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domenica 25 settembre 2022

La mia Recensione: SixTurnsNine - Borders

 SixTurnsNine - Borders


Prendiamo un aereo e voliamo a Düsseldorf, nella Germania Occidentale, per respirare tutto il profumo artistico che quella città emana da sempre.

Molto attiva, capace, importante, ha tra le sue braccia anche una spiccata propensione a proporre continuamente band in grado di affascinare, attirare, dando al suo porto la possibilità di smerciare musica veramente interessante.

L’orecchio dello scriba cade nell’ascolto dell’album di esordio del combo tedesco che ritiene il più strutturato nel generare clamore, intensità, ricchezza per la volontà di non rimanere legato solo alla storia del luogo di appartenenza, bensì di avere in dote la capacità di un respiro internazionale che gioca totalmente a suo favore.

Dopo cinque anni spesi a conoscersi, sperimentare e creare proprie canzoni, i tre cavalieri della fascinazione pura hanno deciso di fare il grande passo pubblicando Borders, che, senza perdere tempo, è un gioiello che si attacca ai tessuti della mente, arriva al pericardio e invade le vene, tutte, per coccolarle attraverso melodie e soluzioni tramite un uso sapiente dell’elettronica.

Il tutto potrebbe essere banalizzato da un “È Trip hop”: nulla di più incompleto, parziale e lontano dalla verità.

Innegabili sono l’attitudine e l’abito, ma immergendosi in un vero ascolto si colgono non solo sfumature, bensì anche costruzioni non necessariamente legate a quel genere.

Riusciamo invece a scorgere fiammate Post-Punk, dentro flussi di detriti di musica Industrial tenuta sapientemente come contorno, per  dare spazio a nuvole di Proto-Goth, creando un insieme suggestivo e originale.

Lutz Bauer è il genio, il pilota dei suoni, l’uomo che scolpisce le composizioni fornendo suggestioni spettacolari, fresche, moderne, senza dimenticare decadi che sembrano lontane.

Il bassista si chiama Philip Akoto, il poeta della ricchezza, dal talento sopraffino e con la capacità di avvolgere le architetture di Lutz in modo perfetto.

Poi lei, Anja Valpiani, la voce straordinaria dal canto vellutato, romantico, sensuale, una rugiada dai cristalli nell’ugola. Lei ha il merito di non vedere la sua lingua di origine come un ostacolo: canta perfettamente in inglese e la sua tecnica non è per nulla penalizzata, come pure i testi che paiono scritti da una madrelingua.

Le luci, la penombra, il buio sono territori emotivi che vengono vivisezionati e portati dentro una contemplazione che non lascia nulla al caso. 

Musica come parole che incantano, parole come musica che nutrono l’ascolto e lo gettano verso la leggerezza, malgrado la luce buia della notte, perché i tre ci portano in ogni caso raggi di sole.

Occorre metodo nell’ascolto, per poter individuare la miriade di elementi (non solo influenze) che rendono compatto e intenso questo debutto, occorre cercare, solamente in questo modo si potrà essere travolti dolcemente da una cascata sensoriale che creerà beneficio senza limiti. L’ascolto allora diventa un imbuto che ci condurrà nel canale intuitivo, programmato, sviluppato dai tre alberi tedeschi, sì, proprio così, perché loro sono individualmente capaci di donare forza e una bella visione. Ma la loro unione fa schizzare alle stelle le loro singole qualità: Borders è una tavolozza di odori resi corporei, un miracolo in grado di sortire slanci di intimità con destinazione l’estasi e la catarsi.

C’è una tensione blues che permea tutta l’opera, soprattutto per via di alcuni passaggi vocali di Anja che riesce a variare le sue incredibili interpretazioni  seguendo il flusso della musica, come se fosse ipnotizzata e sedotta da stimoli che arrivano dal corredo delle note, per poter volare liberamente con la sua tensione interiore. 

È fluorescenza articolata che giunge inavvertitamente, come ulteriore conferma di una potenza che da tutte le parti confluisce nel centro dei nostri sensi percettivi.

Si è circondati dalla dolcezza, dalla sensibilità, dalla leggerezza che dalle nuvole scende dentro il nostro sistema nervoso centrale, che è desideroso di sconvolgimenti delicati.

Doveroso è anche rendere merito a testi che spaziano moltissimo, dall’amore che si sente, che cerca protezione, che vuole condivisione, a una romantica e positiva attitudine anche nello scrivere del dolore, della fatica dell’esistenza, il tutto con pennellate di fantasia perfettamente cucita sulla realtà.

Con annessa la descrizione di volontà che mettano nei nostri ascolti e successive interpretazioni emisferi perfettamente ramificati.

L’impatto delle connessioni tra l’esterno e l’interno vengono specificate attraverso liriche potenti e convincenti.

È consolante, carezzevole constatare come le atmosfere e le modalità scelte per esprimere flussi magnetici di magia intensa abbiano nel suo DNA anche un fare che consuma l’esperienza Trip hop per cogliere un succo in un frutto che sembrava ormai spolpato del tutto. Questi impareggiabili tedeschi invece lo ripresentano, ma con la volontà di mostrarne il valore con la purezza di mescolanze che ne aumentano il prestigio.


Moments, Fatigue, Ginger: canzoni nelle quali viviamo tutti una scossa elettrica elegante dentro atmosfere cupe ma piene di grazia.

Flames è la perfetta miscela tra una sensazione che i Cure potevano indirizzarsi verso questo pianeta musicale e il Trip hop.

Love Map offre una voce che si arrotola dentro i battiti, ed è vapore che si scioglie nel crooning e pennellate di incanto.

Ma tutte le composizioni hanno un’immensità da sfiorare con la magia di trucchi che sapranno lasciarvi a bocca aperta…


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
26 Settembre 2022

Data di pubblicazione album: 30 Settembre 2022










My Review: SixTurnsNine - Borders

 SixTurnsNine - Borders


We take a plane and fly to Düsseldorf, West Germany, to breathe in all the artistic perfume that city has always emanated.

Very active, capable, important, it also has in its arms a marked propensity to continually come up with bands that are able to fascinate, attract, giving its harbor a chance to put on the market really interesting music.

The scribe's ear listens to the debut album of the German combo that he feels is the most structured in generating hype, intensity, richness because of its willingness not to remain tied only to the history of its place of belonging, but rather to have in its possession the capacity for an international scope that plays totally in its favor.

After five years spent getting to know each other, experimenting and creating their own songs, the three knights of pure fascination decided to take the plunge by releasing Borders, which, without wasting any time, is a jewel that sticks to the tissues of the mind, reaches the pericardium and invades the veins, all of them, to cuddle them through melodies and solutions with a skillful use of electronic music.

The whole thing could be trivialized by "It's Trip hop": nothing could be more incomplete, partial and far from the truth.

The attitude and the dress are undeniable, but immersing oneself in a careful listening one catches not only nuances, but also constructions not necessarily related to that genre.

Instead, we manage to notice glimpses of Post-Punk flames, within streams of debris from Industrial music held expertly as a contour, to give space to clouds of Proto-Goth, creating an evocative and original whole.

Lutz Bauer is the genius, the driver of sounds, the man who sculpts the compositions providing spectacular, fresh, modern suggestions, without forgetting decades that seem distant.

The bassist is called Philip Akoto, the poet of richness, with an overpowering talent and the ability to wrap Lutz's architectures perfectly.

Then she, Anja Valpiani, the extraordinary voice with velvety, romantic, sensual vocals, a dew with crystals in her uvula. She has the merit of not seeing her native language as a hindrance: she sings perfectly in English and her technique is not at all penalized, as are the lyrics that seem to be written by a native speaker.

Lights, dimness and darkness are emotional territories that are vivisected and brought inside a contemplation that leaves nothing to chance. 

Music as words that enchant, words as music that nourish our listening and throw it toward lightness, despite the dark light of night, for the three bring us rays of sunshine anyway.

One needs method in listening, to be able to identify the myriad elements (not just influences) that make this debut compact and intense, one needs to search, only in this way we can be gently swept away by a sensory cascade that will create limitless benefit. Listening then becomes a funnel that will lead us into the intuitive, programmed channel developed by the three German trees, yes, that's right, because they are individually capable of giving strength and a beautiful vision. But their union makes their personal qualities skyrocket: Borders is a palette of smells which have been given a physical form, a miracle capable of producing spurts of intimacy made to reach ecstasy and catharsis.

There is a blues tension that permeates the entire work, especially because of some vocal passages by Anja, who manages to vary her incredible interpretations by following the flow of the music, as if hypnotized and seduced by incentives coming from the set of notes, in order to fly freely with her inner tension. 

It is articulated fluorescence that arrives inadvertently, as further confirmation of a power that from all sides flows into the centre of our perceptive senses.

One is surrounded by the gentleness, the sensitivity, the lightness that descends from the clouds into our central nervous system, which is eager for a delicate upheaval.

It is also necessary to give credit to lyrics that range widely, from love that is felt, that seeks protection, that wants sharing, to a romantic and positive attitude even in writing about the pain, the toil of existence, all with strokes of imagination perfectly stitched to reality.

With attached description of wills that put perfectly branched hemispheres in our listening and subsequent interpretations.

The impact of the connections between the outside and the inside are specified through powerful and compelling lyrics.

It is comforting and caressing to see how the atmospheres and modes chosen to express magnetic streams of intense magic also have in its DNA a way of doing that consumes the Trip hop experience to extract the juice from a fruit that seemed to have been squeezed entirely. Instead, these peerless Germans re-present it, but with a willingness to show its value with the purity of mixtures that enhance its prestige.


Moments, Fatigue, Ginger: songs in which we all experience an elegant electric shock inside dark but grace-filled atmospheres.

Flames is the perfect blend of a feeling that The Cure could move towards this musical planet and Trip hop.

Love Map offers vocals that roll up inside the beats, and it's steam that melts into crooning and brushstrokes of enchantment.

But all the compositions have an immensity to be touched with the magic of tricks that will leave you speechless....


Alex Dematteis
Musicshockworld
Salford
26th September 2022

Date release: 30th September 2022








martedì 9 agosto 2022

La mia Recensione: Moonlight Meadow - Moonlight Meadow

La mia Recensione: 


Moonlight Meadow - Moonlight Meadow


La valigia della mente dovrebbe essere una risorsa: dove esiste anche solo possibilità di un viaggio i nostri pensieri dovrebbero già costruire sentieri infiniti.

Il viaggio della musica è multiforme, senza limiti, sospeso sino a quando non entri dentro i suoi confini. La maggior parte della musica non è conosciuta: questa è una tristissima verità e realtà, sfortunatamente connesse.

Prendiamo questa band Polacca, tre anime, cortocircuiti di nuvole fredde ma non pesanti, in movimento costante dentro la rassegnazione dei sogni, guerrieri senza tempo, mentre combattono il calore di un mondo incapace di una giusta comunicazione. Nel 2019, dopo quattro anni fatti di amalgama e la individuazione di baricentri essenziali, proposero il loro album di debutto che finì nel silenzio della maggioranza di persone disattente e incapaci di prestare attenzione a questo combo che invece aveva prodotto un insieme di perle di elegante tristezza, dai testi impegnativi, evocativi, disarmanti, alla fine davvero utili. E la musica scritta si muove su rotte già percorse in precedenza da lavori noti e famosi, ma i tre meritavano una chance: la qualità che si trova in queste undici tracce è spesse volte superiore a quelle band che invece hanno avuto successo.

La disperazione in questi solchi non soffoca, non deprime, non fa cambiare umore, piuttosto è una serie di raggi X che tolgono la voglia di parlare perché il loro referto è impietoso, veritiero, devastante.

Sono sogni che danzano dimessi, dentro recipienti di acqua che si sporcano di malinconia e assuefazione, divenendo getti di amore nero dirompente, gravità spesso in orbite di pensieri che si assentano. La voce, impostata e grattugiata da secoli di devastanti umori decadenti, infierisce, attacca e abbatte, mentre la musica che le sta attorno dimostra come i generi musicali con i Moonlight Meadow siano scuse prestigiose, atti di morte rigogliosi, che si spostano tra scintille di gothic Rock di stampo Fields of the Nephilim, nella marea della Coldwave di matrice belga, il Postpunk tedesco e alcune lievi presenze di Deathrock abilmente nascoste per non infierire.

Ma la Russia è sempre lì a dettare le linee guida della freddezza mentale, la lucidità che deve sempre troneggiare.

Se si cercano influenze precise (esercizio facile ma sterile, perché i tre dimostrano una grande varietà di qualità proprie), si decide preventivamente di non prestare un ascolto preciso che rivelerebbe le molteplici braccia, arti che accolgono i respiri e le capacità che vanno riconosciute. L’album ci porta in luoghi che conosciamo, offrendo però sorprese e la difficoltà di gestione: innumerevoli sono i momenti nei quali una sensazione violenta rapisce tutta la convinzione che abbiamo per ucciderla, perché la bellezza fa anche questo.

Il sentore che questo sia un gioiello sepolto dall’indifferenza si precisa di canzone in canzone, lasciando i pensieri sotto un maremoto di grande rabbia e frustrazione: album come questi dovrebbero suonare all’infinito nei circuiti dei nostri cuori pesanti per trovare nelle canzoni amici e compagni di frustrazioni, sempre più pericolosamente in aumento.

Ascoltandolo si percepisce come la musica elevi le nostre sensazioni specificandole, unificandole, portandole a spasso nel teatro della nostra follia non come consolazione, bensì come atto di vita ineludibile.

Le chitarre sono sirene con il burqa: fanno intuire una presenza bellissima ma non la svelano mai completamente, regole di disciplina che conducono alla struggente convinzione che vi siano impianti di luce confinati nel magazzino del vuoto, dove tutto muore. Infatti: la sezione ritmica si fa possente come atto consolatorio e la voce da una parte distrae e dall’altra santifica la bellezza di quei giri armonici che fanno di quello strumento la regina dell’album.

La fascinazione avvolge il tempo corrompendo i luoghi: si diventa tutti alunni delle ombre, corpi in fervente attesa di un dramma peggiore che arrivi per togliere definitivamente il dolore, ma i tre amano l’onestà ed esagerano nel loro campionario di frecce velenose dal ritmo scostante, nel movimento infallibile del campionario di sgomenti dei quali loro mostrano tutte le sfaccettature, rendendo l’album semplicemente perfetto.

È arrivato dunque il momento di spegnere le candele e di divenire il buio perfetto per illuminare queste undici folli dame dal sorriso obliquo…



Song by Song



Temptation


Misticismo e dolore aprono l’album, con sofferenti chitarre iniziali per poi divenire un lampo dal basso grasso, la batteria che disegna con semplicità e possanza il ritmo che travolge la pianura Polacca, in un paravento che lascia passare sguardi di tenebra. Drammatica, ossuta nel suo scheletro balbuziente, l’apertura di questo esordio è salvifica, perché conosciamo già la direzione e la specificità del terzetto.



An Old Dream and Love


Chitarra come una cesoia che ha l’appuntamento con la morte, la voce trova il suo respiro dentro un sogno che nasconde le sue storture, per conferire al brano blocchi di acciaio dal colore grigio, senza vento. Il basso è un animale preistorico, con le sue note rotolanti che mettono le mani su quelle della chitarra, per mostrare al cielo che il Goth è ancora una risorsa incommensurabile. 



Empty Waters


Le tenebre mostrano veli e denti, accarezzano e mordono con questo brano che sembra uscito dall’officina del mistero dei primi anni 80, dalla parte di Leeds. Un movimento sonoro breve circoscrive la drammaticità di presenze sconvolgenti nel testo che è un testamento, una cronaca dolorosa, la chitarra abbaia ai Cure di Faith con più drammaticità, mentre il silenzio vuole trovare rifugio ma queste note lo scavano e lo inchiodano con la sua nenia teatrale.



City of Nights


Il Post-punk cerca un anello di congiunzione con la Darkwave e lo trova: il matrimonio sarà lungo, perfetto, lancinante, pieno di polvere da sparo tenuta pericolosamente sveglia. Il ritornello è un groviglio di aperture con il registro della voce che si alza verso il cielo, aprendo le sue mani al Dio dello sconforto. Anche il nero ha una faccia Pop e qui indossa la maschera che connette il mistero alla visibilità.



…Lost Dream 


Si torna ad un ritmo più lento, Carl McCoy e i suoi vampiri suggeriscono la trama di questa chitarra che scava nella carriera dei Fields of The Nephilim per onorare la parte onirica dell’esistenza. Ed è perfezione che acceca, l’emozione è tutta nella chitarra che circonda la voce, che si astiene dal voler imitare quella di Carl, ma la suggestione musicale conduce proprio nella terra della band di Stevenage. La sorpresa arriva con il basso che pare una farfalla piena di acqua: pronto a precipitare riesce a stare aggrappato perfettamente alla chitarra.



Dance


L’unica canzone dei Moonlight Meadow che potrebbe vivere, stazionare, trovare spazio nelle radio gotiche: ha tutto per essere una cometa dal vestito elegante e capace di strutturare, nella nostra mente, la certezza di una danza piena di coltelli imbevuti di veleno perché questo brano ferisce per il suo testo, per le sue chitarre in odore di Banshees, il suo respiro vicino ai Red Lorry Yellow Lorry, ma con l’accortezza di non disperdere il suo primogenito impeto che è quello di essere prima di tutto un atto di devastazione.



Distant Memories


Psichedelia gotica, delirio che nei primi secondi ci porta all’horror rock e al vittimismo meraviglioso dei Cramps, per poi deflagrare nella corsia Darkwave senza temere di essere uccisa, in una bolla di mercurio che rileva temperature basse, si trema con i cambi ritmo, con il basso che spara missili di terra umida e la voce che dialoga con il tempo attorcigliandosi per non lasciarsi sconfiggere. Brano costruito in pieno controllo, dove le soluzioni minimaliste devastano per intensità.



Stranger


Los Angeles chiama, Lublin (Polonia), risponde: è tempo di Deathrock, che ha necessità di corrompere magnificamente le trame ipnotiche di note musicali che sono imbevute di morte e di disperazione. Mantra portato vicino ad una chiesa sconsacrata, dove non esistono preghiere o cori ma solo il canto di un ragazzo che ha deciso di esibire le sue litanie: operazione riuscita, con la musica che benedice questo viaggio nella città americana.



Moonlight Meadow


Il basso e la chitarra invocano il misticismo: c’è bisogno di un delirio, di una presenza che sia capace di dare da mangiare alla paura. E allora ecco il crossover di post-punk e Darkwave che trovano residenza in questi minuti per portare la nostra tensione ad albeggiare. È estasi che si scioglie nei sentieri di una melodia color cedimento strutturale definitivo. Quando la gioia ha le piume piene di petrolio.



Distorted Mirror


Quando l’anima, ferita e acciaccata, si guarda allo specchio, trova questa magnifica presenza ipnotica che ha il nome di Distorted Mirror, la ballata della consapevolezza dentro chitarre che odorano di pioggia, e si riesce ad intendere quanto ciò che è nato in Inghilterra negli anni 70, il Post-punk e la Darkwave, siano ancora i regnanti, capaci di intossicare ogni zona del mondo, compresa la Polonia. I tre bevono la lentezza in un calice pieno di olio, per poi gettarlo via e accelerare per ricongiungersi ai Fields of The Nephilim in un finale stratosferico.



Farewell to Childhood


L’album ci saluta con un neon che fa oscillare la luce in una chitarra poetica, quasi saggia, quasi unita alla dolcezza, illudendoci con magnifica qualità. É un faro, il brano, che riesce a far sembrare le canzoni precedentemente ascoltate un pericolo scampato, solo un brutto incubo. Abbiamo modo di danzare ad occhi chiusi senza temere di sentire qualcosa di disagevole: la chitarra ci pilota verso un raggio di luce che forse non è poi così male poter ascoltare…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Supino

9 Agosto 2022


https://open.spotify.com/album/0LIXIv3OkGyb6pOVKa1AtL?si=oS4szKBIS_uQVhvEsC1LMQ






sabato 9 luglio 2022

My Review: Diavol Sträin * Elegía del Olvido - Elegía del Horror

 My Review:


Diavol Sträin * Elegía del Olvido - Elegía del Horror


The Chilean city overlooking the harbour has enchanted the Italians so much that they have named it Valley of Paradise: where there is a conquest there is always a foolish kindness. It cannot be denied that those places are fascinating, but let the citizens decide on the name. It is from here that I start: from the name, the beginning of a life with so much of its destiny already determined right from the outset. 


Here we are talking about the dark beauty, the one that does not deny the high expressive capacities of a combo devoted to splendour inside a cave where mysteries and intertwined affairs live on.


The two gothic corsairs create a more complex work than the previous Todi El Caos Abita Aquí, producing a magnetic box full of innovations and contaminations: they surprise themselves and make all this an achievement on our part.

Energy comes out of garages full of symbols and sacred dust, blessed by the God of pain, to give the dark sound a remarkable strength. Energy and melody become a necessity that explains events capable of producing shivers and bitter but wise observations. The bass sound is muffled, fraught with molecular fates capable of producing power and suggestions.  The guitar is an intense den of hard-working mosquitoes, with the propensity to be enveloping, looking to the sky and the world's piles of rubble. 

Compact songs, with marks of mental viruses out of control, with Deathrock stigmata that refuse to let themselves be imprisoned and know how to visit the range of possibilities they need. Intelligent, with an innate propensity to expand their feeling, they are Priestesses of the human mystery that elevates to the utmost power the sacred temple of the fragility of places, of seemingly joyless stories: real, concrete, we can only bless their aptitude for discovering the intercourses of fragility. Ethereal dreams for our ears to convert into precious files for our reasoning: each song on this album defines a loss from which to learn about reality.

With these gems, we experience a sonic menace which is made graceful by music that allows bows and prayers, like long days on the books of world history. On the curtain embalmed lights of the most seductive blackness contemplate ideas of aggregation with grey flashes, like crystals corrupted by a necessary and splendid carousel of complicity. A continuous outburst into pugnacious moors, with decisive steps, where nothing is shaky but where the dream sometimes leads to atmospheres layered and corrupted by the beauty of their ever-expanding feeling.

One is impressed by tracks that can reveal a dynamic propensity for non-violent but politely rude wickedness, just enough, in swinging games of austere and multifaceted seeds. They are attractive grains of wheat, lost in their own beauty, masters of versatility and candour. With the capacity for a sound derivative of Post-Punk and the Californian Deathrock zone, the band writes songs to give their vocals a chance to be flames of lethal gas, with the gothic redundancies of the 80s, evident but sweetened.

A visceral and magmatic sea, sonic paths that make beauty precise, a poem on the skin made steep by human events full of multiple incandescences. There is the life of stray souls, but not meaningless: the lungs, listening to these mental robberies, wriggle dreamily, with black confetti smiles, for a cathartic process with a light cap on the surface. One is compelled to pleasurable suffering, one senses and then understands that the two are enchanters of rituals that perform a beautifully crafted analytical process, one feeds on crumbs of shuttered happiness.

Mortality is applauded, despair and anxiety are companions of obligatory breaths and they know how to coexist, giving the impression that the night extinguishes the fear that is invited to emerge. They are steel songs, fragile sheets that have ghosts protecting them, to become rituals of perfect neurotic dances.

One lives in a necropolis that is more confused than ever, in a collapse of happiness that is no longer necessary: all this does not, however, make the album exclusive for black souls because it grants access to all those eager to investigate the irregular flows of difficulty, of the world in constant abandonment of the capacity to create serenity. Listening should be enforced by law: black coats to be worn, univocal, to wisely decree the reality of existences now close to the fall of hope.

We come out of the tombs not as zombies but as living beings who try to live again differently, noting the inevitable repetition of errors by which we are subjugated. Diavol Strâin is a real flame, a skein of spastic nerves necessary for the conscience that tries deception but fails with them.

They are witches with poisonous hands, quick, slow, succulent, conjugated to their hieroglyphic writing, emotional storms that sweep through to separate the fog from the fake rays that invade the streets. Chile here finds precise apostles in wanting their expressive autonomy, where elegance marries anger with crooked, decadent, sublime smiles.

They are black-clad gangsters, ancient, groping, but not devoid of consciences that stir the limbs of the mind, like violently suspended peristalsis: to listen to this beam of darkness is to become aware of the traffic of pain that spreads in the strings of their hearts.

They are vampires facing the moon, scorching souls who penetrate with an album that grates the wind and sweeps away confusions: methodical, precise, alienating, abundant in their sonic mantras, queens of the realm of dissatisfaction, they make their songs like loaves of bread without crumb. The taste is bitter, like certain dreams, opening the funereal skies of the night zone in search of peace, finding damnation instead.


There are darkwave dregs between the fingers of the two musicians: Ignacia and Lau do not seem afraid to surround their emotional burden with foams clinging to that musical genre that has managed to arrive even in that land generous in hospitality. And so here they are plunging towards boundaries that can enhance and better specify an undeniable ductility, that openness granted only to those who make knowledge a point of departure and not of arrival. 

Warriors of enigmas, in a world filled with news but not with information, these coupled turbulence know how to generate questions, offer doubts, with melancholic propensity, even to the point of making us cry bubbles of despair, understandably. A wild band that starts with Edgar Alan Poe, because of a writing that faces the terror of existence with kilometres of nightmares lined up, of a horror that becomes literary lymph, until it meets the religious belonging of one's own identity, annexing insecurities that convey a preparatory enthusiasm. One can surrender to difficulties, but with this band one learns to love them, rejecting whining in order to shake ourselves and begin the journey into darkness.

They seem to throw acid, heavy stones and then retreat into their intimacy, without delay. Magical, almost naive, very powerful tracks that live on the outskirts of our dreams with the tide, when the water seems to leave our lungs. They can be trusted. Because they are necessary, companions of solitudes that improve our breaths. They put eye-liner on our energy-deprived flows to encourage us, like an apparent deception. Digging into these forty-seven minutes, however, we have the certainty of their authenticity. Which becomes the altar where we lay down our mediocrity and hand them a papyrus of ancient velleities, burning them before their eyes with devotion.

Often the guitars are shrieks that move with bass lines (daughters of the spirits of Araucania), to dance full of impeccable solicitations towards the place of perdition. Like a hill of sins in search of forgiveness, the songs are often splinters that flee from hope, as rivals of nonsense, to breathe in all reality as proof of abilities that are applauded by the sacred fire of the sun.

The distorted arpeggios create metaphors, lamps of oblique wind, the bass instead serious and obscure melodies, pulsing with sick oxygen: necessary incandescences to understand what we are in the days of deception.

Music like quality whiskey, to stun, inebriate, corrupt every temptation. Music that clears the past of all misunderstandings: there is also something new that lives in the breaths of timeless songs, valid for eternity. It is hypnotic fluid that knows how to fill the flasks of our gothic need, like an effervescent cascade of healthy desire.

I guess it’s time, in order to better understand this album full of seaweed and sharp flights of consciousness, for a complete incursion through its tracks, arming ourselves with an open mind and a black lipstick in our hands…



Song by Song 


Caida Libre


Tenebrous, fast, an attack on our heart with its limpid connection between Darkwave and Post-punk kissing in the rush of a flash.


Destiny Destrucción


With a stylistic approach reminiscent of many bands from the Oakland scene, the track lives on the explosive connection between the distorted bass and the guitar full of gothic fog.


Lilith


It shows all the duo's ability to make their music magnetic: the rhythm decreases and the suggestions increase, a slow ascent to the sky with a melancholic flight.


El Reflejo de Mi Muerte


The syncopated drum machine, the bass pressing on our belly and then off: the guitars bring all the sadness and vitality of awareness, with the voice magnificently capable of being hysterical and malignant.


Herz Der Niemand 


Deathrock shows itself with light footprints, on vocals that explode with magnets stuck in the fog. An almost hidden electronic inlay presents itself in this track, which ultimately turns out to be the most elaborate and mysterious song on the album.


Ruinas


Hell is dressed for a moment of sweetness, almost shoegaze, with the guitar cradling the dream of being a black caress for a few minutes.


Nacidas del Fuego


Pins of moss-filled caves, the gothic belly pulses bloody liquids for a track that creates a tense, soft, hypnotic atmosphere.


Cotard 


Surprising and astounding, all the duo's imaginative talent sows its seeds in a breath that touches the corals of poetry.


El Ansia


Between Xmal Deutschland and Esses, Diavol Strâin launches into an anxious dance, grating all the Darkwave scenery that looks towards Deathrock with religious devotion. The bass and guitar seem at times to take turns to seduce the satanically laughing ghost.


Ylak 


Queen of clouds filled with pathos, the song declares all the creative possibilities of the Chilean band. A gentle howl, the guitar scratching respectfully and the vocals seducing like honey does with a bear's nails.


Inferno


After a beginning that leaves seeds of The Banshees, here is the jerk and the rush in the Los Angeles that welcomes anyone with the need for deathrock urges in their veins. 


Uroboros


Everything comes to a close in the best way: still something new, amazing, with echoes of Hannett's work with Joy Division. Something shatters while keyboards take the stage for a magnetic track, full of continuous loops. A stratified song, with cleverly connected zones that convey pleasant connections to Anja Huwe's band and the dark Germany of the 80s. Vocals disappear and an enveloping and sensual atmosphere sings.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10th July 2022


https://open.spotify.com/album/2izATdFOO5hG5deyCyUt4a?si=ossBb4YlSSuxHIKl9fDyug










La mia Recensione: Diavol Strâin * Elegía del Olvido - Elegía del Horror

 La mia Recensione:


Diavol Strâin * Elegía del Olvido - Elegía del Horror


La città cilena affacciata sul porto ha incantato gli italiani così tanto che l’hanno denominata Valle del Paradiso: dove c’è una conquista esiste sempre una gentilezza stupida. Che poi quei luoghi siano incantevoli non lo si può negare, ma lasciamo che siano i cittadini a deciderne il nome. È da qui che parto: dal nome, l’inizio di una vita con tanto del suo destino già determinato sin da subito. 


Qui stiamo parlando della bellezza cupa, quella che non nega le altissime capacità espressive di un combo votato allo splendore dentro una grotta dove vivono misteri e faccende legate tra di loro.


Le due corsare gotiche creano un lavoro più complesso rispetto al precedente Todi El Caos Abita Aquí, confezionando una scatola magnetica colma di innovazioni e contaminazioni: si sorprendono e fanno diventare tutto questo una nostra conquista.

L’energia esce da garage pieni di simboli e polvere sacra, benedetta dal Dio del dolore, per conferire al suono cupo una forza notevole. Energia e melodia diventano una necessità che spiega vicende capaci di produrre brividi e constatazioni amare ma sagge. Il suono del basso è ovattato, gravido di destini molecolari capaci di produrre potenza e suggestioni.  La chitarra è un covo di zanzare laboriose, intenso, con la propensione ad essere avvolgente, guardando al cielo e ai cumuli di macerie del mondo. 

Canzoni compatte, con impronte di virus mentali fuori controllo, con le stigmate Deathrock che non si fanno imprigionare e sanno visitare la gamma di possibilità di cui abbisognano. Intelligenti, dalla propensione innata a espandere il loro sentire, sono Sacerdotesse del mistero umano che eleva alla massima potenza il sacro tempio della fragilità dei luoghi, di storie apparentemente senza gioia: reali, concrete, possiamo solo benedire la loro attitudine a scovare gli amplessi della fragilità. Sogni eterei per le nostre orecchie da convertire in file preziosi per i nostri ragionamenti: ogni canzone di questo album definisce una perdita da cui apprendere la realtà.

Con queste gemme si vive l’esperienza di una minaccia sonora aggraziata da musiche che consentono inchini e preghiere, come lunghe giornate sui libri della storia del mondo. Sul sipario luci imbalsamate dal nero più seducente contemplano idee di aggregazione con lampi grigi, come cristalli corrotti da una necessaria e splendida giostra di complicità. Uno sfociare continuo in lande combattive, con passi decisi, dove nulla è malfermo ma dove il sogno a volte conduce ad atmosfere stratificate e corrotte dalla bellezza del loro sentire in espansione continua.

Si rimane impressionati da tracce che sanno rivelare una dinamica propensione alla malvagità non violenta ma educatamente rude, giusto  il necessario, in giochi altalenanti di semi austeri e poliedrici. Sono chicchi di grano attraenti, smarriti per la loro stessa bellezza, maestri di versatilità e candore. Con la capacità di un suono derivativo dal Post-Punk e dalla zona californiana del Deathrock, la band scrive canzoni per dare alle voci la possibilità di essere fiamme di gas letali, dalle ridondanze gotiche degli anni 80, evidenti, ma edulcorate.

Un mare viscerale e magmatico, percorsi sonori che rendono precisa la bellezza, una poesia sulla pelle divenuta ripida da vicende umane pregne di incandescenze multiple. C’è la vita delle anime sbandate ma non per questo prive di senso: i polmoni, all’ascolto di queste rapine mentali, si contorcono sognanti, con sorrisi dai coriandoli neri, per un processo catartico con il tappo leggero in superficie. Si è costretti a una sofferenza piacevole, si intuisce e poi si capisce che le due sono incantatrici di riti che espletano un percorso analitico di grande fattura, ci si ciba di briciole di felicità otturate.

Alla mortalità si applaude, la disperazione e l’ansia sono compagne di respiri obbligatorie e loro sanno convivere, dando l’impressione che la notte spenga la paura che viene invitata ad emergere. Sono canzoni siderurgiche, lamiere fragili che hanno fantasmi che le proteggono, per divenire riti di  danze nevrotiche perfette.

Si vive in una necropoli più che mai confusa, in un collasso della felicità non più necessaria: tutto questo non rende però l’album una esclusiva delle anime nere perché concede accesso a tutte quelle desiderose di indagare sui flussi irregolari della difficoltà, del mondo in costante abbandono della capacità di creare serenità. L’ascolto dovrebbe essere imposto per legge: camici neri da indossare, univoci, per decretare sapientemente la realtà di esistenze ormai prossime alla caduta delle speranze.

Si esce dalle tombe non come zombie ma come essere viventi che riprovano a vivere diversamente constatando l’inevitabile ripetersi di errori da cui siamo soggiogati. Diavol Strâin è fiamma reale, una matassa di nervi spastici necessari per la coscienza che prova l’inganno ma che con loro fallisce.

Sono streghe con le mani velenose, rapide, lente, succulente, coniugate alla loro scrittura geroglifica, tempeste emotive che travolgono per separare la nebbia dai finti raggi che invadono le strade. Il Cile qui trova apostole precise nel volere la loro autonomia espressiva, dove l’eleganza si sposa alla rabbia dai sorrisi storti, decadenti, sublimi.

Sono gangsters dagli abiti neri, antichi, brancolanti, ma non scevri di coscienze che smuovono gli arti della mente, come peristalsi violentemente sospesa: ascoltare questo fascio di tenebra significa divenire consapevoli del traffico di dolore che si sparge nelle corde del loro cuore.

Sono vampire affacciate sulla luna, anime roventi che penetrano con un album che grattugia il vento e spazza via le confusioni: metodiche, precise, alienanti, abbondanti nei loro mantra sonori, regine del regno della insoddisfazione, fanno in modo che le loro canzoni siano pagnotte di pane senza mollica. Il gusto è amaro, come certi sogni, che aprono il cielo funesto della zona notturna in cerca di pace, trovando invece dannazione.


Ci sono scorie Darkwave che stanno nelle dita delle due musiciste: Ignacia e Lau non sembrano impaurite nel circondare il loro carico emotivo con schiume aggrappate a quel genere musicale che ha saputo arrivare anche in quella terra generosa nell’accoglienza. E allora eccole immergersi verso confini che sanno esaltare e meglio specificare una innegabile duttilità, quell’apertura concessa solo a chi fa della conoscenza un punto di partenza e non di arrivo. 

Guerriere degli enigmi, in un mondo colmo di notizie ma non di informazione, queste turbolenze accoppiate sanno generare domande, offrire dubbi, con malinconica propensione, sino a farci piangere bolle di disperazione, comprensibile. Una band selvaggia che parte da Edgar Alan Poe, per via di una scrittura che affronta il terrore dell’esistenza con chilometri di incubi messi in fila, di un orrore che diventa linfa letteraria, sino a incontrare la religiosa appartenenza della propria identità, annettendo insicurezze che veicolano impeti propedeutici. Ci si può arrendere alle difficoltà, ma con questa band si impara ad amarle, rifiutando i piagnistei per darsi una scrollata e iniziare il percorso dentro le tenebre.

Sembrano lanciare pietre acide, pesanti, per poi ritirarsi dentro la loro intimità, senza indugi. Brani magici, quasi ingenui, molto potenti, che vivono nella periferia dei nostri sogni con la marea, quando l’acqua sembra congedare i polmoni. Di loro ci si può fidare. Perché sono necessarie, compagne di solitudini che migliorano i nostri respiri. Mettono l’eye-liner ai nostri flussi privi di energie per rincuorarci, come un apparente inganno. Scavando in questi quarantasette minuti abbiamo però la certezza della loro autenticità. Che diventa l’altare dove posare la nostra mediocrità e consegnare loro un papiro di antiche velleità, bruciandole innanzi ai loro occhi, con devozione.

Spesso le chitarre sono degli strilli che si muovono con giri di note di basso (figlie degli spiriti dell’Araucania), per danzare piene di sollecitazioni irreprensibili verso il luogo della perdizione. Come una collina dei peccati in cerca di perdono, i brani sono spesso schegge che fuggono dalla speranza, come rivali delle sciocchezze, per respirare ogni realtà come prova di capacità che trovano l’applauso del sacro fuoco del sole.

Gli arpeggi distorti creano metafore, lampade di vento obliquo, il basso invece melodie gravi e oscure, pulsanti di ossigeno malato: incandescenze necessarie per capire cosa siamo nei giorni dell’inganno.

Musica come whiskey di qualità, a stordire, inebriare, corrompere ogni tentazione. Musica che sgombra il passato da ogni equivoco: c’è anche del nuovo che vive nei respiri di canzoni senza tempo, valide per l’eternità. È fluido ipnotico che sa riempire le borracce del nostro bisogno gotico, come una cascata effervescente di salutare bramosia.

Direi che è venuto il momento, per  meglio intendere questo album pieno di alghe e acuti voli di coscienza, di una completa scorribanda tra le sue tracce, armandoci di apertura mentale e di un rossetto nero tra le mani…


Song by Song 


Caida Libre


Tenebrosa, veloce, un attacco al cuore con la sua limpida connessione tra Darkwave e Post-punk che si baciano nella corsa di un lampo.


Destino Destrucción


Con un approccio stilistico che ricorda molte band della scena di Oakland, il brano vive dell’esplosiva connessione tra il basso distorto e la chitarra piena di nebbia gotica.


Lilith


Mostra tutta l’abilità del duo di rendere magnetica la loro musica: il ritmo diminuisce e aumentano le suggestioni, lenta ascesa al cielo con un volo malinconico.


El Reflejo de Mi Muerte


La drum machine sincopata, il basso che preme sulla pancia e poi via: le chitarre portano tutta la tristezza e la vitalità della consapevolezza, con la voce magnificamente capace di essere isterica e maligna.


Herz Der Niemand 


Il Deathrock si mostra con impronte leggere, sulla voce che esplode di magneti conficcati nella nebbia. Un intarsio elettronico quasi nascosto si presenta, in questa che alla fine risulta essere la canzone più elaborata e misteriosa dell’album.


Ruinas


L’inferno si veste per un attimo di dolcezza, quasi Shoegaze, con la chitarra che culla il sogno di essere per pochi minuti una carezza nera.


Nacidas del Fuego


Spilli di grotte piene di muschio, il ventre gotico pulsa liquidi sanguinolenti per un brano che crea un’atmosfera tesa, morbida, ipnotica.


Cotard 


Sorprendente e stupefacente, tutto il talento fantasioso del duo getta i propri semi in un fiato che sfiora i coralli della poesia.


El Ansia


Tra Xmal Deutschland ed Esses, Diavol Strâin si lancia in una danza ansiosa, grattugiando tutto lo scenario Darkwave che si affaccia sul Deathrock con religiosa devozione. Il basso e la chitarra sembrano a volte alternarsi per sedurre il fantasma che ride mefistofelicamente.


Ylak 


Regina delle nuvole dense di pathos, la canzone dichiara tutte le possibilità creative della band cilena. Un ululato gentile, la chitarra che graffia rispettosamente e le voci che seducono come il miele fa con le unghie dell’orso.


Inferno


Dopo un inizio che lascia semi di Banshees, ecco lo scatto e la corsa nella Los Angeles che accoglie chiunque abbia nelle proprie vene la necessità di pulsioni Deathrock. 


Uroboros


Tutto approda verso il congedo nel modo migliore: ancora qualcosa di nuovo, stupefacente, con echi del lavoro di Hannett con i Joy Division. Qualcosa si frantuma mentre la tastiera prende il palcoscenico per un brano magnetico, pieno di loop continui. Canzone stratificata, con zone sapientemente collegate che regalano piacevoli connessioni con la band di Anja Huwe e la Germania scura degli anni 80. Le voci spariscono e a cantare è un’atmosfera avvolgente e sensuale.


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

10 Luglio 2022












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