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domenica 4 settembre 2022

La mia Recensione: Launder - Happening

 La mia Recensione:


Launder - Happening


Il pregiudizio è una cattiveria gratuita, perché considerare pazzo qualcuno è la vera pazzia: si ha sempre fretta di fare tutto questo avvelenando gli animi e sporcando le acque.

Nella musica c’è chi esordisce sulla lunga distanza con un doppio album e paga il prezzo di ciò di cui ho appena accennato.

Io spero che tutto questo non accada nel caso di chi ho deciso di parlare.

Prendete il passionale John Cudlip, che ha appena pubblicato un album clamoroso per immagini, intensità, colorato con musiche melodiche piene di cantati intensi, con una marea sensuale di suoni voluminosi e accattivanti.

Pieno di diverse influenze, è bene specificare che non siamo solamente dentro il Dreampop e lo Shoegaze (per quanto sicuramente la maggior parte di esso ne sia intriso), bensì in un caleidoscopio di riferimenti che sanno conferire ai tredici brani la sensazione di entrare in multiple dimensioni.

Ecco allora dosi abbondanti di Alternative, un Post-Punk velato ma presente, spruzzate di Brit-Pop e scintille Indie.

Il ragazzo di Los Angeles si è avvalso del contributo di Nathan Havelu, Bryan DeLeon e di Chase Meier che, tutti insieme, sono riusciti a rappresentare splendidamente i vortici tristi e malinconici per un lavoro che ha visto la magica produzione di Sonny DiPerri, noto per aver lavorato con My Bloody Valentine, Bob Mould e DIIV. 

Nella canzone Become ecco la presenza deliziosa della cantante francese Soko che dà un ulteriore tocco di classe a questo esordio.

Molti brani sono stati scritti diverso tempo fa, ma una volta che questa band si è trovata nella sala prove tutto è divenuto fluente e chiaro, dando la certezza a John che tutte dovessero far parte del disco.

La scena artistica di LA è gravida di personalità effervescenti e competenti che hanno saputo dare energie anche a Cudlip, che è così riuscito a trovare forza e coraggio per la necessaria convinzione: Happening suona come un album maturo ed efficace, con tonnellate di suono granitico, sa essere visionario e capace di scuotere e avvolgere l’ascoltatore.

Lo scenario, complesso e magnetico, fa sì che inchiodi l’ascoltatore dentro le peripezie sonore, nei fiumi di chitarre benedette per la loro solidità e attitudine alla ricerca di un compromesso tra il ritmo e la melodia.  

Happening è molto di più che un resoconto di un periodo: è una carta d’identità sonora dei grovigli interiori del buon John, il mostrare al mondo la sua propensione alla ricerca, la sua seducente curiosità che abilmente sa trasferire in canzoni che brillano, contagiano, scuotono e in qualche modo diventano un luogo nel quale sentirsi protetti.

Credo sia superfluo invitarvi a farvi un giro dalle sue parti: avete già inteso che lo scriba si fa garante del vostro ascolto che, ne sono certo, vi conquisterà!


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

5 Settembre 2022


https://launder.bandcamp.com/album/happening


https://open.spotify.com/album/1AFBK10RHCuXnHXaTgyonQ?si=QghpIxlDQcWzwY0plrRJPw






domenica 28 agosto 2022

La mia Recensione: Atmos Bloom - Flora



Londra, la capitale di effervescenze e fluorescenze, mette al mondo creature per poi vederle spesso prendere la via del trasferimento: non sempre può trattenere anime desiderose di curiosità verso situazioni diverse e così, come una trama che sa di fuga per la vittoria, alcune di loro migrano per trovare se stesse, sprigionando nei nuovi luoghi il talento e la serenità.

È accaduto anche a Tilda Gratton e a Curtis Paterson, coppia nella vita quotidiana e in quella artistica, che si sono trasferiti nella città musicale inglese per eccellenza: Manchester.

E di questo luogo magico hanno assorbito molte cose: dall’entusiasmo, allo studio, all’approccio tecnico preciso, alla libertà di sperimentazione, per concludere nella gioia di canzoni che concedono l’espressione del proprio talento conscio che la consapevolezza di poter crescere ancora supera la qualità di un già ottimo risultato. Un album di esordio notevole che, nell’intenzione del duo, non voleva impegnare troppo l’ascoltatore sotto l’aspetto del minutaggio: sette inchini sonori per poco più di ventisette minuti, ma la qualità dei brani scritti non sminuisce quello che per molti potrebbe essere considerato un mini Lp.

Attivi da due anni, sono riusciti a trasformare la difficoltà del lockdown in una possibile ondata creativa: dove c’è costrizione possono esistere elementi di bellezza, senso e validità che permettono attraverso la delicatezza del loro approccio di generare petali morbidi e intense atmosfere oniriche che stimolano sorrisi, danze e gioie intense. 

Nel loro mondo le fate e gli gnomi abitano il tempo dentro melodie colme di sensualità e attività ludiche come volo di canzoni che miscelano coscienza e abilità, donando all’ascolto l’intima convinzione che i due ragazzi sappiano scrivere gioielli di luce.

Chitarre e tastiere che odorano di poesia e freschezza, unite al cantato che cattura deliziosamente, sono i principali elementi che danno a Flora (magnifico titolo che ben spiega cosa si muove all’interno di questo album), tutta la libertà per poter incantare l’ascolto. Che velocemente ci consegna disegni come schizzi di azzurro nel cielo dei nostri respiri, portandoci con generosa capacità, nel circuito della memoria, dentro le trame che furono un tempo approcciate dai Mazzy Star, dai The Durutti Column, sniffando lentamente alcuni edifici sonori dei Cocteau Twins, e buttandoci, con incanto, a osservare alcune delle magie dei DIIV. Ma non troverete plagi bensì ispirazioni, furti legalizzati che conducono alla conoscenza di se stessi. Partiti da lì, i due hanno costruito la loro identità per poter inserire elementi propri che alla fine sono quelli che ci fanno affermare di aver trovato qualcosa di nuovo e di estremamente valido.

La delicatezza e la giovinezza sembrano dimostrare che esiste ancora la possibilità di sentirsi contaminati, di creare fasci di ammirazione notevoli e di trovare nell’ascolto amici con cui vivere il tempo liberandosi pienamente dalle molte negatività dell’esistenza: Flora è un regalo prezioso, un fiume pulito, un volo nell’aria pura, una coccola diurna per arrivare alla notte leggeri e pieni di entusiasmo.

Dal punto di vista dei generi musicali ci troviamo di fronte al dosaggio perfettamente equilibrato tra dreampop e Shoegaze, il tweet pop e minimi accenni a un inconscio e minimalista post-punk. Si respira la convinzione che il lavoro di creazione sia perfettamente equilibrato e che ognuno dei due abbia luoghi di competenza che ispirano l’altro per far crescere e perfezionare le tracce musicali, portandole a fissarsi per sempre dentro la bellezza che incide così tanto per farle divenire capaci di resistere nel tempo: ameremo questo debutto anche tra molto tempo.

Con convinzione estrema affermo che finalmente si ascolta un album che disinfetta, pulisce e lascia brillante il macrocosmo delle nostre esistenze, restituendo a noi il diritto di vedere il presente e il futuro come luogo di accesso alla serenità.

E ci si sente amati, rispettati, liberati da musiche che troppe volte sono colme di dolore e tremore: Tilda e Curtis sono angeli che come chirurghi sanno estromettere la negatività per condurci a sentirci leggeri e votati all’ottimismo, come missionari che sanno cos’è il vero amore, per dare agli altri la possibilità di vedere l’esistenza come un camminamento equilibrato e seducente.

Che sia allora benvenuto il momento nel quale si entra in questi sette petali per poter annusare meglio flagranze intense e morbide…



Song by Song 



When We Met


L’album inizia con il desiderio di un ritorno al passato, alla magica dimostrazione del valore di un incontro. Tutto questo viene rappresentato con un’atmosfera delicata e lucente, tra chitarre e tastiere che si alternano e trovano modo di creare un grande gemellaggio. Ed è un desiderio che entra nella eterea dimensione di un sogno che danza dentro le pennellate sonore di Curtis e la voce da fata dell’800 di Tilda, per stabilire sin da subito l’effervescente propensione verso tappeti sonori ricoperti di petali. Vini Really e Robert Smith stringono la mano, compiaciuti, a quelli che potrebbero essere nipoti baciati da un generoso talento.



Daisy


C’erano volta i The Sundays, macchina da guerra di sogni fluenti e accattivanti. In Daisy il duo Mancuniano prende il lato positivo del Pop, iniettando alcune di quelle cellule della band di Bristol dentro il proprio scrigno fatto di trame vocali piene di ossigeno e chitarre che fluttuano dalla grigia Manchester all’azzurro cielo degli incanti più belli. Trascinante, gioiosa, la canzone mostra come si possa architettare la bellezza e depositarla dentro le note.



Something Other Than You


Già il titolo incuriosisce e dice molto: è una partenza che fa ben sperare. Infatti: qui troviamo la poesia degli Slowdive unita alla capacità dei due ragazzi di oscillare tra gli anni 90 e i giorni nostri, per permettere alle melodie di trovare il baricentro dove depositare incanto e poesia. Ed è il lato morbido dello Shoegaze che crea fragori delicati, petali di rose e batuffoli di cotone che si abbracciano stupendamente. Tutta la loro potenzialità trova modo di essere reale nel brano più suggestivo dell'album, qualcosa di speciale che è meglio non definire, perché sarebbe come mettere le catene ai sogni…



Picnic In The Rain


Curtis e Tilda costruiscono un castello colorato nel cielo, tra i palazzi vittoriani di Manchester e i suoi edifici moderni, con la capacità di fissare con precisione vortici di sinuosa bellezza dando modo al ritmo di trascinarci in una danza dove siamo bendati ma liberi di sognare. Ci ritroviamo dentro i percorsi di chitarre votate all’incanto e al dreampop che diventa il Maestro di sorrisi come diamanti destinati all’eternità. Il basso, con matrice post-punk, dà lo slancio a chitarre luminescenti e la voce sembra tratteggiare nelle nuvole disegni di una bimba che trova la propria fuga nel cielo.



Time


Il ritmo qui rallenta, la chitarra crea un loop sensazionale, il basso è il suo custode per un groove magico e sensuale e la voce una Dèa che cammina nel tempo per mostrare la sua indiscutibile inclinazione a rendere eterna la dolcezza. 

Come una stella che vagabonda galleggia nel blu così fa questa piuma: i due sono maghi che conferiscono alle note il ruolo di essere incanti inevitabili.



Almost Natural


Tutta la stratosfera scende su Manchester per sussurrare ai due di respirarne l’intensità: accade che la voce tenuta saggiamente più lontana si possa allineare perfettamente con le note che sembrano arrivare dai delicati polpastrelli di Vini Reilly, e si notano accenni alla valanga di suggestioni della Sarah Records, su tutti i Blueboy. Della band di Reading si ascolta la loro propensione ad allineare al basso corpulento chitarre attorcigliate ma leggere. I due tuttavia trovano modo di essere originali ed è affidata allo splendido cantato di Tilda il ruolo e la capacità di mostrare che la band non è affatto soggiogata dal potere del passato di quelle sue realtà. Si sogna per fermare gli incubi con questa splendida creatura.



Morning Sun


Ed è in clamorosa attitudine allo stupore che la band Mancuniana decide di terminare l’album di esordio: Morning Sun compatta il basso e la chitarra dentro un suono saldo e leggero al contempo, con il cantato che sembra sussurrare la necessità di un controcanto che si rivela magico ed essenziale. Le chitarre sembrano un rapimento continuo e si ha la netta sensazione che questo sia stato un brano studiato, ma che ha trovato il suo spazio gravitazionale per essere un abbraccio, un congedo temporaneo, perché non ho dubbi che sentiremo altre gemme da questa coppia artistica baciata da abilità e sedicenti propensioni nel fissare sulle note tutta la loro dolcezza…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

28 Agosto 2022


https://open.spotify.com/album/5MOsdLQs3Rx5ed7cnrH5Ku?si=G3kKk4oOR0CYQu4EUlY_qw


https://atmosbloom.bandcamp.com/album/flora







My Review: Atmos Bloom - Flora



London, the capital of effervescence and fluorescence, gives birth to creatures only to see them often take the path of relocation: it cannot always hold souls eager for curiosity towards different situations and so, like a structure that smacks of escape to victory, some of them migrate to rediscover themselves, releasing their talent and serenity in new places.

This also happened to Tilda Gratton and Curtis Paterson, a couple in their daily and artistic lives, who moved to the English music city par excellence: Manchester.

And of this magical place they have absorbed many things: from enthusiasm, to study, to a precise technical approach, to the freedom of experimentation, concluding the whole lot in the joy of songs that allow the expression of their talent in the knowledge that the awareness of being able to grow further surpasses the quality of an already excellent result. A remarkable debut album that, in the duo's intentions, did not want to commit the listener too much in terms of length: seven sonic bows for little more than twenty-seven minutes, but the quality of the tracks written does not diminish what for many could be considered a mini LP.

Active for two years, they have managed to turn the difficulty of lockdown into a possible creative wave: where there is constraint, there can be elements of beauty, meaning and validity that allow, through the delicacy of their approach, to generate soft petals and intense dreamlike atmospheres that stimulate smiles, dances and intense joy. 

In their world, fairies and gnomes inhabit time within melodies filled with sensuality and playful activities as a flight of songs that mix consciousness and skill, giving the listener the intimate conviction that this couple knows how to write jewels of light.

Guitars and keyboards that smell of poetry and freshness, combined with the delightfully captivating vocals, are the main elements that give Flora (a magnificent title that well explains what moves within this album), all the freedom to enchant our listening. Which quickly conveys us drawings like splashes of blue in the sky of our breaths, taking us with generous capacity, in the circuit of memory, into the structures that were once approached by Mazzy Star, by The Durutti Column, slowly sensing some sound buildings of Cocteau Twins, and throwing us, with enchantment, to observe some of the magic of DIIV. However, you will not find plagiarism but inspiration, legalised thievery leading to self-knowledge. Starting from there, the two have built their identity in order to be able to insert elements of their own, which in the end are what make us claim to have found something new and extremely valid.

Delicacy and youthfulness seem to prove that there is still the possibility of being contaminated, of creating remarkable beams of admiration and of finding in our listening friends with whom to spend time, freeing oneself fully from the many negativities of existence: Flora is a precious gift, a clean river, a flight through the pure air, a daytime cuddle to reach the night feeling light and full of enthusiasm.

In terms of musical genres, we are faced with the perfectly balanced dosage of dreampop and shoegaze, pop tweets and slightest hints of unconscious, minimalist post-punk. One breathes the conviction that the work of creation is perfectly balanced and that each one has places of expertise that inspire the other to make the musical tracks grow and perfect, leading them to become fixed forever within the beauty which  affects them so much that they become capable of enduring: we will love this debut long afterwards too.

With extreme conviction, I say that at last we are listening to an album that disinfects, cleanses and makes the macrocosm of our existences shining, restoring to us the right to see the present and the future as a place of access to serenity.

And we feel loved, respected, freed from music that is too often filled with pain and trembling: Tilda and Curtis are angels who, like surgeons, are able to oust negativity to lead us to feel light and dedicated to optimism, like missionaries who know what true love is, to give others the chance to see existence as a balanced and seductive path.

So welcome the moment when we enter these seven petals to better smell intense and soft flagrances...



Song by Song 


When We Met


The album begins with a longing for a return to the past, to the magical demonstration of the value of an encounter. All this is portrayed with a delicate and lucid atmosphere, between guitars and keyboards that alternate and find a way to create a great twinning. And it is a desire that enters into the ethereal dimension of a dream which dances within Curtis's sonic brushstrokes and Tilda's 19th-century fairy voice, to establish from the outset the effervescent propensity for petal-covered sound carpets. Vini Really and Robert Smith shake hands, smugly, with those who could be grandchildren kissed by generous talent.



Daisy


Once upon a time there was The Sundays, a war machine of flowing, captivating dreams. In Daisy, the Mancunian duo takes the positive side of pop, injecting some of those Bristol band cells into their own treasure chest of oxygen-filled vocal textures and guitars that float from grey Manchester to the blue skies of beautiful enchantments. Dripping, joyful, the song shows how beauty can be architected and deposited within the notes.


Something Other Than You


Already the title intrigues and says a lot: it is a hopeful departure. Here we find the poetry of Slowdive combined with the ability of the couple to oscillate between the 90s and the present day, to allow the melodies to find the centre of gravity where they can deposit enchantment and poetry. And it is the soft side of shoegaze which creates delicate fragrances, rose petals and cotton balls that embrace each other beautifully. All their potential finds a way of being real in the most evocative track on the album, something special that it is better not to define, because that would be like chaining dreams…


Picnic In The Rain


Curtis and Tilda build a colourful castle in the sky, between Manchester's Victorian palaces and its modern buildings, with the ability to precisely fix swirls of sinuous beauty, allowing the rhythm to pull us into a dance where we are blindfolded but free to dream. We find ourselves within the paths of guitars devoted to fascination and dreampop that becomes the Master of smiles like diamonds destined to eternity. The bass, with a post-punk matrix, gives impetus to luminescent guitars and the voice seems to sketch in the clouds drawings of a little girl who finds her escape in the sky.


Time


The rhythm slows down here, the guitar creates a sensational loop, the bass is its guardian for a magical, sensual groove and the voice a goddess walking through time to show its unquestionable inclination to make sweetness eternal. 

As a wandering star which floats in the blue, this feather does the same thing: the two are magicians who give notes the role of being unavoidable enchantments.



Almost Natural


The whole stratosphere descends on Manchester to whisper the two of them to breathe its intensity: it happens that the voice wisely kept further away can be perfectly aligned with the notes that seem to come from the delicate fingertips of Vini Reilly, and hints of the avalanche of suggestions from Sarah Records, above all Blueboy, can be noted. Of the band from Reading one hears its penchant for matching twisted but light guitars with the big bass. The two, however, find a way to be original, and it is Tilda's splendid singing that shows that the band is not at all subjugated by the power of the past. One dreams to stop the nightmares with this splendid creature.



Morning Sun


And it is with a resounding attitude to amaze that the Mancunian band decides to end their debut album: Morning Sun compacts the bass and guitar within a sound that is both solid and light at the same time, with vocals that seem to whisper the need for a counter melody which proves to be magical and essential. The guitars sound like a continuous rapture and one has the distinct feeling that this was a studied track, but that it has found its gravitational space to be an embrace, a temporary farewell, because I have no doubt that we will hear more gems from this artistic couple kissed by skills and self-styled propensities to fix all their sweetness on the notes…


Alex Dematteis

Musicshockworld

Salford

28th August 2022


https://atmosbloom.bandcamp.com/album/flora


https://open.spotify.com/album/5MOsdLQs3Rx5ed7cnrH5Ku?si=G3kKk4oOR0CYQu4EUlY_qw















martedì 7 giugno 2022

La Recensione di Giampaolo Ingarsia: Tallies - Tallies

 


Tallies - Una familiare brezza colorata dal Canada

Pomeriggio uggioso in ufficio, auricolari d’obbligo.

Mi alzo per un caffè, lascio la solita cloud radio basata sui miei ascolti.

Rientrato alla mia postazione vengo avvolto da una colorata brezza “manchesterina” intrisa di riverberi e chorus per chitarre melodiose accompagnati da una voce angelica, sembrava, di una ragazzina o una bimba, ma, per intenderci, non come Alison Shaw dei Cranes.

Ovviamente, cotanti colori sonori mi distraggono e smetto di lavorare, godendomi il caffè, ebbro del vapore prodotto da queste piacevoli e lattiginose vibrazioni, familiarmente malinconiche.

Mi accingo, dunque, a identificarne la provenienza.

Pensavo fosse una delle tante band inglesi anni 80 che mi sono sfuggite e che mi sfuggono tuttora.

No: niente Europa (avrei potuto pensare, al massimo, la Scandinavia).
 Ragazzini da Toronto.

Si chiamano Tallies.

Sono in quattro: Voce (ogni tanto aiuta con la chitarra), Chitarra, Basso, Batteria.

Si sono conosciuti a scuola ed hanno sfornato un album nel 2019 e quattro Ep fra il 2021 e i giorni nostri.

Hanno appena rilasciato il nuovo singolo “Special”, completamente in linea con quanto sotto!.

Escono e sono distribuiti da: Hand Drawn Dracula in Canada, Kanine Records negli USA) e la nostra amata Bella Union (Spiritualized, Mercury Rev, Flaming Lips... per citare i più conosciuti e banali) in Europa.

Come accennavo, nuotiamo in un brodo i quali ingredienti sono: la schiettezza degli Smiths, le nebbie scozzesi dei Cocteau Twins e la “malincomelodia” dei Sundays (come loro stessi affermano nella loro bio, sul sito ufficiale).

Niente di avveniristico, dunque.. musica derivativa, OK, ma.. semplice, diretta e spontanea. Composta bene in sala prove e prodotta meglio in studio: bei suoni per tutti gli strumenti e la voce: ottimo mix, bel mastering per tutti i dischi che ho ascoltato.

Mi hanno colpito immediatamente, non solo per indiscutibili ancestrali affinità stilistiche, ma per l’evidente spontaneità con la quale sembrano aver appreso ed assimilato il messaggio di quei cari Robin Guthrie, Mike Joyce, Simon Raymonde, Morrissey o, chessò, Harriet Wheeler e compagnia sia suonante che cantante... giusto per fare qualche banale esempio di riferimento.

Melodie timidamente pop propagate con malinconica spontaneità inzuppata di interessanti riverberi, chorus e flanger (ripeto).

Testi mai pretenziosi, ma non troppo “shallow”, ecco.

Il primo pezzo che mi ha colpito (quello del caffè, appunto) è la assolutamente “CocteauTwinsiana” “No Dreams Of Fayres”, singolo del 2021.

Rimettendomi gli auricolari al momento del primo ritornello, sono stato colto dall’impulso di portare indietro la riproduzione fin dall’inizio.

Un bel riff di chitarra, con un bel suono e atmosfera, ripeto, marcatamente Sundays, Cocteau Twins.

Una batteria vera: di una consistenza decisa e non “vittimista, come le spallucce dei tennisti Italiani” (cit.), suonata con la giusta intenzione e misurata potenza, con tutte le frequenze al loro posto.. davvero un suono piacevole e poderoso, per il genere!

(sono un batterista: sono solito a storcere il naso sul suono delle batterie di molte produzioni shoegaze/dreampop, quando “vere”, in quanto, spesso, troppo eteree e con poca consistenza, ma.. oh, son di parte!).

L’incedere dell’accattivante linea melodica mi mette subito di buon umore, tant’è che mi aiuta a trovare il mood e le giuste parole per una difficile mail “diplomatica” ad un collega scomodo.

Questo per sottolineare che i nostri ragazzi hanno trovato la formula per farmi “vibrare” positivamente, perché, in questo caso, ma anche in genere come spigherò in seguito, dimostrano di suonare la musica di certi ambiti, come l’avrei suonata io.

Il testo, che si esprime come da manuale, nel ritornello, è semplicissimo e delicatamente introspettivo: malinconicamente disilluso.

Niente arcane e complicate figure retoriche simboliche.

Niente artefatti o tecnicismi metrici.

Facile da cantare e non troppo imbarazzante per farlo!
 Amo cantare la musica che ascolto.

Buona anche la struttura armonica: accordi leggibili, linea di basso pulita e coinvolgente.
 Una canzone simpaticamente suonabile con la chitarra in due minuti, ma non per questo banale.

Ripeto e sottolineo che li avevo scambiati per una band “antica” in tutto e per tutto.
 Non so se sono chiaro in questo punto, ma ritengo questa caratteristica come un merito da attribuire tranquillamente a questa giovane band.

Seppur in ambito inequivocabilmente derivativo, dimostrano di “essere nati nell’era sbagliata” (nel senso buono) e questo conferisce loro una consistente credibilità d’ascolto.

Naturalmente mi è subito partita la “scimmia” da novità, che non si è ancora minimamente dissipata due mesi dopo e, per uno che si stanca facilmente come me, è già molto!

Compro immediatamente tutta la loro sparuta discografia liquida (abitando a Malta, trovare i loro vinili è piuttosto difficile.. stendo un velo pietoso sui costi di spedizione - NDR).

Sorridente, speranzoso ed impaziente, mi metto in ascolto del loro, per ora, unico album: “Tallies”, uscito nel 2019.

Lo ascolto tutto d’un fiato per due/tre volte, senza che sopraggiunga mai l’istinto dello “skip track”.

L’essenza sonora della band conferma le impressioni del singolo che avevo ascoltato.

I suoni della sezione ritmica su questo primo lavoro sono più marcati ed incisivi e coccolano maggiormente il mio orecchio batteristicamente interessato, riportandomi a certe produzioni dei Ride o dei Teenage Fanclub (quelli iInglesi).

Lo stesso si può dire delle chitarre (una, ma suonata su più tracce) che si confermano importanti, sempre molto gentili, melodiose e assai penetranti sul mix e nella mente.

Potrei dilungarmi in un’analisi di ogni canzone, perché, davvero, tutte meriterebbero un commento, ma per questioni di logorrea, scelgo, con difficoltà, di commentarne solo una oltre alla simpatica “Mother”, dal bel ritmo un po’ motown, da considerare il “singolo” dell’album, basandosi sulla differenza del numero di ascolti rispetto alle altre.

La mia scelta cade su “Easy Enough”, che chiude il disco ed è anche la più lunga: l’unica che supera i 5 minuti e del quale è stato realizzato un videoclip molto 4AD style.

La più nebbiosa e “potente”, con un bel ritornello e, soprattutto, un bel post-ritornello: elemento strutturale che i ragazzi utilizzano spesso e che apprezzo molto, devo dire.

Il talento del chitarrista (Dylan Frankland), anche produttore artistico e sound engineer della band, si conferma nella linea melodica che qui è particolarmente efficace, alternandosi piacevolmente alla bella voce di Sarah Cogan, che, personalmente trovo piuttosto ammaliante e mai virtuosa.

Melodie colorate, “bagnate” da un utilizzo magistrale dei riverberi, mai troppo esagerato, rendendo l’ascolto piacevole e sempre leggibile.

La loro musica è assai in linea coi layout delle loro produzioni che occhieggia, nemmeno tropo velatamente, a certa familiari 4AD, MUTE o Beggars Banquet dei tempi migliori.

Non potendoli vedere dal vivo, mi sono prodigato a cercare qualche loro live (del quale potrò fornire i links volentieri).

Sempre piuttosto composti, ma soprattutto sinceri e appassionati.

Specialmente batterista e bassista (quest’ultimo credo sia cambiato nel tempo): ognuno dei quali è sempre completamente calato nel turbinio proprie emozioni.. persone evidentemente molto, molto timide!

Tutti quattro globalmente molto precisi ma non virtuosi.

Molto coinvolgenti.

Sarah canta molto bene anche dal vivo (cosa non trascurabile).

Suoni sempre ben curati..

Magari avrei gradito qualche variazione in più nelle versioni live delle canzoni rispetto a quelle su disco,

Ma... vabeh, ci sta!

Andrei comunque a vederli volentieri se fossero vicini o in situazioni molto molto comode; certamente non prenderei un aereo apposta per muovermi in caso di loro concerti a Berlino, Parigi o Londra, come ho fatto, ad esempio, per altre band anche “non
enormi“ (come ho fatto ultimamente per Twilight Sad o Calexico - OT).

Forse il look del bravo Frankland, che ho scoperto avere un passato in una band punk- hardcore, a tratti, potrebbe sembrare un po’ forzato, ma alla giovane età ed alla sincerità artistica, IO, perdono tutto, specialmente quando vengo così piacevolmente coinvolto dalle sonorità.

Ripeto per l’ennesima volta: sto scrivendo di una band il cui nome, magari non verrà impresso sugli annali della storia del Rock, ma, sicuramente vibrano di bei suoni ammalianti, colorati e malinconici.

Ottima colonna sonora per le giornate degli appassionati di certe atmosfere vicine alle band e, generalmente, delle case discografiche sopra citate.

Ci si affeziona con facilità, ecco.

Mi è sembrato di conoscerli e di ascoltarli da sempre, che facciano parte del mio imprinting sonoro.

Scoprirli, invece, così giovani, conferisce loro un fascino particolare.

Insomma un ammaliante e coinvolgente “niente di nuovo”.

Non suonano “nuovi” come potrebbero le Wet Leg , magari

(Mah, forse, anche loro, in fondo.. così nuove, nemmeno... diciamo che “osano” di più).

Il“niente di nuovo” dei giovani Tallies, però, è ben suonato, sincero, spontaneo, lucido e nebbioso al punto giusto.

Bravi!

Canzoni semplici con il potere di farsi ascoltare per ore.


Giampaolo Ingarsia

Malta

7 Giugno 2022


https://open.spotify.com/album/5eC8BJIxShy2t6Oh3x5Hpx?si=hFJqV_fWRYmku-mzdV4Tiw







martedì 1 marzo 2022

La mia Recensione: SECRETARY - Parallels

La mia Recensione 


Secretary - Parallels


Sin dall’inizio della presenza dell’uomo su questo pianeta si è avuta la necessità di protezione. Per quanto si siano costruite cose e situazioni di comodità, è sempre esistita una valanga di elementi che ci hanno fatto sentire , e ancora lo fanno, che senza protezione si ha paura, ci si sente scomodi e vulnerabili. E da quando esiste l’arte, con le sue varie forme, si sono create zone perfette per custodire l’agio e il disagio per l’eternità, sperando che il primo fosse e sia il vincitore.

Poi esiste chi con un album di canzoni presenta entrambe le situazioni contemporaneamente e non puoi che ritrovarti sbalordito davanti a questa intensità. Sarà per gli opposti in questa convivenza, o per l’incapacità di resistere alla bellezza del dolore che tenta di sorridere raccontandosi.

Il risultato, ad ogni modo, è un ascolto con il cuore come un terremoto che, se da una parte distrugge, dall’altra mostra ciò che fa di nascosto, ed è comunque una gioia che offre la forza di ricostruire.

Queste lacrime sono la tenerezza che trova al semaforo la solitudine, le sorride e la porta in giro per nuovi sogni da fare, in attesa di tempi migliori.

Davanti a questa intenzione si deve prestare molta attenzione: Ellison Wolf ed Em Maslich, con il progetto SECRETARY, sono capaci di frantumare, dolcemente, ogni rifugio perché questa loro intensità in realtà ci mostra come il loro sia indistruttibile.

Che sia la musica, le parole, le voci, tutto diventa una disintegrazione costante perché nulla stordisce di più della intensità, della capacità di colorare le tenebre portandole dentro di noi. Non hai possibilità di fuga.

Non puoi maneggiare il fiume, per quanto bello sia, perché in questi quarantasette minuti ti ha avvolto nel suo moto.

In queste nove tracce ogni secondo è un pugno che ti accarezza e pettina l’anima, per destabilizzare e confortare al contempo. 

Abbiamo vissuto in precedenza tutto questo, nelle canzoni più devastanti dei Radiohead (con i quali ci sono dei punti di contatto musicalmente parlando) e dei The Postal Service: di questi ultimi si avverte la comune volontà di non frenare la progettualità di un dolore che vuole vivere per poterlo poi uccidere.

Sono scintille queste canzoni, che fanno capire come l’intensità possa essere contemplata e desiderata e come diventino spade melodiche che entrano dalla punta per affondare sino al manico.

Gli anni novanta nel loro momento migliore, con quella attitudine di esplodere. Con il suono degli anni 2000.

Qui il tutto senza distorsioni, bensì con quella sensazione di soffocamento che nel suo non essere gestibile attrae e affascina.

Le chitarre, i Rhodes, il drumming indie, il basso plumbeo, le voci come perle al buio, sono tutti programmati per essere veicoli che si scontrano continuamente contro quel desiderio di protezione di cui dicevo all’inizio: tutto diventa la stagione che non esiste, somma di quelle reali, e non c’è parola che possa definirne l’essenza se non l’effetto, che è schianto.

Uno schianto dolce e amaro, consequenziale.

L’amore, in questo album, è un sillabare contemplativo e magnetico, dove l’eterno è già presente, come sorpresa con il groppo in gola, e le labbra, appiccicate alla ridda che spossa, si siedono tra le note aspettando il battito di ali degli angeli per poter morire serenamente…



Canzone per canzone 


When you know, you know 


Una preghiera.

Questo è l’inizio dell’album nei suoi primissimi secondi.

Preghiera che si unisce in fretta ad un fare elettronico per raggelare gli animi, per dare un senso psichedelico del bisogno di elevarsi.

La voce, su un pattern nebuloso ma diamantato, sequestra i nostri slanci altruistici e ci rende egoisti: che bello dipendere da questo cantato che fa della pittura il suo vestito più rispettoso e ci porta a desiderarlo. 

Le corde della chitarra sono passeggiate che partono dall’altare e ci conducono sulle strade con l’elettronica ad illuminare i fili della nostra tensione interiore.



Words


Si può unire il trip-hop, il funky, l’elettronica degli anni 60, la notte con il suo mistero e la sensazione che la psichedelia più pura viva nella leggerezza di piccoli impulsi velati ma garbatamente prepotenti?

Sì, Words è qui a dimostrarlo, con il suo fare sornione, la sua forma fisica che consta di chitarre brevi e rarefatte, di tastiera come acqua a breve getto continuo ma già capace di bagnarci il volto di lacrime. E quando la chitarra si affaccia, tutto si fa abbraccio e sudore, le note alte con il delay non sono altro che la preghiera iniziale che non ha finito il suo percorso…



Wave


Come è veloce la potatura, violenta. Come è lenta la crescita dei rami, pacifica.

Ecco: in questo brano si parte dai rami tagliati e con il passare dei minuti ci troviamo davanti alla maestosità di un albero elegante e profumato di brina autunnale.

Perché tutto cresce: partendo dalla chitarra semi acustica, alla voce, a quella elettrica e all’insieme che si abbraccia calorosamente nel ritornello dal profumo di vita in fase di addio.

Poi il cambio ritmo, le chitarre che si rimpallano per divenire riflessi di Felt e Television, con il basso che insiste e lascia lividi di memoria post-punk.

Il ritmo della musica cresce con questa voce che si appiccica al cuore.

Non puoi rimanere gelido davanti al sole nero che invade la tua pelle con quelle interazioni intense di note e di voci (con controcanto e falsetti che sono le tue lacrime che si specchiano), che fanno di te, alla fine, quando anche il ritmo cede, uno straccio su cui riflettere…



Retroacting 


Quasi come fosse un moderno canto Gregoriano, il brano si butta su un folk antico che sapientemente si miscela al fare moderno e i Radiohead sono lì, come guardiani di questo incanto, dalla faccia triste.

Come carnalità in fase di riposo, il brano, nella sua lenta drammaticità, si offre per togliere la nostra pelle ormai fradicia, da buttare.

Il titolo della canzone, quando viene cantato, da solo è già lo sparo che sconquassa il silenzio della notte. La chitarra e la Rhodes ci inguaiano, tutto scende a rendere la nostra pancia una discarica. La melodia ci riporta al fare straziante dei Saybia, la band Norvegese regina in queste particolari condizioni nel renderci muti. I Secretary sono allo stesso livello.

E allora la sfida è verso la nota che riesce a farci cadere più velocemente.

Dal fascino irresistibile, questo brano è l’acido che al momento ci farà svenire. Ne verranno altri.

Intanto trovate fazzoletti per accarezzare la vostra malinconia che sta facendo l’amore con la tristezza, dove il vero orgasmo è il nostro ascolto.



I know It’s Wrong


Jeff Buckley, quello del secondo album, arriva all’inizio del brano, con il drumming e il basso che sono corsari che ci rubano le forze. Poi però il cantato ci traumatizza ancora di più, con quella sua delicata movenza, portandoci nei pressi del rifugio delle marmotte dove i fischi diventano la tastiera che ci avverte che di notte le emozioni sono nude. Il drumming, articolato e vivace, ad un certo punto si ferma, dando alla voce e al basso, e a seguire alla tastiera, il compito di offrire al cuore il ritmo seducente della paura: quanta bellezza che si mostra!

Ed echi dei Sophia di Mr. Robin Proper-Sheppard si affacciano nel cantato, struggente e dolce al contempo, che aggiungono pathos a quei millimetri di calore che possono servire in qualunque momento.



Too Far, Too Late


Il cuore come un magazzino al quale rubare i segreti della sua propensione al sogno. In questo spettacolare insieme molecolare di incanto e pulsioni vitaminiche, il brano che ascoltiamo è forse quello più di tutti capace di evidenziare come le progressioni, i cambiamenti, siano le persiane del loro talento che aprendosi si mostrano senza ombre. Le chitarre, due, perfette, come acrobati del mare, si tuffano nell’aria vuota e sgombra di attriti, per volare sull’acqua di questa modalità incandescente. Se non è la canzone che meglio di tutte mostra che il loro mazzo è fatto di 336 carte, quanti sono i secondi di cui abbisognano per stordirci, allora non so quale altra possa convincervi che Secretary è il fascino del moderno che getta le sue reti per intrappolarci. Che bello sentirsi sconfitti davanti a questa  processione di pennelli intinti nell’olio sacro della perfezione.


Tramadol


Il basso è un terremoto, la tastiera il suo scudiero, la voce la coscienza che si perde nel riverbero, dove tutto graffia di dolcezza, con il falsetto celestiale, sull’elettronica minimalista ma di immenso impatto.

Questa è la struttura di un duo che amplifica la direzione avviata dai Radiohead di inizio anni 90, per personalizzare il mistero verso una teatralità più consapevole, nel fracasso dolce e surreale che siamo costretti a vivere. 

E gli ultimi cinquantadue secondi sono il congedo che non sognavamo nemmeno. E invece…

E invece siamo benedetti da questa sacralità cadenzata che annichilisce.

Quando il genere musicale diventa quello che è per davvero: un qualcosa di inutile davanti alla maestosità di artisti capaci di detronizzare i concetti più errati.


Fires 


Cosa succede?

Un quasi Fado, un quasi infarto consegnato da una chitarra col vestito rosso caldo, ci sorprende, la voce di Ellison diventa ortica triste e beata nel suo camminare, rossa come la chitarra, sulla nostra pelle che cedendo si colora di bianco.

E poi via, tutto accelera, spinge come un animale arrabbiato, il cantato tenuto un po’ lontano per dare spazio all’angelica  orchestrazione di un tessuto in ebollizione. E tutto diventa strazio da indossare per poter correre lontano dal mondo.



Wisdom


Come ultima portata, la nona, ci portano una macedonia: Mazzy Star, The Postal Service, Alt-J, Radiohead, The Doors, Can, in un balletto di riferimenti e suggestioni, nell’impasto lento di comete e detriti, di beat ed elettronica semi nascosti dagli incendi di un piano incantato su poche note, per stabilire il nostro senso di godimento più saggio: ora sappiamo che abbiamo ascoltato un Rito perfetto.

Ed è lode all’orizzonte, ai corpi in attesa di riprendere fiato, alla sensazione che tutto abbia senso proprio nell’atto finale di questa foresta piena di splendida ombre, dove la muffa balla lenta, felicissima.

Ed è il Signore della Saggezza, il basso, a pilotare la melodia e la forza di questa Dea, dalle note esatte, al congedo, certo che tutto diventerà inevitabile e si tornerà subito all’antipasto di When You Know You Know perché la miseria  della nostra ignoranza merita di commettere l’unico peccato giusto: mangiare ancora questa mela che si chiama Parallels…


Alex Dematteis 

Musicshockworld 

Salford

1 Marzo 2022


https://open.spotify.com/album/6SLwm8OqURTkEe5VYn1XCB?si=jy-dEE0OTJmSxxwt6BE8hg


https://music.apple.com/gb/album/parallels/1334522196


https://secretaryband.bandcamp.com/album/parallels-2





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