burn in our ears and give us a yellow fever, with the bullet holes of miserable existences defining it all: when death is described in life, then we can only thank Diamanda for saving us from the deception of dreams and for taking note that existence is a continuous mutilation…


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

26th August 2022





https://open.spotify.com/album/2kiRbAOjsR3WSnuM8qbZ7F?si=B2mx0yG8QZSkDyh4OqmqIQ


La mia Recensione: Diamanda Galas - Broken Gargoyles

 La mia Recensione:


Diamanda Galas - Broken Gargoyles


Unica.

Parola che va studiata, in questi tempi maledetti nei quali ogni vocabolo diventa una opinione e una pessima comodità. In cui tutto viene infranto e defraudato della sua origine.

Diamanda Galas mette le cose a posto: che piaccia o meno, lei è unica e il suo nuovo lavoro è una lastra sui nostri respiri, una ghigliottina che decide di condurre al soffocamento lento, perché lei è l’unica che può farlo. Broken Gargoyles è un tremore continuo, una nave che oscilla nella zona dove il confort è un inutile e primitivo sogno. Ed è dunque pianto, vomito, disagio, paura, il senso dell’insostenibilità che ammalia e rapisce ogni tentativo di fuga.

Si è in Germania per quella che era la base di una installazione del 2021 nata come parto innaturale del Covid 19, ispirato e sostenuto dalle poesie di Georg Heym, nelle quali la lebbra e la peste sono i dominatori di ogni disperazione, schegge pesanti dal ghigno malefico che giocano a sbattere per terra ogni idea di sopravvivenza. E ciò che è delirio e che comporta un isolamento forzato entra nell’ugola di Diamanda e nelle musiche ipnotizzanti e terrifiche che congelano ogni resistenza: ascoltare queste sue composizioni equivale a sentirsi su una sedia elettrica, senza morire. La sua voce scende negli abissi per essere vista dall’Everest e poi da ogni nebulosa sedotta e affascinata da questa artista, che spacca ogni codice interpretativo e che si prende beffe di tutti quelli che hanno bisogno di strumenti ed effetti per poter provare ad arrivare nel luogo dove lei riesce a giungere. Loro invece falliscono.

I versi di Heym ci portano all’inizio del ’900: il fotografo Ernst Friedrich mostrava i volti  dei soldati colpiti dalle pallottole ed è a quelle immagini che si rifà la copertina dell’album.

Poi arrivano la peste e il colera come spinosi argomenti a rendere quasi banale ciò che il covid ha generato nelle menti di milioni di persone.

Diamanda disincarna, spolpa, toglie il nero del sangue e ce lo mette nelle orecchie generando terrore e paralisi, come danza sublimale doverosa.

Gli strumenti che ha scelto sono pochi ma efficaci: tastiera, violino, pianoforte, chitarra e la sua voce, momento duraturo e inspiegabile, che connette gli altri e li condanna a un lavoro di gregariato perfettamente riuscito. 

La Germania, come sempre, capitalizza ogni evento per l’evoluzione, che diventa il farmaco per ogni manifesta aberrazione umana, e ogni malattia fa compiere un passo avanti verso la costruzione di uno stato di salute. Diamanda mette le unghie della sua intelligenza a disposizione  del suo progetto artistico e si immerge nella Storia della sofferenza ponendosi al suo fianco, studiandola.

Tutto ciò che è brutto e spaventoso passa attraverso il  suo microscopio e si accorda per mostrare al mondo i semi di tragedie insostenibili e la sua musica e il suo cantato fanno esattamente lo stesso. 

Un disco sui limiti umani e le sue schegge che rendono impossibile la vita: lei produce un lavoro che ce la ripresenta in splendida forma come non capitava da molto tempo, ma non sorprende lo scriba tutto ciò. Perché Diamanda, per poter elevarsi, deve studiare, valutare, approcciare la sua sensibilità dove la sconfitta umana mostra le sue piume nere, dove il pensiero è fecondato dalla cattiveria e dall’odio. Con lei torna possibile utilizzare il termine Capolavoro, che in questi solchi è insostenibile, un’arteria impazzita da cui il sangue che sgorga può giungere solamente a gravitare dentro il mistero della morte. 

Il primo taglio eretico, Mutilatus, venne composto tra il 2012 e il 2013: riveduto e corretto, comprende due poesie di Georg Heym, Das Fieberspital e Die Dämonen der Stad, nelle quali i demoni della paura vengono condotti attraverso trame sonore spaventose e liturgiche, laddove la drammaticità degli argomenti trova nella voce di Diamanda una frusta satanica che sfianca e annienta. Con il suo partner musicale Kris Townes, la Dèa stabilisce una vasta sommatoria di inequivocabili esagerazioni colte e perfette per accompagnare l’ascoltatore verso un viscerale percorso di continua avanguardia.

Ventitré minuti e quaranta secondi nei quali la nazione tedesca viene ricoperta di lava colante, l’atmosfera è putrida e sanguinolenta e il tempo diventa il peggior nemico di ogni respiro. 

Il tutto visto da un ospedale, luogo di accoglienza di corpi mutilati e privati di senso, se non quello di manifestare pienamente il potere del male.

Il secondo malefico attrito si chiama Abiectio, nato da tre poesie del poeta tedesco: Der Blind, Der Hunger e Das Fieberspital.

La guerra, la fame, la solitudine, la disperazione, la cronica propensione a divenire gole urlanti e strazianti sono i perni essenziali di questi diciassette minuti e ventun secondi, nei quali la voce della cantante statunitense torna ai fasti dell’esordio e ci inchioda su croci piene di chiodi e artigli, dove ogni centimetro della nostra pelle viene alzata e lanciata nel cielo.  

Tutto ciò che è incline ad essere visionario e intellettuale è sito in questa lugubre composizione, teatro dell’insostenibilità e uno dei momenti di maggior impatto della sua carriera. La morte come fatto traumatico negli occhi dei soldati e della povera gente, accomunati dallo stesso destino, trova il suo idillio e potere in questi versi cadenzati e melmosi, unguenti che non guariscono ma sembrano rendere il dolore un accadimento sostenibile. Fallendo.

Perché Diamanda, da sempre, non vede la morte come un nemico, ma certamente la modalità con la quale avviene viene da lei studiata per poter affermare l’assenza di un modo accettabile.

E anche qui l’ospedale funge da raccoglitore delle meschinità, di malattie che bruciano ogni forza e che tolgono la presunta gioia del vivere.

Allora il suo progetto sembra il piano unico ed essenziale di un medico che annota, con occhi e sguardo paralizzati, ciò che accade sulla pelle e nell’anima di corpi martirizzati da pallottole dagli effetti di due malattie che sono atrocità spiegabili ma non sostenibili.

Lo stato orribile di decadenza e frattura del corpo umano è reso chiaro dal poeta Heym e Diamanda e il suo collaboratore Daniel Neumann non fanno altro che visualizzare tutto ciò con l’incredibile risultato di rendere il tutto Arte, con la possibilità di ignorare queste violenze gratuite in fase perenne, per convenienza e paura. Ma loro raccontano realtà vissute da vite umane, reali, a cui non sempre si può sfuggire: lei non manca di farcelo presente, generando il dubbio e poi la certezza che nessuno sia esente da questa possibilità.

La poesia claustrofobica, esistenziale e lancinante della Storia del male e dei territori del disastro umano trovano traiettorie precise in questa colluttazione sensoriale che si chiama Broken Gargoyles: Diamanda resoconta il tutto con una morale salda e precisa, disegna vuoti infiniti e riporta il suo talento che, partendo da fatti accaduti, trova il suo trono attraverso un fare artistico di insostenibile importanza. Come sempre, più di sempre, trovarsi all’ascolto dei suoi guizzi equivale a depurarsi da un lato e devastarsi dall’altro. Sentirla cantare e parlare nella lingua tedesca terrorizza, scava con precisione nel territorio di due momenti atroci della storia di quella nazione, capace di non soccombere ma di avere sempre ferite aperte.

La cantante di origine Greca continua a esplorare ciò che è scomodo, ciò che colpevolmente rifiutiamo di osservare e studiare: erigendosi dentro il vulcano di ogni pazzia, con il suo mestolo cerca di rendere ancora più denso il movimento violento del vivere per consegnarci enciclopedie di saggezza forzata, come un pugno tentacolare e pesante.

Nella presentazione dell’album Diamanda ha utilizzato un passamontagna con la scritta Mutilatus, usando parole descrittive che hanno convinto lo scriba del cammino enorme di una artista votata al sacrificio umano, perché rilevare quanto la storia non sia in grado di cambiare bensì solo di ripetersi deve giocoforza rappresentare per lei una forma di dovere, pesante e difficile ma con la consapevolezza di aver messo sul tavolo un’analisi spietata ed esaustiva che non mancherà di ferire e di renderci tutti una bolla di fango e sangue dentro il Teatro degli Orrori e del Dolore.

Intanto prendiamo la Storia, andiamo in Germania e ricominciamo a sentire in ogni battito, in ogni pensiero la miseria della nostra permanenza terrena.

Sono convinto che Diamanda sarà un giorno colei che aprirà le porte del Purgatorio, non mancando di farci sentire i versi di questo album che diventa la sentinella ribelle di ogni ritrosia mentale.

Un Capolavoro che brucerà nelle nostre orecchie e che ci farà venire la febbre gialla, con i buchi di pallottole di esistenze miserabili a definire il tutto: quando la morte viene descritta in vita allora non possiamo che ringraziare Diamanda per evitarci l’inganno dei sogni e per prendere atto che l’esistenza è una mutilazione continua…


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

26 Agosto 2022


https://open.spotify.com/album/2kiRbAOjsR3WSnuM8qbZ7F?si=S89zw8_BQQOD_rqZRdW1qA




mercoledì 10 agosto 2022

La mia Recensione: Final Body - Nothyng

 La mia Recensione:


Final Body - Nothyng 


Prendi una città, Seattle, e trattala male: il Grunge ha fatto bene solo a lei perché ha tolto visibilità per almeno tre anni a tanta musica che veniva prodotta all’inizio degli anni ’90 nel mondo. E i danni sono stati evidenti. Ora lo scriba arrabbiato volge lo sguardo, con fiducia e amore, a tutte quelle band che anni dopo quel periodo stanno cercando di uscire da quei confini, che cercano di legittimare la loro musica partendo dal desiderio di esplorare generi diversi, di prendere distanze da un’attitudine musicale che forse incomincia a essere una spada di Damocle.

Ciò di cui vi sto per parlare non sarà una band e tantomeno un album che vi farà gridare al miracolo, ma è comunque estremamente importante in quanto pieno di adrenalina, di riferimenti agli anni 80 senza per questo privarsi della possibilità di aggiungere qualcosa di nuovo e di diverso.

È un lavoro variegato, capace di esprimere attraverso le sue canzoni il desiderio di portare nel capoluogo della Contea di King fascinazioni e riferimenti diversi, di condurre i cittadini verso territori dove alcuni sentimenti possano trovare una forma espressiva diversa. Ed è per questo che la mia attenzione si fa intensa, scrupolosa, quasi maniacale. Nothyng è una porta mentale del porto di Seattle che spalanca percorsi, navigazioni e sogni per conoscere modalità che per decenni erano totalmente scomparse: il Post-Punk nella cittadina americana ha avuto accessi numerosi e validi verso la metà degli anni 80 per dover poi vivere l’abbandono e il disinteresse.

La produzione è stata affidata a Ben Jenkins, ingegnere musicale e musicista, che ha saputo dare ai quattro la volontà di curare il suono prima di tutto, di prestare attenzione agli arrangiamenti poi, per conferire al lavoro di debutto caratteristiche di freschezza e forza, con un approccio più inglese che americano.

Le canzoni sono coinvolgenti per lo stile, per l’attitudine di non cercare una hit, vettore dal facile accesso, quasi come se quello fosse il vero concept dell’album: la volontà di creare un discorso di protezioni nei confronti del proprio fare artistico. Non il successo, bensì le idee come minimo comun denominatore.

Inevitabili gli accostamenti, ma non possono togliere all’ascolto la fluidità e l’individuazione di contributi personali. 

La peculiarità più evidente è quella di essere riusciti a dare luce a una musica che ha il DNA ben piantato nelle tenebre: l’elenco di band che potrebbero ricordarci l’origine di questa cifra stilistica sono molte, ma nessuna di loro ha quote cosi alte di bagliori, di sguardi verso il sole.

Elementi di Darkwave, miscelati al rock, circondano le canzoni con in aggiunta, in alcuni momenti, un synth che sposta i luoghi di definizione, per dare maggior ossigeno e chance di allargare la propria radice che è ben affondata negli anni 80. Ed è consolante vedere che non sono dei truffatori, degli opportunisti come gli Interpol o i White Lies, che non hanno fatto niente altro che copiare e incollare senza apportare uno stile proprio come invece è facilmente individuabile con i Final Body. Sollievo, gioia, felicità che contagiano perché, per quanto siano riconoscibili le radici, i rami profumano di novità, le foglie hanno colori e sostanza diverse.

Poco più di mezz’ora di ascolto per dieci canzoni che danno l’impressione di essere velocissime: il tempo è una variabile che non appesantisce, ognuno può sentire l’incanto e il desiderio che si concentra su una composizione piuttosto che un’altra, ma non si ha mai l’impressione di essere imprigionati nella pesantezza. Le ombre dell’esistenza arrivano più nei testi che nella musica, perle di saggezza che considerano una realtà che si sta riempiendo di distanze nei rapporti, per rendere, alla fine dei conti, l’esistenza più pesante.

Allo scriba non resta altro che puntare le canzoni e mostrarle, per avere un quadro negli occhi e una mano salda nel cuore…



Song by Song



Agitated


La trama del synth scorre sino a quando tutto diventa Post-Punk, il cantato spinge gli occhi a danzare, sino a quando le chitarre si elevano e in certi momenti il fantasma di Adrian Borland emerge per scuotere i nostri nervi. La drammaticità attraversa i muscoli e la mente accende il cero in cerca di una calma interiore che non arriverà.



Satin


Se l’inizio il brano ricorda i Cure di Seventeen Seconds, poi tutto si sposta tra The Sounds e O.M.D., ma non temete: i quattro di Seattle sanno concedere a loro stessi per primi un bouquet di rose fresche, non troppo imparentate con quelle degli anni 80, basta saper ascoltare gli intarsi della tastiera, il basso nuvoloso che spinge la canzone verso la modernità.



Lose Health


Ed è magia, la stanza si riempie di mistero e dolore, la voce sale in cattedra, gli spazi vuoti sono sfiorati dalla chitarra in odore di Sua Santità Robert Smith e poi lo spazio che il synth si prende allarga il cielo con una nuova ferita. Incantevole, saprà sedurvi.



Save Your Breath


Il cuore si accende di rugiada con Save Your Breath: tutto qui profuma di prime ore del mattino, con un invito a salvare il proprio respiro e questo concetto, scritto prima dell’avvento del Covid, pare una premonizione. Dal punto di vista musicale, notevole il gioco di alternanza del lavoro della chitarra, con il basso che si contorce su un giro che offre echi di Killing Joke, mentre il synth offre alla band la possibilità di separarsi da facili accostamenti.



Curtains


Eccola la canzone che vive di se stessa, forse anche per se stessa: una rondine che vaga per il cielo di Seattle, offre il suo battito post-punk puro, quasi in modo morbido, sebbene il ritmo sia veloce, forse causato da un cantato sensuale.



Life Person


Un gattopardo sonoro avanza nella notte, la voce sembra quasi uscire dall’ultimo album dei The Doors mentre le note sono brividi di pace, sino a quando, alzandosi il ritmo, tutto sembra dirigersi verso Londra, anno 1981. Le linee melodiche sono diverse e perfettamente collegate tra loro, riuscendo a dare alla canzone la sensazione che un missile dalla faccia pulita sia passato a salutarci.



Shadow


Altro esempio brillante di quanto in questi anni chi decide di risiedere nella zona del post-punk possa escogitare il sistema per colorare il passato, navigando dentro le perle del passato per poter concimare le proprie illuminazioni emotive.



Devil


Aggressiva, dall’impeto vigoroso, Devil ci porta una band volenterosa di affrontare la parte più teatrale del cantato e di schegge di Australia che echeggiano chiaramente per questa tensione che sospende uno strumento al fine di dare spazio ad un altro e poi riunire il tutto in un movimento tribale.



Run Away


L’elenco qui potrebbe essere infinito, se viviamo solo della volontà di trovare dei riferimenti (vincerebbero almeno quattro band), ma poi, dato allo studio la possibilità di scovare materie prime, queste arrivano: il brano è una frustrata di aria fresca che riesce a paralizzare le quantità di elementi che arrivando dal periodo 1982-1983 potevano annullare il senso della scrittura di questa gemma.



Beg


La sorprendente Beg conclude questo album: si evidenzia chiaramente la volontà di scrivere una goccia di sangue con il sorriso, per un’atmosfera che pare essere quella di una gioia che sopravvive alle intemperie. Diversa da tutte le altre, questa stella finale sembra aprire al futuro della band scenari diversi, una decadenza solo accennata, concedendosi una delicatezza cucita con l’abito grigio.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

10 Agosto 2022


https://finalbody.bandcamp.com/album/nothyng


https://open.spotify.com/album/515fpoV8n7A0gPjURLEPWo?si=g2tAEKfUQqa_3Dtti6Blsw






La mia Recensione: Midas Fall - Cold Waves Divide Us

  Midas Fall - Cold Waves Divide Us La corsia dell’eleganza ha nei sogni uno spazio ragguardevole, un pullulare di frammenti integri che app...