mercoledì 25 maggio 2022

La mia Recensione: Marlene Kuntz - La fuga

 La mia Recensione:


Marlene Kuntz - La fuga


Condizione umana attuale? Un diluvio incontrastato di elementi sparsi, senza direzione, senso, dove la disciplina cade dal vocabolario, in una condanna legittimata da incompetenza, disinteressi e incuria; dove il meschino ha lo scettro sul volto scavato dal ghigno come atto liberatorio e cosciente del nulla che porge.

Sul fare del mondo si può discutere, prendere posizione con opinioni che sanno di muffa scadente, senza luce né intensità. Se le cose devono andare così, la resa totale, il consegnarsi diventa l’unico cambiamento che possa generare miglioria.

Marlene visita il mondo dalla natura, da montagne capaci di regalare pensieri dentro silenzi urlanti, vogliosi di creare il presupposto della fuga, come primi testimoni dell'ambiente circostante che suggerisce, prima, e che urla poi come stanno le cose, nella sua suggestiva e roboante realtà.

Arriva una sberla che affascina: ci si deve chiedere che fine farà questa considerazione, se sarà il custode di un nuovo impeto. Costruttivo.

Intanto si ascolta una dolorosa meraviglia artistica, un’impronta lucida che conferma che l’abito sensoriale dell’ormai Signora Marlene è sempre la congiunzione perfetta tra la finzione e la realtà. Un groppo in gola consegna anche un fremito, lo spavento consapevole che tutto sia andato perso: la situazione non è come quella che il più ottimista potrebbe affermare dicendo “dai che abbiamo speranza”.

Chi fugge vuole cambiare scenario: il proprio gli sta stretto, lo considera un carceriere al quale togliere la licenza del comando. Un imbroglio continuo che semina la morte della libertà, della soddisfazione, del senso delle cose.

I Marlene Kuntz abbassano lo sguardo, ancora una volta perché necessario, sulla Terra, parlando del suolo da calpestare senza più spazio per quelle cose che un tempo erano site dentro di noi. Una canzone come la necessità di mostrare la nostra attuale condizione, la carta d’identità di un fallimento che vuole farci arrivare il messaggio di una fuga come ultimo atto, estremo. Un brano che circonda il pensiero umano annichilendolo, dimostrando come nessun territorio sia la capanna nella quale vivere i sogni, progettando il futuro, vestirli perché liberi di poterlo fare, in quanto si è deciso alla fine di dare in pasto a una collettività priva di capacità il nulla. Senza soffi di intelligenza le cellule si perdono davanti al chiacchiericcio sterile, i pensieri si piegano e muoiono.

Canzone drammatica, severa, sconvolgente, più che giustificata e purtroppo, per questi motivi, clamorosamente bellissima.

Ma morirà presto perché vera. 

E la Natura, la Dea del tempo che governava le nostre vite, si ritrova senza poter dialogare con noi, tornerà a vincere e stavolta lo farà per sempre, sconfiggendo il nostro inquinamento fisico e morale. Le colpe avanzano per prendere il sopravvento: è questo il torto più grande che l’uomo compie. E a pagare sono tutti.

La tristezza e lo sgomento aumentano dopo ogni ascolto, non potrebbe essere diversamente, la città dei pensieri è un agglomerato di vomito e rovina che uccide se stessa. 

Persa una certa libertà, da chi ce l’ha sottratta, tentiamo la fuga, sperando in uno spazio libero che la Signora Marlene non accenna a rivelarci: non era il suo compito. Doveva invece farci vedere i nostri passi cercare di essere capaci di avere dignità e forma, un tentativo, riuscito, di spalancare i nostri occhi. Testo e musica compatti, determinati a fare del messaggio qualcosa di chiaro e ineccepibile, nel tempo della confusione e dello smarrimento. È arte allo stato puro questo perfetto connubio: non ci rende liberi di fuggire da un eventuale tentativo di nascondere lo sguardo e diventa un vento dalle sbarre pesanti capaci di raggiungerci dall’alto, precipitando sulla nostra meschinità. Il pianoforte rende drammatico il tutto, come lo fa il drumming, tra beat e pelli vere a rimbombare dentro le parole. Le chitarre sono nascoste, la melodia rivolge il pensiero verso il cielo e gli chiede il proprio silenzio…

Sorprende quanto la band di Cuneo sappia sempre essere capace di comporre musiche che già da sole fanno intendere il percorso della penna di Cristiano. Conferendo in questo caso specifico alla composizione la libertà di sfuggire a un cliché di definizione stilistica.

Non si può che svenire all’ascolto, senza forze, senza occhi che possano vedere il guaio in cui ci siamo messi. La nuvola sopra le montagne scende verso i nostri sensi corrotti, senza che niente possa correggere la postura dei nostri pensieri.

La direzione della musica è quella di una coralità, estrema e perversa nella sua crudele capacità di essere autentica come lo sa essere il testo: inquina ciò che non vogliamo essere capaci di vedere inquinato. Si vola verso l’assoluzione, per convenienza, mentre il pulsare del cuore del brano vorrebbe accendere un barlume di consapevolezza. Fallirà solo perché i falliti siamo noi, semplicemente è così.

Il senso caotico del finale del brano non è altro che il premio alla prepotenza del menefreghismo davanti a ciò che non conosce intenzione di arresto, cioè la propensione all’indifferenza di quello che è il dna umano. Come premio abbiamo questo dono, che ci piacerà, senza minimamente pensare di usarlo, per capire la fuga o addirittura creare il presupposto di un cambiamento radicale senza doverla compiere. Non hanno mai scherzato i Marlene Kuntz con la vita: circondata, scandagliata, vivisezionata, amplificata, hanno sempre tracciato un percorso cosciente di malefatte, intuizioni, spinte, impulsi, dettagliando e determinando la loro qualità di sguardi intensi.

Ora sono feroci, aggressivi e arrabbiati: altro che Sonica, Il Vile, Cara è la fine, 111: niente di più fragoroso è mai uscito dalle loro vene salienti e capienti.

Ora si sta davvero rovinando tutto.

E questo brano/verità certifica, marchia la pelle di un cervello ormai nebuloso e inconcludente, villano, schifoso.

La cura prestata a questa esplosione morale ha coinvolto la musica.

Il cantato è una ferita senza fine, con il fiato raccolto tra le spine. 

Negli occhi di Cristiano, che dai monti fa rotolare il suo pensiero insieme ai suoi compagni, tutto sembra divenire un ambasciatore di liquidi nerastri e contaminanti come virus subdoli. È un crescendo inquietante, ingombrante, fastidioso, ma prezioso, una camera iperbarica per recuperare energie dalle fatiche delle nostre idiozie infinite. E non ci restano che le campane di mucche al pascolo, con sibili tetri e l’atmosfera pesante della fine che arriva con quella della canzone. Il mondo visto coscientemente è più piccolo, più brutto e spaventoso.

Ecco.

I Marlene Kuntz spezzano la fuga con il loro ridimensionarci, non presentano una cura bensì il conto. Non vi è estraneità, tantomeno bugia in questa impietosa analisi che forse sarà creduta meno perché viaggia su note (splendidamente pesanti e conturbanti) che sembrano poter far apparire il tutto una favola, una esagerazione per la cosiddetta licenza poetica che si annette alla libertà.

Ma quale libertà?

Da questo brano risulta evidente che siamo tutti, nella vita, lucidamente prigionieri. 

Senza via di fuga…


Alex Dematteis

Musicshockworld 

Salford

25 Maggio 2022


https://open.spotify.com/track/550Vv0MsdKOSgOEkTiSDJK?si=Jie0qqXVQKSUjU9ZT7lkyQ



https://music.apple.com/gb/album/la-fuga/1623243644?i=1623243647









 


martedì 24 maggio 2022

La mia Recensione: Cloudwalk - Rose again; My sun, My Mind

 La mia Recensione:


Cloudwalk - Rose again; My sun, My Mind 


Nuotare nelle onde della magia avvolgente ci lascia increduli, storditi, come puledri su gambe tremanti, con la bava alla bocca per la quantità di emisferi che sembrano farci compiere un galoppo universale.

Capita talvolta con lo sguardo verso il mondo, con l’ascolto della musica che diventa proprio un pianeta da abitare e che riesce ad abitarti, quando l’attenzione e la sensibilità si prendono per mano.

Vi sto per parlare di un album che mi sta facendo fare il giro delle emozioni, di considerazioni intense, regalando l’ampiezza di cui necessito, come una esperienza energetica notevolissima.

La band è Danese, un soffio di dolcezza pura che arriva dal nord per portarci quel calore che solo la mancanza di profondità può credere che sia impossibile possa provenire da quella parte del mondo. La musica da loro composta ed eseguita con gran classe è capace di sbalordire se si va oltre dei cliché che possono uccidere la percezione: vi è un solo posto dove siano in grado di vivere ed è lo stupore. L’album è un debutto notevole: in cinquanta minuti e undici brani abbiamo cibo per l’anima che può sfamarci, scuotere la nebbia della noia e della mediocrità per sistemare la nostra vacillante intelligenza per tutto il tempo che vorremo. Accennavo alla magia ed è proprio quella che risiede nei circuiti elettrici di questo vapore magnetico, purificante e maestoso, che con il passare dei minuti lascia basiti e tremanti.

Potrei anche cercare di definire tecnicamente il genere, ma mi parrebbe riduttivo: quando si guarda dentro una cellula, tutte le specificità si assentano e gli occhi pulsano per manifesta incapacità descrittiva davanti a ciò che pare indefinibile.

Sì, certamente, lo Shoegaze è presente, come un Post-Rock rivisitato e corretto, ma il nucleo di tutto ciò molto più probabilmente è connesso a una forma invisibile che controlla la forza della natura umana.


Con questo involucro il contenuto non può che essere intenso, incline a una bellezza fatta di intensità crescente, protetta dalla luna e dal silenzio cosmico. Si entra nei rivestimenti sonori come echi di un tempo bisognoso di ascolto, dove l’aria è rarefatta e tutto diventa un regalo immenso. Appare evidente il sincrono lavoro di sinergie che creano atolli, circondati da onde musicali che stregano, segregano il banale e ci purificano.


Come una scossa confidenziale di brividi allenati all’evoluzione, tutto appare nitido per poter essere condiviso da sensi allineati in un patto saldo e invincibile.

Dinamiche desuete mostrano la loro unicità più che evidente per stordire e compattare le nostre inquinate modalità di approccio nel sentire, come un vetro che soffia verso la luce rischiarando la visione del mondo. Il cantato sempre avvolto da movimenti sonori inebrianti, sciolti, vigorosi e capaci di toglierci le briglie per condurci a un galoppo libero.


Esiste una poesia fatta di armonie come batuffoli di lana che si tuffano nella morbidezza della seta, un impianto elettrico di sobbalzi continui, adulti e consapevoli. 

C’è uno spirito di dedizione e completezza che respira tra le composizioni come se non si potesse fare altro che scrivere la storia di una bellezza antica con mezzi moderni, rappresentare il chiaroscuro dell’esistenza con delicata propensione al rispetto, senza essere roboanti nei suoni bensì nelle suggestioni che volano prendendoci con sé. 


Le scintille incontenibili sono visibili quando il poeta le tramanda con i suoi versi: così fanno i Cloudwalk, coniugando il giorno e la notte nel girone della bellezza continua, dove se si vuole essere catturati la prigionia diventa un privilegio.


Questa band sa accorciare le distanze e cancellare le differenze tra il bello e il brutto eliminando il secondo, senza dover far esplodere nulla, ma subissandolo con una classe che non può assolutamente perdere il confronto, perché la bruttezza si spegne dinanzi a questo movimento che come un cerchio che si stringe annulla il potere di chi non è avvezzo a considerare la bellezza come l’unico trono possibile.

È venuto il momento di perlustrare questo territorio che ci lascia a bocca aperta, per respirare l’immensità dell’universo in volo verso ciò che fa del mistero l’unico motivo per cui vale la pena perdersi.



Undici candele celestiali, la prima è MY SUN, l’ingresso nella bellezza con chitarre cadenzate che ricordano l’importanza dei Durutti Column e certe band della 4ad.

CAGE OF LOVE è una canzone quasi robusta con un cantato che sembra provenire da un lupo con la voce bassa, per un’atmosfera alla fine che rimane sognante.

Si arriva a STRANGER e ci si commuove: la densità del cuore trova rifugio in questa melodia adatta a un abbraccio tra le lacrime. 

MOONSHINE: si sta in attesa nell’introduzione, pronti ad un attacco. Ma poi è zona onirica meravigliosa ed estasiante. Un sogno che si apre nota dopo nota.

Una gemma dal titolo RAYS OF WISHES illuminerà anche il cuore più sordo. Se gli Slowdive salissero al nord suonerebbero così!

Lo stupore continua: un piano avvolto di luce notturna è la struttura di RISE AGAIN, al quale basta poco per sussurrarci una melodia marittima, tra onde bellissime.

Il K2 dell’album: GHOST TOWN, lo Shoegaze che si esprime nella maturità poco conosciuta, abbandonandosi a una misurata dilatazione del suono. 

E ora l’Everest: con I WANTED MORE, il volo sul mondo con le ali sonore di una canzone strepitosa, neve fresca negli occhi che piangono felici. Ci si perde nella sua struttura corposa e capace di incollarci tra le sue piume.

BULLETPROOF: anche le frecce possono compiere un cerchio… Qualcosa di sacro esce da questa marcia atipica, una processione dove si celebra la loro intensità.

Ciò che è evidente in questo album è la propensione a rendere compatti i suoni e gli strumenti, ma anche a dare spazio all’effervescente brillantezza di una chitarra sinuosa come quella di FADING WINTER: lo dimostra, basta saper attendere e si gode di questa camminata tra vibrazioni quasi vicine al thriller come  ad esempio nel finale.

Si conclude il percorso tra le candele e MY MIND è la chicca che consola, che rende ancora più valido e interessante tutto ciò che abbiamo ascoltato. È vagare nel tempo e tra le onde della chitarra che le apre per consegnarci un cantato magistrale.  


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

25 Maggio 2022


Brett Tootle - vocals, guitar Jacob Mignon - guitar, backing vocals, piano Teis Harrington - drums Amalie Dallerup - backing vocals, piano, keys Sebastian Krogh - bass


https://open.spotify.com/album/1jfHtSbupVDBCpQHUKjiQU?si=C-rYcaODTEW-_5h5KyQUtQ





My Review: Cloudwalk - Rose again; My sun, My Mind

 My Review:


Cloudwalk - Rose again; My sun, My Mind 


Swimming in the waves of enveloping magic leaves us incredulous, stunned, like foals on trembling legs, frothing at the mouth because of the amount of hemispheres that seem to make us perform a universal gallop.

It happens sometimes looking out at the world, listening to music that becomes just a planet to inhabit and that manages to inhabit you, when attention and sensitivity join hands.

I’m going to talk about an album that is taking me on a tour of emotions, of intense considerations, giving the breadth I need, as a remarkable energetic experience.

The band is Danish, a breath of pure sweetness coming from the north to bring us the warmth that only a lack of depth can believe it absolutely cannot originate from that part of the world. The music they compose and perform with great class is capable of astounding if one goes beyond clichés that can kill perception: there is only one place where they are able to live and that is amazement. This album is a remarkable debut: in fifty minutes and eleven tracks we have food for the soul that can feed us, shake off the fog of boredom and mediocrity to settle our faltering intelligence for as long as we want. I was mentioning magic and that is precisely what resides in the electrical circuits of this magnetic, purifying and majestic vapor, which as the minutes go by leaves us stunned and trembling.

I could also try to technically define the genre, but that would seem reductive: when one looks inside a cell, all specificity is absent and the eyes pulsate with manifest descriptive inability before what seems indefinable.

Yes, certainly, shoegaze is present, like a revisited and corrected Post-Rock, but the core of it all is much more likely connected to an invisible form which controls the force of human nature.


With this shell the content can only be intense, prone to a beauty made of increasing intensity, protected by the moon and cosmic silence. One enters the sonic coatings as echoes of a time in need of listening, where the air is rarefied and everything becomes an immense gift. The synchronous work of synergies that create atolls, surrounded by musical waves that bewitch, segregate the trivial and purify us, appears evident.


Like a confidential jolt of chills trained in evolution, everything appears clear to be shared by senses aligned in a firm and invincible pact.

Outdated dynamics show their uniqueness more than evident to stun and compact our polluted modes of approach in feeling, like glass blowing toward light brightening the worldview. Vocals are always wrapped in heady, loose, vigorous sound movements capable of taking off the reins to lead us into a free gallop.


There is a poetry made of harmonies like cotton balls plunging into the softness of silk, an electric system of continuous jerks, adult and aware. 

There is a spirit of dedication and wholeness that breathes among the compositions as if one could do nothing more than write the story of an ancient beauty with modern means, depicting the light and dark of existence with delicate propensities of respect, without being pretentious in sounds but in suggestions that fly by taking us with them. 


The irrepressible sparks are visible when the poet passes them on with his verses: so do Cloudwalk, combining day and night in the circle of continuous beauty where, if one wants to be captured, captivity becomes a privilege.


This band knows how to shorten distances and erase the differences between the beautiful and the ugly by eliminating the latter, without having to explode anything, but subduing it with a class that absolutely cannot lose the confrontation, because ugliness is extinguished before this movement that like a tightening circle cancels the power of those who are not accustomed to considering beauty as the only possible throne.

It’s time to examine this territory that leaves us open-mouthed, to breathe in the immensity of the universe in flight towards what makes mystery the only reason worth getting lost for.



Eleven heavenly candles, the first being MY SUN, the entrance into beauty with cadenced guitars reminiscent of the importance of Durutti Column and certain 4ad bands.

CAGE OF LOVE is an almost robust song with vocals that seem to come from a wolf with a low voice, for an atmosphere at the end that remains dreamy.

We come to STRANGER and are moved: the density of the heart finds refuge in this melody fit for a hug between tears. 

MOONSHINE: one stands waiting in the introduction, ready for an attack. But then it is a wonderful and ecstatic dreamlike area. A dream that unfolds note by note.

A gem entitled RAYS OF WISHES will enlighten even the deafest heart. If Slowdive went up north they would sound like this.

The amazement continues: a piano shrouded in night light is the structure of RISE AGAIN, which needs very little to whisper us a maritime melody, among beautiful waves.

The K2 of the album: GHOST TOWN, shoegaze that expresses itself in little-known maturity, indulging in a measured expansion of sound. 

And now Everest: with I WANTED MORE, the flight over the world with the sonic wings of a resounding song, fresh snow in the eyes crying happily. We get lost in its rich structure capable of gluing us between its feathers.

BULLETPROOF: Even arrows can make a circle... Something sacred comes out of this atypical march, a procession where their intensity is celebrated.

What is evident in this album is the propensity to make the sounds and instruments compact, but also to give space to the effervescent brilliance of a sinuous guitar like that of FADING WINTER: it shows, you just have to know how to wait and you enjoy this walk through vibrations almost close to thriller, as for example in the end.

The path among the candles comes to an end and MY MIND is the consoling gem that makes everything we have heard even more valid and interesting. It is wandering in time and among the waves of the guitar that opens them to deliver us a masterful singing.  


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

25th May 2022


Brett Tootle - vocals, guitar Jacob Mignon - guitar, backing vocals, piano Teis Harrington - drums Amalie Dallerup - backing vocals, piano, keys Sebastian Krogh - bass


https://open.spotify.com/album/1jfHtSbupVDBCpQHUKjiQU?si=C-rYcaODTEW-_5h5KyQUtQ




giovedì 19 maggio 2022

La mia Recensione: Gang - Ritorno al fuoco

 La mia Recensione 


Gang - Ritorno al fuoco


“La vita è come un ponte: puoi attraversarla, ma non costruirci una casa sopra.”


“Quando un uomo si allontana dalla natura il suo cuore diventa duro.”


Pillole di saggezza dei Nativi Americani.


Le parole raccontano, svelano, spiegano ma non sono null’altro che la coda, i nipoti di infinite verità, stimoli, pruriti di bisogni, atomi, ribelli, il rimbalzo finale di mille scintille che non potranno mai svelare l’assoluto. E tanto altro ancora. Le parole sono prigioniere di decodificazioni e non costituiscono mai lo specchio di interezze multiple, per impedimenti naturali, assolutamente non colpevoli.

Poi c’è Marino Severini e allora tutto viene sospeso: si è davanti sicuramente a una rara eccezione, una serie di cavallette compatte che attraverso l’unione non disperdono nulla di ciò che le ha generate.

Da sempre Autore, da sempre la sua parola è feroce, come un silenzio di fuoco a scaldare i nostri smarrimenti, a rendere misera la nostra arrendevolezza per poterle dare un volo.

E la Musica?

In generale ha perso negli anni la brillantezza, impegnata a inventare nuovi generi, a fare della miscelanza l’unico divertimento.

Dal canto suo arriva Sandro, anche lui con la semplicità: non vergognarsi di nulla, non esasperarsi e cercare l’abbraccio sonoro di altri musicisti per aggiungere colori e lampi. Ed è così che tutti hanno i polsi carichi di gioia nel performare parole fatte di note che vibrano dentro il tendone di un circo, temporale libero, per nulla preoccupato di mostrare che dalla storia si possa ancora imparare e scrivere canzoni autentiche. Conta il messaggio. A prescindere. I due fratelli hanno accolto compagni di scorribande allegre, hanno scambiato la libertà propria con quella di una nutrita schiera di anime intenta a fare di questo album un arcobaleno che con il suo semicerchio ha saputo collegare la curiosità alla espressione artistica.

Un album che è un pranzo completo dove si rischia di fare il bis perché la sazietà non è nel suo dna, piuttosto questa abbondanza stimola ancora di più l’appetito. Una scintillante adunata di strade Americane si sono incrociate con quelle europee, con la storia madre di un folk educato alla bellezza per sostenere versi pieni di riferimenti, sogni, volti dalla pelle crassa di rughe valide, dove l’estetica perfetta non ha avuto accesso, ancora una volta, nella penna di Marino. 

Si sente la volontà di prendere dal cassonetto dell’umido storie rifiutate perché ritenute sporche, con liquidi puzzolenti: i fratelli Severini invece le hanno coccolate, dato loro sguardi interessati e non hanno concesso loro di finire in un inceneritore senza anima.

Hanno portato tutto nella casa della loro intelligenza e gli hanno ridato un senso, una direzione, uno spessore partendo da un intento preciso: la Cultura risiede dove esiste uno sguardo che assorbe e che non giudica. Che ha un grembiule dalle mille pieghe, mille macchie di pennarelli ed un grande sorriso come il benvenuto di un’anima che brinda orgogliosa di fronte a chi preferisce emarginare.

Un lavoro capace di fermare il tempo, di ridare alle storie la memoria, che è la dignità della profondità che si ribella allo scarto, peculiarità di una modernità che i due prendono solo con il contagocce. Con i Gang non si deve cercare la loro identità: si trova la nostra che nascondiamo, affoghiamo, buttiamo. Così facendo nascono punti di domanda continui che sono la nostra fortuna e le storie raccontate diventano la nostra spinta, quella determinazione che era nella nebbia delle comodità. Si può crescere nella discordanza, nella non completa adesione a un pensiero, ma alla fine forse molto di noi si ritrova con un impulso a divenire un ascolto che valuta il senso di uno schieramento. RITORNO AL FUOCO è un ponte che collega antichi valori a quelli nuovi: è una lunga seduta sulla prateria delle possibilità in cui loro hanno affidato al vento il compito di far planare il tutto, il vecchio e il moderno, per una discussione che tenga conto della evoluzione dell’essere umano e pure del suo contrario. Hanno piantato le loro bandiere studiando il cielo, guardando la deambulazione tendente alla caduta di un mondo consumato dall’esasperazione di chi gioisce solo di creazioni consumistiche sterili. Sandro e Marino hanno mostrato il senso dello studio, partendo dalla Natura del mondo per unirla a quella umana. 

Per molti i Gang rappresentano quella lotta continua, quell’impegno sociale così raro da sentire. Ed è vero. Ma credo esista un lato poetico, che non si smarrisce davanti alle ingiustizie, che a loro preme svelare, congiunto a dei valori elevati e sostanzialmente fastidiosi per chi fa del disimpegno la propria  identità. È evidentemente necessario esprimere quel lato, come parte fondamentale per mettere in evidenza un tutto che nulla esclude dallo sguardo…

Questa ultima gemma non è solo un urlo, un pugno alzato al cielo (quello lo sono stati e sempre lo saranno) bensì un goniometro, un lampo, un percorso che setaccia, una stretta di mano alle persone che con l’esclusione muoiono. I Gang si rivolgono a loro ascoltandoli, contano i loro lividi e li mettono in canzoni un po’ per alleggerire le loro tragedie e un po’ perché la musica ancora riesce a far pensare, a fare breccia, a riunire forze apparentemente lontane.

È un cascina piena di gente che lavora RITORNO AL FUOCO, dove tutti raccolgono il fieno, gettano il diserbante nella terra della vergogna, quella umana, sono indaffarati a seminare gli eventi che nessuno mostra interesse a fare propri e, come i contadini che gettano i semi sulla pelle della terra, loro lo fanno con le canzoni, per continuare a raccogliere i frutti. Che possono essere dal sapore dolce così come amari, perché una buona tavola comprende entrambi.

Il futuro di quelle persone è nella poesia che sa sentire la forza nascosta di impeti necessari ma sempre più stanchi e consumati. Un album che ci mette la polvere addosso, lo sputo sulla zappa e il piccone e il sorriso di chi al vento e alla pioggia deve tutto. 

E così arrivano le storie di chi non finisce al centro dell’attenzione: Severini è l’antenna che capta, canta, porta con impeto tutto ciò e lo sbatte sugli occhi di chi ha spento il pudore. Sono canzoni che possono fare piccoli miracoli e quelli umani sono più devastanti perché compiuti da chi è perfettamente uguale a noi. Che fastidio eh? Che dispetto eh? Che coraggio!

Ecco, come un ventaglio dalle mille pieghe e su cui siedono le lacrime di chi ha il sangue amaro, queste composizioni producono aria fresca per il cervello di chi ha spento la luce: là fuori il mondo è sempre più diviso ed egoista, i due Marchigiani con tatto e veemenza, con ragionevolezza e senso dello schifo cuciono la perfezione elegante che si pensa possa solo essere una dote tecnologica, figlia di una produzione priva di ogni propensione al calore. Ma ascoltare questi brani è tornare indietro e avanzare al contempo in un futuro con meno ferite.

Una produzione eccellente quella di Jono Manson, che sembra essere il cowboy con gli amici giusti per fare scorribande nella prateria, salvare i bisonti e non ucciderli. Tutto questo parte da una radice americana antica, che deve molto alla valutazione del talento come uno dei tanti punti di partenza. Vi sono anche bravissimi musicisti italiani, strumenti che non invecchiano, tutto mischiato rendendo l’identità artistica internazionale una festa cosciente, che semina, semina e semina imperterrita. La sensazione è che queste canzoni non abbiano mai una fine, ma che siano trucchi di stregoni di tribù indiane atte a non separare nulla di ciò che la Natura lascia in dono.

Con un suono fresco, arrangiamenti coinvolgenti, tutto sembra immerso in un bicchiere di vino rosso bevuto durante un turno di lavoro per far assentare la fatica.

Non si potrà mai capire del tutto l’infinito elenco di ciuffi d’erba dal color blu che fanno di questo album una notte che abbraccia la coscienza diurna, sino a lasciare alla loro punta il colore rosso, quel sangue che su di loro pulsa di intelligenza e vitalità. 

Non vi è tristezza nelle melodie, tantomeno nei versi: quella che si trova è l’attenzione verso chi sembra piccolo e sporco, con i suoi passi spesso resi sordi. Ai due fratelli questo non sta bene e accendono la torcia, creano una escursione termica necessaria per scuotere i sensi e illuminare questo presente così plastificato e inerme. Ribelle è chi sa dove nascono le brutture e le uccide dando voce alla bellezza che risiede soprattutto in chi è emarginato. Non è solo combat-folk, non vi è manierismo e comodità in questi solchi, c’è una propensione alla ricerca che connette modalità diverse e alle quali loro vogliono dare espansione, per poter arrivare ad essere orecchio e voce. Il loro disco migliore da tanti anni a questa parte perché i migliori non sono i musicisti (i due fratelli e compagnia bellissima), ma il profumo delle vite di quelle anime che il Capitalismo definisce puzzolenti e a cui le canzoni donano una giornata tutta intera da cui ricominciare. Si è liberi quando si capisce di non avere le catene degli altri: questo lavoro sarà un bisonte fermo che insegnerà questo e tanto altro…


Canzone per Canzone


L’ascolto incomincia con un brano che rassicura, toglie ogni dubbio sullo stato di forma della band: LA BANDA BELLINI è la pelle che conosciamo del combo marchigiano, con il loro combat-folk con i valori, le lotte, la storia figlia della strada appiccicata alla loro coscienza.

Si prosegue ed è subito un rallentare, una forma che necessariamente muta: VIA MODESTA VALENTI è la poesia feroce fatta con meno musica, meno strumenti perché tutto è affidato alla semplicità dei sogni con il groppo in gola, con la sua perfetta capacità di unire l’Irlanda alle coste meridionali degli Stati Uniti con una storia tutta Italiana.

Con ROJAVA LIBERO arrivano le lacrime: l’intro è affidata a uno strumento che sembra condurci alla rilassatezza, ma poi è puro rock robusto Californiano, con la sua stella che con il petto petto gonfio reclama la libertà. Un perfetto esempio di strumenti pieni, vuoi per l’organo, per la chitarra blues graffiante, vuoi per la voce di Marino, per le parole che occorre ripetere con convinzione.

AMAMI, SE HAI CORAGGIO è il frutto del percorso dei fratelli Severini: linea melodica ineccepibile, arrangiamenti che colorano il gioco senza regole di un testo che resiste e permette ancora l’innamoramento. Quando essere anacronistici diventa il gancio perfetto per sentirsi normali, con la sezione fiati che regala gocce di poesia sonora.

I Gang sanno come unire musiche dalla faccia felice con testi pieni di graffi, ma che concedono spazio alla fiducia del viaggio: UN TRENO PER RIACE è tutto questo, con i dubbi e i timori, ma un mondo in attesa sarà disponibile alla fine del binario. Il Messico sposta le nuvole alla band e l’accoglie con gioia.

Le orecchie e il cuore ora hanno di fronte A VOLTE: una chitarra semiacustica e una voce iniziano la vicenda di una coscienza che fa a pugni, accogliendo lungo la strada altri strumenti che si affacciano discreti, donando la leggerezza necessaria. Si vive con gli occhi aperti e con le antenne su una storia che è un doveroso filo pieno di domande.

Con il suo quasi Soul, quasi Northern Soul, con il suo vibrare Blues nascosto, EL PEP è il fiato di un uomo che canta sotto le stelle accese: la bellezza di artisti capaci di dare un movimento circolare alla canzone con l’intuizione di una semplicità che racconti come le parole ciò che rimane frizzante conferiscono al brano l’importanza che merita.

Le lacrime si accendono dentro e fuori il cuore: CONCETTA è la storia di un disastro umano che viene consentito, viene illuminato con la voce della poesia, sono parole di ferro verso quei silenzi che gridano ma che il potere blocca, sino a quando il fuoco di una esistenza toglie il disturbo rendendoci tutti sconfitti. Una canzone più dura del pugno del punk, della veemenza dell’heavy metal, perché davanti alla vergogna umana nessun genere musicale può essere perfetto. E chi è attento e sensibile brucerà un poco insieme  a Concetta…

Con le lacrime ancora pulsanti, l’ascolto ci conduce innanzi a DAGO, la sintesi, la summa dei Gang, tutta la lora peculiarità espressa in musica e parole dagli occhi lucenti, per divenire il boato della morte che vuole spegnere il sangue amaro. Una chitarra blues produce un assolo breve ma che assomiglia ad uno sparo, seguito dalla propensione Dark Country/Gothic Americana Folk Noir, per poi tornare nelle conosciute terre folk europee in una canzone assolutamente perfetta per scuotere tutti.

Una cover di Francesco De Gregori diventa la penultima traccia dell’album: una versione che porta l’America verso Roma per una delle vibrazioni in musica più belle che siano mai state scritte. Lo scriba di certo avrebbe preferito un brano nuovo, ma si inchina davanti all’arrangiamento che guarda verso il Mississippi e concede a PAZ un volo splendido.

Il falò dei fratelli Severini arriva all’alba, con un sensazionale crepitio: AZADI è l’ultima fascina, quella che tiene “lontana la paura dal dolore”, un canto quasi spiritual dentro melodie e suoni dalla pelle leggera, che navigano tra le stelle e i tamburi, per un messaggio finale che ci stringe in un abbraccio che difende il senso di questo viaggio dentro la memoria e i suoi confini, per poter liberare il tumulto di considerazioni che generano tensioni. I Gang ci fanno sciogliere davanti al fuoco, con le note e le parole di chi fa dell’arte musicale non una esibizione ma una concreta forma di rivendicazione necessaria. Clamorosa e utile, il congedo da un album che lascia speranze perché sa scaldare e formare un’identità che prima dell’ascolto sembrava sbiadita…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

20 Maggio 2022


https://open.spotify.com/album/2J88BBP1Nr1gIG5WAKQzMc?si=kI5GKlLCSRWwvpOV3YwpJg





mercoledì 18 maggio 2022

My Review: RosGos - Circles

 My review 


RosGos - Circles


Surprises are increasingly determined to be negative, boring, strenuous, heavy.

In this spasmodic traffic of facts, events, growing tragedies, the positive ones are rare, like the areas of the world that are free of various contaminations.

My gaze now becomes musical and enters the work of an Italian artist, a tireless worker with a tense soul, capable of giving surprise the face of relief.

An album that knows how to be acute in its tension, breaths that become polyhedral anxiety, contagious of dark clouds seeking the sun. Love is the key word of this sea vessel: taken to the bottom of the world to look at the universe, you observe it in its power and overbearingness, making it a bundle of bitter drops, but able to give labyrinths of cups of joy in which to lose yourself.

RosGos come like a set of bubbles in the pot of the heart, between Postpunk flames and a light Darkwave affiliated to a Synthwave of great class, with songs calibrated to focus on the events of human feeling. He purifies and enchants, shakes and makes us dance with our heads towards the sepia black.

The madness of the world descends on his voice, in the vain attempt of an impossible escape, and the Lombardian artist (Crema) makes it capable of shaking fear and turning it into a consoling breath.

Guitars with a stone mantle make a pact of faith with keyboards and bass: there is a chasm to be filled and everything goes in the direction of fulfilment.

There is courage, an acute, almost romantic lightness, a veil to protect the fragility of the air and the predisposition to transport time in an atmosphere of pleasant confusion mixed with tension.

We can note a great predisposition for balancing the volumes of ideas, keeping all the instruments perfectly in line. 

Sadness has the light of a candle suspended above the ice.

When it seems that everything is represented with a certain sense of detachment, here are the surprises I mentioned earlier: RosGos shakes us, makes our convictions meaningless and displaces them.

The musical directions of these nine compositions are different, like the need to find strength and comfort in a range that gives a sense of fullness.

There is nothing Italian about it and on this occasion I would say that this works in its favour: lyrics, the singing in perfect English, the music that swims between Germany and England in a dance complete with innumerable reasons for pride that gives Europe a wonderful adopted son.

His tendency is to offer harmonies and melodies, as if drops of water were still possibilist regarding a not entirely stained white. A long poem made up of images, encounters, with the talent of a project that makes us swimmers of dreams...




Song by Song


Limbo


A short and heavy breath leans on an expanding electronic velvet, while the voice seems to need to calm the looks: the first track shows a harmonic escalation that becomes sumptuous, powerful and plays with various ups and downs to be, in the refrain, a modern and vigorous Far West saloon. When The Alan Parson Project were able to displace: Maurizio's song would have been perfect to create a stellar union.


Lust


A change of scenery for a track that compacts Postpunk with a digital feeling: soft-skinned clods of glass act as a buffer for an aesthetic sense of masked pop, revealing an attention towards the balance of instruments that like an oil stain envelop the breath of our listening. A refrain reminds us of Radiohead's evolution, that decadent propensity which is able to seduce even the brightest smile. 


Gluttony


Sophia and Jeff Buckley, of the second album he failed to complete during  his lifetime, are the elements that light up the skin of a song that like a melancholic ball finds a rhythm and elements to create a pleasant tension. Then everything stops to start again like a spaceship in search of new planets. Great skill in not creating a probable explosion is what gives the track a powerful defence against the banal.


Greed


If The Top by The Cure had not existed, this would have been a perfect opening song for the album following Pornography, at least in the first few lines, as if Charlotte Sometimes had been lightened up. Then vocals, enthralling and melancholic, give Lombardo the opportunity to stay in a musical zone of the early 90s, almost seismic terrain which is perfect for melodies with a firm hand. 


Wrath


RosGos here narrows the field of action, holding the reins tight of this cosmic vessel with the scent of wet sand: the dramatic force becomes evident, suspensions and grey flights shake us for precision, with an arrangement that turns to be an attitude of richness, amongst the notes that seem to peer into the intimacy of a flight. 


Heresy


An unsettling track, on the one hand a guitar section that recalls Pictures of You by the Cure and vocals that Tom Verlaine would be proud of. The chorus maintains the feeling of many obvious musical references and this is perhaps what causes some difficulty, because it is the only one in the album that doesn't show Maurizio's great ability to distance himself from comparisons, since there are so many of them. But in the end it reveals his skill in keeping us suspended in a dream and it is still a great gift.


Violence


When beauty dazzles and makes us obedient and happy slaves, destroying all possible logic.

A sublime, corrosive, subliminal song, a pirate who jumps on board slowly but with great ability to rob our coffers. We range in the sonic crucifix that makes us bend our backs, walls of sound to silence us with stabs of class aimed at giving the composition a pathos that cleanses the soul of radioactive waste. An absolute climax of rare beauty.

A music box with a modern flavour, a synthetic approach on a guitar that comes from Seventeen Seconds, then acquiring rocks on the way and giving the song granite atoms of magnificent extension.


Fraud 


A new sinuous gem, in plain sight, with a shiny dress: we enter again the mystic zones of Robin Proper-Sheppard, the master chief of Sophia.

The first 100 seconds are the shot kept at bay before launching the track into the territories of an intimacy that knows light and the propensity to become a continuous flash which tries to battle with darkness. Refined and sensual, it uses a few piano notes to raise spirituality in the dark meadows of the universe: giving the feeling of a rapid and ineluctable fall. 


Treachery


The album bids farewell with new age bubbles inside a modern carousel of opaque neon, an intimate propensity to keep the dream alive in angelic eyes. A cradle in the sky rocks with the sensation that here everything closes, with sweetness and bitterness, in a combination that makes us all hold our breath. A semi-acoustic guitar surprises with its warm notes, while keyboards paint notes that seem to take the listener to the end of the sky: a marvellous display of class to conclude an immense work, tons of beauty that have given us an intimate listening experience and at the same time able to shake our now addicted nerves. RosGos is a talent to keep in our heart: pleasantly, inevitably!


Alex Dematteis 
Musicshockworld
Salford
18th May 2022

Date release: 19th May 2022




La mia Recensione: RosGos - Circles

 La mia recensione 


RosGos - Circles


Le sorprese sono sempre più determinate ad essere negative, noiose, faticose, pesanti.

In questo traffico spasmodico di fatti, eventi, tragedie in crescita, quelle positive sono rare, come le zone del mondo che sono prive di contaminazioni varie.

Il mio sguardo ora diventa musicale ed entra nell'opera di un artista italiano, lavoratore instancabile e dall'anima tesa, capace di dare alla sorpresa il volto del sollievo.

Un album che sa essere acuto nella sua tensione, respiri che diventano ansia poliedrica, contagiosa di nuvole scure che cercano il sole. Amore è la parola chiave di questa navicella marina: portata in fondo al mondo a guardare l'universo, lo si osserva nella sua potenza e prepotenza, facendone un fascio di gocce amare, ma capace di regalare labirinti di coppe di gioia in cui perdersi.

RosGos entra come un insieme di bolle nella pentola del cuore, tra fiammate Postpunk ed una Darkwave leggera affiliata alla Synthwave di gran classe, con brani calibrati nel mettere a fuoco le vicende del sentire umano. Purifica e incanta, scuote e ci fa danzare con la testa verso il nero seppia.

Sulla sua voce scende la follia del mondo, nel vano tentativo di una fuga impossibile, e l’artista Lombardo (Crema) la rende capace di scuotere la paura e di farla diventare un respiro consolatorio.

Chitarre dal mantello di pietra stringono il patto di fede con tastiera e basso: c’è una voragine da riempire e tutto va nella direzione del compimento.

Vi è del coraggio, una acuta leggerezza quasi romantica, un velo a proteggere la fragilità dell’aria e la predisposizione a trasportare il tempo in una atmosfera di piacevole confusione mista a tensione.

Grande predisposizione al bilanciamento dei volumi di idee tenendo in asse, perfettamente, tutti gli strumenti utilizzati. 

La tristezza ha la luce di una candela sospesa sopra il ghiaccio.

Quando sembra che il tutto sia rappresentato con un certo senso del distacco, ecco le sorprese che dicevo prima: RosGos scuote, rende insensata la nostra convinzione e la spiazza.

Diverse le direzioni musicali di queste nove composizioni, come il bisogno di trovare forza e conforto in un range che dia il senso di pienezza.

Non vi è nulla di italiano e in questa occasione direi che va a suo favore: i testi, il cantato in un perfetto inglese, la musica che nuota tra la Germania e l’Inghilterra in una danza completa di innumerevoli motivi di orgoglio che consegna all’Europa un meraviglioso figlio adottivo.

La sua tendenza è quella di offrire armonie e melodie, come se le gocce d’acqua fossero ancora possibiliste nei confronti di un bianco non del tutto macchiato. Una lunga poesia fatta di immagini, incontri, con il talento di un progetto che ci rende nuotatori dei sogni…


Canzone per Canzone


Limbo


Un fiato corto, un respiro pesante si appoggia ad un velluto elettronico in espansione, mentre la voce sembra avere la necessità di sedare gli sguardi: il primo brano mostra un crescendo armonico che diventa luculliano, potente e gioca con saliscendi vari per essere, nel ritornello, un saloon del far West moderno e vigoroso. Quando gli Alan Parson Project erano in grado di spiazzare: la canzone di Maurizio sarebbe stata perfetta per creare un’unione stellare.


Lust


Cambio di scenario per un brano che compatta il Postpunk ad un sentire digitale: zolle di vetro dalla pelle morbida fanno da cuscino ad un senso estetico del pop mascherato, che rivela un’attenzione agli equilibri di strumenti che come macchia d’olio avviluppano il fiato del nostro ascolto. Un ritornello a ricordarci l’evoluzione dei Radiohead, quella propensione decadente che seduce anche il sorriso più acceso. 


Gluttony


I Sophia e Jeff Buckley, del secondo album che in vita non è riuscito a completare, sono gli elementi che illuminano la pelle di una canzone che come un gomitolo malinconico trova un ritmo e elementi per creare una piacevole tensione. Poi il tutto si arresta per ripartire come una navicella spaziale in cerca di nuovi pianeti. Grande abilità nel non creare una probabile esplosione: è ciò che conferisce al brano una potente difesa dal banale.


Greed


Se non fosse esistito The Top dei Cure, questa sarebbe stata una perfetta canzone di apertura dell’album successivo a Pornography, almeno nelle prime battute, come se Charlotte Sometimes fosse stata alleggerita. Poi il cantato, trascinante e malinconico, dà modo all’autore Lombardo di rimanere in una zona musicale dei primi anni 90, terreno quasi sismico perfetto per melodie dal polso fermo. 


Wrath


RosGos qui restringe i campi di azione, tenendo le briglie ben strette su questo vascello cosmico dal profumo di sabbia bagnata: la drammaticità diviene evidente, sospensioni e voli grigi scuotono per precisione, con un arrangiamento che diventa atteggiamento di ricchezza, tra le note che sembrano scrutare l’intimità di una fuga. 


Heresy


Brano spiazzante, da una parte una sezione che ricorda la chitarra che rimanda a Pictures of You dei Cure ed un cantato di cui Tom Verlaine sarebbe fiero. Il ritornello mantiene la sensazione di riferimenti musicali troppo evidenti ed è forse quello che fa pagare dazio, perché l’unico nell’album a non mostrare la grande capacità di Maurizio di sapersi smarcare dalle comparazioni, visto che ve ne sono molte. Ma alla fine rivela la sua abilità nel tenerci sospesi in un sogno ed è pur sempre un grande regalo.


Violence


Quando la bellezza abbacina e ci rende schiavi ubbidienti e felici, distruggendo ogni logica possibile.

Brano eccelso, corrosivo, subliminale, un pirata che salta a bordo lentamente ma con grande capacità di derubare i nostri forzieri. Si spazia nel crocefisso sonoro che ci ingobbisce, muri di suono per renderci muti con stilettate di classe volte a conferire alla composizione un pathos che pulisce l’anima da scorie radioattive. Vertice assoluto di rara bellezza.

Un carillon dal sapore moderno, un approccio sintetico su una chitarra che proviene da Seventeen Seconds, per poi acquisire rocce per strada e dare alla canzone granitici atomi di magnifica estensione.


Fraud 


Nuova chicca sinuosa, in bella vista, col vestito lucido: si entra di nuovo nelle zone mistiche di Robin Proper-Sheppard, il capo mastro dei Sophia.

I primi 100 secondi sono lo scatto tenuto a bada per poi lanciare il brano sui territori di una intimità che conosce la luce e la propensione a divenire un lampo continuo che prova a battagliare con l’oscurità. Raffinata e sensuale, si serve di poche note di piano per elevare la spiritualità nei prati bui dell’universo: dando la sensazione di una caduta rapida e ineluttabile. 


Treachery


L’album si congeda con bolle new age dentro una giostra moderna dai neon opachi, una intima propensione a tenere il sogno vivo negli occhi angelici. Una culla nel cielo dondola con la sensazione che qui tutto si chiuda, con dolcezza e amarezza, in un binomio che sospende il respiro. Una chitarra semiacustica sorprende con le sue note calde, mentre la tastiera dipinge note che sembrano portare l’ascoltatore alla fine del cielo: una meravigliosa esibizione di classe per concludere un lavoro immenso, quintali di bellezza che ci hanno regalato un ascolto intimo e capace al contempo di scuotere i nervi ormai assuefatti. RosGos è un talento da tenere nel cuore: piacevolmente, in modo inevitabile!


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

18 Maggio 2022


In uscita il 19 Maggio 2022


https://open.spotify.com/album/4tHE0n595G6A6Fze7lSyuV?si=YKdwqyNYQLS2olrJ66OybA





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